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Autore: Jess2792    14/04/2016    1 recensioni
Dopo tutto questo tempo rivedervi è l'unica cosa che mi rende felice. O quasi.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Prima tutto, poi il Niente.


Così all'improvviso tutto si placò, si silenziò.
Il buio vi avvolse con una forza inaudita, impedendomi di vedere. Non sentii alcuna parte del corpo.
Caddi in un profondo Non So Cosa, atterrando dolcemente su una piattaforma morbida e profumata.


Ero come in un sogno, dove ogni cosa era in ordine, tutto era pulito e l’aria profumava di gelsomino, sentivo la voce di mia madre che mi chiamava e voltandomi la vidi: quel suo abito color perla le era sempre stato d’incanto, e i capelli raccolti con quella pinza a forma di fiore argento permetteva di guardarle meglio il volto, con quella sua pelle chiara e i suoi occhi grandi e azzurri. Dietro di lei, Becca, mia sorella. Vederla mi fece piangere lacrime amare, non averle salvate mi fece sentire un vigliacco, un incapace. Al tempo stesso sentivo la voce di Steve che mi chiamava, ma attorno a me vi eravamo solo io, mia madre, mia sorella e un’enorme distesa di campi fioriti, ricordava molto i Capi Elisi descritti nella mitologia greca.
Cosa stava succedendo? Ero confuso, spaesato. L’abbraccio di mia sorella però mi distrasse. Ero felice, mi sentii sereno. Rivederle e riabbracciarle mi fece battere il cuore, lo guarì.
«Ci sei mancato!» esclamò Becca stringendomi forte.
Era appena una bambina, così minuta e fragile, ebbi paura a stringerla, il braccio avrebbe potuto stritolarla. Le accarezzai i morbidi capelli rossi, rigorosamente corti (lunghi le avevano sempre dato fastidio), poi notai che la giacca che indossava era mia, era la giacca che indossai quando precipitai da quel treno. Era sporca e completamente rovinata, le mancava il braccio sinistro. Il mio braccio sinistro.
Dopo Becca, anche la mamma volle stringermi. I suoi occhi stanchi non li avevo mai dimenticati, nemmeno come Soldato d’Inverno: nonostante non la riconoscessi, quegli occhi erano sempre stati parte di me, anche nei sogni. Pianse. Pianse forte e mi abbracciò. Piansi con lei.
«Bambino mio.» continuava a ripetere mentre mi accarezzava il volto.
Ero stanco e debole, tanto che mi accasciai a terra, sostenuto da entrambe. Che cosa stava accadendo? Mi mancava persino il respiro, di rialzarsi non se ne parlava proprio, così poggiai la testa sulle gambe di mia madre. In quell’attimo ricordai quante volte, dopo che mio padre mi aveva riempito di botte, lei mi medicava facendomi mettere nella medesima posizione, di quello che mi diceva sempre, di non mollare, di rialzarmi sempre e di non far si che quegli eventi mi rendessero malvagio. La guardai dritto negli occhi, la guardai meglio, erano meno stanchi di quel che ricordavo e quando si incrociavano ai miei, si illuminavano.
Una forte fitta alla testa mi distrasse da quella che era forse la cosa più bella che avessi mai visto dopo tanto tempo. Risentii la voce di Steve che mi chiamava. Che mi stesse cercando? Mi sarei voluto rialzare per raggiungerlo, ma la mancanza di forze m’impediva anche solo il più piccolo movimento.
«Non molare piccolo mio. Non puoi lasciarlo.» disse mia madre asciugandomi la fronte sudata con il suo grembiule, lo stesso che indossava ogni giorno in casa.
«Non posso lasciarvi da sole. Non di nuovo.» risposi.
Non mi resi conto di quanto mi erano mancate, rivederle fu una sorta di liberazione, per me e il mio cuore malato. Le avevo abbandonate una volta e non volevo farlo una seconda. Questa volta avremmo potuto ricominciare senza quel mostro in giro per casa.
Becca mi prese la mano bionica e a quel punto mi ripassarono davanti tutti gli sguardi delle mie vittime dal 1945 a quel momento. Rividi volti che speravo di aver rimosso. Uomini, donne, bambini. Dio mio, quanto orrore che avevo sparso e quante anime innocenti che avevo fatto soffrire.
Un’altra forte fitta alla testa mi fece cascare in un pianto disperato. Mi voltai e poggiai la guancia destra sulla gamba della mamma e iniziai a chiedere perdono, ero diventato ciò che lei aveva tanto temuto per anni. Quella povera donna aveva sofferto tanto a causa mia.
«Mi dispiace mamma, ti ho deluso tanto ancora. Mi dispiace!» ripetevo stringendomi sul viso il grembiule.
Con una mano mi accarezzò la guancia, poi mi si avvicinò per baciarmi la fronte. Improvvisamente cominciai a sanguinare dalla testa, me ne accorsi perché sentii i capelli umidi e l’odore di sangue rovinava quel dolce profumo di gelsomino.
Nonostante tutto sia la mamma che Becca mi abbracciarono assieme, forte, come mai avevano fatto in passato. Mi accorsi allora che erano fredde. Mia sorella sorrise.
«Devi tornare da lui.» disse.
Erano mancate tanto nella mia vita, come potevano sapere?
«Non posso abbandonarvi di nuovo.»
Mamma mi fece sedere, appoggiandomi con la schiena su una roccia a pochi centimetri da noi e porse le mani sul mio volto bagnato di lacrime. Sorrise e mi baciò nuovamente sulla fronte.
«Non puoi abbandonarlo, ha bisogno di te.» disse trattenendo a fatica le lacrime. «Ti sei preoccupato tanto di non diventare l’uomo che saresti potuto diventare che qualcuno ti ci ha fatto diventare con la forza. Hai sofferto tanto bambino mio, ora è giunta l’ora di redimerti, di diventare l’uomo che tanto desideravi essere. Torna da lui, vivi la tua vita, sii felice. Noi da qui non ce ne andremo mai. Ti aspetteremo. Non ti lasceremo mai solo.»
Una fitta lancinante mi fece chiudere gli occhi e in un attimo sentii il mio corpo prima irrigidirsi, poi “sciogliersi”, come se qualcuno mi avesse stritolato per qualche secondo.
Sentii ancora la voce di Steve che mi chiamava. Era un tono strozzato, disperato. stava piangendo, ma perché? Steve dove sei? Riaprii lentamente gli occhi e lui era lì, al mio fianco, come lo era sempre stato. Mi prese la faccia e mi si avvicinò con il viso, aveva gli occhi rossi colmi di lacrime. Dalla parte opposta alla sua Bruce, Tony e Sam tirarono un sospiro di sollievo.
«È di nuovo con noi, ma il polso è debole e deve essere operato immediatamente, Capitano.» esclamò Bruce.
Guardai intorno a me, per quanto riuscissi a muovermi, e non vidi altro che macerie, Sitwell, Daisy e alcuni agenti SHIELD che mi fissavano. Fu allora che iniziai a ricordare: eravamo in missione per catturare Taskmaster e quello schifoso aveva fatto esplodere delle potenti bombe lungo il corridoio che stavamo ispezionando.
Steve non riusciva a staccarsi, non voleva assolutamente lasciarmi da solo. Ordinò agli agenti di continuare la missione, facendo molta attenzione, e con l’aiuto di Jusper, Tony e Sam, mi caricarono di corsa sull’Helicarrier per portarmi nella più vicina base ospedaliera. Non mi lasciò la mano per tutto il volo, potevo sentire la tensione, faceva quasi paura. Non credevo di essere conciato così male.
«Credevo di averti perso di nuovo.» disse guardandomi negli occhi.
Tentai di rispondergli, ma la mia voce era troppo rauca per capire, così si avvicinò con un orecchio.
«Mia madre. Becca. Le ho viste. Mi amano.» dissi lentamente e sforzando non poco le corde vocali.
Steve mi accarezzò il viso sorridendo e dandomi un bacio. Non era uno dei soliti baci, era intenso.
«Anch’io ti amo. Non farmi mai più spaventare così.»
Poggiò una mano sul mio petto. Sentii il cuore più leggero, lo sentì battere al punto giusto. Strinsi leggermente la mano a Steve e mi riaddormentai.
Sognai il volto di mia sorella davanti a me che rideva. Ero tornato quel bambino spensierato e felice. Sognai mia madre che dalla finestra della cucina ci chiamava per la cena, sentendo il profumo della sua torta alle mele fatta in casa. Sentii ancora la voce di Steve, ma questa volta era lì, al mio fianco, mi accarezzò il volto e mi fissò negli occhi. Rigirandomi notai mia madre e Becca una affianco all’altra che mi guardavano sorridenti. Entrambe sorridenti, entrambe più serene, più calme, come avrebbe dovuto essere.
   
 
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