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Autore: Hi Fis    13/04/2016    2 recensioni
Breve ed ingenua one shot nata per rispondere ad una mia curiosità: "quale potrebbe essere un vero protocollo di primo contatto con una specie aliena?" non quello che magari altri media ci hanno proposto, ma qualcosa di un poco più... realistico (per così dire).
Il resto è venuto praticamente da sé.
Genere: Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Protocollo di Primo Contatto, Tearkia di Vrs.
 
Questo guida è da considerarsi obbligatoria in scenari di primo contatto con civilizzazioni diverse dalla nostra. Di seguito non vi sono consigli, ma regole precise suggerite dall’esperienza empirica: la loro stretta osservanza da parte dei Midion è da considerarsi garantita, in nome della reciproca prosperità.
Letto e approvato dall’Accademia delle Scienze.
 
L’Universo è vasto, più di quanto possiamo immaginare o comprendere.
Il nostro intelletto dispera di fronte all’immensità delle distanze che ci si trova ad affrontare: centinaia di migliaia è spesso l’unità di misura di base che ci si può trovare di fronte.  Centinaia di migliaia di anni luce, centinaia di migliaia di stelle, centinaia di migliaia di Galassie…
Noi siamo Midion, figli di Vrs: nessuna nostra conquista, nessuna nostra peculiarità però, può o deve essere presa come riferimento con cui misurare l’Universo. La nostra sola galassia è immensa e sconosciuta, e noi siamo non più di un granello di sabbia nella sua vastità, trasportato dalle correnti cosmiche. Conosciamo poco e sappiamo ancora meno di questa grandezza: nel tempo forse, questo è destinato a cambiare. Tuttavia, verità e forza rimarranno sempre al servizio della prosperità. Non il semplice motto della nostra Tearkia, ma la prospettiva con cui calchiamo da millenni le sabbie, fin da quando abbiamo abbandonato le illusioni della mente, mettendo fine alle crociate del deserto. Ora che ci allontaniamo sempre più dal nostro pianeta natale però, ad esplorare le stelle e la meravigliosa notte che si trova fra esse, per giungere più lontano di quanto possiamo immaginare; dobbiamo convincerci di essere non la norma, ma piuttosto l’eccezione di questa Galassia: una delle molte.
La vita trova sempre una strada: la nostra scienza ha dimostrato questo, ancora e ancora. La vita trova sempre una strada e la Galassia è immensa: vi è una matematica certezza che nella sua immensità vi siano altre sfaccettature della vita oltre a noi. E ad ogni sfaccettatura che concorra alla prosperità comune deve essere dato lo stesso diritto a prosperare.
 
I. Ogni nostro primo contatto dovrà avvenire solo con civiltà che abbiano raggiunto la singolarità tecnologica interplanetaria.
La Galassia è immensa: esporre alla sua vastità civilizzazioni che non sono pronte a, o non vogliono, farne parte, sarebbe un terribile errore.
II. Ogni nostro primo contatto dovrà iniziare solo dopo aver raggiunto un metodo di comunicazione affidabile e comprensibile ad entrambi.
Perché non vi siano fraintendimenti tra noi e loro, i nostri primi sforzi dopo aver individuato dove si trovino altre sfaccettature della vita dovranno sempre essere focalizzati nel determinare come comunicare efficacemente con loro. Quando un singolo messaggio può plasmare la storia, esso deve essere composto con cura.
III. Ogni nostro primo contatto dovrà avvenire in un ambiente artificiale senza nessuna adiacenza con reciproche biosfere.
La vita trova sempre una strada. Non per questo però, le interazioni fra diverse forme di essa sono necessariamente positive. Il rischio di contaminazioni più o meno accidentali deve essere prevenuto ad ogni costo: la vita è fragile. Ecco perché non ci esporremo, né ci faremo esporre, a contaminanti di qualsiasi tipo in scenari di primo contatto: ci incontreremo celati a loro, né respireremo la loro aria fino a quando la nostra scienza non ci abbia detto altrimenti. Li incontreremo celati da tute anticontaminanti, ma con mente e cuori aperti.
IV. Ogni nostro primo contatto dovrà avvenire con una sola nave e attraverso un numero limitato di emissari.
C’è paura nei numeri, nello scoprire di essere in minoranza o in svantaggio: ricordiamo quel timore. Noi rifiuteremo la loro ospitalità e i loro doni fino a quando non sapremo quale significato abbiano nella loro cultura. Li incontreremo armati, non per intimorirli, ma per comunicare che sappiamo difenderli dai pericoli della vasta Galassia, e che così abbiamo fatto per noi stessi fino ad oggi.
V. Ogni nostro primo contatto dovrà procedere con prudenza.
La vita è fatta di molteplici sfaccettature e la mente ancora di più. Le differenze devono arricchire, non escludere, ma questa nostra conclusione non è necessariamente condivisa. Se a seguito di un primo contatto la loro reazione a noi fosse di sofferenza, di qualunque tipo, ci si sforzerà di comprendere le motivazioni di questo, e correggere il nostro approccio. Ogni nuovo incontro è in sé un mistero: non da temere, ma da esplorare.
VI. Ogni nostro primo contatto dovrà temperare il desiderio col giudizio.
Per quanto grande possa essere il desiderio di condividere con qualcun altro dopo aver creduto di essere stati soli così a lungo, scienza, tecnologia, storia, arte… sono soggetti così personali e straordinari, che non possono essere scambiati alla leggera, e senza valutarne attentamente le conseguenze a lungo termine. Il significato delle cose però, è solo quello che scegliamo che abbia: la supposizione e la proiezione di valori sugli altri è un’illusione della mente, e dunque un ostacolo sulla via della comprensione.
VII. Ogni nostro primo contatto dovrà procedere sperando per il meglio, ma preparato ad ogni scenario.
La sete di conoscenza e la gioia della scoperta non devono mettere in pericolo nessuna vita.
VIII. Ogni nostro primo contatto dovrà procedere con onestà.
Nessuna fiducia può essere costruita sulla menzogna. Risponderemo con verità alle loro domande e crederemo alle loro risposte, senza celare quando una risposta ancora non può essere data.
IX. Ogni nostro primo contatto dovrà procedere senza essere influenzato da altri elementi.
Le altre sfaccettature della vita non hanno merito né colpa del momento in cui avviene il nostro gioioso incontrarsi. Non vi sono soluzioni da cercare nel loro esistere, né è giusto pretendere qualcosa del genere. Un nostro primo contatto avviene quando un Midion incontra altre specie come emissario di tutti noi, nessuno escluso, e parla per tutti noi, nessuno escluso. Queste condizioni sono imprescindibili per un primo contatto: ritardarlo, se queste non sono raggiungibili al momento, è la scelta più giusta da fare.
X. Ogni nostro primo contatto dovrà iniziare con l’invio di questo protocollo.
Così che anche le altre sfaccettature della vita possano iniziare a comprendere noi, e i modi con cui all’inizio agiremo nei loro confronti.
 
***
 
“…Un po’ più arido di quanto mi aspettassi. Che ne pensi Jim?”
“Mi chiamo Hans, signor Presidente.” replicò il governatore continentale di Europa e Africa: nonostante il suo nome, il suo accento e il suo inesistente senso dell’umorismo, Hans Zimmerman era di chiara ascendenza africana.
Bizzarrie dell’Umanità del 2250, in cui il melting pot era la norma: ed era anche ora, pensò ancora una volta il presidente Johnson. Uomo della folla e di visione, Fredrick Johnson era il 17° presidente dell’Umanità Unita e, a differenza del suo predecessore, i nazionalismi gli facevano venire l’orticaria: 
“Credo che il presidente stesse cercando di rompere il ghiaccio, Hans.” offrì Rose Palomar, governatore continentale delle due Americhe: “…Non capita tutti i giorni che una nuova specie venga a bussare alla nostra porta. Per così dire.” aggiunse precipitosa: Hans non era persona di immaginazione, metafore o spirito, ma non si poteva volergliene, specie perché compensava più che egregiamente in altri campi.
Alta come un pugno, Rose Palomar non toccava nemmeno terra quando era seduta nell’ampia poltrona dell’ufficio del presidente, il che contribuiva a darle il gioioso aspetto di una bambolina messicana, specie dati i suoi variopinti abiti. Tuttavia non era arrivata a diventare governatrice del Nuovo Mondo solo grazie al suo spirito o al suo aspetto.
Per tutta risposta, il governatore di Europa e Africa si aggiustò i suoi occhiali con un sospiro di insoddisfazione, spingendo con la base del palmo perché tornassero in cima al suo naso.
“Doveva succedere, prima o poi.” commentò Ayaka Yamamoto, governatrice di Asia e Oceania.
Miss Yamamoto, come preferiva presentarsi, governatrice con forte base popolare della regione della Terra che ospitava quasi metà dell’umanità, vestiva un abito nero dal taglio molto severo, così come quello dei suoi capelli. Le dava un’apparenza vagamente androgina, ma la moda del momento non risparmiava nemmeno i governatori continentali, soprattutto non quelli popolari come Miss Yamamoto. Unico stacco in quell'uniforme e severo look, era un mengu da uomo di metallo, la maschera da samurai che copriva bocca e naso, portata slacciata sul petto come una collana.
“…Ho idea che la tua presidenza sia appena diventata molto più interessante, Fredrick.”
“C’è n’è una che sia davvero noiosa?” rifletté a voce alta Johnson, accavallando le gambe con un sorriso: essere presidente per lui era un po’ come pattinare sul ghiaccio.
Esibire sempre un sorriso nonostante gli sforzi, e sperare di non cadere mai davanti alla giuria: nel suo caso, il resto dell’Umanità. La sua era una posizione molto stressante: c’era un motivo se nessuno dei suoi predecessori aveva voluto farsi rieleggere per un secondo mandato. Johnson dubitava che sarebbe stato il primo:
“Gli esperti cosa dicono?” chiese compita l’ultima occupante della stanza.
Susan Ivanova, primo governatore della colonia di Marte, aveva molte doti e una storia davvero particolare alle spalle. Quando doveva descriversi però, preferiva sempre farlo con sei semplici parole: russa figlia di ebrei e divorziata.
Era anche la più giovane nella stanza, ma non era strano dato quanto Marte stesso fosse un insediamento nuovo e dinamico: la più lontana frontiera dell’Umanità per il momento, e di cui Susan portava i colori nei suoi abiti, in toni di rosso ruggine e mattone.
“Non accetterei nessun parere di un esperto che si definisse tale per una cosa del genere: nessuno ha idea di come procedere, perché nessuno di loro ha mai incontrato un non Umano. Ogni loro osservazione comincia con la frase, se fossero Umani. Il problema è che non lo sono. Non lo sono affatto.”
“E se lo fossero?” chiese Hans: “…O per meglio dire, come si rapportano gli esperti con questo protocollo?”
“Se lo fossero, allora questo messaggio è da stringere le chiappe. Anche se non per i motivi che potreste pensare.” replicò Johnson facendo spallucce: “…Ci prendono sul serio. Dannatamente sul serio."
"Ed è un male perché?"
“Per cominciare, perché non sappiamo nulla su di loro. È probabile che vengano da un pianeta desertico, o che almeno il deserto abbia per la loro cultura un significato particolare. È plausibile che siano notturni, e che abbiano abbandonato un sistema di credenze religiose prima di avventurarsi tra le stelle…”
“...Se fossero Umani, Fredrick.” comprese Yamamoto.
“Se fossero Umani, sì. È certo invece, che conducono primi contatti con specie diverse dalla loro da abbastanza tempo da avere un’esperienza empirica sulla quale basarsi per i successivi...”
“E che la loro nave si sposta più velocemente di quanto riusciamo a tracciarla.”
Le migliori navi stellari dell’umanità, l’ultimo ritrovato della tecnologia e dell’ingegno terrestre, impiegavano circa cinque giorni a varcare lo spazio tra Marte e il pianeta natale della loro specie.
Questo però solo grazie ad un carburante che era allo stesso tempo pericoloso e instabile, e che rendeva ogni viaggio una spesa estrema da sostenere: antimateria. I motori di Fermi, usati per spingere le grandi navi cargo, erano sì in grado di legare Gaia e Marte con un cordone ombelicale di merci e passeggeri, ma consumavano 8 chili di quella difficile sostanza ad ogni viaggio, quindi 16 per andare e tornare. La colonizzazione di Marte procedeva, doveva procedere in realtà, più per gli sforzi dei locali piuttosto che grazie al resto dell’Umanità. Non era per indifferenza o crudeltà, Marte era sempre nei pensieri della Terra, ma non c’era ancora altro modo: acceleratori di particelle grandi quanto piccole nazioni riuscivano a fornire l’antimateria necessaria ad un viaggio Terra-Marte a malapena e solo in virtù del loro numero: l’LHC del CERN stesso, il primo e il più grande ancora a disposizione dell’Umanità, riusciva da solo a produrre a malapena antimateria per un chilo all’anno, e questo solo per essere stato modificato apposta per quel compito. A questa situazione già così difficile, andavano poi aggiunti i problemi logistici relativi a gestire un materiale che si annichiliva, non semplicemente esplodeva, se posto a contatto con qualunque altra cosa: 8 chilogrammi di antimateria liberano energia per 14,4*1011 Joule. Il che basta a spiegare esattamente perché ogni passeggero sull'espresso tra la Terra e Marte viaggiasse sempre nervosamente e fosse obbligato a compilare un testamento prima di partire, riconsegnato all’arrivo. Fino a quel momento non c’erano stati incidenti, ma per la stessa natura della statistica e della probabilità, sapevano tutti che doveva accadere prima o poi.
Il primo contatto dell’Umanità con una specie aliena era la ragione per cui Susan Ivanova si trovava lì in quel momento in effetti, dopo aver ordinato un trasporto straordinario: il governatore della colonia di Marte avrebbe volentieri preferito non tornare alla madrepatria.
“Dove si trovano in questo momento?”
“L’ultimo rilevamento tracciava la sua posizione attorno ai satelliti di Giove. L’osservatorio del vulcano Olimpo l’ha persa… circa sei ore fa.” riferì Palomar controllando il suo orologio da polso, decorato con fantasie che rimandavano ai Dia de Muertos.
“Manteneva ancora lo stesso comportamento?”
“Da quello che abbiamo visto, sì: approcciano un corpo celeste, si inseriscono in un orbita alta stabile ed emettono un mix di particelle di varia natura e forme di energia ad ampio spettro. Laser, microonde, onde radio… compiuto un rilevamento, passano al successivo.” rispose Ivanova.
“Stanno compiendo rilevamenti… o ricognizioni?”
“Rilevamenti probabilmente, dato che non sembra vogliano avvicinarsi a Terra e Marte. Ancora.”
“Non vogliono che pensiamo che ci stiano spiando?”
“Forse… ma ha senso che si prendano queste preoccupazioni? Sono comparsi sopra Mercurio letteralmente dal nulla.”
“Non esattamente dal nulla.” corresse Johnson: “…Rianalizzando le immagini dell’osservatorio Sol, sono emersi nuovi particolari: sembra che fossero in decelerazione da velocità superluminari. Come sia possibile, è una domanda che metà dei miei esperti vorrebbe fargli. Il punto di origine è difficile da stimare, ma presumendo che abbiano sempre viaggiato in linea retta, è probabile che giungano da Beta Carina, a 113 anni luce da noi.”
“Hanno fatto un lungo viaggio per incontrarci.”
“Lungo per noi. E ancora non abbiamo risposto al loro messaggio. Tempus Fugit, signori: se dovessero decidere che non vogliamo comunicare con loro, non potremmo impedirgli di andarsene. E non possiamo tenere la cosa segreta ancora più a lungo: la censura di informazioni è immorale in casi come questo, per quanto necessaria.” isterismo di massa, manifestazioni, disordini…
Nemmeno Johnson sapeva come l’Umanità avrebbe reagito alla notizia:
“Sono d’accordo signor presidente: una risposta si rende necessaria. Ma quale?”
Fredrick sospirò: non c’erano manuali per scenari come quello. Non ancora:
Abbiamo delle domande?” chiese allargando i palmi.
“Piuttosto… riduttiva, signor presidente.”
“Avete idee migliori? Da quello che abbiamo letto del loro protocollo di primo contatto, sembrano essere persone dirette, che prediligono la sincerità e la schiettezza, piuttosto che menare il can per l’aia. E sinceramente, non li biasimo. Non ho idea di come reagiranno a noi, ma so che l’Umanità intera, anche se pronta, si sentirà sommersa.”
“Dovremo mettere in preallarme le forze dell’ordine, e sospendere le contrattazioni azionarie a livello interplanetario.”
“Per cominciare.” annuì Hans: “…Ma ancora molto altro dobbiamo fare.” aggiunse, esibendo un datapad su cui l’inarrestabile afro tedesco aveva preso molti appunti: non appena però si aggiustò di nuovo gli occhiali, Susan lo fermò con un gesto.
“Esattamente, di quanti punti si compone la lista questa volta?” le liste di Zimmerman erano famose: ti affogavano nello schema delle cose ancora prima di farle.
Il resto degli occupanti della sala aveva imparato da tempo a lasciarlo fare e adeguarsi poi alle sue tabelle di marcia: per quanto inflessibili, erano comunque sempre impeccabili. Questa volta però, non era semplicemente possibile: nemmeno Zimmerman poteva decidere da solo per qualcosa del genere, e se ne rendeva conto perfettamente.
“103 punti e 25 commi.” rispose asciutto Hans.
“Schiavista.” sospirò il presidente Johnson senza cattiveria.
 
Quel pomeriggio, dopo essere stata informata dei discreti ospiti che si trovavano nel loro sistema stellare già da quasi una settimana, l’Umanità unita trasmise un singolo, breve messaggio ai quattro angoli del suo dominio, piena di speranze ed entusiasmo:
“Abbiamo molte domande.”
La risposta non si fece attendere.
  
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