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Autore: AnyaTheThief    19/04/2016    6 recensioni
Athos camminava scalzo sulla terra battuta e fredda. I suoi passi sollevavano polvere in quantità eccessiva rispetto alla velocità con cui avanzava. Quel luogo era angusto e claustrofobico, il soffitto sembrava potergli cadere addosso da un momento all’altro, le pareti nere, scure e umide, l’odore di muffa e di qualcosa di marcio gli penetrava nelle narici.
Ma non poteva andarsene. Qualcuno lo chiamava.
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Athos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non aveva idea di come fosse finito in quel posto, ma presto realizzò che si trattava di un sogno.
Athos camminava scalzo sulla terra battuta e fredda. I suoi passi sollevavano polvere in quantità eccessiva rispetto alla velocità con cui avanzava. Quel luogo era angusto e claustrofobico, il soffitto sembrava potergli cadere addosso da un momento all’altro, le pareti nere, scure e umide, l’odore di muffa e di qualcosa di marcio gli penetrava nelle narici.
Ma non poteva andarsene. Qualcuno lo chiamava.
“Athos…” una voce flebile sussurrava il suo nome, a volte gli sembrava che fosse proprio di fianco al suo orecchio, altre volte la sentiva molto lontana e soffocata. Ma sapeva esattamente dove andare. Dopotutto era in un sogno, non aveva logica.
Il corridoio stretto si apriva in due celle, anch’esse tetre e dalle pareti tutte nere. Un odore nauseabondo proveniva da quella direzione. Athos venne scosso dai brividi e per un attimo pensò di potersi risvegliare all’improvviso, ma non successe nulla del genere: rimase soltanto paralizzato per alcuni brevi secondi, incapace di proseguire. Voleva davvero vedere cosa c’era all’interno di quelle celle?
Un mugolio lo riscosse e lo convinse a continuare. A prima vista la cella appariva vuota, tanto che stava per proseguire verso quella adiacente, convinto che quell’odore nauseabondo e la voce provenissero da lì, ma poi la udì di nuovo.
“Athos…”
E poi lo vide.
Si appoggiò alle sbarre per scrutare un mucchio di stracci accovacciato in un angolo. Era una persona? Avvicinandosi lentamente vide ciocche di capelli spuntare dai vestiti, se così si potevano chiamare, ciocche bionde, lunghe ed arruffate. Ma era così piccola che poteva essere soltanto una bambina.
Athos provò a parlare, ma non gli uscì alcun suono dalla gola. O forse sì. A volte, nei sogni, non è possibile sentire la propria voce mentre si parla.
Ma comunque, i sogni, spesso sono irrazionali. Quindi anche se Athos non aveva parlato, lei alzò la testa e confermò i suoi sospetti.
Una bambina, poteva avere sì e no 7 anni. Un piccolo fantasma smorto, pallido, magrissimo. Lo guardò negli occhi per un istante che gli parve infinito.
- Questo lo ricorderò per un po’, quando mi sveglierò - si trovò a pensare, tanto gli aveva fatto impressione quell’immagine. Ma ora era svanita.
La bambina si era alzata.
I vestiti le erano caduti di dosso come petali di un fiore che si staccano e le ossa le si vedevano attraverso la pelle. Athos distolse lo sguardo, non più perché gli faceva impressione ma per semplice pudore.
“Sei tu che mi chiami?” le chiese, o forse no.
“Athos…” la sentì nuovamente. Ma non sapeva se era stata lei, perché non la stava guardando. Aveva paura a riaprire gli occhi, pensava di potersela ritrovare davanti. E sapeva che era fottutamente irrazionale, perché era una bambina, non poteva avere paura di una bambina denutrita, ma era terrorizzato.
“Perché sei qui? Cosa vuoi? Vuoi uscire?” chiese, quasi disperato. Non sapeva perché, quella visione aveva fatto vacillare qualsiasi sicurezza. “Perché sei qui?! Cosa vuoi?!” si trovò a ripetere con più veemenza, per essere sicuro che lei gli rispondesse, e in fretta. Voleva andarsene.
“Ho… Ho parlato…” disse lei, con un fil di voce incerto.
“Che cosa vuol dire?” una ventata di profumo gli sfiorò le narici e fu quasi tentato di aprire gli occhi, ma non lo fece. Preferiva continuare a guardarsi attorno, si concentrava su qualsiasi cosa. Un ratto era già passato per due volte sui suoi piedi nudi, ma preferiva guardare quello che sollevare gli occhi.
“Ho parlato.” ripeté lei. Ma non era sicuro che fosse ancora lei, la voce sembrava essere cambiata, sembrava più adulta e sicura.
“Cosa significa, per Dio?!” Athos tremava, ma non voleva più andarsene. Sollevò lo sguardo, in preda alla rabbia. Perché non voleva spiegarglielo? Non ci capiva nulla.
La bambina non c’era più.
Una bellissima ragazza tutta nuda lo guardava negli occhi con la faccia di chi ha appena avuto una rivelazione. Le guance piene, gli occhi azzurri, i lunghi capelli biondi e setosi che le coprivano il seno. Era molto più pulita di lui, nonostante poco prima non fosse altro che una bambina sporca e quasi morta.
Athos non riuscì più a distogliere lo sguardo. Tremò di nuovo, ma per il motivo opposto.
Lei gli sorrise maliziosa e complice e si avvicinò alle sbarre ancheggiando.
“Ho parlato.” disse, senza muovere la bocca.
Athos non seppe più rispondere. Si aggrappò al freddo metallo e cercò di aprire la cella, che però non aveva una porta. Erano soltanto sbarre conficcate nel terreno e nella roccia.
Fu lei ad avvicinarsi ancora. Lo guardò con l’espressione desiderosa di un assetato nel deserto che vede l’oasi in lontananza. E gli sfiorò una mano.

“Mi violenta da quando ero bambina.” era lei, la ragazza bellissima, che parlava ad una donna. Athos sentì la guancia bruciargli come se quello schiaffone lo avesse ricevuto lui, ma poi tornò a vedere la scena dall’esterno.
“STREGA!” urlò l’altra donna, e Athos sentì il cuore della ragazza spezzarsi. Poi sentì un calore espandersi dai suoi piedi e raggiungergli il viso, pensava di poter andare a fuoco da un momento all’altro, e poi vide che c’era davvero del fuoco davanti a lui.
“E’ STATO LUI!! E’ STATO LUI!!” era sempre lei che gridava, legata ad un palo, decine di persone attorno. Un uomo aveva una torcia accesa in mano. Lui non poteva vederla, ma sapeva che lei era lì in mezzo, perché la sentiva urlare.
“NON HA CONFESSATO I SUOI PECCATI…”
Non sapeva chi stava gridando, le voci si mescolavano nella sua testa insieme allo screpitìo del fuoco e al rumore di passi e si sentiva bruciare. Non capiva nemmeno dove si trovasse rispetto alla pira.
“... HA SEDOTTO E POI ACCUSATO IL VESCOVO…”
“NON HO FATTO NIENTE!”
“... TRASCINANDOLO NEL SUO LETTO…”
“SI E’ UCCISO DA SOLO!”
“... E BARBARAMENTE AMMAZZANDOLO…”
“AAAAAAAH! FA MALEEEE!”
“STREGA!”

Athos si ritrasse, scosso. Controllò di avere tutta la pelle ancora al suo posto. Pensava che gli si fosse staccata di dosso. Aveva avuto la sensazione di sentirla squagliarsi tra le fiamme, poteva ancora sentire l’odore di carne bruciata, pungente, e gli venne da vomitare.
Lei lo guardava e sorrideva.
“Perché?”
“Ho parlato.”
Sembrava saper dire solo quello. Athos tornò a guardarla. Non voleva smettere di farlo: era bellissima. Le prese la mano attraverso le sbarre, e queste si dissolvettero nel nulla. C’erano solo loro due, in quella cella tetra. Lei lo trascinò verso di sé.
“Perché sei qui?” provò a chiedere di nuovo.
- Cercano di farcelo dimenticare - la sua voce gli giunse anche se lei non aprì bocca.
“Cosa?”
- Di aver parlato. Te ne fanno vergognare e ti fanno diventare così. - gli fece cenno di nuovo verso l’angolo, nel quale, con grande sorpresa di Athos, era tornata la bambina accovacciata.
“Sei tu?”
- La mia anima. Quando tutto iniziò.- 
Athos altalenava lo sguardo dal mucchio di stracci alla Venere davanti a lui. Stentava a credere che fossero la stessa persona.
La ragazza gli si avvicinò di più e gli posò le mani e la guancia sul petto.
“Grazie” gli disse in un sussurro.
“Per cosa?” domandò lui, sorpreso ed incapace di reagire.
“Per avermelo ricordato.”
Ci fu un silenzio mortale. Athos credette che il sogno fosse finito, ma non riusciva a riprendere conoscenza. Tutto ancora sembrava vivido, il calore del corpo della ragazza sembrava così vero…
“Perché sono qui?” domandò, facendole sollevare il capo di scatto. Lo guardò tra il sorpreso e il divertito e Athos iniziò a temere.
“Non lo sai?”
Athos scosse il capo lentamente, seguendo il movimento della mano di lei con lo sguardo. La sollevò e gli puntò un indice all’altezza del cuore. In quel momento si accorse che quel punto gli doleva particolarmente e con una smorfia si scostò la camicia. C’era un buco. Un foro di proiettile, del sangue rappreso.
Ed era dannatamente vero.
“Anche tu.” gli disse lei, le cui gote si erano colorate di un rosa acceso.
“Non capisco!” replicò lui, sconvolto. Quando si sarebbe svegliato? Non gli piaceva più quel sogno. Voleva uscire. La ragazza gli si avvicinò di nuovo, gli cinse il collo con le braccia e si accostò al suo orecchio.
“Hai parlato.” miagolò in tono soddisfatto.
D’un tratto gli tornò tutto in mente. Aramis… Dopo che il Re lo aveva fatto giustiziare, era cambiato tutto. Non poteva più tenerselo dentro, e…
Cosa gli era saltato in mente? Lo aveva fatto davvero, aveva “parlato”, aveva detto cose orribili al Re, al suo Re.
Si mise le mani tra i capelli, allontanandosi bruscamente dalla ragazza, che rimase a guardarlo con espressione comprensiva, passandosi le mani tra i capelli.
“Non devi.” gli disse in tono calmo e pacato, mentre lui vagava per la stanza come un’anima errante.
“Sono…?” domandò Athos a se stesso, con voce spezzata e gli occhi lucidi.
“Nel migliore dei modi.” lo rassicurò. “Hai parlato.” intervenne lei.
“SMETTILA DI DIRLO!” sbottò improvvisamente.
Lei lo fissò torva. Le sbarre erano improvvisamente ricomparse, rinchiudendoli di nuovo nella cella angusta.
Athos si guardò attorno in cerca di una via d’uscita.
- Non fare così. - si sentì dire, anche se lei non mosse la bocca. La bambina nell’angolo aveva fatto uscire gli occhi incavati dal mucchio di stracci e lo fissava con lo stesso sguardo della ragazza.
“FATEMI USCIRE!” gridò addosso a lei. “Devo andarmene. Io non volevo dire… Io non ero in me quando ho detto quelle cose!” cercò di spiegarsi.
La ragazza continuò a guardarlo torvo. Inclinò la testa, fissando un punto dietro le sue spalle. Athos si voltò con un senso di inquietudine nel petto, sentiva che c’era qualcun altro lì.
Sussultò nel vederlo. Era lui, ma non era lui. Era pallido quasi quanto la bambina nell’angolo opposto, smorto. Seduto a terra in una pozza di vino e chissà cos’altro, emanava un fetore insopportabile. Gli ricordò se stesso appena dopo l’esecuzione di Aramis.
Quando tutto era iniziato.
- Non fare così. O tu diventerai lui. - lo avvertì di nuovo la voce, mentre la ragazza lo guardava cupa e quasi minacciosa.
Athos capì.
“Ho parlato…” sussurrò in un mugolio strozzato. Lei gli tornò a sorridere.
Lo accarezzò in viso.
“Ho parlato…” ripeté lui, più incredulo che orgoglioso, ma una delle sbarre parve quasi scomparire per un istante.
- Non te ne vergognare. -
“Per il mio amico. Per Aramis, io ho parlato.” ripeté convinto. L’odore insostenibile sembrò venire sostituito da quello dei capelli di lei, che gli ricordavano il profumo dei fiori.
- Hai pagato per questo, ma era giusto! -
“E’ stato giusto. E’ stata la giusta cosa da fare.” gli parve di sentire un sussulto alle sue spalle. Si voltò, ma il suo fantasma non c’era più. Non aveva lasciato nemmeno la pozza maleodorante a terra. Era mai esistito? La bambina ancora lo fissava dal suo angolino.
- Lui tornerà. Ma imparerai a conviverci. Ti dirà delle cose. - 
Athos tornò a guardare la ragazza e si rese conto che il rossore sulle sue gote era del tutto innaturale.
- A volte ti sembrerà che abbia ragione. -
Il viso della ragazza stava prendendo una piega strana, anche se lei sorrideva. Sembrava quasi che si stesse squagliando come cera.
- Ti sentirai in colpa. - 
La bambina si era alzata in piedi e stava camminando verso di loro.
“NO!” Esclamò Athos, prendendo una mano alla ragazza e cercando di scuoterla. “Hai scelto di parlare e non devi pentirtene! Guardami! Guardami…” si rese conto di non sapere nemmeno il suo nome.
In un singulto la ragazza si riscosse e tornò normale. Riprese fiato, poi guardò Athos che ancora le stringeva la mano. La bambina era tornata al suo posto.
Sorrise, poi rise, e Athos pensò che fosse la cosa più bella che avesse mai visto, nonostante fosse ancora spaventato. “... Ambre…” mormorò. Non aveva idea di come potesse conoscere il suo nome, ma gli scivolò fuori dalle labbra spontaneamente.
Ambre sorrise annuendo.
“Grazie.”
  
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