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Autore: Stray_Ashes    13/04/2016    2 recensioni
Strappami, strappami l’anima, e fai di me l’ombra di chi sono, fantasma di chi fui, ed incendia la terra, per cancellare l’ultimo dei miei passi, e prosciuga tutta l’aria, per annullare l’ultimo dei miei respiri.
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"You've got hell to pay, but you already sold your soul
It's Blasphemy"

["Blasphemy" - Bring Me The Horizon]
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gerard Way
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Blasphemy 





Strappami, strappami l’anima, e fai di me l’ombra di chi sono, fantasma di chi fui, ed incendia la terra, per cancellare l’ultimo dei miei passi, e prosciuga tutta l’aria, per annullare l’ultimo dei miei respiri.

Non lo vedi? Non lo vedi come scorre il tempo? Come striscia gelido sulla gola, come una lama freddissima, tagliente, mortale, riflesso di storie passate e di annullati futuri, macchiata ora di presente cremisi, caldo e vivo e morto, ma tu sai bene che domani sarà nero, come pece gettata sul petrolio abbandonato in un pozzo, baratro d’oblio che nessuno aprì mai.

Non sapevo neanche più come descrivere quell’abisso, come dire quanto fosse nero, ed infinito, e falso, ma sicuro, placebo per la mia testa esplosa, per le mie risa folli, per la mia pelle lesa dalle unghie, per i capelli strappati annodati tra le dita, per gli occhi spalancati a fissare un soffitto vuoto, che sempre fermo era e sempre mi sentivo cadere addosso; ma già mi ci vedevo, sul soffitto, rosso, esploso al ticchettio dell’orologio, o sbocciato come un fiore, dai petali sottili che colavano canzoni, mute immutabili parole. La mia bocca spalancata a ridere o ad urlare.

E il sangue tutte le volte era lo stesso, dello stesso colore, dello stesso sapore, e lo sapevi bene, ombra di vampiro che mi pesi sulle spalle e sullo spirito, oltresì detta coscienza nera, riverbero dei miei peccati, che assaggiavi il tuo sangue per vedere se i giorni disperati fra gl’altri giorni tragici avessero cambiato il suo sapore.
Ma il sangue gustava sempre uguale, sempre viscido, sempre salato, metallico e dolce. Avrei voluto vederlo uscire nero prima ancora che seccasse.

Volevo che fosse nero come l’Universo, come quella parte d’infinito, o quell’infinito della parte, ove nessuna esplosione seminò figli e nessuna maceria rotolò per far riparo a insetti, ove non arrivava la luce delle stelle perché il chiarore si perdeva altrove: ecco, ecco, lì, mi dissero le vene viola e le arterie rosse, lì vogliamo che scorra il sangue che portiamo dal cervello al cuore, dal cuore al cervello, e vogliamo che abbia quel colore, quel colore che colore non è, che tutto tiene e nulla concede esista, che non copre come velo ma ingloba chi s’azzarda.

 
Nero che torna al nero, che si mangia la coda e si lacera lo stomaco, famelico e avvinghiato su sé stesso, come io che mi inseguivo brandendo lame e pietre, per trovare disperato da mangiare, e mangiando me stesso morivo, morivo per non morire di fame.

Mi perdevo tra le illusioni della morte quanto in quelle della vita, e rimanevo incastrato nel limbo, catene a polsi e piedi, senza croce o buone intenzioni, io solo tra miliardi e milioni di me, soffocato da respiri sconosciuti che erano i miei, immobile e succube di ricerche infinite, eppure inseguito, infestato da ombre, mai fermo mai stanco. Era l’uomo ad essere un disastro. O io non ero un uomo. Avrei amato essere qualcosa d’indefinito, senza pianeta e senza realtà, sintesi di passati, presenti, futuri, spettatore d’esistenza eterna, ammaliato da quell'effimero schiocco di dita, che iniziava e finiva il flusso delle irreali realtà finemente infinite.

Quant’è sciocca l’esistenza. E di più ancora la mia testa marcia, macchiata d’inguaribili finzioni ed innegabili realtà; cercavo a vuoto, ogni tanto, fra le stanze del mio palazzo mentale tutti gli improbabili pensieri, gli insormontabili limiti della mia ragione, le sue introvabili certezze. Ero perso in me stesso e mi crogiolavo nella bile delle mie scoperte, nell’acido delle mie realizzazioni, e nel veleno dei nostri piccoli desideri corrotti, tra frustate di parole altrui, di giochi mentali, sotterfugi illegali e piaceri proibiti.

Mi dissero che a Dio non piaceva, ch’io scoprissi. E da lì mai corsi così tanto per sapere di più, di più, sapere altro per non sapere infine niente: amavo sfidare chi si diceva potesse uccidermi per pigro capriccio, così come sfidavo il fumo e le incontrollabili altezze. Ma ci ridevo in viso, a quelle forze.

«Peccato!» gridavano gli angeli in cui non credevo, sbattendo le ali di piume e antiche bugie, e incurante io ancora baciavo la bocca alla pistola e leccavo via il sangue dal metallo, perché tanto c’ero nato, dannato.

Ci potevo dipingere, col sangue.  Avevo l’eternità da scontare all’Inferno, ma come te già avevo venduto la mia anima.

«E’ blasfemia!»

E allora berrò blasfemia, la risputerò e la scriverò sui muri finché avrò forza nella dita, la getterò per terra a lucidare il mio sentiero verso l’infinito angolo dell’Universo. Non mi tocca la paura.

Angeli ingenui, specchiatevi nei miei sogghigni, guardatevi l’aureola di carta, le ali di plastica e le piume di stoffa, strappatevi di dosso le vostre ipocrisie. Non li sentite guaire? Cadete da quelle nuvole, che i cani sulla Terra hanno tutti sempre fame.

 
E anche tu, non predicare contro di me, non vorrei mai farti del male. Lasciami solo nella mia mente insieme alla morte che la gola mi sfiora per amore di uno scherzo, un gioco di potere stronzo e crudele. Io all’interno continuo a vagare per tutte le stanze; lo sai, sono di nuovo nel limbo, ma tu mi vedi già pendere un poco verso l’Inferno.

Qualcosa batte ritmico contro la finestra; credo che piova. Non raggiungerò mai l’Universo, finché la sento scorrere e vedo il cielo piangere.

Quindi strappami, lacerami l’esistenza, e sparami in fronte o forami il cuore, spezzami il collo o recidi la pelle, nella pioggia sporca il mio sangue e attendi che secchi: fuori è tempesta.  

Strappami, strappami l’anima, che vedo sentieri sterrati alla fine della strada, ove nero è prigione ed è casa, e lasciami morire senza prestare attenzione, che tanto tutto il resto rimarrà al tempo, l’Universo e le loro congetture.


 

You've got hell to pay, but you already sold your soul
It's blasphemy
But the words don't make sense, no more
What would your mother say? Your faith has you immured
So don't try and tell me that you still believe
No don't preach to me

Ask no questions and you'll get no lies
Turn the cheek and blind the eye (Let it go)
Bend the knee and give away your life
Bite your tongue and close your mind (Never know)

 





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Uhm... è impreciso il perché di tutto questo. Sono uscita da scuola con umore pessimo e voglia di scrivere...
Ero indecisa sul rating, probabilmente avrebbe dovuto solo essere un giallo, ma ehy, mi è girato così e ho messo arancione, perché la mia testa era talmente tanto piena di orrori e violenze, non poi così descritte, che per me ciò che ho scritto è molto peggio. E quindi, arancione sia. 
Ho preso spunto da "Blasphemy" dei Bring Me The Horizon, e ho steso qualche riga, come sfogo per me stessa, nulla di più, nessuna pretesa. 
Ho deciso di metterla qua perché amo immedesimarmi in lui, nei suoi tormenti di una volta... mi ci trovo in sintonia, anche se io non sono così disperata o niente. E? solo che in quanto scrittrice amo la tragicità intrinseca di parole come queste. 
E Gerard è un personaggio così diverso, così fuori dal mondo. In tutto ciò che scrivo, ormai, c'è una parte di lui, qualunque cosa diventerebbe in un certo senso una fan fiction.
Mi sto dilungando inutilmente... non ho molto da dire, spero solo che vi sia piaciuta e mi piacerebbe allora sentire i vostri insulti, nonostante la gran confusione e lo spesso strato di negatività.
Conoscevate la canzone? 

_StrayAshes_
  
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