Conosco questo posto. Conosco il freddo di questa stanza e
le sue pareti cupe. Conosco l'uomo che occupa il letto e fissa con un sguardo
vuoto e inespressivo il soffitto. E una parte di me sa già come andrà
a finire, tra me e Endre: male. Perchè tra noi due non è mai andata
altrimenti. Ma quella parte, coscienziosa e razionale, scelgo di ignorarla. Non
bisogna mai fidarsi del buon senso, quando si ha a che fare con uno scrittore.
E' una lezione che ho imparato da bambina.
"Dovresti mangiare." è
l'unica cosa che riesco a dire. Ho pensato a mille frasi e mille parole ma alla
fine non faccio altro che suggerirgli di mangiare.
Lui volta la testa verso
di me, lentamente. "Dovrei alzarmi, muovermi, sorridere. O almeno questo
è quello che tutti pretendono da me. Temo che ma vi deluderò ancora
una volta."
"Mi dispiace."
"Ti dispiace?"
"Per
tuo zio."
Endre emette un rumore che somiglia a una risata strozzata e
amara. "Odiavi mio zio."
"Io..."
"Tutti odiavano
mio zio, Sophie. Anche io avrei odiato mio zio, se non avessi dato più
importanza a quello che rappresentava."
Faccio qualche passo avanti, fino a raggiungere
il letto. Liscio le lenzuola stropicciate con la mano. "Allora mi dispiace
perchè sei qui, in questo momento, schiacciato da qualcosa che non c'è."
"Tecnicamente,
sono schiacciato da qualcosa di non meno reale della sedia accanto al mio letto,
perchè io lo percepisco come ogni altro oggetto della stanza." sento
un respiro profondo. "Mi dispiace, sto diventando noioso."
Scuoto
la testa, accarezzandogli lentamente i capelli. Lui non oppone resistenza. "Ti
va di alzarti?"
"Non ci riesco, Sophie. Credimi. Con mio zio se ne
sono andate le poche certezze che avevo. Ti sei mai sentita disorientata? E' come
se non avessi idea di chi sono o dove sono, e mi rendessi conto che il problema
non è che non riesco a trovare la strada di casa, ma che quel sentiero
è stato seppellito da tempo."
"Io credo che se la casa non
c'è più, dovresti costruirtene una nuova. E le fondamenta le hai
già."
"Le fondamenta?" il suo sguardo è interrogativo,
ma vagamente divertito.
"Ok, mi lascio trasportare eccessivamente dalle
metafore."
"Il problema è che non ho alcuna voglia di costruire,
in questo momento."
Scuoto la testa. "Lascerai cadere in rovina tutto quello che hai?" chiedo, il tono di voce sempre più
alto.
Endre muove un braccio lentamente, fino ad afferrare il mio polso. "Sembri
arrabbiata."
"Sai una cosa? Sono arrabbiata." e, in effetti,
lo sono davvero. E' come se la collera stesse salendo verso la mia testa, violentemente.
"Sono arrabbiata perchè potresti avere quello che vuoi, ma non fai
niente per averlo."
"Ma se non sono riuscito nemmeno a tenermi Blanche."
"Tu
non volevi Blanche!" ora sto urlando. "Tu non volevi Blanche e le hai
chiesto di sposarti per impedirti di essere felice. Sei fortunato, Endre, perchè
sei una persona meravigliosa. Perchè sei nato con la capacità di
vedere l'essenza delle cose, di capire le persone, di farti amare senza neppure
dare nulla in cambio. Hai Edward e Ewan, che mi hanno praticamente pedinato negli
ultimi mesi perchè venissimi a parlarti. Hai Inga, che ti ama come un figlio.
Hai me. E io ti amo, Endre, ti amo e non capisco perchè non vuoi guardarti
allo specchio e decidere che sei un essere umano e, come tale, potresti amare
anche tu."
"Tu non hai idea di cosa..."
"Non ho idea
della tua vita? Non ho idea di cosa voglia dire essere soli?" grido. "Credi
che sia stato facile vivere con una madre che portava in casa un uomo a settimana?
Credi sia semplice coonvivere con cinque sorelle? Mio padre era un professore
cinquantenne che ha sedotto mia madre, poco più che diciannovenne. Non
lo ricordo affatto. Il punto è che tutti noi soffriamo, Endre. E' nella
natura umana. Si può reagire, oppure..." lascio sfumare la frase.
"Oppure?"
il suo volto è impassibile.
"Oppure ci si può costruire
un muro intorno, come hai fatto tu. E finchè non sarai pronto a far crollare
quel muro, io non riuscirò ad avvicinarmi a te, a conoscerti davvero, a
capire quello che ti passa per la testa. Potrò aiutarti, se un giorno vorrai
chiedermelo. Fino ad allora, è inutile che io stia qui."
Endre
non si muove, e non mi ferma quando mi volto. Vorrei solo aver prestato attenzione
alla mia parte ragionevole, per una volta.
"Verrà."
ripete Davide, mandando giù una manciata di arachidi. "Ne sono sicuro."
Dafne
lo osserva con un'espressione disgustata. "Hai davvero intenzione di cenare
con quella roba? Noccioline e carne in scatola?"
"E'
sempre meglio del tuo tofu."
La mia amica mi guarda, cercando evidentemente
conforto. "Ok, Dafne, affrontiamo la realtà. Non sai cucinare."
"Ma..."
Alzo
le spalle, afferrando un po' di carne direttamente con le mani. Non sono in vena
di convenzioni sociali, oggi. "Mi dispiace, Daf. Sono nervosa."
"Non
verrà."
"Cosa?" afferro il bicchiere e mando giù
un sorso di vino.
"Endre non verrà. E' un grande uomo con l'emotività
di un bambino. Non verrà perchè è spaventato."
"Spaventato
da..." chiedo, ma vengo interrotta dal campanello. Mi alzo, scansando la
carne molliccia, e apro la porta a Ewan. "Posso entrare?"
"Entra
pure. Vuoi un po' di noccioline?" chiedo, aggiungendo una sedia attorno al
tavolo.
"No, grazie. Vengo da casa di Endre."
Deglutisco con difficoltà.
"Che ti ha detto?"
"A dire il vero non ha parlato. Però
era in piedi." mi prende la mano. "Verrà."
Dafne rotea
gli occhi. "Se volesse venire davvero, sarebbe qui. E' evidente che non è
destino."
"Non credo affatto nel destino." ribatte Ewan.
"Dovresti.
L'universo segue il suo corso e ci trascina."
"Non credi che sia
una visione da codardi? L'universo ci trascina, così non dobbiamo prenderci
le responsabilità delle nostre scelte..."
"Hey!" esclama
Davide, interrompendo i due. "La cosa si sta facendo troppo seria, per i
miei gusti. Potremmo tornare a parlare di noccioline?"
Il campanello.
Di nuovo. Sussulto, e incrocio le dita dietro la schiena prima di aprire la porta.
L'ultima volta che l'ho fatto avevo dieci anni e speravo di trovare una bambola
nell'uovo di Pasqua. Ti prego, ti prego, ti prego, fa che sia Endre. Non riesco
a pensare ad altro.
"Ciao, Sophie." è Edward, con la solita
aria seria e preoccupata.
"Ciao."
"Posso entrare?"
Annuisco,
facendogli strada verso la cucina. "Prendo qualcosa da mangiare." dico,
quasi a me stessa, afferrando pop corn e cioccolatini. "Qualcuno vuole i
biscotti alla cannella?"
Sento qualche 'sì', non troppo convinto,
quindi afferro la ciotola.
"Ho parlato con Endre." esordisce Edward.
"Perlomeno
con te ha parlato." commenta Ewan, leggermente infastidito.
"L'ho
praticamente costretto. Non verrà, Sophie."
Sollevo le sopracciglia.
"Sì, pare che ognuno abbia la propria teoria a riguardo. Non capisco
perchè siete venuti qui. Senza offesa, ovviamente." mi affretto ad
aggiungere.
Edward accenna un sorriso. "Immaginavo saresti stata distrutta.
Nonostante tutto, sei parte integrante dell' E team. La nostra mascotte,
oserei dire."
"E team?" chiede Dafne spalancando gli
occhi, mentre il campanello suona di nuovo. Di nuovo, dita incrociate dietro la
schiena. Di nuovo, non è Endre.
"Ciao, Emily. Ciao, Jane."
Emily
sorride con aria colpevole. "Devo lasciarti la piccolina. Ti prometto che
verrò a prenderla domani mattina. Lo giuro. Va bene, no?"
E incredibile
come mia sorella riesca a scomparire senza aspettare la risposta. Prendo Jane
in braccio e la porto in cucina, dove il gruppetto sta bisticciando riguardo duemila
argomenti contemporaneamente. Jane si guarda intorno per circa dieci minuti, l'espressione concentrata e fortemente interessata, per poi schiarirsi la voce.
"Davide,
la carne in scatola in effetti fa male alla salute. Lo dice sempre la mamma."
Dafne
assume un'espressione soddisfatta, ma Jane scuote la testa. "Dafne, il tuo
tofu è terribile. Anche peggio della sabbia che ho mangiato all'asilo,
una volta."
Ewan ridacchia. "La sabbia, eh?"
"Sì,
beh, volevo solo dimostrare a un bambino che non è vero che causa danni
allo stomaco. Lui poi si è messo a mangiare i sassi, ma si sa come sono
i maschi. A questo proposito, Edward, tu hai tutte le caratteristiche del maschio
tipico."
"Ovvero?"
"Sei convinto di avere ragione e sei pessimista.
E' chiaro, infatti, che Endre verrà."
Sollevo le sopracciglia.
"E perchè?"
"Perchè ho visto come ti guarda."
la piccola scoppia a ridere. "Ok, ho sempre voluto dirlo, lo ammetto. So
che verrà perchè Endre è innamorato di te, e una persona
innamorata può complicarsi la vita all'inversosimile, ma andrà
sempre verso la persona che ama."
Edward ride. "Sono ancora convinto
che Endre non verrà, ma tua sorella farà strada."
Mi stringo
nelle spalle. "Tecnicamente, abbiamo tre verrà contro due non
verrà."
Il campanello. Ancora una volta. Mi chiedo chi manchi
all'appello. Inga? Mia madre? Un'altra sorella?
E invece, nel momento in cui
potrei aspettare chiunque tranne una persona, quella persona mi appare alla porta.
E' Endre.
"Ciao, Sophie."
"Ciao."
"Credi che
possa entrare?"
Scuoto la testa. "E' meglio se parliamo fuori. C'è
troppa gente, qui dentro.
Chiudo la porta dietro le mie spalle, e aspetto che
Endre inizi a parlare. "Avevi ragione, Sophie. Io so chi sono. Il problema
è che rifiuto di ammetterlo."
"Perchè do..."
Lui
posa un dito sulle mie labbra. "Hai parlato davvero tanto, oggi. Ora tocca
a me. Sono un idiota. E esordisco col dire che sono un idiota perchè è
l'unica cosa di cui sono sicuro, ora come ora. Se penso che avrei potuto perdere..."
la frase gli muore sulla labbra, mentre lui mi incornicia il viso con le mani.
"Ricordi
quando ti ho detto che sei un fuoco? Ecco, è tutto lì. Il problema
è che io mi sono spento da solo, Sophie. Mi sono spento attaccandomi a
una famiglia che non ho mai avuto e a una donna che non ho mai amato. Mi sono
spento perdendo di vista le cose importanti. La mia domanda è semplice:
vuoi riaccendermi, Sophie Gràìn?"
Non riuscendo a parlare,
mi mordo un labbro. "Io..."
"So che è difficile fidarti
di me, ora come ora. Perchè sono un idiota totale. L'ho già detto,
giusto?"
Sorrido. "Sì."
"Vuoi riaccendermi, Sophie?"
"Sì."
Lui
sorride, e non credo di averlo mai visto così raggiante. Mi stringe a sé,
con forza, poi scosta un ciuffo di capelli che copre il mio orecchio e poggia
le labbra sul mio collo. "Il cognome di mia madre era Fontaine. Il cognome
di mio zio, che presi a Londra, è Blanc. Il cognome di mio padre era Doestev.
Era ungherese, o almeno questo è quello che mi è stato raccontato
di lui. La D. del mio pseudonimo non significa nulla. E' solo una lettera, messa
lì in ordine alfabetico. Quindi, Sophie, se vuoi conoscermi devi sapere
che mi chiamo Endre Dostev-Fontaine-Blanc. Non che abbia molta importanza, ma
volevo che tu lo sapessi." mi accarezza il polso con l'indice destro, lentamente,
e io sono sopraffatta da tutte quelle sensazioni. "Voglio essere completamente
onesto con te, perchè lo meriti." riprende. "Abito nel piano
superiore di casa mia. Odio il piano inferiore, a dire la verità. Tranne
per il minuscolo studio della mia caotica assistente. Ho vinto il premio Delacroix,
qualche mese fa, e non riuscivo a pensare altro a quanto quel vestito fosse perfetto
su di te. Eri spendida. Sei splendida. Odiavo Hans Bernard, perchè ti guardava
come se volesse mangiarti. Adoro tua sorella Jane. Mi piacciono le alette di pollo
che hai chiesto al cuoco a Parigi. Mi piacciono davvero tanto. Mi piace anche
ridere, solo che non ci riesco spesso. E' che le cose non mi fanno ridere. Tu,
però, mi fai ridere." Endre continua a parlare senza sosta, e mi chiedo
come riesca a respirare. "Adoro quando parli, perchè non so mai cosa
stai per dire. Amo i tuoi occhi tanto da averci scritto un libro. Non ho visto
altri sguardi del genere, in vita mia. Non hai mai smesso di portare l'anello
che ti ho regalato e questo mi conforta da quel giorno. Il mio gusto di cioccolata
preferito è il peperoncino. Ti somiglia, il peperoncino. Sei sorpendente.
Sei l'unica persona che può effettivamente fondere delle candele alla cannella
e alla lavanda. E ti amo."
Senza sapere esattamente cosa dire, affondo
la mia testa nel suo petto e rimango così per un bel po', protetta da tutto
il resto. Poi, finalmente, lo prendo per mano e rientro in casa, dove tutti gli
altri sono stranamente vicini alla porta.
"Stavamo origliando." ammette
Jane. Io rido, mentre Ewan sembra raggiante. "Pare che l'universo abbia preso
la sua decisione, non è vero, Dafne?"
Endre mi guarda leggermente
disorientato, e non posso fare a meno di stringergli la mano con tutte le mie
forze. E' Jane a rompere il surreale silenzio.
"Come al solito, avevo
ragione." asserisce la piccola.
Come al solito, aveva ragione. E sono
felice che sia così.
Ed ecco che un'altra fic è
finita. E' sempre triste chiuderle, un po' perchè mi affeziono ai
personaggi, un po' perchè temo sempre che il finale non sia all'altezza.
Spero, di conseguenza, che lo sia =)
Nel discorso finale di Endre vengono ripercorsi
quasi tutti i capitoli, ed è volutamente frammentario: in effetti, con
Endre non ho sciolto tutta la "matassa" del personaggio enigmatico,
ma lo preferisco così, ancora pieno di contraddizioni irrisolte ma felice,
almeno.
Ci vediamo (spero!) su Chloe!