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Autore: Schinken    16/04/2016    1 recensioni
Dreem Letus non è il classico eroe con cui uno si aspetterebbe di avere a che fare.
Da sempre è affetto da una forma acuta di narcolessia, a causa della quale non riesce a rimanere sveglio per più di quattro ore di fila. Non è incredibilmente intelligente o astuto, né il più atletico o muscoloso; eppure Dreem è l'unica persona che possa salvare il mondo dei sogni dall'assoluta catastrofe.
Fobetore, uno dei tre re onirici, ha dichiarato guerra ai restanti due re, Morpheus e Phantasos, invadendo senza preavviso i loro domini e trucidando chiunque osi opporsi alla sua autorità.
Come se non bastasse, entrambi i regnanti, i soli in grado di fermarlo, sono d'un tratto scomparsi nel nulla, e senza di loro la vittoria di Fobetore è ormai prossima.
Esiste, però, un'antica leggenda secondo cui un onironauta, un essere a cavallo tra il mondo umano e quello onirico, sarebbe capace di rintracciare un re smarrito. Ecco quindi il motivo per cui Colibrì, uno dei più fidati servitori di Morpheus, compare, un giorno, davanti agli occhi increduli di Dreem, rivelandogli la sua natura di onironauta e supplicandogli aiuto: ma un gracile ragazzo come lui sarà mai all'altezza di una simile impresa?
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dreem Letus non aveva mai amato la storia. Anzi, l'aveva ritenuta una materia pressoché inutile sin dal primo momento in cui venne costretto a studiarla.

Si era domandato spesso in passato, e si domandava persino ora, mentre stava sfogliando con scarso interesse le pagine del libro di testo, perché conoscere la storia si era rivelato per gli adulti così fondamentale da averla resa infine obbligatoria in ogni scuola italiana.

D'altronde, lui non ne vedeva assolutamente il motivo, neppure dopo otto anni di difficile convivenza con essa.

Ai suoi occhi quella materia si traduceva infatti in un seccante corso di allenamento di memoria. Doveva soltanto imparare fatti di cui nessuno più se ne ricordava, date che sarebbero prontamente ricadute nel triste dimenticatoio da cui era provenute, e nomi di persone che erano decedute da così tanto tempo da non rimanere traccia neppure delle loro stesse ossa. Niente di più, niente di meno.

In pratica, studiare la storia equivaleva per Dreem ad un totale spreco di tempo, del suo tempo. Quello stesso tempo di cui il ragazzo narcolettico disponeva poco nella maggior parte dei casi, o che non possedeva affatto nei restanti, per via della sua particolare condizione fisica.

Quante ore sarebbero passate prima che lui fosse ricaduto per l'ennesima volta in un profondo torpore? Due? Tre? Quattro? Difficile a dirlo, ed ecco che Dreem viveva così, nell'incertezza, i suoi giorni.

Di un solo fatto era sicuro: presto o tardi, la sua narcolessia si sarebbe fatta sentire di nuovo e, a quel punto, lo avrebbe indotto a dormire per un po'. In seguito, lui si sarebbe risvegliato, più stanco ed assonnato di quanto non lo fosse prima, avrebbe cercato di lasciarsi alle spalle l'ennesimo pisolino fuori programma e infine avrebbe finto di godersi il resto della giornata, quando, in realtà, attendeva con ansia l'arrivo del prossimo attacco.

La sua vita si era ridotta sostanzialmente a questo, ad un semplice, quanto opprimente, circolo vizioso in cui lui non aveva mai avuto alcuna voce in capitolo. Al contrario, era stata, ed era tuttora, la sua narcolessia a dettare legge per entrambi.

Ecco perché il ragazzo non era disposto a sprecare quei brevi intervalli di lucidità che la sua malattia gli concedeva stando ad ascoltare un qualcosa che riteneva inutile e noioso a priori ed a posteriori.

Se fosse stato per lui, si sarebbe alzato in quello stesso istante e se ne sarebbe andato via, incurante delle sentenze di morte lanciategli dal professore alle sue spalle. Eppure, se esisteva qualcosa che detestava più della storia e della narcolessia, era quello di deludere ulteriormente i suoi genitori.

Lui era già il loro figlio narcolettico, il loro peso più grande. Non aveva ragione nel diventare anche il loro figlio narcolettico e ribelle: non se lo meritavano affatto.

Ciò gli dava la forza per patire, ma soprattutto sopportare, quelle inutili lezioni.

A questo suo disprezzo verso la materia si aggiungeva, purtroppo, una malcelata antipatia verso l'attuale professore di storia, il signor Conti.

Quest'ultimo non era infatti né quel genere di insegnante che, innamorato del proprio lavoro, cercava con tutte le sue forze di far appassionare gli studenti alla propria disciplina; né quel genere di docente che, seppur non facesse salti di gioia per il proprio mestiere, tentava almeno di far passare il corso in maniera rapida ed indolore, attraverso spiegazioni molto elementari o mediante criteri di valutazione non esageratamente elevati.

Il signor Conti rientrava, invece, nella terza categoria di insegnante, la più odiata, quella del professore freddo, insensibile ed esigente, a cui aggiungeva un pizzico di suo: la noia.

Le sue spiegazioni si erano infatti rivelate potenti bombe soporifere sin dal primo momento in cui aveva aperto bocca. Persino quando dovette affermare ai suoi studenti chi egli fosse, metà della classe cominciò a sbadigliare ed ad appisolarsi senza remore.

Le spiegazioni risultavano, inoltre, così ricche di informazioni e così complicate per gli studenti che il libro di testo pareva al loro confronto soltanto un raccoglitore di immagini su cui andare a scarabocchiare. Dreem si promise infatti che, se anche l'anno prossimo avesse avuto quello stesso professore, non si sarebbe preso certamente la briga di andare ad acquistare il secondo volume. Sarebbero stati soldi buttati all'ortiche.

D'altro canto, l'effetto soporifero era amplificato dal modo con cui l'insegnante si presentava a lezione.

Non vestiva mai con abiti di diverso colore, quasi avesse l'orrore di provare due o più tinte alla volta su se stesso. In particolare, prediligeva un marrone che ricordava le carte da parati delle vecchie abitazioni e che trasmetteva ulteriormente stanchezza e voglia di dormire a chiunque osasse volgergli lo sguardo.

Il suo completo consisteva principalmente in un gilet con bretelle, sopra ad una camicia difficilmente distinguibile dal primo a causa dell'uniformità cromatica. Il pantalone naturalmente non faceva eccezione alla stravagante regola dei colori ed risultava costantemente un po' più corto del necessario, rendendo del tutto visibili i pesanti calzettoni ai suoi piedi, anch'essi della stessa tinta del completo.

Le scarpe erano infine vecchio modello, a tal punto che Dreem non ebbe difficoltà a trovarne un paio identico nell'armadio di suo nonno quando gli andò a far visita.

"Signor Letus", proferì d'un tratto l'acerrimo professore, destando il ragazzo dal flusso di pensieri in cui era piombato, "Mi auguro vivamente che Lei non stia fingendo il suo solito attacco di sonno".

Dreem alzò velocemente lo sguardo dal libro, rivolgendoglielo contro in tono di sfida. Se i suoi occhi, solitamente pacifici e privi di qualunque forza, avessero avuto modo di parlare in quei brevi istanti, gli avrebbero lanciato senza pietà numerose, se non infinite, sentenze di morte. Le stesse che erano soliti lanciargli da più di un mese.

Il professore era infatti fermo nella convinzione che Dreem fosse soltanto un semplice ragazzo svogliato e che sfruttasse l'ingenuità dei propri genitori a piacimento, inventando malattie che non esistevano, quali la narcolessia.

E non ci fu verso a fargli cambiare idea a riguardo, neppure quando gli portò un'intera enciclopedia di medicina a testimoniare il contrario.

"No", sussurrò inizialmente il ragazzo, cercando di trattenere le mani che avevano iniziato a prudergli a morte. Osservò, però, che l'insegnante lo stava ancora osservando, in attesa della risposta che cominciava a tardare troppo per i suoi gusti. Cercò di darsi una calmata. "No", rispose nuovamente ma con più forza.

"Bene", proferì di rimando il professore, prima di riprendere la spiegazione nel punto esatto in cui l'aveva stoppata. Ben presto si dimenticò della questione.

E lo stesso fece Dreem che ritornò a sfogliare il libro con noia malcelata.

***

Dreem Letus comprese di aver raggiunto il suo limite nel preciso momento in cui gli balenò in mente la più improbabile, quanto paradossale, delle richieste: aveva infatti desiderato di addormentarsi, seppur per un breve, brevissimo istante.

Incredulo, si toccò immediatamente la testa con il dorso della mano destra, al fine di verificare se la fronte risultasse bollente o meno. Non lo era, né dava segni che lo sarebbe stato in un prossimo futuro: in pratica, non stava delirando a causa di una qualche malattia, come aveva creduto.

Cominciò quindi a darsi diversi pizzicotti alle guance, nel tentativo di destarsi dal sogno in cui era piombato senza neppure accorgersi. Purtroppo, il paesaggio non mutò, e i suoi compagni, in particolare il professore Conti, rimasero dov'erano esattamente prima: in sintesi, non stava dormendo ad occhi aperti, come aveva infine sperato.

L'aveva fatto, osservò il ragazzo: aveva realmente preteso di appisolarsi di sua sponte.

"Forse sono impazzito, alla fine", ironizzò il ragazzo pochi istanti dopo, non sapendo se dovesse ridere o piangere di fronte a quella inconcepibile richiesta.

D'altronde aveva appena pregato alla sua arcinemica per eccellenza, la narcolessia, di farlo addormentare, come se quest'ultima non lo facesse già abbastanza di suo durante la giornata. D'altro canto, però, appisolarsi gli avrebbe permesso almeno di saltare il resto della lezione rimastagli, in maniera rapida ed indolore.

Solo a quel punto vide che il rapporto guadagno-prezzo non era poi così malvagio.

"Forse non sono impazzito del tutto", ammise infatti il ragazzo, accennando un lieve sorriso.

Qualcuno lo aveva persino preceduto. Un suo compagno di classe, seduto lungo la sua stessa fila ma a due banchi più a destra rispetto al suo, era già crollato dal sonno e, benché nascosto soltanto dal libro di testo e dal ragazzo davanti a lui, non era stato ancora sorpreso in fragrante dal professore.

Ciò diede a Dreem la speranza che il suo piano, per quanto elementare e classico che fosse, avesse un minimo di possibilità di riuscita. Anche se si fosse trattato di un misero dieci per cento, gli sarebbe bastato per tentare.

Creatosi un comodo appoggio con le braccia, vi adagiò la testa sopra e, infine, chiuse gli occhi, consapevole del paradosso che stava vivendo in quell'esatto momento. Paradosso di cui non gli importava per niente. Voleva dormire: solo questo contava.

"Dreem, resta sveglio!", tuonò improvvisamente una voce alla sua sinistra, accompagnata da una leggera gomitata al suo fianco. Avvertì comunque dolore.

Il ragazzo non ebbe neppure bisogno di aprire gli occhi per scoprire l'identità del responsabile. Si trattava sicuramente del suo compagno di banco, Andrea.

"Vuoi per caso farti richiamare di nuovo dal professore?", gli sussurrò nervoso.

Dreem non fece caso alla domanda dell'amico. Era troppo preso col suo piano per preoccuparsi adesso di limare i dettagli e di ridurre i rischi in cui stava incorrendo.

Andrea parve recepire subito il messaggio lanciatogli dal ragazzo narcolettico e non osò intervenire oltre quanto già fatto. Lui aveva tentato, ora non erano più affari suoi.

"Comunque, Dreem, era da un po' che te lo volevo chiedere", proferì nuovamente questo, con un tono curioso però, "Mi spieghi che cosa hai attorno al braccio?".

Il ragazzo narcolettico non comprese nell'immediato a cosa l'amico stesse alludendo. D'altronde non avvertiva nulla di anomalo attorno al braccio che gli stava indicando; eppure Andrea non aveva ancora distolto lo sguardo da lì. C'era sicuramente qualcosa.

Dreem si voltò, con la salda convinzione che non vi avrebbe trovato nulla. Si sbagliò, di molto.

Una mano, proveniente dal basso e completamente bianca, come se non vedesse la calda luce del sole da diverso tempo, lo teneva saldamente per il braccio, per nulla intento a lasciarsi scappare la preda.

Nonostante la paura che lo aveva già assalito di fronte a quella visione, il ragazzo narcolettico abbassò lo sguardo in direzione della presunta origine della mano "fantasma". Ciò che vide non se lo sarebbe mai più dimenticato, ne fu certo.

Il compagno di classe, quello stesso compagno che stava dormendo fino ad un attimo fa a due banchi più a destra del suo, era adesso ai suoi piedi, immerso in parte in una voragine senza fondo creatasi nel pavimento.

Pareva un fantasma vivente per quanto la pelle fosse bianca. Due grandi occhiaie emergevano selvagge sotto i suoi occhi e diverse cicatrici ricoprivano il volto ed entrambe le braccia. Che diavolo gli era successo in quel mezzo secondo?

"AIUTAMI!", gli urlò soltanto, prima di trascinarlo giù con sé nella voragine.

Agli occhi di Dreem, tutto si fece nero e la luce dell'aula divenne presto un vago ricordo.

 

NOTA DELL'AUTORE

Chiedo scusa a tutti per la lunga attesa a cui vi ho involontariamente sottoposto, ma non ho avuto molto tempo per scrivere in questi ultimi giorni. Gli esami sono alle porte, e sia io (autore) sia una mia amica (correttrice) stiamo troppo indaffarati con lo studio.

Per quanto riguarda il capitolo, come è possibile notare dalla sua enorme lunghezza, ho ritenuto più conveniente dividerlo in due (o forse tre) parti. Così sarà più leggero da digerire.

Comunque, con questo abbiamo introdotto un secondo personaggio molto importante per il racconto, l'odiato professore di storia, ma abbiamo soprattutto finito il prologo del Cuore dei Sogni: adesso cominciano i guai per il nostro povero Dreem! 

   
 
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