"Isadora..."
Daniel sussurrava nel sonno. I capelli biondi erano sparsi sulla federa candida del cuscino, la luce penetrava dolcemente dalle fessure dei battenti.
Lei stava immobile; lo guardava appena mentre allungava il braccio bianco, come incandescente sotto la luce del sole, per accarezzarla.
L'odore intenso delle camelie che sfiorivano sulla scrivania d'ebano impregnava la stanza da letto e Daniel, che la cercava sotto i veli leggeri delle lenzuola, non poteva certamente sapere che lei non si lasciasse trovare perché in ossequiosa contemplazione della loro morte.
Era malinconico e delicato, il loro destino.
Immerse nell'acqua ormai tiepida spiravano con il loro profumo dolciastro, mentre le foglie trasparenti galleggiavano ai lati della brocca di cristallo che le conteneva.
"Mi stai sfuggendo, Isadora cara?"
Daniel continuava a bisbigliare e le sue parole erano soffocate dal guanciale su cui era adagiato. 
Lei lo guardò, ma Daniel, il cui zigomo posava dal lato opposto in cui si trovava Isadora, non se ne accorse.
Socchiuse gli occhi e gettò la testa all'indietro. L'odore pungente delle camelie, lo smarrimento fatale della sensibilità, la investirono.
Ecco Isadora:
uno dei tanti petali che trasportati nel cerchio dal vento dei propri mutevoli impulsi, si specchiava vanitoso contro il vetro del proprio vaso.
Aveva sempre desiderato Daniel, ma le era bastato averlo una notte per dimenticare il suo fascino.
Eppure Daniel, che ora voltava silenziosamente il capo e dal viso quasi albino le indirizzava uno sguardo chiaro, per lei rimaneva bello.
Le era caro.
Avvertiva per lui una sorta di affetto familiare e una tenerezza ingiustificata.
"Isadora, ars amandi"
Lei gli sorrise amabilmente con le sue labbra graziose. Le aveva regalato un po' di calore e compagnia, al modo irrazionale degli amanti si erano scordati un istante dei propri tormenti.
Bastava così poco per dimenticare poco.