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Autore: Nightkey    17/04/2016    0 recensioni
A diciannove anni, Rebecca Montagnani sa molte cose. Sa di avere le capacità per essere ammessa alla facoltà di Ingegneria, sa che per dover frequentare quell'Università dovrà andare a vivere in un'altra città e abbandonare i suoi vecchi amici, sa che d'ora in poi la strada per arrivare in cima non sarà affatto facile. Nuova vita, nuovi ambienti e nuove amicizie. Un nuovo mondo che schiuderà il suo cuore aprendolo all'amore.
La vita prende spesso delle svolte inaspettate. A volte occorre solo assecondarle e lasciarsi trascinare dal fluire degli eventi, perché vivere è anche sfidare l'imprevedibile.
Questa storia è stata scritta in collaborazione con un'altra autrice.
Tale storia appartiene all'IronìaNoodles team.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Picchiettavo le dita contro il banco. Un tic nervoso, un modo come un altro per tentare di scaricare l'ansia. Inutile dire quanto a poco servisse. Quel rumore ripetuto non riusciva a distogliere i miei pensieri da ciò che di lì a poco avrebbe dato una svolta decisiva alla mia vita. Mentalmente continuavo a ripassare le formule matematiche, i teoremi, le dimostrazioni. Ripercorrevo ogni singolo passaggio eseguito, ogni divisione e potenza. È devastante la consapevolezza di quanto peso possa avere un solo segno sbagliato. Devastante quanto irritante. Ricordavo esattamente i procedimenti e non riuscivo a smettere di ripercorrerli con la mente ancora e ancora, alla ricerca di un errore. Un piccolo sbaglio dettato dalla distrazione. Qualcosa che avrebbe posto un freno al mio sogno. 
Tirai un profondo respiro e strinsi le dita in un pugno, ponendo fine a quel picchiettio ripetuto con ritmo costante. Cercai di rassicurarmi, piuttosto sicura che quanto avessi svolto fosse giusto, almeno in buona parte. Passai in rassegna il volto degli altri ragazzi nella stanza, ognuno seduto dietro ad un banco singolo. I volti tesi e perlacei celavano malamente il loro stato d'animo. Sembravano in bilico tra l'apparire calmi e dar sfogo al loro tormento interiore.
Quell'attesa procedeva ormai da diversi estenuanti minuti. Il nervosismo era palpabile e aleggiava sui presenti, fra i banchi, come una vipera in attesa solo di assestare il colpo fatale. L'ansia toccava dei picchi allarmanti, collegando i pensieri di tutti in una sola domanda carica di speranze e di aspettative: "L'avrò superato?"
Nessuno ti prepara mai a questo momento. La preparazione riguarda il prima, riguarda il modo in cui dovrai affrontare il test d'ingresso, e riguarda il dopo, quando inizierà la vera e propria avventura nel nuovo mondo dell'Università. Ma che ne è del mentre? Pochi minuti che rappresentano un nulla nel lungo percorso della vita, ma comunque in grado di designare il tuo futuro. 
Udivo qualche mantra recitato sottovoce, in modo quasi impercettibile. "50, 50, 50". "È solo un esame, posso sempre rifarlo. È solo un esame". Si agitavano tutti, ognuno sulla propria sedia, eccezion fatta per la chioma castana alla mia sinistra. Era voltato a parlare con qualcuno seduto più in là. Quando posai gli occhi su di lui, si girò a sedere in modo corretto, come se fosse stato richiamato dal mio sguardo. I suoi lineamenti rilassati emanavano un senso di pace e tranquillità. Com'era possibile che fosse così sereno? La sua era spavalderia o semplice indifferenza? Non aveva importanza. Distolsi lo sguardo, infastidita dal modo in cui stava affrontando quell'attesa per me invece terribilmente snervante. 
Mi concentrai su un punto indefinito davanti a me, tentando invano di annullare il mondo intorno, quando sentii uno sguardo posarsi su di me. Avvertii un formicolio solleticarmi il collo e istintivamente portai una mano a coprire quell'esatto punto. Mi voltai riluttante verso la mia sinistra ancora una volta e scoprii il ragazzo di poco prima a scrutarmi dietro una spessa montatura squadrata. Un cipiglio gli corrugava la fronte questa volta, disegnando delle profonde rughe irregolari. Riuscivo a sentire le mie guance arrossarsi sempre più, imbarazzata. Il suo sguardo penetrante mi metteva a disagio, come sempre quando venivo osservata. Detestavo essere il centro d'interesse di occhi indiscreti, in particolar modo se si trattava di occhi sconosciuti ed estranei.
Mi lasciai cogliere dall'inquietudine, mentre continuava a fissarmi senza scrupoli. Forse avevo inavvertitamente strofinato troppo gli occhi e adesso il trucco aveva preso delle direzioni indesiderate? O magari la mia ansia da sé rendeva il mio volto patetico abbastanza da attirare l'attenzione?
Ma non mi trattenni troppo su quelle considerazioni, perché un mormorio si diffuse per l'aula, suggerendomi di voltarmi. Ed ecco lì un uomo sulla cinquantina dotato di grande presenza fisica, mentre varcava la soglia e si dirigeva a grandi passi verso una cattedra posta nel lato opposto della stanza. Il brusio cessò di colpo quando l'insegnante tirò fuori da una carpetta quella che aveva tutta l'aria di essere una lunga lista. Ci rivolse un sorriso fugace, forse con l'intento di alleggerire la situazione, ma la tensione non aveva mai abbandonato quei muri e adesso si faceva sentire più invadente che mai. 
Cominciai a mordermi il labbro inferiore, impaziente, mentre uno dopo l'altro gli altri ragazzi si alzavano e andavano incontro al proprio destino già scritto. Un sapore metallico e salato mi riempì la bocca. Diedi tregua al mio labbro, liberandolo dalla stretta dei miei denti. 
Avvertii un movimento alla mia sinistra, mentre il ragazzo occhialuto si alzava dalla sua sedia con un unico movimento fluido, nel sentir pronunciare il suo nome. Federico. Non riuscii a tenere a mente il cognome, sentendolo pronunciare per la prima volta in vita mia. ­­Camminava con fare lento, senza alcun accenno di fretta, curiosità o interesse. La sua aura di sfiancante tranquillità e compostezza continuò ad avvolgerlo, anche quando raccolse il foglio del suo compito dalla mano tesa dell'insegnante. Gli diede una rapida occhiata distratta, prima di poggiarlo con noncuranza sul suo banco. La sua espressione non tradiva nessuna emozione. Era difficile intuire se l'esito del test fosse positivo o meno. 
Sentii pronunciare a gran voce il mio nome e mi riscossi da quel torpore in cui ero rimasta intrappolata. Mi sollevai sulle gambe tremanti, procedendo incerta fra i banchi. Non riuscii a guardare il professore negli occhi. Temevo vi avrei scrutato la risposta alla mia domanda silenziosa prima ancora di avere fra le mani il mio compito un'ultima volta. Strinsi forte il foglio fra le mani e aspettai di essere tornata al mio posto prima di controllare il punteggio ottenuto. Mi scoprii a sperare con tutta me stessa che ce l'avessi fatta mentre voltavo il foglio. 
70. Ero dentro.
Un sorriso si fece largo sul mio volto, più ampio che mai. Un peso abbandonò le mie spalle e mi sentii finalmente libera e soddisfatta. Non riuscivo a contenere la mia euforia, avrei potuto perfino urlare di gioia. Ma cercai di mantenere un certo contegno, mentre l'insegnante distribuiva gli ultimi compiti. Scrutai la disperazione su alcuni volti, la delusione su altri e un'euforia molto simile alla mia probabilmente su altri ancora. 
Il professore si schiarì rumorosamente la voce, mentre la sua voce tornava a diffondersi per la stanza. «Avete un quarto d'ora per controllare i vostri errori. Dopodiché, per chiunque necessitasse di qualche chiarimento, io sono a vostra disposizione per ogni tipo di domanda.»
Chinai il volto sul foglio che tenevo fra le mani e ripercorsi ancora una volta quei passaggi che ormai avevo imparato a conoscere nei minimi dettagli. Perciò mi stupii quando scorsi un errore laddove credevo non ve ne fossero. Ero piuttosto sicura del procedimento che avevo eseguito e per quanto ci provassi, non riuscivo a scorgere il mio sbaglio. 
Feci per alzarmi, con l'intenzione di chiedere spiegazioni al professore, quando mi raggiunse una voce profonda e vellutata. «Hai sbagliato a derivare.»
Mi voltai in direzione della fonte. Era sempre il ragazzo occhialuto. Mi guardava con sguardo di sufficienza e mi sentii in qualche modo offesa. «No, sono abbastanza sicura della mia soluzione» risposi allora con più acidità di quanta ne avessi voluto far trapelare dalla mia voce. Inarcò un sopracciglio e mi sentii in dovere di dare una spiegazione. «Ho ripassato quei calcoli innumerevoli volte ed ogni volta portano sempre allo stesso risultato.»
Non disse nulla, raccolse semplicemente il suo test dal banco e lo affiancò al mio, sfidandomi a controllare. Confrontai i due esercizi e una profonda umiliazione rischiò di schiacciarmi sotto il suo soffocante peso quando mi resi conto dell'imprecisione dei miei calcoli. Avevo davvero sbagliato una derivata?! 
«Visto?» mi raggiunse ancora una volta la sua voce. Cominciavo a nutrire un serio fastidio nei confronti di quel suono che sottolineava la mia distrazione. 
Mormorai un «sì» a denti stretti mentre gli restituivo il test, scrutando solo allora il voto nel suo foglio. Un 94 svettava in cima alla lunga serie di esercizi, imponente nella sua importanza. Provai un impeto di invidia mista ad ammirazione. 
Allungò ancora una volta il collo per sbirciare il mio compito. «Questo poi! Non puoi davvero aver fatto un errore del genere.» Lo sentii trattenere a stento una risata.
Seguii il suo sguardo e mi accorsi della banalità dell'errore a cui si riferiva. Arrossii ancora per un nuovo tipo di imbarazzo del tutto diverso dal primo. 
«E qui perché non hai semplicemente...?» Voltai di scatto il compito, impedendogli di studiarlo ulteriormente. Era abbastanza umiliante già così.
Puntai gli occhi nei suoi, sperando che la mia espressione fosse tanto gelida quanto categorica. «Nessuno ha richiesto il tuo punto di vista mi sembra, o sbaglio?» Diedi un tono volutamente ironico sul finale, desiderando vedere disegnarsi uno sguardo colpevole sul suo volto. Ma lui si limitò a sorridermi con fare beffardo, neanche minimamente scalfito dal mio modo di fare. 
Entrambi ritornammo ad ignorarci vicendevolmente, ascoltando meccanicamente le spiegazioni del professore. Quella breve conversazione mi aveva turbata, troncando la mia euforia iniziale. Avevo commesso degli errori, era vero, ma grazie a quel punteggio avrei avuto la possibilità di colmare le mie lacune e di migliorare giorno dopo giorno. Un sorriso riaffiorò sulle mie labbra ancora una volta, scacciando via i dubbi. Quando fummo congedati, raccolsi la mia borsa da terra e corsi via. Ancora due settimane e avrei percorso quei corridoi sempre più spesso.
Una volta fuori, chiusi gli occhi e lasciai che il vento mi cullasse, tornando a respirare nuovamente da quando avevo smesso di farlo entrando in quella struttura.

  
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