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Autore: GirlWithChakram    22/04/2016    2 recensioni
Janice Covington e Melinda Pappas, dopo aver recuperato le mitiche pergamene di Xena, trovano, tra i numerosi appunti di Harry Covington, un indizio che rivela la presenza di altri scritti perduti. Le due amiche dovranno dunque attraversare la Grecia, dilaniata dal conflitto mondiale, nella speranza di sopravvivere anche a questa avventura, tra incontri, scontri ed imprevisti, per portare alla luce l'antico tesoro e forse qualcosa di più.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altro Personaggio, Gabrielle, Xena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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JANICE COVINGTON & MELINDA PAPPAS
in:
The incredibly true story of two friends on a quest



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Diario di Melinda P. Pappas
28 Aprile 1942, pressi di Kavadarci, Macedonia.
Sono passate due settimane da quando ho incontrato la Dr.ssa Covington e da quando abbiamo scoperto la tomba contenente il più grande tesoro dell’antichità: le pergamene di Xena. Dopo lo scontro con Ares, l’esplosione del sito e la partenza di Jack Kleinman, che si è accidentalmente impossessato degli scritti, la Dottoressa ed io abbiamo continuato a tradurre alcuni testi posseduti dal defunto Harry Covington, scoprendo che quelle rinvenute non sono che una parte del lascito del bardo. La nostra missione ora è quella di muoverci fino alle rovine di Potidaea attraverso questa terra, divisa dal conflitto mondiale, alla ricerca dei testi perduti.

«Muoviti!» gridò la figura davanti a me, che mi stava a poco a poco distaccando «Più veloce!»
Avrei voluto farle presente che non avevo le calzature adatte per quel tipo di attività, né tantomeno l’abito più consono. Avrebbe dovuto avvisarmi che ci sarebbe stato da correre.
La vidi balzare agilmente a bordo del mezzo che stava riprendendo la corsa. «Mel!» mi chiamò, sbucando dal portellone aperto del treno.
Io diedi fondo a tutta la mia riserva di energia.
«Afferra la mia mano» disse, offrendomi aiuto.
«Posso farcela da sola» rantolai.
«Non fare la testarda, forza!»
Mi aggrappai a lei e mi lasciai issare dentro il puzzolente vagone merci. La travolsi completamente, facendo precipitare entrambe su un cumulo di quella che un tempo doveva essere stata paglia.
«La prossima volta compriamo i biglietti» commentai stizzita, recuperando gli occhiali e ripulendo la preziosa gonna, ormai irrecuperabilmente sgualcita per via di quell’imprevista dose di attività fisica «E saliamo ad una stazione, come le persone civili.»
«Come le persone noiose, vorrai dire» mi rispose Janice, spolverando il proprio cappello «Dov’è il tuo senso dell’avventura?»
«Credo che mi sia caduto mentre costeggiavamo i binari ad una velocità folle» replicai.
«Peccato che non ti sia caduto di tasca il sarcasmo.»
Ridussi gli occhi a due fessure e la fulminai. «Non hai il diritto di fare dello spirito. Sono atterrata su un indefinito strato di sudiciume che, per colpa tua, mi farà compagnia molto a lungo.»
«Senti, principessa» ringhiò col suo tono da dura «Se vuoi, fai ancora in tempo a scendere e continuare questa impresa per conto tuo. Nessuno ci obbliga a cercare le pergamene insieme.»
«Allora è quello che farò! Arriverò a Potidaea da sola, viaggiando come si confà ad una signorina beneducata.»
La Covington scosse la testa. «Non dureresti mezza giornata.»
«Invece sì. Anzi! Arriverei addirittura prima al sito, se non ti avessi come zavorra.»
Mi scoccò un’occhiata di fuoco. «Devo buttarti giù al treno a calci o scendi da sola?»
«Prova a sfiorarmi e userò le abilità di Xena contro di te» dissi minacciosamente.
In tutta risposta, Jan scoppiò a ridere.
«Sono seria» sbuffai, sistemando gli occhiali, che mi erano scivolati sulla punta del naso.
«Certo, come no» sghignazzò, riprendendo fiato tra le risa «Melinda “Imbranatissima” Pappas ora mi assalirà con le mosse della Principessa Guerriera! Fa ridere solo a pensarlo!»
«Il mio secondo nome non è quello! È Panphila!»
Lei riprese a ridere più forte, facendomi irritare oltre ogni misura.
Serrai i pugni e li portai davanti al viso con fare intimidatorio.
«Fatti sotto, Panphila» mi sfidò, assumendo la stessa posa.
Iniziai a fare qualche passo incerto, molleggiando un po’, per convincerla che ero seria. A mano a mano che mi avvicinavo, mi spostavo leggermente di lato, con l’intento di aggirare la mia avversaria.
«Hai intenzione di colpirmi o aspetterai che il treno arrivi fino in Grecia?» mi canzonò, saltellando sul posto, sollevando una leggera nube di polvere «La gattina miagola soltanto o ha anche gli artigli?» continuò, lanciandomi occhiate di sfida con un ghigno sbeffeggiatore.
L’urgenza di cancellare quell’espressione dal suo viso mi fece fare uno scatto di cui non pensavo di essere capace. Per un istante mi sembrò di essere nuovamente posseduta da Xena, ero certa di poter affrontare l’irriverente biondina ed avere la meglio.
Purtroppo il tacco della mia scarpa sinistra non la pensò allo stesso modo, tradendomi. Si incastrò nello spazio tra due assi del pavimento e si spezzò.
Imprecai contro tutti gli dei dell’Olimpo, mentre perdevo l’equilibrio, precipitando verso un doloroso incontro ravvicinato tra il mio corpo e il legno sudicio.
Ancora una volta, la presa salda di Janice giunse in mio soccorso. Le sue dita si strinsero attorno alle mie braccia e mi tennero in piedi.
Mi rimisi in equilibrio, senza poggiare il piede sinistro a terra, continuando a tenermi alla Covington. Avrei dovuto ringraziarla, ma la rabbia e l’imbarazzo mi avevano serrato la gola.
«Non c’è di che» sbuffò, chinandosi per liberare la mia calzatura fellona. «Mi sa che non te ne farai più molto» commentò poi, porgendomela «Il tacco si è staccato. Te ne serve un nuovo paio.»
Senza rompere il mio mutismo, presi la scarpa e me la rimisi. Mi era difficile camminare, ma non avrei mai e poi mai poggiato il piede nudo su quel lerciume.
Jan si tolse lo zaino dalle spalle ed iniziò a frugarci dentro.
Allungai il collo, tentando di vedere cosa stesse combinando.
«Prendi» ordinò, piazzandomi tra le mani un paio di sandali malconci.
Emisi un verso di disapprovazione, osservando la pelle sgualcita che teneva insieme la suola.
«O questi, o puoi zoppicare fino a Potidaea.»
Sospirai, indossando le nuove calzature e abbandonando le mie vecchie scarpe in un angolo.
«Grazie» sussurrai a denti stretti, quasi sperando che non mi sentisse.
«Come ho già detto, non c’è di che» replicò, continuando ad estrarre cose dal bagaglio, disponendole di fronte a sé. Un sacchetto di carta conteneva tutte le nostre provviste, gli facevano compagnia due borracce d’acqua, una spessa coperta di lana, una malconcia lanterna in ottone e una scatola di fiammiferi.
Non avevamo molto da fare, se non aspettare che il treno proseguisse nella sua corsa. Avevamo calcolato che, bene o male, ci sarebbe voluta una giornata fino a Salonicco. Non mi attirava l’idea di fare tappa in una città sotto il totale controllo tedesco, ma non avevamo altra scelta. Da là avremmo cercato mezzi di fortuna per arrivare fino alle rovine della città di Gabrielle.
Frugai all’interno della mia valigetta per recuperare la sgualcita mappa del defunto Dr. Covington, così da ricontrollare il percorso. Non che ne avessi veramente bisogno, ma era l’unica attività che non prevedesse dialogare con Janice. Avevamo cominciato a tollerarci l’un l’altra durante le settimane precedenti, ma da lì a voler passare il mio tempo a chiacchierare con lei del più e del meno, il passo era lungo. La mia compagna di viaggio era cocciuta, arrogante e non perdeva occasione per sottolineare la mia goffaggine, caratteristiche che la rendevano ai miei occhi una persona piuttosto detestabile. Ma non potevo dimenticare di quanto sapesse anche essere coraggiosa, determinata ed affidabile.
Queste qualità deve averle ereditate da Gabrielle, pensai. Mi sorpresi di quella mia stessa riflessione. Non era la prima da quando lo spirito di Xena aveva preso possesso del mio corpo, ogni tanto mi ritrovavo a credere che lei fosse ancora con me e potesse in qualche modo influenzare la mia mente.
«Sempre con la testa tre le nuvole…» borbottò la figura al mio fianco.
«Eh?»
«Non volevo distrarti dalle tue profonde elucubrazioni, ma ti ho chiesto, per ben due volte, se volessi un po’ d’acqua. Stavo quasi per darmi per vinta.»
Notai la borraccia tesa verso di me e la afferrai. «Grazie» replicai prima di prendere un lungo sorso. Avevo la gola un po’ secca per via della corsa e della polvere che avevo inalato negli ultimi giorni, quell’improvvisa frescura sembrò per un momento alleviare la mia stanchezza.
«Piano, cammello!» mi rimproverò all’improvviso Janice, strappandomi il contenitore di mano «Te ne sei fatta fuori quasi metà! Doveva bastarci per almeno due giorni.»
«Potevi avvisarmi» tossicchiai, cercando ignorare l’ultimo sorso che mi era andato di traverso «Adesso, quindi, come facciamo?»
«Approfittiamo di una sosta del treno per cercare se in giro c’è un punto dove fare rifornimento» mormorò pensierosa «Oppure, se si mette a piovere, potresti tenere il braccio fuori dal portellone e lasciare che la natura ci venga in aiuto» concluse con un sorriso divertito.
«Spero tu stia scherzando!»
«Potrei…» replicò, facendomi l’occhiolino.
Scossi la testa, tornando a concentrarmi sulla mappa. Le rovine di Potidaea distavano una settantina di chilometri da Salonicco. Avevamo due alternative: seguire la strada costiera, più frequentata e a maggior rischio per via delle pattuglie naziste, o prendere i sentieri delle montagne, muovendoci lungo piste poco battute note solamente agli abitanti del luogo. Ovviamente la prima soluzione si sarebbe rivelata molto più rapida, soprattutto se fossimo riuscite a procurarci una macchina. Dovevamo decidere come agire.
Illustrai la situazione a Jan. «Lascio decidere a te come muoverci, dopotutto sei tu l’esperta di lavoro sul campo.»
Lei mi tolse la cartina dalle mani e la osservò. Calcolò grossolanamente le distanze, seguendo il reticolo di percorsi che vi erano segnalati, poi elencò i nomi dei paesi in cui ci saremmo potute procurare del cibo.
La ascoltai senza prestare reale attenzione, il mio interesse era stato calamitato dal paesaggio che potevo intravedere dal portellone mal chiuso. Il sole cominciava a compiere il suo arco discendente ad Occidente, inondando le macchie di vegetazione e i campi coltivati con la sua aura color arancio.
«Ed ancora una volta, è come se parlassi da sola…» si lamentò la Covington.
«Guarda che ho sentito tutto» mentii, continuando a fissare fuori.
«Certo, come no…»
«E va bene» capitolai senza troppe storie «Non ti stavo ascoltando. Potrai mai perdonarmi?»
La bionda si voltò dall’altra parte, ignorandomi.
«Per piacere» dissi con voce mielosa.
Lei, in risposta, sbuffò.
Decisa a farmi dare retta, agii nel modo più sconsiderato possibile. Con una mossa felina, le agguantai il copricapo e mi alzai, portando in alto il braccio con il mio trofeo.
Con la furia omicida negli occhi e una mano sul calcio della pistola, Janice scattò in piedi ed iniziò ad emettere versi del tutto simili al ringhio di un animale feroce. «Giù le zampe dal mio cappello.» Le sue parole sembravano provenire dai più oscuri recessi della sua gola, la sua voce si era abbassata di almeno un’ottava, divenendo inquietante.
Ubbidii senza opporre resistenza, riconsegnandole il maltolto.
Lei, digrignando i denti e palesemente trattenendosi dal riempirmi di insulti, si calcò il cappello in testa e poi si risedette con un tonfo.
«Non devi toccarlo, mai. Da quando ti conosco lo hai già messo in pericolo più volte di quante voglia ricordare» disse dopo aver riportato il proprio tono alla normalità «Era di mio padre, è l’ultimo regalo che gli ha fatto sua madre.»
Rimasi in silenzio, sedendomi accanto a lei.
«Un giorno, se non ti ucciderò prima, potrei decidere di raccontarti la storia che c’è dietro. Fino ad allora, però, non azzardarti neppure a sfiorarlo.»
Trascorremmo il tempo dal calar del sole fino all’alba senza scambiarci un’altra parola. Quando iniziò ad essere buio, ci sdraiammo dandoci le spalle e ci tirammo la coperta fin sopra la testa.
Non si addormentò subito, come me, d’altronde. Ascoltavo il suo respiro controllato, ma non ancora abbastanza lieve da essere sinonimo di riposo.
La temperatura era calata di molto e, benché l’ambiente fosse chiuso, il freddo si era insinuato a poco a poco nel nostro rifugio. Non mi sorpresi, dopo un’ora ormai che ci eravamo coricate, di sentire Janice tremare debolmente, stringersi ancor di più nella giacca e tirare su il bordo della trapunta. Avrei voluto avere almeno un altro straccio da buttarci addosso per scacciare quel gelo, ma tutto ciò che potevo fare era indietreggiare quel tanto che bastava per portare i nostri corpi a combaciare, per condividere un po’ più di calore.
I suoi muscoli dorsali, separati dai miei da tutti gli strati di abiti possibili, presero a contrarsi meno convulsamente mentre la temperatura saliva leggermente per via delle nostre schiene a contatto, poi, passata un’altra mezz’ora, finalmente si limitarono ai lievi movimenti che accompagnavano il sonno. Poco dopo, crollai a mia volta.



NdA: Salve, forse vi ricorderete di me come "la donna che ha lasciato in sospeso l'ultimo capitolo di Second Chance", ebbene sì, sono io, sono tornata. Ma ho una valida (più o meno) scusa per il mostruoso ritardo: mi sono dedicata a questo altro progetto che ora può finalmente essere rivelato al mondo. Nata come One-Shot, questa storia mi ha un po' preso la mano ed ha preteso il proprio spazio nel mondo, quindi eccola qui. Sebbene non sia solita darmi scadenze, questa volta posso farlo avendo pronti i capitoli seguenti, quindi, per lasciarvi un po' di suspense, aggiornerò ogni due settimane, disastri permettendo. Qualche nota sulla trama: ho cercato di rispettare il più possibile gli avvenimenti storici, ma la documentazione arriva fino a un certo punto, quindi ipotizziamo pure che questo sia un Alternative Universe e che la Guerra M0ndiale descritta sia molto simile, ma non identica, a quella vissuta dai nostri avi, in ogni caso, sono ben accette critiche, correzioni e cose simili. Ringraziamento flash a wislava per il suo lavoro di correzione e il solito, doveroso, grazie a chi ha avuto la pazienza di arrivare al fondo di questa spatafiata. A presto.
P.S. La copertina è stata gentilmente realizzata da GingerPhoenix, che all'anagrafe risulta essere mia sorella, ma stiamo ancora aspettando i dovuti accertamenti a riguardo. Se cliccate sul nome verrete rimandati alla sua pagina di DeviantArt, perchè così mi è stato ordinato di fare.
   
 
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