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Autore: JustAGuyWithNoVoice    15/04/2016    1 recensioni
Seconda metà del XIX secolo, Asia. Le acque dell'oceano indiano sono solcate da migliaia di vascelli, mercantili, per lo più di origine inglese; insieme ad innumerevoli navi di pirati malaysiani, bangladesi, filippini ed anche inglesi, molti dei quali corsari al soldo di Vittoria. Tra queste, però, una nave in particolare riesce a terrorizzare qualunque marinaio solo al sentir pronunciarne il nome: la Royal Serpent. Quella nave, la sua ciurma e il suo Capitano sono il terrore di ogni mercantile inglese, di ogni corsaro tanto stolto da farsi corrompere dalla corona.
E quando una nave, una ciurma, un Capitano del genere decidono di mettersi a caccia di una leggenda, allora anche i demoni si destano dal loro sonno eterno.
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole del mattino brillava intensamente, facendo risplendere l’acqua marina di tutti i colori dell’arcobaleno. Le placide onde, di tanto in tanto, accarezzavano la riva, e solleticavano i piedi di un uomo svenuto sulla sabbia, senza vestiti e con il viso rivolto verso il cielo terso. Un uomo di bell’aspetto: spalle larghe, muscolatura definita, molto abbronzato, non poteva avere più di vent’anni; i capelli, ancora umidi, erano dello stesso color della pece con un ciuffo bianco che faceva capolino dietro la nuca, quasi totalmente coperto dalle ciocche scure. Tatuato sulla spalla aveva un lungo serpente marino che con il suo corpo ricoperto di scaglie si avvolgeva sul braccio del ragazzo, e tra le zampe artigliate stringeva tre lettere, “HSL”. Il suo ventre era attraversato da parte a parte da una voglia a forma di mezzaluna –il regalo di una vecchia conoscenza- e sul petto, al posto dello sterno, aveva incastonato un rubino grosso quanto un pugno, con sfumature azzurre. Per un occhio esperto, quella pietra era inconfondibile: il Cuore di Davey Jones- che era diventato, da qualche ora, il cuore del Capitano Ismael.

Passarono poche ore prima che Ismael dischiudesse gli occhi e si guardasse intorno. Si trovava su una spiaggia di finissima sabbia bianca, e davanti a lui non c’era altro che l’azzurro mare, a perdita d’occhio. Si sedette, portò la mano al petto e toccò la pietra con la punta delle dita: era tiepida. Provò a strapparla via con le unghie, ma il rubino era ben piantato nella sua carne e non sembrava avere alcuna intenzione di venire via. Smise di tentare dopo qualche altro strattone e decise  piuttosto di concentrarsi sul luogo in cui era capitato. Guardò in alto, verso il sole: mancava solo qualche ora a mezzogiorno ed il Capitano, rivolto verso l’oceano, riuscì a riconoscere l’est alla sua destra. Quella costa quasi sicuramente apparteneva ad un’isoletta a sud dell’India; magari, con un po’ di fortuna, un’isola segnata sulle mappe. Ismael scosse la testa.

Lui non aveva Fortuna.

Si guardò ancora intorno, attentamente. Se lui era finito lì, trasportato dalla corrente, c’era la possibilità che anche qualche pezzo della sua nave fosse stato sospinto fino a riva. Nulla a destra, nulla a sinistra, ma in quel momento la vide. La giungla. Verdissima, fittissima, proprio oltre la spiaggia: meravigliosa, pericolosa, inviolata, furono le uniche parole che vennero in mente al Capitano. Voleva esplorarla- no. Doveva esplorarla, il prima possibile. L’unico problema era che non aveva provviste, o armi, o vestiti. Sospirò pesantemente ed iniziò a passeggiare avanti e indietro sulla sabbia. Probabilmente avrebbe potuto trovare tutto il necessario per sopravvivere, nella giungla; ma senza nemmeno uno straccio addosso, rischiava di non uscirne vivo. Continuò a camminare avanti e indietro sul bagnasciuga, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo perso nel vuoto, finché non sentì qualcosa sfiorargli la gamba e sobbalzò. Guardo a terra, per capire cosa lo avesse toccato.

Una mano. Una mano umana. Ed attaccato alla mano, il corpo di un uomo, qualcuno che il Capitano conosceva bene.

“Dan…” La voce gli si strozzò in gola. Il corpo di Daniel Williams, il quartiermastro della Royal Serpent, era stato trasportato dalla corrente di fronte al suo più caro amico. Ismael cadde a terra; in un secondo, tutto il mondo gli crollò addosso, ed il giovane viso sembro invecchiare di almeno dieci anni. La sua nave. Il suo equipaggio. Dan. Tutto per colpa di una stupidissima pietra. Infilò le dita nella sabbia e strinse i pugni, mentre le sue lacrime salate cadevano sulla camicia di Dan, e si mischiavano all’acqua di mare. Ismael scosse la testa e si rialzò. I vestiti di Dan, seppur zuppi e logori, erano proprio quello di cui aveva bisogno. “Mi hai voluto salvare ancora una volta, prima di andartene, eh?” Tra le lacrime, un sorriso gli illuminò il volto.

Lasciò asciugare i vestiti al sole per qualche ora, mentre scavava una profonda buca sulla sabbia. Certo, Dan aveva sempre detto di voler essere legato all’ancora della Royal Serpent ed essere gettato nel mar dei Caraibi, ma al momento quello era il meglio che poteva fare il Capitano. Nessuno dei due era mai stato un tipo religioso, ma Ismael pensò che, se ci fosse mai stato un momento giusto per pregare, forse era proprio quello. Portò le mani al petto, coprendo la pietra maledetta, e chiuse gli occhi.

“Dan! Spero che tu mi stia sentendo, altrimenti questa cosa sarà inutile… Comunque, ne abbiamo passate tante insieme, eh? Ti ricordi quella volta a Mabul, quando… Si, lo so, lo so. Dan, mi dispiace, è solo colpa mia se tu… e tutti gli altri… Ma nonostante tutto, hai deciso di salvarmi il didietro un ultima volta, anche dopo aver tirato le cuoia. Sei… Sei stato più che un padre, il mio migliore amico, e finché avrò aria in corpo non dimenticherò mai quello che hai fatto per me.” Diede poi le spalle al tumulo, ma girò appena il capo. “Ah, Dan, saluta la Megera da parte mia. Dille che non ho intenzione di raggiungerti tanto presto!”

Insieme ai vestiti, era riuscito a recuperare la sciabola di Dan e la sua pistola. Certo, non aveva munizioni né polvere da sparo, ma sapeva che gli avrebbe potuto fare comodo. Infilò i pantaloni di tela leggeri, e strinse per bene la cintola –Dan era una buona forchetta, al contrario del Capitano- ed infilò le armi nelle profonde tasche. Indossò la camicia, che una volta era stata bianca, di finissima fattura spagnola, appartenuta a un ufficiale spagnolo prima che Dan lo desse in pasto ai pescecani. “Sta meglio a me che a lui!” Aveva detto dopo averla provata, Ismael lo ricordava come se fosse successo il giorno prima.

Scosse il capo, infilò la camicia nei pantaloni e si mise in marcia. I piedi nudi lasciavano leggere orme sulla sabbia calda, ed il sole del tardo pomeriggio sembrava volergli mostrare la via. Scrutava la giungla misteriosa, con curiosità e paura; nello stesso momento, la giungla guardava dentro i suoi occhi.

Entrambi sembravano nascondere un terribile segreto.

   
 
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