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Autore: MisterXPaulPollo    18/04/2016    2 recensioni
Sono nato un venerdì.
Il tredici di un venerdì di Maggio, alle ore 17:00.
Ho la sfiga impiantata addosso come Wolverine l'adamantio.
Sono talmente sfigato che stamani, nel tentativo di avvelenare il latte del mio schifoso coinquilino infetto, non mi sono accorto che il figlio di puttana aveva invertito le tazze.
Risultato.
Ho avvelenato il mio latte.
La mia tazza adesso è infetta.
Il latte di riso è finito.
Oggi muoio.
Genere: Commedia, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo II



13/07/2014 – Londra, Tennyson Rd – Ore 14:45

Devo andarmene, devo andarmene immediatamente da questa fetida casa.
Sporca.
Orribile.
Infestata da batteri grossi come coleotteri, e germi che cavalcano i batteri con vistosi cappelli da cowboy.
Io li vedo, sono intorno a me, praticano free climbing sulle mie gambe, aggrappandosi al tessuto dei jeans per poter raggiungere la vetta. Maledetti bastardi, perché i migliori disinfettanti uccidono solo il 99,9% dei batteri?
L’unico superstite di questa strage verrà chiamato, per simpatia, Highlander.

« Hey, fiocco di neve! Vieni qua. »

I miei occhi si sgranano in automatico quando la voce di quell’irlandese dalla canottiera sporca di due giorni, le lentiggini sparse su quelle gote rubiconde e i riccioli rossastri, unica caratteristica che possa accomunarlo alla sorella, alla signora Stenac.
Non avvicinarti. Non toccarmi ammasso di immondizia.
Vorrei scriverglielo, vorrei tirare fuori dalla tasca posteriore dei jeans il mio preziosissimo taccuino con la copertina in pelle nera, adornato da un elastico nel quale è assicurata la penna a sfera di colore nero. Una grande comodità.
Le mie mani però non trovano il coraggio di lasciar andare il disinfettante spray, che sto stringendo con la forza di un bambino al quale stanno per rubare il lecca lecca.

« Fiocco di neve, si può sapere dove sei stato? Ero preoccupato per te! Insomma, potevi anche chiamare e dire che non saresti tornato a casa per cinque giorni. Oh, è vero, tu non puoi parlare! »

Sai panzone, stavo per morire dissanguato su un marciapiede perché l’ennesimo tentativo di omicidio è andato a farsi benedire. Oh lasciamo perdere, non ha senso scrivergli. Non so neanche se sappia leggere.
La sua grassa e rozza risata, scatenata da quella battuta di pessimo gusto, mi gratta i timpani come un rastrello sulla sabbia, ma non è questo ad irritarmi e preoccuparmi.
No, ad irritarmi è il suo grosso pancione ed il suo inglese dal pesante accento irlandese, e a preoccuparmi è il suo avanzare.
Non avvicinarti ciccione.
Non fare un altro passo o giuro che ti disinfetto.
Non ti avvicinare.
Non un altro passo.
Posso sentire il suo respiro sulla mia pelle, i suoi germi sulla peluria delle mie cavità nasali, la sua presenza imponente sempre più vicina a me. Non sapevo quanto lui potesse essere alto, ma io ero un metro e settanta centimetri all’incirca, e lui mi superava di almeno una spanna e mezzo.
La sua massa grassa poteva essere paragonata a quella di un tricheco, e probabilmente almeno un terzo di esso era occupato dai litri di birra che si scolava.
Il suono del suo avanzare si è trasformato in un temporale, ogni passo è un fulmine il cui tuono impiega sempre meno a raggiungere le orecchie.

« Suvvia fiocco di neve, non puoi avere ancora paura di me. Ormai sono sei anni che viviamo insieme, non sei contento di questo? Dai, abbracciamoci e facciamo la pace da buoni amici! »

Questa volta fulmine e tuono viaggiarono assieme per schiantarsi contro la mia fragile spalla, scaricando tutta l’energia negativa all’interno del mio corpo, trasformando le vene in circuiti di formula uno sul quale sfrecciava il male travestito da consapevolezza.
La mano destra e la sinistra scattarono in avanti, verso quella figura grottesca che aveva appena violato la mia barriera protettiva, il mio mondo sicuro, ma fragile come un cristallo. Impugnano lo spray come se fosse una pistola e, puntando al volto, spruzzano il disinfettante addosso all’irlandese per allontanarlo da me, lo spruzzano sul naso, sulla bocca, perfino tra i capelli, poi lascio cadere il contenitore di plastica a terra, e con esso il corpo del gigante irlandese scosso da gemiti di dolore, causati dal liquido che evidentemente si è posato sulle iridi chiare.
Devo scappare.
Devo andarmene da questa casa.
Corro verso la porta d’ingresso, la apro, esco frettolosamente da questa casa orribile e da lui, salto i tre scalini rischiando di fratturarmi una caviglia, ma non me ne curo.
Devo allontanarmi.
Devo farlo ora.

13/07/2014 – Londra, Green Park – Ore 17:02

Sono seduto su questa panchina da non so neanche quanto tempo.
So solo che la Jubilee mi ha salvato la vita. Per il momento.
La linea ha impiegato quarantuno minuti a raggiungere la destinazione, attraversando gran parte delle fermate come West Ham, Canning Town, North Greenwich Station, la stupefacente Canary Wharf, Canada Water, Bermondsey, London Bridge, Southwark Station, Waterloo Station, Westminster Station, arrivando infine alla mia fermata, Green Park Station.
Ho imparato a memoria le fermate, perché ogni volta che le porte si aprivano il disagio cresceva.
Ad ogni fermata le persone aumentavano, e più aumentavano, più  i miei tentativi di non toccare niente e nessuno scemavano. Non mi piacevano i mezzi pubblici, non mi piaceva la gente, non mi piaceva entrare in contatto con le persone.
Sono sporco, la gente non vuole toccare lo sporco, altrimenti donerebbe carezze ed abbracci anche ai barboni, ed io non voglio essere toccato in alcun modo, perché possono essere portatori di qualche malattia infettiva.
Il mio corpo è un po’ come un album, e le malattie sono le figurine impazienti di essere attaccate nel loro posto riservato e numerato.
Abbasso lo sguardo sullo schermo del telefono, avendo avvertito sul palmo della mano destra la sua vibrazione e, con un sopracciglio alzato per lo stupore, realizzo che è una notifica da parte di Facebook.
Laudato sii o Zuckerberg, per aver creato una piattaforma in cui qualsiasi persona possa sentirsi a suo agio, sia essa un transessuale platinato, o un muto. Grazie per aver creato un social network in cui tutti parliamo scrivendo, e in cui nessuno sa chi realmente si nasconda dietro quella foto profilo. Grazie Zuckerberg, grazie a te anche i timidi possono socializzare. Grazie Zuckerberg, perché grazie a te posso parlare anche io.
Ah no, quello è google translate.
Digito il codice per sbloccare l’apparecchio elettronico, e solo quando rileggo quelle poche parole scritte in preda al panico, acquisto la consapevolezza del mio gesto.
Una casa nuova, implica persone nuove, e persone nuove equivalgono a maggior accumulo di sporcizia.
D’altro canto, non posso permettermi di mantenere un appartamento da solo, e se sono sopravvissuto sino ad ora con quell’irlandese da strapazzo, posso resistere a dei nuovi coinquilini.
O almeno spero.
Una certa Skyler St Clair ha commentato il post in cui cerco disperatamente dei coinquilini.
Skyler.
Una donna.
Una portatrice sana di mammelle.
Una donna.
Come mia madre.
Devo provare, sono disperato, non voglio tornare in quella casa aromatizzata alla birra.
Socchiudo gli occhi, inspirando ed espirando profondamente prima di aprirli di nuovo e rispondere al commento di quella donna, per chiederle un incontro.
Non ho intenzione di trasferirmi alla cieca come quando me ne andai da New York, voglio vedere che razza di persona è, se mi posso fidare, se è vagamente più pulita rispetto al grassone di Tennyson Rd. Fortunatamente la ragazza sembra non aver voglia di attendere a lungo il mio trasferimento, e dalla sua risposta posso dedurre che sia vicina. Il localizzatore nei cellulari può essere una grande risorsa, se poi la persona che stai cercando posta un selfie dove indica la sua posizione, ancora meglio.

“Ti aspetto a Green Park. Mi riconoscerai facilmente, sono bianco dalla testa ai piedi. Come un albino, ma leggermente più scuro. Sono seduto su una panchina vicino al Wellington Arch. Ti aspetto.”

Non mi aspetto invece una risposta rapida dalla donna. Se sta camminando e guarda il telefono, potrebbe accidentalmente ritrovarsi spalmata contro un lampione della luce, o inciampare in uno dei tanti scoiattoli che animano il parco, e ritrovarselo addosso. Peloso e rabbioso, infetto e mostruoso.
Ho i brividi solo ad immaginarlo.
Quando ancora abitavo nella periferia di Dublino, vicino alla fattoria del vecchio Cáel, ricordo che feci infuriare un papero.
Il faccia a faccia con quel volatile fu terrificante, ma se non lo avessi fatto arrabbiare, non avrei mai conosciuto la mia migliore amica. Povera Sticky, che fine indegna.
Volto lo sguardo a destra e a sinistra, stanco, scocciato, certo che la ragazza non mi avrebbe mai raggiunto.
Forse era uno scherzo, forse quella foto del profilo era solo una copertura.
No.
Il transessuale platinato!
E se invece fosse un serial killer?
Oh, se così fosse sarebbe l’occasione perfetta per farmi insegnare i trucchi del mestiere.
Il cellulare vibra di nuovo.
Un messaggio su facebook da parte di questa famigerata Skyler, e con una richiesta piuttosto insolita.
Perché dovevo alzarmi in piedi e saltellare due volte?
Mentre il mio cervello ancora sta elaborando domande, il corpo ha agito d’istinto, alzandosi e saltellando due volte sul posto.
Devo essere impazzito, forse questa è una di quelle figurine che ancora non ho, oppure..

« Scusa, sei tu il ragazzo bianco dalla testa ai piedi, ma più scuro di un albino? »

Mi volto verso quella voce graziosa, ma non per questo meno pericolosa, di una ragazza dai capelli biondi, lunghi e mossi che incorniciano un volto dai lineamenti delicati e morbidi, dalle labbra piene come le mie, e gli occhi grandi e profondi come l’oceano.
È una giovane minuta, e il suo accento mi porta a pensare che, esattamente come me, anche lei non sia veramente inglese.
Straniera, forse francese.
Annuisco, restando comunque a debita distanza da quella sottospecie di donna dal seno per niente prominente.
Una bambina.
Una bambina con la mano tesa verso di me, mano che non avrei mai toccato.

« Sono felice di conoscerti Paul, io sono Skyler. »

 
   
 
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