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Autore: Joy2000    23/04/2016    0 recensioni
A volte il destino è proprio strano...decide di far incontrare una ragazzina di strada con un rapper che viene dalla strada. E se nascesse qualcosa tra questi due? Magari un'amicizia che va oltre le apparenze e i pregiudizi? Non vi resta che dare uno sguardo: non ve ne pentirete!
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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ASH POV-- Distavo solo una decina di metri dal punto in cui ero atterrata. Sentii all'improvviso la voce di Jake che urlava «Torna indietro!» e «Tony prendila!» Mi voltai e vidi un suv metallizzato corrermi dietro. Accelerai, ma ovviamente l'auto era più veloce di me. Quel certo Tony scese dall'auto e mi raggiunse, afferrandomi per un braccio.
«Lasciami, brutto stronzo!» gli urlai dimenandomi e cercando di tirargli dei pugni, ma lui era più grande di me e i miei pugni non lo scalfirono. Vidi in lontananza Jake che correva verso di noi e provai a dimenarmi con più forza, pregando Tony di lasciarmi libera. Ma ormai era tardi Jake mi raggiunse. Non facevo che muovermi con forza e agitarmi come un cavallo imbizzarrito, nonostante le voci dei due uomini che mi continuavano a ripetere di calmarmi e di stare ferma. Ma non me ne fregava niente di quello che loro esigevano da me, io volevo essere libera! Ad un certo punto, mentre cercavo di colpire i due uomini senti un dolorino al braccio, simile ad una puntura di zanzara. Mi voltai e vidi Jake con una siringa conficcata nel mio braccio e un sorriso in volto.
«Stai calma, questo ti farà bene!» mi sussurrò. Mi sentii strana. Non riuscivo a respirare. Sentivo il cuore che batteva all'impazzata con l'adrenalina in corpo. Era velocissimo, sembrava che volesse bucarmi il petto e io avevo paura. Ero agitata, come se avessi bevuto dieci caffè. Ma quell'effetto durò 115 secondi contati. Poi mi sentii subito affaticata, con le gambe molli, che non riuscivano a sostenermi. Cedettero, e sarei caduta a terra se non fosse stato per i due uomini che mi tenevano. Sentii un gran sonno e piano piano vidi intorno a me tutto offuscato sempre più appannato, fino a non vedere più niente.
Sentii il mio nome in un sussurro, e aprii piano gli occhi. Vidi sfocato e mi sentivo frastornata, la testa che mi scoppiava e i polmoni che faticavano a respirare. Non so come spiegarvi, era come se avessi corso una maratona di 20 km a stomaco vuoto, senza acqua nè cibo.
«Ash, ben svegliata, tesoro, come va?» Jake era in ginocchio accanto a me e continuava ad usare quel tono dolce ma che in realtà di dolce non aveva nulla. Provai ad alzarmi, ma ero bloccata: ero ammanettata al termosifone sotto la finestra da cui ero scappata. Ero scomodissima e in più il calorifero era freddo, perchè spento da chissà quanti anni, e polveroso. Ma quello fu il minore dei miei mali...
«Che cazzo mi hai fatto?» biascicai sentendo i muscoli della faccia addormentati. Ero ridotta davvero male. Ricordavo solo che Jake mi aveva fatto una puntura di non so che cosa...a giudicare dagli effetti sembrava eroina!
«Come, vuoi dirmi che non ti è piaciuta? Prova a indovinare cos'è...» mi fece con un sarcasmo davvero irritante.
«Eroina. Non mi è piaciuta.» mi limitai a rispondergli, appoggiandomi al muro su cui era fissato il termosifone, cercando di trovare una posizione un po' più comoda.
«Hai abbassato i tuoi livelli. Pensavo ne rimanessi entusiasta...ma evidentemente mi sbagliavo!» proferì lui. Sospirai, avvertendo l'aria che mi mancava. Chiusi gli occhi. Era come se i miei polmoni si fossero compressi e accartocciati come una vecchia busta del supermercato. E fu una sensazione veramente orribile. Poggiai la testa al muro, stringendo gli occhi, e aprendo leggermente la bocca, da cui cercavo di prendere ossigeno
«OOh, visto che succede a non rispettare i patti?!» quella sua intonazione mi stava veramente facendo saltare i nervi. Non lo degnai neanche della mia attenzione, e continuai a respirare con la bocca per un po', fino a che finalmente i polmoni non ripresero la loro regolare attività.
«Cosa hai intenzione di fare con me?!» chiesi diretta, tanto ormai peggio di così non sarebbe potuta andare...almeno credevo
«Ancora non lo so...sono indeciso tra farti morire di fame o per overdose, in modo da uscirne pulito, capisci cosa intendo?»
«Allora perchè non lo fai subito? Cosa stai aspettando?» Jake non mi rispose. Si diresse verso il tavolino, su cui erano accatastati numerosi pacchi gialli con droga. Uscì un pacchetto bianco, da quattro o cinque grammi e lo aprì. Sparse la coca sul tavolo e poi, arrotolando stretta una banconota da cinquanta, tirò su la polverina magica, prima da una narice, poi dall'altra. Non seppi come interpretare quel suo silenzio. Capii solo che Jake era un tipo strano. O meglio, ne ebbi la conferma.---
EMINEM POV--- Alle cinque del pomeriggio io e Drake uscimmo di casa e ci dirigemmo di nuovo da Phil. Non citofonammo. E in realtà non salimmo neanche a casa sua poichè il nostro obiettivo era quello di ripercorrere la strada compiuta da Ash, per scoprire in che posto avrebbe potuto trovarsi. Perciò arrivati da Phil, ripartimmo al contrario. Non c'erano molti negozi lì in periferia, tuttavia ci saltò all'occhio un piccolo negozietto di roba usata. Provammo ad entrare. L'interno era veramente strano. Le pareti erano ricoperte di quadri dei beatles e di personaggi d'epoca in pop art. C'erano numerosi scaffali, con roba hippie, lanterne fluorescenti, parrucche e pattini anni '80, ma anche costumi, cappelli, maschere e roba di questo genere. Ricordava vagamente il negozio dell'uomo dei fumetti dei Simpson.
«Posso esservi utile?» ci domandò cortesemente la signorina al bancone. Aveva i capelli lunghi rosso fuoco, gli occhi chiari contornati da una matita nera, un rossetto bordeux scuro e un piercing al naso. In più era vestita in nero, in stile gotico...era davvero inquietante.
«Sì...ehm...ieri sera è passata da voi una ragazzina sui quindici, con capelli chiari e lunghi, non molto alta e dall'aria sorridente?» chiese Drake, mentre io ero concentrato nell'osservazione.
«Uhm..no, mi spiace...non è un posto frequentato da ragazzine.» rispose cortesemente la signorina, rompendo le nostre speranze. Dopo aver salutato uscimmo dal negozio e continuammo la nostra strada. Quando mancavano solo un paio di isolati da casa mia, però, notammo qualcosa di strano sul marciapiede. C'era una macchiolina rossa, piccola quanto un'unghia. Era asciutta, ma sembrava...sangue!
«Pensi che possa essere il suo?» mi chiese Drake.
«Non posso esserne certo, ma potrebbe essere il suo. Cosa può essere successo?»
«E se mentre tornava a casa Jake l'avesse rintracciata? Magari è stata colpita alla nuca e una volta svenuta il bastardo l'ha portata via con sè!» ipotizzò il ragazzo. Certo che se era andata così Ash era ferita. L'unica cosa che bisognava sapere a questo punto era dove Jake si fosse nascosto. La macchia di sangue era nella parte più esterna del marciapiede e ciò mi fece capire che Ash stava per scendere e attraversare. Di fronte al marciapiede c'era una traversa: portava ad 8 mile.
«Drake, ho il presentimento che Jake abiti in 8 mile. Stanotte dobbiamo perlustrarla tutta con attenzione. Sento che siamo vicini» ---
ASH POV-- Ma perchè mi aveva lasciato senza risposta? Perchè aveva avuto così tanta fretta di farsi? Dopo essersi finito la coca andò a sedersi sul divano, avanti a me. Vedevo le sue spalle mosse da un sospiro dapprima calmo e rilassato, che pian piano diventava agitato ed euforico e anche un po' nervoso. I tipici effetti della coca...
Osservavo il cambiamento con attenzione. Aveva solo preso cinque grammi e  in poco più di cinque minuti aveva già avuto l'effetto! Quella roba doveva essere davvero forte. Questa frase non va fraintesa: non avevo nè voglia nè desiderio di provarla. Era una semplice considerazione. Da quando avevo chiuso con la droga la mia vita era diventata migliore. All'ottavo minuto (precisamente dopo otto minuti e trenta secondi; non sapevo che fare non mi rimaneva che contare) Jake si alzò dal divano, posizionandosi in piedi di fronte a me. Aveva le pupille dilatate e sembrava nervoso, iperattivo a giudicare dal suo sguardo ballerino che non faceva che posarsi sempre su oggetti diversi. Iniziavo ad essere spaventata: non sapevo cosa aspettarmi da lui. Al nono minuto aveva iniziato a respirare più affannosamente, quindi gli era aumentato il battito cardiaco. Inoltre continuava a guardarmi con le sopracciglia interrogative e con la testa ruotata verso destra, come se non gli fosse chiaro qualcosa, come se vedesse qualcosa che non andava. E in quel momento capii che stava avendo delle allucinazioni! Merda, era potente quella polverina!
«Jake, cosa vedi?» a quelle mie parole Jake socchiuse gli occhi, come per mettermi a fuoco. Subito dopo la sua espressione si mutò in una arrabbiata, incazzata.
«Che cazzo hai detto??» mi urlò infuriato.
«Non ho detto niente, che cosa vedi?» gli ribadii intimidita, ma cercando di mantenere un tono fermo
«Adesso ti faccio vedere io!» e detto questo si scaraventò su di me. Cominciò a picchiarmi. Mi diede dei pugni in viso, uno sul labbro, uno sull'occhio destro che mi fece andare a sbattere contro il termosifone e che mi fece vedere le stelle. Cercai di proteggermi la testa con il braccio sinistro libero dalle manette e mi rannicchiai con le ginocchia al petto, in modo da attutire altri ulteriori colpi. E credetemi ce ne furono altri. Mi riempì la schiena di bugni, di schiaffi, iniziò a tirarmi i capelli per farmi alzare la testa e per poi colpirmi allo stomaco. E fu allora che sentii più dolore. L'impatto del pugno fu tale che mi mancò il respiro. Tossi più volte, con la paura di vomitare sangue come nel centro di disintossicazione, ma per fortuna il mio stomaco era forte e sul pavimento c'era solo saliva, senza sangue. Dopo quel cazzotto ripresi velocemente fiato e cercai di parare i successivi pugni, mentre Jake per picchiarmi meglio si era inginocchiato vicino a me. All'improvviso non ci vidi più dalla rabbia e quando meno se lo aspettava gli diedi un pugno dritto sul naso, che cominciò a sanguinare.
«Basta! Fermati!» gli urlai mentre gli sferrai il gancio sinistro. Parve capire e alzandosi in fretta, corse in bagno a pulirsi. Io invece cercai di riprendermi. Ero tutta rotta. Occhio destro nero, gonfio, che sentivo pulsare come il mio cuore. Stomaco indolenzito. Schiena dolorante e sicuramente ricoperta di lividi. Mano arrossata, con dita pietrificate a causa del pugno. Capelli...beh almeno quelli tutti interi! Avevo il fiatone e il cuore batteva a mille. Avevo ancora la paura addosso e sinceramente in quel momento mi venne voglia di piangere. Mi rannicchiai di nuovo, come una tartaruga che si rifugia nel suo guscio e poggiai la testa sulle mie gambe. Chiusi gli occhi nel minuscolo spazietto buio e iniziai a dare libero sfogo alla mia angoscia. Soffrivo in silenzio, sia fisicamente dato che l'occhio colpito faceva fatica persino a piangere, sia psicologicamente. E avevo bisogno di un conforto, di qualcuno che mi garantisse che sarebbe andato tutto bene, anche se ero certa che niente sarebbe andato bene.
 
Sentii la porta del bagno aprirsi. Non feci nulla, rimasi immobile e in silenzio nella stessa posizione di prima. Sentii i passi di Jake che si avvicinavano a me. Ormai l'effetto della droga era sparito, ma avevo comunque paura di lui. Quando lo sentii vicino a me cominciai a tremare. Si, avevo paura e non riuscivo a controllarla. Se avessi avuto l'opportunità avrei fatto di tutto fuorchè piangere e tremare.
«Sta' calma!» mi sussurrò Jake, poggiando una mano sui miei capelli. Rabbrividii e tremai ancora di più, con le lacrime che continuavano a rigarmi il volto. Ma cercai di essere forte e scrollando la testa, feci capire a Jake di non toccarmi. Infatti tolse subito la mano dai miei capelli. E andò a sedersi sul divano, lasciandomi in pace. La fase post-droga consisteva in depressione e sonnolenza, quindi avrei certamente avuto un paio d'ore (in realtà speravo di più) di "tranquillità". E in quel tempo dovevo assolutamente trovare il modo di avvisare Marshall. Ero stata troppo avventata la mattina. Invece di saltare dalla finestra avrei potuto chiamare Marshall e dirgli dov'ero, in modo da farlo arrivare con la polizia. Ma come al solito il mio essere precipitosa, mi aveva fregato.
 
Sentii Jake russare rumorosamente, e a quel punto capii che potevo organizzarmi. In realtà non avevo un piano in mente. L'unica cosa sensata da fare era quella di chiamare Marshall. Quindi presi con fatica il cellulare dalla mia tasca e cercai di digitare il numero. Ma lo schermo scuro e l'assenza di rumorini mi suggerirono che l'apparecchio era morto, scarico, a zero. Bestemmiai in turco e rimisi il cellulare a posto, anche se in quel momento avrei solo voluto lanciarlo fuori dalla finestra! E così ero in gabbia, come una tigre allo zoo. Pensai ad un modo di liberarmi dalle manette, ma l'unico era quello di trovare la chiave, e sicuramente Jake era il possessore. In conclusione dovevo rimanere lì buona buona zitta zitta per non svegliare Jake, mentre io non mangiavo da almeno dieci ore e non andavo in bagno dallo stesso tempo. Mi appoggiai con la testa al muro e chiusi gli occhi, cercando di riposarmi e di risparmiare energie.
 
EMINEM POV--- Non appena fatto buio, io e Jake ci incontrammo per perlustrare la 8 mile. Con noi venne anche il commissario, con due suoi poliziotti. Cominciammo da un bar malfamato, popolato di neri, dove si svolgevano ogni sera numerose rap battle. Appena entrati tutti ci guardarono storto, sia perchè eravamo bianchi, sia perchè con noi c'era un poliziotto, di cui sicuramente avevano fiutato l'odore come cani da tartufo, nonostante il fatto fosse in borghese. Drake si propose di parlare con loro, ma decisi di farlo io, che sin da bambino ero cresciuto in 8 mile e sapevo come relazionarmi con gente di colore.
«Yo bro, come butta?» feci avvicinandomi al bancone, tenendo ben coperto il volto con un cappuccio
«Non sono tuo fratello, cappuccetto» disse lui con un tono da chi voleva sfottere, mentre asciugava un boccale di vetro. Cappuccetto...se avesse saputo chi ero in realtà col cavolo che mi avrebbe chiamato cappuccetto!
«Come ti pare...ho bisogno di un'informazione, me la puoi dare?» chiesi
«Perchè dovrei Biancaneve?» mi fece con lo stesso tono di prima. Questo fu ancora più fastidioso e sebbene il mio cervello mi stesse ripetendo di stare calmo, le mani mi prudevano e in quel momento avrei voluto solo spaccargli la faccia.
«Non lo so...opera buona!?» tentai senza perdere il controllo. Mi rise in faccia, una risata di scherna, di chi non se ne fregava niente.
«Corri fuori dal mio locale, prima che io ti faccia male. Bianchi qui non ne vogliamo, non c'è spazio per voi froci del cazzo» mi rimò a tono, attirando l'attenzione di tutte le persone all'interno del locale. Il nervoso mi salì al cervello. Strinsi i pugni, preparandomi mentalmente ad uno scontro, ma decisi di non usare la violenza fisica. Decisi di sfidarlo nel mio campo: il rap.
«Se io sono frocio tu cosa sei? Odi le fiche, ti credi gay? Non sei solo gay, te lo diciamo noi, ami i cazzi neri, ne vuoi? Ti senti figo per quattro parole messe in fila? Pensa un po' a mala pena fanno rima. Fammi un favore, resta zitto. Pensa a lavorare per pagarti l'affitto!» e il barista mi guardò male, mentre i suoi clienti non facevano che battere le mani e ululare come lupi, soddisfatti dal mio freestyle.
«Contento ora?!»
«Ma chi cazzo sei tu?» A quel punto mi tolsi il cappuccio. Tutti rimasero stupidi di vedermi lì nel loro locale. Il barista non poteva credere ai suoi occhi e sono sicuro si stesse maledicendo da solo per aver insultato Eminem.
«Eminem...m-mi dispiace...n-non credevo fossi tu...» balbettò imbarazzato.
«Vuoi rispondere alla mia domanda?» ribadii non facendo caso alle sue scuse del cazzo.
«Sì...ragazzine non ne sono passate, ma ieri è venuto un vostro fratello bianco. Aveva i capelli lunghetti e un pizzetto orribile. Mi ha chiesto di vendere qui un po' di roba e io gli ho detto di sì...diceva di chiamarsi...John...Jack...»
«Jake?»
«Ecco sì! Jake!»
«Ti ha detto dove alloggia?» chiesi, speranzoso che mi rispondesse di sì.
«Uhm...no...ma fossi in voi proverei alla fine di 8 mile road, vicino alla metro di Detroit. È lì che vivono alcuni spacciatori...» ci consigliò. Ringraziato il barista e salutati tutti con una rima per farli felici ci dirigemmo vicino alla metro. L'ansia non faceva che salirmi. Nel mio cuore sentivo che quella sera avremmo ritrovato il mio angelo.---
 
ASHLEY POV-- Fui svegliata di soprassalto da uno schiaffetto in volto e da una voce che ripeteva il mio nome a voce moderatamente alta. Jake era di fronte a me, con una bustina piena di polvere bianca. Era abbastanza grande e sicuramente conteneva almeno da 7-8 grammi, vale a dire una decina scarsa di dosi. Lo osservavo senza proferire parola, cercando di capire se era già fatto o se stava per farsi. A giudicare dal modo in cui mi aveva chiamato aveva già assunto un paio di grammi, ma non ne ero certissima.
«È per te questa!» mi disse passandomela nella mano libera mentre si guardava intorno. Sì, era fatto. Senza parlare, la lanciai sul divano. Come un cane da riporto Jake andò a prenderla e me la ridiede.
«Devi prenderla» mi ordinò. Sebbene la tentazione fosse tanta, io ero in astinenza e non volevo toccare quello schifo. Stavo bene così.
«No» gli risposi
«La devi prendere, altrimenti...»
«Altrimenti?» chiesi con gli occhi lucidi, ma guardandolo nei suoi di occhi. Ero arrabbiata e quelle lacrime ne erano la dimostrazione. Non gli bastavano tutte le botte che mi aveva dato?!
«Altrimenti puoi dire ciao ciao al mondo» rispose prontamente.
«Tanto mi uccideresti comunque, che cambia da ora a poi?» gli feci notare tristemente.
«Sì ma se la prendi ti prometto che non ti farà male. E poi, se devi morire, tanto vale farsi per un ultima volta no?!» mi disse giustamente. Per una volta aveva ragione lui Il suo ragionamento non faceva una piega, e in quel momento riflettei su ciò che avrei dovuto fare. In fondo sarei morta, e non avrei più rivisto per tutta la mia vita la droga. Quindi ripresi il pacchetto, lo aprii e annusai il profumo che ne fuoriusciva. Devo ammettere che mi piacque e che mi fece ricordare di tutti i momenti passati con il mio amico Jim. Mi ricordai di come mi faceva stare bene quella polverina simile allo zucchero a velo e fui convinta di ciò che stetti per fare. Quindi me ne misi un po' sul dito (saranno stati un paio di grammi) e aspirai da una narice e dall'altra. Dopo dieci secondi ero euforica, adrenalinica e avrei voluto rimbalzare come una pallina per tutta la stanza. Ma dopo sessanta secondi ero in un altro mondo. Fame e sete erano scomparse e io fluttuavo su una nuvola nel cielo, mentre Jake, che aveva un paio di occhiali strafighi e il viso tutto nero -allucinazioni...- mi ordinava di finirmela tutta. La busta fu svuotata e Jake andò al tavolo volante per prenderne dell'altra. Prese un'altra bustina e ne assunse un po' lui, e un po' l'assunsi io con il suo aiuto. Non riuscivo a ragionare. Sapevo solo che mi sentivo bene. Ero tranquilla, rilassata, i dolori dei lividi erano spariti e vedevo tutto ruotarmi dolcemente attorno, accompagnato da una musichetta che si sentiva appena, ma che rendeva l'atmosfera più piacevole.
«Come stai tesoro?» mi chiese Jake dalla faccia scura. Annuii e sospirai più volte, leccandomi le labbra, come se avessi voluto pulire la mia bocca dalla coca, anche se in realtà non c'era niente. Era come se fossi in un sogno, dove tante sensazioni si mischiavano tra loro. Ad un certo punto Jake mi accarezzò la testa, e io godevo come se fossi un gattino. Si avvicinò ancora e iniziò a sfiorarmi il viso, poi il collo e io godevo ad ogni suo tocco. Ero in paradiso e fluttuavo su una nuvola, accompagnata dalle sue carezze che non facevano che allietarmi ancora di più. Ma perchè mi faceva piacere riceverle dall'uomo che poco tempo prima mi aveva massacrato? Vi sembrerà strano ma non lo so. Ero certa che si trattasse dell'effetto della coca. Non era la solita quella che avevo provato più e più volte, era diversa. Era come se mi avesse trasformato in un'altra persona, che non si faceva problemi nè paranoie qualunque cosa accadesse.
Jake si alzò e decise miracolosamente di togliermi le manette. Avevo la mano libera, e avevo la possibilità di alzarmi, ma preferii rimanere seduta, perchè le mie gambe di gelatina non riuscivano a reggermi. E poi il pavimento era soffice come una nuvola!
«Vuoi venire con me tesoro?» mi sussurrò nell'orecchio spostandomi delicatamente una ciocca di capelli e facendomi venire i brividi. Sorrisi, ma non risposi. Ero confusa, la testa mi girava con tutte le allucinazioni che stavo avendo. Eppure continuavo a sentirmi bene!
«Dai, alzati, vieni con me...» mi esortò lui, prendendomi per mano e conducendomi sul divano. Mi fece sedere, e lui si posizionò vicino a me, con lo sguardo posato nei miei occhi. Con la mano cominciò a massaggiarmi le cosce, all'inizio timidamente, per poi proseguire sempre più sicuro. Con l'altra mano invece continuava a toccarmi il viso, le guance, il collo, i capelli, cercando di spingersi sul petto. Non riuscivo a muovermi sembravo come incatenata a lui. A causa della droga capii solo vagamente a cosa voleva arrivare, e purtroppo invece di inorridire e dirgli qualcosa, me ne stavo imbambolata a fissare il muro di fronte a me. All'improvviso non so per quale ragione, forse il destino o semplicemente l'effetto che svaniva, ritornai in me. Come se mi fossi svegliata da un sogno, ripresi coscienza e spostai immediatamente la mano di Jake che passeggiava indisturbata sul mio petto. Mi allontanai da lui, facendo cadere l'altra sua mano sul divano. Lo guardai sconvolta e prima che potesse fare qualcosa corsi in bagno. Jake era ancora fatto e probabilmente con tutte le allucinazioni che stava avendo, non aveva neanche capito che lo avessi lasciato lì sul divano.
Chiusami in bagno, con un gancio arrugginito che mi avrebbe dato autonomia e sicurezza solo per poco, cercai di riprendermi definitivamente. Mi sciacquai la faccia con dell'acqua fredda e poi mi vidi allo specchio. L'occhio si era gonfiato, ma per fortuna non avevo avuto problemi con la vista. Sul collo, in particolare alla nuca avevo ancora i lividi della botta con la mazza da baseball. Ero tutta rotta. Dentro e fuori. Ancora una volta non fui in grado di stringere i denti e di trattenere le lacrime e mi lasciai andare senza neanche preoccuparmi di non farmi sentire. Era un pianto straziante, simile a quello di un bimbo che ha bisogno di un abbraccio della mamma. E io era così che mi sentivo: bisognosa di affetto. Bisognosa di rivedere Marshall. Di abbracciarlo. Di baciare il mio ragazzo. Di ritornare a casa. Con tutti questi pensieri la testa mi stava scoppiando. Mi guardai di nuovo allo specchio, vedendo questa volta il mio viso rosso, segnato dalle lacrime. Tirai su col naso e mi sciacquai di nuovo il volto.
«Esci! SUBITO!» mi gridò all'improvviso Jake, bussando violentemente alla porta. L'effetto della coca era svanito. Merda, ero nei guai. E avevo una fottuta paura di essere nuovamente pestata.
«NO!» urlai, mettendomi con le spalle sulla porta, in modo da renderne difficile l'apertura, dato che il gancetto era instabile.
«Hai tre secondi. Ti giuro che poi butto giù la porta» non risposi, sentendo il battito del mio cuore che aumentavano a causa della paura. Non avevo nessuna intenzione di uscire. Avrebbe dovuto tirarmi da lì fuori con la forza...
«Uno» stavo pregando in un qualche miracolo che mi liberasse da quell'inferno.
«Due» chiusi gli occhi in attesa del tre. La paura che aumentava
«TRE!» urlò infine dando una forte spallata alla porta che mi spazzò via e che mi fece inciampare a terra. Il gancetto arrugginito saltò in aria, lasciando che la porta si aprisse. Jake entrò e si precipitò su di me. Mi tirò per mano, fregandosene e facendo finta di non sentire tutte le mie urla che gli chiedevano di lasciarmi. Mi scaraventò per terra, rimettendomi attaccata al termosifone. Per fortuna non mi feci niente perchè caddi di sedere. Ero di nuovo bloccata. Provai a tirare più volte la manetta con forza e con rabbia, ma era impossibile romperla.
«Non mi piace quando sei agitata, hai bisogno di calmarti un po'» mi disse con voce tranquilla, mentre prendeva dal tavolo un'altra siringa. No, di nuovo eroina no. In una giornata avevo assunto troppa droga tutta insieme e già la testa mi scoppiava...
Jake si avvicinò a me e cercò di bloccarmi il braccio, ma fallì molte volte poichè non facevo che muovermi e tirargli schiaffi e pugni che però non lo scalfirono più di tanto. Al quarto o quinto tentativo sentii l'ago della siringa penetrare nella mia pelle. Mi immobilizzai per qualche secondo metabolizzando il fatto che alla fine ce l'aveva fatta. Estrasse l'ago andando a posare lo strumento sul tavolo. Il cuore partì come una Ferrari. Avevo le palpitazioni e il respiro si fece affannoso come la volta precedente. Stavo sudando di brutto e sentivo caldo, tanto caldo, come se fossi già stata spedita nel fuoco dell'inferno. Mi sentii il sangue scorrere veloce nel mio corpo e vedevo tutto intorno che girava rapidamente come nel gioco del flip. Contai fino a sessantadue secondi, il tempo che Jake posasse la siringa e che mettesse in ordine il tavolo. Poi mi sentii mancare e vidi tutto intorno appannato. Chiusi gli occhi e respirai piano, lentamente. Cercai di pensare a cose belle, ma l'unico pensiero che mi veniva in mente era la paura. Quindi spensi il cervello e immaginai il vuoto. Il nulla più totale. Mi calmai e finalmente ripresi a respirare normalmente. Solo che mi sentivo veramente frastornata, debole, confusa. Non riuscivo a ragionare e avevo bisogno di riposare. Jake tornò da me, e vedendomi con gli occhi chiusi mi disse:«Ancora non hai imparato a non fare di testa tua?» ma non gli risposi. A malapena avevo fatto caso alla sua voce. E mi sentivo male, non riuscivo più a stare con gli occhi aperti. Mi accasciai al suolo, sdraiandomi sul pavimento freddo e polveroso, coprendomi gli occhi con il braccio.
«Nonono! Tu devi venire con me sul divano...» mi disse con lo sguardo malizioso. Anche questa volta sentii solo una voce confusa, non percepii il vero significato della frase, il mio cervello era spento. Ad un certo punto mi sentii in alto, sollevata da terra. Jake mi prese in braccio e mi porse sul divano. Si allontanò per una manciata di secondi, il tempo di un'altra dose di coca e poi fu subito da me. Era esagitato come le altre volte e cominciò a toccarmi tutto, petto, seno, gambe. Non accontentandosi di questo, cominciò a sbottonarmi i pantaloni. Io sdraiata sul letto lo guardavo, con gli occhi socchiusi. Ero debole e stavo tremando. Anche se il mio cervello era spento avevo capito dove volesse arrivare e ne ebbi paura. Ma non potevo ribellarmi, non ne avevo le forze. Vedevo tutto offuscato in torno a me, come se ci fosse stata la nebbia. Ma Jake era l'unico soggetto ad essere chiaro e ben definito davanti ai miei occhi. Aveva ricominciato a massaggiarmi le gambe, ora nude e senza protezione. Era letteralmente sopra di me e puntava il suo sguardo al mio seno. Con fretta e con poca delicatezza mi sfilò anche la felpa, lasciandomi in bichini. Avevo freddo, tremavo tutta, avevo i brividi anche a causa della paura. E iniziai di nuovo ad avere gli occhi lucidi. Il mio corpo era toccato da una persona schifosa. Avrei perso la verginità nel modo più squallido, con una persona che mi avrebbe usata solo per fini sessuali, ma che in realtà non mi avrebbe amata. La mia visione di fare l'amore non erà come quella di Jake. Avrei voluto perdere la verginità con Drake, tra baci appassionati e carezze delicate, e invece mi ritrovavo su un divano, a mala pena cosciente mentre uno spacciatore toccava come più voleva il mio corpo. E riflettei sul fatto che di lì a poco sarei potuta anche morire, viste le precedenti considerazioni di Jake. E in quel momento crollai, le lacrime che mi inondarono il viso. Non avrei più rivisto Drake, Marshall, non avrei più baciato nessuno dei due, non li avrei più abbracciati. Sarei morta. E allora, se sarei dovuta morire, pensai che avrei voluto addormentarmi con un'immagine piacevole in mente. E così chiusi gli occhi, immaginando Marshall che mi stringeva tra le sue braccia e che mi ripeteva che sarebbe andato tutto bene.
  
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