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Autore: Sandra Sammito    19/04/2016    2 recensioni
«Fino a stamattina non credevo che volessi uccidere i miei amici, credevo che avessi sorvolato sulla questione…»
«Ho solo atteso che sconfiggessero il male superiore, per abbatterli al momento giusto.»
«Non sono animali. Sono persone. Sono adolescenti come me. Sono miei amici.»
«Erano.» precisò lo sceriffo, rivolgendo lo sguardo sui corpi inerti di Scott e Lydia.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lydia Martin, Sceriffo Stilinski, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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DOMINO
 
Stiles Stilinski si tirò a sedere improvvisamente sul letto, svegliandosi da un terribile incubo da cui non riusciva a separarsi. Da quando si immerse nell’acqua gelata insieme ai suoi due amici Scott Mccall ed Allison Argent, al fine di trovare il Nemeton e salvare suo padre da un deplorevole e sanguinario sacrificio, la sua vita cambiò radicalmente. La notte era tormentato dagli incubi e, nel momento in cui era desto, in realtà scopriva di essere ancora intrappolato nel sogno, ostacolato da un domino interminabile.
Mise i piedi nudi fuori dalle lenzuola e corse a prepararsi per affrontare un’altra giornata scolastica, all’insegna del tormento più che dello studio. Lo sceriffo Stilinski, nonché suo padre, si rabbuiò alla vista di suo figlio, dall’aspetto ottenebrante e depresso. Non era solito di Stiles fare colazione a casa, perciò abbrancò il suo zaino, incamminandosi verso l’uscita. Suo padre, però, gli ostruì il passaggio, ponendosi d’ostacolo davanti a lui e gli ispezionò il viso, quasi per trarne qualche spiegazione razionale.
«Figliolo. Va tutto bene? Vuoi che ti accompagni a scuola?» chiese, apprensivo.
«Papà. Quando mai ho avuto bisogno del tuo passaggio. Mi pare chiaro che da quando possiedo la Jeep, sia diventato indipendente. O sbaglio?». Stile, allora, cercò di superare il padre, ma quest’ultimo continuò imperterrito a porsi davanti.
«Lo so. Ma hai una brutta cera…»
«Ho solamente dormito poco.» si giustificò Stiles, ormai arresosi all’interrogatorio paterno.
«C’entrano per caso gli eventi sovrannaturali, perennemente presenti nella tua vita?»
«Faccio tardi a scuola.» deviò Stiles.
«Dimmi, c’è qualcosa di cui sono all’oscuro?»
«Papà, apprezzo che tu ti preoccupi per me, ma ciò non vuol dire che, ora che sei a conoscenza del mondo sovrannaturale, mi tartasserai ogni minuto di domande.»
«Va bene. Va bene.» disse lo sceriffo, alzando le mani in segno di arresa. «Vai pure a scuola. Ci vediamo più tardi.»
Esultando sommessamente, Stiles salì sulla sua amata Jeep e partì in direzione della Beacon Hills High School. Giunto sul luogo, si diresse a passo spedito verso l’entrata principale, alla ricerca del suo amico Scott. In quel momento avrebbe voluto possedere l’udito e l’olfatto da lupo per riuscire ad intercettare l’amico il più in fretta possibile. Fortunatamente Scott lo precedette, avvertendo l’arrivo dell’amico, e gli andò incontro, sorridente.
«Ehi. Cos’è quella faccia?» chiese Scott, dando una pacca sulla spalla dell’amico.
«Pure tu?! Comunque è proprio di questo che volevo parlati. Continuo a fare strani incubi la notte.» asserì Stiles, una goccia di sudore gli grondò dalla fronte.
«Ad esempio?»
«Stanotte ho sognato che correvo senza meta nel bosco, ma sapevo che qualcuno mi stesse rincorrendo. E quando sono arrivato davanti a un dirupo, voltandomi indietro ho trovato il tuo cadavere, e anche quello di Allison, Lydia e Derek, in mezzo alle frasche.»
«E poi?»
«E poi mi sono svegliato.»
«Sembra che non ci sia niente di terrificante.»
«Appunto. Sembra. Perché quando sono sceso al piano di sotto, in realtà non ero più a casa, ma mi trovavo nella zona caldaie della scuola e non c’erano porte da cui poter uscire. Ho sbattuto i pugni sui muri così tante volte che il dolore sembrava reale. Finché i muri hanno cominciato a restringersi, fino a soffocarmi. A quel punto mi sono svegliato e ora sono qui.»
«Dobbiamo parlare con Deaton e capire cosa ti stia succedendo. È molto strano!»
«Cos’è strano?» domandò Lydia, intromettendosi nella discussione.
A Stiles si aggrovigliarono le budella alla vista di quello splendore di ragazza, la quale quel giorno era più raggiante che mai.
«Il fatto che Stiles faccia strani sogni la notte.» rispose Scott.
«Incubi Scott. Incubi.» lo corresse Stiles.
«Ti capita da quando sei morto per un paio d’ore?» chiese Lydia, apparentemente preoccupata.
«Sì. Sono arrivato al punto di non capire se sia un incubo o la realtà. Penso che…»
Stiles s’interruppe quando le luci dei corridoi della scuola si spensero d’un tratto, inducendo tutti i ragazzi a chiedersi cosa fosse accaduto.
«Blackout.» disse Lydia.
«No. Sento che c’è qualcosa che non va.» aggiunse Scott, in allerta e facendosi guardingo.
Lydia, o per istinto o per protezione, si aggrappò al braccio di Stiles, il quale irrigidì i muscoli, teso come un manico di scopa.
«Scott. Cosa c’è?» chiese Stiles, mentre il licantropo annusava l’aria per intercettare la presenza o meno del pericolo.
«C’è tuo padre. E c’è anche una scorta di polizia.» rispose Scott, dubbioso.
«Mio padre?» si domandò Stiles, incredulo. «Sarà accaduto qualcosa.»
Il mormorio dei ragazzi in corridoio cessò bruscamente all’udire un grido di comando.
«Fate largo!» urlò lo sceriffo Stilinski.
«Ma che succede?» chiese Lydia, con voce rauca.
Lo sceriffo avanzò nel corridoio, trascinandosi una squadra di polizia. Tutti armati e, arrestando l’avanzata, si tennero pronti ad aprire il fuoco.
«Sono loro.» avvertì aggressivo lo sceriffo, additando in direzione dei tre ragazzi.
E Stiles, guardandosi alle spalle, si rese conto che fossero gli unici che suo padre stesse indicando.
«Sono loro i mostri. Sparate!» ordinò lo sceriffo.
Si aprì il fuoco, senza lasciare via di scampo ai loro oggetti del mirino. Il primo ad essere colpito da cinque colpi di pistola fu Scott, ma la sesta pallottola in testa e la settima in gola lo neutralizzarono, uccidendolo. Si accasciò a terra, su una pozza di sangue. Anche Lydia, simultaneamente, fu colpita da due colpi di pistola ma, non possedendo alcun potere di guarigione, bastò un attimo per demolirla spietatamente. Stiles non ebbe il tempo necessario per gestire la situazione e formulare un piano, difendere i suoi amici e salvarsi la pelle. Non capiva perché suo padre avesse dato l’ordine di sparare. Probabilmente non digerì affatto la storia dei licantropi e fece prevalere il suo basilare ruolo da sceriffo il cui compito era quello di proteggere la città dal pericolo.
«Papà, aspett…» Stiles non fece in tempo a fermare il padre, che’ fu sfiorato alla spalla da una pallottola. Gemette per il dolore e indietreggiò, rantolante. Il fuoco cessò quando lo sceriffo diede l’ordine di non sparare a suo figlio.
«Papà. Perché lo stai facendo?» chiese Stiles, implorante.
«Questa storia deve finire. I tuoi amici non sono altro che degli orrendi obbrobri e non posso starmene con le mani in mano e assistere alla distruzione della città per causa loro.» rispose suo padre, con tono austero.
«Fino a stamattina non credevo che volessi uccidere i miei amici, credevo che avessi sorvolato sulla questione…»
«Ho solo atteso che sconfiggessero il male superiore, per abbatterli al momento giusto.»
«Non sono animali. Sono persone. Sono adolescenti come me. Sono miei amici.»
«Erano.» precisò lo sceriffo, rivolgendo lo sguardo sui corpi inerti di Scott e Lydia. «Adesso fatti da parte…»
«Cosa dirai a Melissa? Che hai ucciso suo figlio senza dargli una chance? E Lydia…». Stiles cominciò a singhiozzare. «Tu… Tu non hai pensato minimamente alle conseguenze. Come credi di spiegare a tutta Beacon Hills questa tua stupida decisione di uccidere degli adolescenti, per giunta indifesi per i corridoi di un liceo, e passarla liscia?»
«Sta’ zitto, Stiles!» lo redarguì il padre, colpendolo con un forte ceffone in viso.
Il colpo fu così violento, da indurre Stiles a barcollare, stordito. Mai in tutta la sua vita suo padre ebbe attacchi dispotici e aggressivi nei suoi confronti. “Ha completamente perso il senno” pensò Stiles, con il viso rigato di lacrime. Al dolore alla spalla si aggiunse quello emotivo nel vedere i suoi amici, privi di vita, stesi sul pavimento. Ripensò a pochi attimi prima in cui entrambi sorridevano spensierati e parlavano serenamente. Scott Mccall addirittura, il vero Alfa, abbattuto da una squadra di polizia. Una morte stupida e disonorevole.
«Adesso andiamo nel loft di Derek Hale. Lui è uno di loro.»
Questo è ciò che Stiles udì uscire dalla bocca di suo padre e, nonostante in serbo non avesse più alcuna forza di parola, si catapultò dinanzi a suo padre con la furia di un toro.
«Tu non ucciderai più nessuno.» asserì con tono persuasivo.
«Non interferirai nel mio lavoro, Stiles.»
La polizia si dileguò, ma alcuni di loro rimasero al liceo per chiamare il 911 e trasportare i cadaveri nell’obitorio dell’ospedale. Stiles fu obbligato a restare al liceo dai poliziotti di guardia. Tuttavia, non appena si distrassero, corse via dal liceo, occhiato dai mille occhi indiscreti dei ragazzi, tramortiti dall’evento. Avrebbe dovuto rattristirsi per la morte dei suoi due amici, ma in quel momento prevalse l’istinto di protezione nei confronti di quelli rimanenti e ancora in vita.
Salì sulla Jeep e seguì l’auto dello sceriffo. Conosceva una scorciatoia per arrivare al loft di Derek, prima dei poliziotti. Premette sull’acceleratore e, con suo sollievo, giunse sul luogo quando ancora non c’era traccia di suo padre e della sua squadra. Si addentrò nell’edificio e, a passo largo, raggiunse l’ultimo piano. Da un lato sperò di non trovare Derek, così egli avrebbe avuto una chance per salvarsi. Quando aprì il portellone pesante, entrò in un loft completamente vuoto e, pur urlando il nome di Derek, questo non uscì fuori.
Non era lì.
Il sangue aveva imbrattato la felpa di Stiles e gocciolava sul pavimento, mentre lui tornava sui suoi passi per raggiungere la Jeep. Si stranì, però, che la polizia non fosse ancora giunta sul luogo e non avesse fatto irruzione nell’abitazione. Accese il cellulare e chiamò Derek. Tre, quattro, cinque squilli e partì la segreteria telefonica.
«Dove sei, Derek?» domandò a se stesso.
Gli scrisse un messaggio.
 
Dovunque tu sia nasconditi, perché la polizia ti sta cercando per ucciderti.
Stiles.

Inviato ore 08:47 a Derek.
 
Attese dei minuti la risposta, finché non vibrò il cellulare.
 
Raggiungimi a casa di Scott. Devo parlarti.
Isaac.

Ricevuto ore 08:54 da Isaac.
 
Stiles rifletté poco e niente, poiché partì con la sua Jeep, in direzione di casa Mccall. Una volta lì, sostò l’auto e si trascinò svelto dentro casa. Da subito le parve silenziosa in un modo sinistro, tant’è che ebbe un brutto presentimento.
«Isaac.» urlò Stiles dal piano di sotto. Non ricevette risposta, finché sentì un tonfo proveniente dal piano di sopra. Salì a due a due le scale e si precipitò nella camera di Scott. Sul pavimento, riverso e con gli occhi esanimi, ci stava Isaac. La sua gola era squarciata da un taglio profondo e dalle sue labbra colavano righe di sangue. Il suo cellulare era frantumato in mille pezzi accanto al corpo e, sotto i pezzi, ci stava una foto. Stiles la raccolse e sussultò quando, ritratto nella foto, c’era Derek, con il viso martoriato e cicatrici profonde sul collo. Era già stato ucciso. “O mio dio!” esclamò Stiles, buttando la foto sul letto.
Ritornando ad Isaac, pensò che se udì il tonfo dal piano di sotto, voleva dire che l’uccisione fosse stata recente. Ma chi era stato?
«Ciao Stiles.» disse una voce alle sue spalle.
Quando Stiles si voltò, rabbrividì di terrore. Ebbe un tuffo al cuore e il suo stomaco era in tumulto. Perse l’equilibrio, le sue gambe tremavano e avrebbero ceduto a breve.
«Mamma?!» esclamò, con gli occhi offuscati.
«Sì, sono io.» rispose Claudia Stilinski, che impugnava con la mano destra una lama seghettata e spaventosamente appuntita e affilata.
«Non è possibile. Tu sei morta!»
«Questo è ciò che ti ho fatto credere e, con l’aiuto di qualcuno, sono riuscita a fingermi malata e, in seguito, morta agli occhi di tutti. Ma…». Claudia divaricò le braccia, come per mostrare tutto il suo corpo in carne e ossa. «Come vedi sono qui. Non vieni ad abbracciare tua madre?»
«Che cos’hai fatto? Hai ucciso Isaac?» chiese Stiles, dimenticando per un attimo che davanti a lui c’era la madre creduta defunta.
«Certo. E anche Derek. È il mio lavoro.» ammise, pulendosi la lama sui vestiti del cadavere.
«Non credo di aver capito.»
«Stiles. Sono una cacciatrice. Mi sono allontanata da voi solo per tenervi lontani da questo mondo e compiere il mio lavoro, senza la vostra presenza in giro.»
Stiles si sentì come essere spiaccicato da un treno sopra le rotaie. Cacciatrice?
«Ma tu ci vivi già dentro. Evidentemente ce l’abbiamo nel sangue.»
«Io non sono un cacciatore. Non uccido e né bramo di farlo.»
«Hai il cuore troppo debole, proprio come tuo padre.»
«Non direi. Ha appena ucciso due miei amici.»
«E secondo te, chi gli ha detto di farlo?»
Stiles esitò un momento, ma poi capì.
«Sei stata tu?»
«Esatto Stiles. Sono stata io. L’ho indotto a confondergli le idee, facendogli credere che la mia apparizione davanti ai suoi occhi fosse solo un sogno. Gli ho detto che doveva aprire gli occhi, che doveva compiere il suo dovere. Doveva proteggere suo figlio da questi esseri mostruosi che popolano la città. E ci sono riuscita.». La sua voce era ricca di superbia e orgoglio, che portò Stiles a irritarlo.
«Sai qual è la cosa più brutta in questo momento? Il sapere che tu sei viva per condurre alla morte le uniche persone che sono riuscite a colmare il vuoto nel mio cuore, causato dalla tua assenza. Così facendo, stai uccidendo anche me.»
Claudia parve addolorarsi per le parole del figlio, ma mascherò rapidamente il suo risentimento con un sorrisino sarcastico.
«Be’ ora ci sarò a farti compagnia.»
«Io ti odio. Non voglio avere niente a che fare con te.» strillò Stiles, facendo per andarsene.
«Aspetta Stiles.» si affrettò a dire Claudia, per fermare il figlio. Stiles si bloccò agli stipiti della porta e si voltò verso la madre, mordendosi le labbra fino a farle sanguinare.
«Che vuoi?»
Claudia si avvicinò lentamente al figlio, cambiando la sua espressione. Tornò ad essere così come Stiles la ricordava, solare, sorridente e affettuosa. Protese la mano sul suo viso e glielo accarezzò, sfiorandolo flebilmente. Poi, sorridendogli ancora, alzò l’altra mano e la sospese davanti agli occhi di Stiles.
«Quante dita vedi?» chiese.
Stiles cominciò a contare. Uno, due, tre, quattro, cinque… Sei e sette. «Sette?»
«SVEGLIATI!» urlò sua madre, dandogli uno spintone. «STILES. SVEGLIATI!» urlava ancora sua madre.
«Stiles. Svegliati!». Questa volta non era più la voce di sua madre a esortarlo a svegliarsi, ma quella di suo padre. Quando Stiles aprì gli occhi, era disteso sul suo letto e suo padre lo guardava dall’alto, scuotendolo.
«Finalmente. Era ora che ti svegliassi. Farai tardi a scuola.» disse lo sceriffo.
Stiles era madido di sudore e le lenzuola altrettanto.
“È stato tutto un sogno?” si chiese, tirandosi a sedere.
«Ti chiamo da più di cinque minuti.» disse infine suo padre.
Stiles gli afferrò la mano repentinamente e iniziò a contare le sue dita. Erano cinque.
«Stiles, sei impazzito? Che stai facendo?»
«Nulla.» rispose frettolosamente Stiles.
«Okay.». Lo sceriffo rimase sorpreso dall’atteggiamento ambiguo del figlio e fece per andarsene dalla stanza, ma Stiles lo fermò con una domanda.
«Papà. Se ti dessero l’ordine di uccidere i lupi mannari e tutti gli esseri sovrannaturali della città, a costo di uccidere anche i miei amici, tu lo faresti?»
«Certo che no, altrimenti come potrei risolvere i miei casi irrisolti?» rispose lo sceriffo, con un sorriso sincero e uscendo dalla camera.   

 
ANGOLO DELL'AUTRICE
 Ciao a tutti. Vorrei precisare che è la prima volta che
mi imbatto in una fanfiction e, dato che sono
un'appassionata di serie TV, in particolar modo di
Teen Wolf, ho pensato di inventare anch'io qualcosina.
Spero vi piaccia!
  P.S. Perdonate la lunghezza, ma quando parto a scrivere non la smetto più.

 
   
 
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