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Autore: Edward    05/04/2009    14 recensioni
C’era il vento. C’erano le lapidi –tante e tutte in fila, una schiera di uomini che sarebbero rimasti soldati fino alla fine- e l’erba opaca. C’erano tre pezzi di marmo avanti agli altri, di fronte a loro, e tre nomi. Tre date e nessuna dedica.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Deak, Rabi/Lavi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Normalmente, si sarebbe sentito male, nel profondo

Titolo: Animal I Have Become

Serie: D.Gray-man

Personaggi: Lavi

Genere: Generale, Malinconico

Rating: Giallo

Avvisi: One-Shot

Note: Fic scritta un po’ di tempo fa, senza senso e senza pretese. Perché mi sono stancata di leggere fic sulle dannate seghe mentali di Lavi. Bookman non ha un cuore e bla bla bla.

Questo è quello che penso io.

Questo è quello che pensano loro.

Dedicata a Deak.

 

 

 

Animal I Have Become

(The Dark Inside Of Me)

 

 

 

 

Normalmente, si sarebbe sentito male, nel profondo. Si sarebbe poggiato in una posizione alquanto drammatica a qualche albero e avrebbe spergiurato che qualcuno gli avesse appena ficcato una mano dentro lo stomaco e tentato di strappargli le budella con la sola forza delle dita.

Artigliate con forza alle sue interiora fatte di sangue e carne.

Ma non era quello il caso, non era quella l’occasione.

Forse perché non c’erano alberi a cui appoggiarsi. C’erano solo lapidi, grigie e lucide, conficcate nel verde opaco e quasi finto della terra. Forse per via della sensazione strana che sentiva alla testa, alle membra, in quel momento così lucide e perfettamente in funzione.

Forse perché Lavi era davvero calmo, dopotutto.

C’era un po’ di vento, a sfiorargli i capelli rossi e disordinati. Un vento non troppo freddo e non troppo caldo, pacato e silenzioso.

«E’ un sogno?»

Lo chiese senza troppa enfasi, forse un po’ fiacco. Il bambino al suo fianco scosse la testa, senza dire nulla.

Lavi annuì, grattandosi distrattamente la guancia con un dito.

«…allora sono di nuovo nel mondo di Road?» azzardò dopo un po’, in cerca di una risposta.

La sua versione bambino ripetè il gesto di prima, limitandosi a fissare davanti a se.

E rimasero in silenzio, entrambi.

C’era il vento. C’erano le lapidi –tante e tutte in fila, una schiera di uomini che sarebbero rimasti soldati fino alla fine- e l’erba opaca. C’erano tre pezzi di marmo avanti agli altri, di fronte a loro, e tre nomi. Tre date e nessuna dedica.

«… non è triste?» chiese lentamente il piccolo Lavi, indicando con un ditino le tre tombe.

«Cosa? Che siano morti?»

«Che non ci sia il tuo nome.» lo corresse l’altro.

«…oh.» l’Esorcista fece una pausa, colto alla sprovvista. «Sì, immagino di sì.»

«Mhh…»

Tornò il silenzio, e il più grande si concesse un attimo per scrutare ancora una volta i nomi. Non fu stupito di trovarli, esattamente lì, davanti agli altri, forse in ordine di importanza.

Allen Walker.

Lenalee Lee.

Yuu Kanda.

«Ma tanto, questo…»

«Chi è quello?» lo interruppe il piccolo lui, indicando dietro Lavi, lontano dalle lapidi.

E l’Esorcista si voltò, distrattamente. «Oh.» Vide non troppo lontano un altro se stesso adolescente, forse un po’ più esile e più basso. Era seduto su una pietra, e li fissava, non avrebbe saputo dire con che espressione. «Beh, quello… quello siamo noi.» rispose al piccolo, in un sospiro pacato.

Quello arricciò le labbra e si strinse le braccia al petto, tornando a guardare le lapidi. «Non mi piace.» decretò con le guance gonfie e l’espressione corrucciata.

Come il bambino che era.

Lavi lo imitò ed abbozzò un sorriso, stringendosi nelle spalle. «Sì, concordo.» piegò la testa di lato e lanciò un’ultima occhiata a Deak. «A nessuno piace la verità.»

«Sai, non so se offendermi o sentirmi onorato, a dirla tutta.»

Si voltò verso il bambino, che non era più tale.

«Ehy» lo salutò Deak, dondolandosi sul sasso.

Lavi si girò istintivamente vero il punto in cui un attimo prima si trovava il ragazzo, ritrovandosi a fissare le tre lapidi e il se stesso più piccolo. Corrucciò lo sguardo, tornando a guardare Deak.

«Perché?» chiese semplicemente, in un unico movimento di labbra.

L’altro fece una smorfia e sbuffò. «Voi due siete sempre a far comunella, io sono il cattivo, quello che rompe le palle. Non ci posso fare nulla se sono l’unico qui che tiene al lavoro, non posso mica-»

«Mi riferivo a tutto questo.» lo interruppe il quarantanovesimo pseudonimo. «Perché?»

Il quarantottesimo rimase con la bocca un po’ aperta, bloccata dalla mezza parola che non era riuscito a pronunciare un attimo prima. Lo guardò un po’ sorpreso e non si mosse, forse tentando di elaborare una risposta. Nel complesso, aveva un’espressione non tanto intelligente.

«Bbbeh,» riprese dopo qualche secondo, cambiando posizione sulla pietra su cui si trovava. «E’ la realtà, no?»

«No.» rispose senza pensarci, l’altro, con aria di rassegnata ovvietà. «Se questa fosse la realtà tu non ci saresti. Non ci sarebbe.. lui» ed indicò dietro di se, verso la figura del piccolo loro che ancora fissava davanti impettito la distesa di nomi e date «e, soprattutto, non ci sarebbero quelle.» fece una pausa, involontariamente. «Anche se fossero davvero morti, i finders, come gli esorcisti, vengono cremati non appena ne arrivano i corpi all’Ordine. Niente tombe da poter compiangere per l’esercito di Dio.»

Forse, si alzò un po’ il vento. Ma non c’erano foglie da poter veder volare nel cielo, e l’erba era troppo fitta e secca anche solo per potersi muovere.

Deak fece una smorfia, roteando gli occhi al cielo.

«“Realtà” non vuol dire necessariamente “reale”.» replicò. «Perché devi essere sempre così dannatamente fissato sui dettagli?»

Lavi non rispose. Mosse solo un passo in avanti, verso di lui, obbligandolo a fargli un po’ di spazio sulla pietra. Guardò nuovamente le tre lapidi in testa alle altre, lasciando che un sospiro silenzioso precedesse le proprie parole.

«…i dettagli sono l’unica cosa che mi è rimasta, ormai.»

«Come sei melodrammatico, Junior…» lo rimbeccò Deak, sbuffando.

E tornò il silenzio.

Quando si ha la stessa mente e la stessa memoria, raramente si trova qualcosa di originale da dire.

Ma in quel momento Lavi non si sentiva tanto Deak. Non si sentiva neanche il bambino di sei anni che ammirava le stelle del cielo –quelle gialle e bianche, brillanti e lontano da lui- con un’espressione stupidamente affascinata e il naso alzato verso l’alto mentre la bocca gli formava un’ovale perfetto sul volto.

Più tardi avrebbe imparato a tenere lo sguardo fisso sulle persone, e che le stelle non erano come quelle del cielo. Le stelle erano nere, grandi e putride sui volti marci e lucidi degli Akuma, e talvolta erano fin troppo vicine.

Se le era sentite scorrere nelle vene, una volta.

Ma in quel momento Lavi si sentiva, semplicemente, Lavi.

«…non è un sogno, huh?»

«Mh, no.»

«E neanche un’illusione?» tentò di nuovo, alzando appena il viso verso l’alto, pensieroso.

«Neanche.» l’altro rispose dopo un attimo di silenzio, concedendosi di arricciare le labbra e ondeggiare i capelli in segno di diniego.

«Tipregodimmidino, ma.. sei la mia coscienza?»

Deak rise, forte, scuotendo ancora la testa. «Se avessimo una coscienza, Junior, credo che si sarebbe già impiccata da tempo, credimi…»

«Come sei melodrammatico.» gli fece il verso l’altro, con una smorfia. Poi corrucciò lo sguardo, serio. «Fammi indovinare. Sono caduto dalle scale ed ho sbattuto la testa?»

«Nah.»

«Okaay… ho trovato la pipa del Generale Cross ed ho scoperto che quello non era tabacco?» azzardò come ultima risorsa.

Deak abbozzò una mezza risata e si alzò in piedi, quasi incredulo. «No.» Si grattò la nuca con una mano e gli lanciò un’occhiata obliqua, aspettando che l’altro rivolgesse la sua attenzione nuovamente su di lui. «Allora, cosa ci scriviamo su quella?» ed indicò con un dito la pietra su cui era rimasto l’esorcista.

Una lucida e alta pietra identica a quelle dei suoi compagni.

L’altro non volle neanche muoversi. Si limitò a fissare il quarantottesimo e replicò, con voce ferma, il proprio nome.

«Lavi.»

«Mh. Lo immaginavo.» sospirò esasperato, Deak. «Sei proprio un fallimento, 49th Bookman Junior.»

Lavi distolse lo sguardo, puntandolo sul terreno arido. «Io… sono Lavi.»

«Balle.» gli parlò sopra l’altro, seccato.

«Esisto!» lo rimbeccò a sua volta l’esorcista, con una nota acuta nella voce. «…respiro.» continuò poi, con più calma. Una sferzata di emozioni lo travolse e ne andò, crebbe ancora e rimase lì, a ribollire sulla superficie del suo io. «Mi muovo. Sono stupido. E non perché così permetto alle persone di sottovalutarmi e di rivelarmi i propri difetti. Sono infantile. Perché lo trovo divertente. Non voglio veder morire i miei compagni. Perché ne soffrirei. Io sono questo.» si puntò una mano al petto, stringendo la divisa nera con forza, mentre con l’altra si aggrappava alla lapide, saldamente. «Io, sono questo.» ripetè, con più convinzione. «Sono Lavi.»

Deak non rispose subito. Increspò la bocca in una smorfia e assottigliò lo sguardo, forse risentito. «E noi?» chiese puntando un dito dietro di se, senza voltarsi. «E noi che fine facciamo, Junior? Dove ci seppellirai, Lavi?»

«Io non-»

«Che c’è?, Lavi?»

Deak si sovrappose ancora una volta a Lavi.

Il primo sospirò, lentamente, ficcandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. Il secondo lasciò andare la presa sul proprio petto, distrattamente, quando improvvisamente la strinse di nuovo.

«No, non puoi.» lo precedette l’altro quando lui alzò il viso per parlare, quasi speranzoso. «Non puoi tenerci lì, Lavi.»

«Tu… voi e il vecchio panda non l’avete mai capito.» Lo sguardo di Lavi si fece tranquillo, serio ma rilassato, intenso. «Anche noi facciamo parte della storia.»

L’erba si fece un po’ più verde.

Un po’ più alta, meno secca e ritta. Il cielo si fece più azzurro. Meno pallido, meno distante.

«…perché questa guerra è diversa?» chiese semplicemente Deak, con un respiro lento.

Lavi alzò il viso verso il cielo, senza sorridere. Cominciò a soffiare il vento. Ed era un vento vero, presente, che spinse piano la schiena dell’esorcista e la circondò, superandola come un flusso d’acqua trasparente. Il 49th Bookman Junior cominciò a perdersi, a staccarsi in pezzi di foglie che volarono via nell’aria.

Il piccolo loro se ne era già andato, ormai.

«Perché Dio è crudele.» rispose allora, sbattendo brevemente le palpebre e dischiudendo la bocca. «…Lo sono Entrambi.»

Deak abbassò lo sguardo. Un attimo ancora, uno sbuffò di coscienza e rimase solo, accompagnato solo dal suono di un fruscio distante.

«…capisco.» disse, senza enfasi. Tornò a guardare la lapide, ancora senza nome. «Ma anche tu non hai mai voluto capire.» alzò il viso verso l’altro, sospirando.

In fondo, non era cambiato nulla.

 «…in questo modo ci farai ammazzare tutti, Lavi.»

E anche lui sparì.

Dissolvendosi pezzo a pezzo.

 

 

 

 

END

   
 
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