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Autore: madychan    24/04/2016    1 recensioni
[Dal primo capitolo]
Davanti a lei c’era una altra ragazzina. Con tanto di capelli lunghi, vestito dalla gonna ampia, e l’aria di chi non è per niente stanco per la camminata fatta. [...]
E, proprio quando Arthuria fece per parlarle e chiederle chi fosse, lei sorrise. Arthuria sbatté le ciglia, vedendo che i suoi occhi andavano a soffermarsi di nuovo sull’elsa di Caliburn per qualche istante, e poi tornavano a guardare i suoi.
«Avete gli occhi di questo stesso colore.» commentò.
Aveva una voce quasi strana, per essere una ragazzina. Di certo, non particolarmente acuta.
Arthuria spostò lo sguardo da lei all’elsa, a propria volta, e fissò l’azzurro smaltato che si alternava con l’oro e i suoi riflessi chiari dati dalla luce di un sole che stava sorgendo.
«Vi somigliate.» disse ancora l’altra.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Saber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una delle frasi più ricorrenti che Shirou pronuncia è “non voglio vederti ferita”.

In quei momenti, Arthuria lo odia dal profondo del cuore.

Il suo modo di fare è di qualcuno che non è in grado di vedere che Arthuria, o Saber, prima di essere una donna, è un guerriero.

Che Saber è l’incarnazione di quello che viene ricordato come re Artù: uno dei più famosi condottieri esistiti, tanto da entrare nella leggenda – tanto da spingere qualcuno a credere che lei non sia mai esistita,

perché le sue abilità sono troppo al di sopra di quelle umane.

Shirou non capisce che il ferirsi, così come il combattere – e il vincere –

per lei erano all’ordine del giorno, quando era viva.

 

Ma c’è anche un altro motivo – un taglio ancora più profondo, e più simile a una ferita ancora non rimarginata – per cui Arthuria lo odia, quando lui parla così.

E quel motivo è la straordinaria somiglianza di carattere con lei.

Con quella donna che, anche ora che Arthuria è morta e si ritrova in forma di spirito,

rimane impressa a fuoco nella sua memoria.

Il ricordo di una persona che lei, a posteriori, non avrebbe mai voluto incontrare.

L’unica persona cui lei abbia mai concesso di trattarla come una donna,

prima che come un guerriero.

Perché è stata l'unica che lei abbia mai amato.

 

 

 

 

LE SPADE ESTRATTE DALLE ROCCE NON HANNO FODERI

 

Capitolo primo

Incontro dinanzi la spada

 

 

 

 

Il riflesso dell’alba sul metallo della lama era visibile dalla base della collina.

Arthuria aveva ormai smesso di chiedere a Merlin di accompagnarla a salire il pendio tutte le mattine per vedere quella spada, prima dell’inizio dell'allenamento quotidiano e delle lezioni teoriche; le ultime volte in cui era venuto con lei non aveva fatto altro che lamentarsi per tutto il percorso.

Pensandoci bene, Arthuria aveva riflettuto sul fatto che avrebbe fatto di tutto per non diventare flaccida, e stanca, ed esasperante come lui.

Il suo obiettivo era diventare forte. In modo da essere degna di brandire quell'arma sacra e di governare il regno.

E se la strada per quella forza includeva una scarpinata quotidiana di due ore, iniziata sempre prima dell’alba, per andare a contemplare per pochi minuti l’oggetto che la spronava ad andare avanti su quel percorso, tanto meglio.

Adorava guardare quella spada. Il metallo chiarissimo rifletteva il sole all’alba, spargendo luce bianca intorno a sé; il blu dell’elsa illuminato dai raggi solari diventava ancora più profondo, tanto da perdercisi dentro; e l’oro dava un senso di potenza, e di regalità.

Caliburn[1] era, prima di tutto, tanto magnifica da incantare.

Prima della forza, quello cui pensava quando la vedeva era che sarebbe rimasta a fissarla per ore, solo perché era di una bellezza perfettamente armonica ed eterea.

Arthuria sentiva, nei momenti in cui si rendeva conto di quelle sensazioni provate davanti ad Caliburn, che quello che provava fosse molto simile al sentimento che Merlin le aveva descritto come “amore”.

Adorava quella spada, e non vedeva l’ora di vederla, ogni mattina.

E come tutte le mattine, Arthuria si affrettò a salire il pendio della collina, sulla cui cima c’era la roccia in cui l'arma era saldamente piantata.

Faceva freddo. Era l’inizio della primavera; lungo il percorso, aveva avuto modo di vedere la collina tempestata di fiori non dischiusi per l’ancora poca luce che il sole concedeva alla terra. All’alba si poteva ancora sentire un vento freddo provenire da nord-est.

Merlin le aveva più volte raccomandato di coprirsi, quando andava sul colle; ma il primo pensiero di Arthuria a quelle raccomandazioni era stato che, se si fosse coperta, non sarebbe stata in grado di resistere al freddo quando ne avesse avuto bisogno.

Ogni giorno, quando tornava al castello, si beccava i rimproveri di Merlin per la sua disobbedienza; ma ogni mattina, quando si alzava, usciva con solo la casacca di stoffa leggera e i pantaloni che arrivavano fino al ginocchio, e calzari che le coprivano solo il piede, lasciando scoperto il polpaccio.

Avrebbe avuto tutto il tempo di mettere il mantello una volta diventata re.

Quando arrivò in cima, una folata di vento freddo le trapassò le ossa, arrivandole fin nelle viscere.

Tremò, chiuse gli occhi e strinse i denti, aspettando che terminasse; si abbracciò le braccia, cercando di ripararsi per quel poco che poteva.

Quando riaprì gli occhi, si ritrovò davanti uno spettacolo insolito.

Non era sola.

Davanti a lei c’era una altra ragazzina. Con tanto di capelli lunghi, vestito dalla gonna ampia, e l’aria di chi non è per niente stanco per la camminata fatta.

La lunghezza di Caliburn copriva la visuale a entrambe; l’elsa si parava tra i loro visi, concedendo solo a uno dei loro occhi di incrociare parzialmente il viso dell’altra.

La ragazzina fu la prima, a inclinarsi di lato e a guardarla da sotto l’impugnatura.

Arthuria osservò per un secondo quella cascata di capelli scuri, che alla luce del sole assumevano riflessi di colori tendenti a sfumature di rosso, arancione e oro; e poi, vagò sul suo viso dalla pelle chiara, fino a incontrare i suoi occhi di un colore misto tra l’azzurro e il verde.

Una volta Merlin le aveva fatto vedere il mare. Quello era lo stesso, identico colore.

La ragazzina sbatté le ciglia per due volte, continuando a fissarla dal basso.

E, proprio quando Arthuria fece per parlarle e chiederle chi fosse, lei sorrise. Arthuria sbatté le ciglia, vedendo che i suoi occhi andavano a soffermarsi di nuovo sull’elsa di Caliburn per qualche istante, e poi tornavano a guardare i suoi.

«Avete gli occhi di questo stesso colore.» commentò.

Aveva una voce quasi strana, per essere una ragazzina. Di certo, non particolarmente acuta.

Arthuria spostò lo sguardo da lei all’elsa, a propria volta, e fissò l’azzurro smaltato che si alternava con l’oro e i suoi riflessi chiari dati dalla luce di un sole che stava sorgendo.

«Vi somigliate.» disse ancora l’altra.

Arthuria tornò a guardare lei, sorpresa.

Il suo sguardo dovette essere esplicito nella propria perplessità, perché la ragazzina rise, e si aggrappò all’elsa con una mano, chinandosi di più sotto di essa.

E Arthuria, che fino a quel momento non aveva osato toccare quella spada per il timore reverenziale che nutriva per essa, non poté fare a meno di scrutarla con circospezione, ancora più sconcertata di prima.

Quella ragazzina stava toccando Caliburn come se niente fosse; ci si stava aggrappando come se fosse il ramo di un albero su cui i maschi giocavano arrampicandosi.

«Avete gli stessi colori.» spiegò ancora l'altra, senza scomporsi alla sua occhiata scandalizzata da quella noncuranza che, nei canoni di Arthuria, rasentava l’oltraggio. «Oro, blu, e bianco.»

Arthuria osservò la spada, stupita; non aveva mai pensato di paragonarsi ad essa in quel modo.

Inclinò il viso di lato, arricciando le labbra, e riflettendo su quel paragone.

Oro, blu, e bianco.

Il suo sguardo percorse la lama della spada, rimanendo abbagliato dalla sua lucentezza; poi, salì a contemplare l’elsa, e i riflessi blu e oro.

E poi, proseguì sulla mano della ragazzina, ancora stretta sull’impugnatura, e scese a incrociare di nuovo i suoi occhi color del mare e le sue labbra incurvate in un sorriso.

Non sapeva come interpretare quell’espressione: sembrava cordiale e gentile; ma quella fanciulla non era una persona normale. Il suo istinto glielo stava urlando.

Forse perché era arrivata lì senza la minima fatica, e con tanto di vestito lungo e mantello.

O forse perché la stava distogliendo fin troppo dalla contemplazione quotidiana di Caliburn.

«Siete Arthuria, vero?» domandò alla fine la sconosciuta, facendo perno sull’elsa della spada e passandovi sotto, per poi ritornare eretta e guardarla alla pari.

Era più alta di lei di qualche centimetro.

Arthuria annuì, inclinando impercettibilmente il viso, in una muta domanda sulla sua identità.

La ragazzina si profuse in una riverenza tipicamente da signora: prese il vestito ai lati, lo alzò e fece un inchino.

Anche quel saluto aveva qualcosa di strano; sembrava quasi la stesse prendendo in giro.

«Io sono Guinevere.» disse lei, tenendo la testa chinata di poco, e alzando lo sguardo nel suo. «Vi vedevo uscire sempre dal castello di Lady Igraine all’alba, e mi sono chiesta come mai. Così stamattina mi sono presa la libertà di indire una specie di gara a chi arrivava prima qui.» spiegò, alzandosi dalla sua posizione di inchino, e guardandola negli occhi. «A quanto pare è stato un pareggio, anche se per poco.»

«Una gara?» domandò Arthuria, perplessa – preferì, per il momento, lasciare da parte le domande su chi quella ragazzina fosse e sul perché la conoscesse, e concentrarsi sulla spiegazione al fatto che Guinevere fosse arrivata fino alla cima della collina senza essere minimamente affaticata. «Non mi siete sembrata per niente stanca, quando vi ho vista. Come può essere un pareggio?»

Guinevere sorrise, e inclinò la testa di lato. Poi, agitò un dito all’aria; Arthuria spalancò gli occhi, quando fu colpita da una folata di vento freddo, identico a quello che l’aveva accolta quando era arrivata in cima e l’aveva vista.

Guinevere era una maga.

Ecco spiegata quella sensazione di stranezza che sapeva suscitarle: Arthuria con la magia non aveva quasi niente a che fare. Merlin aveva cercato di introdurla a qualche nozione di incantesimi e spiriti della natura; ma quando aveva dovuto fare i conti con una sua predisposizione verso le arti magiche praticamente nulla aveva rinunciato, preferendo incentrare il suo allenamento sullo sviluppo di resistenza, forza fisica e carattere retto.

«Spiriti del vento di tramontana.» spiegò Guinevere, con un’espressione e un tono che volevano sembrare candidi e innocenti. «Mi hanno portato loro.»

Arthuria spalancò gli occhi, esterrefatta.

«Allora la gara non è valida.» disse, incrociando le braccia e spostando il peso su una sola gamba.

Guinevere non si scompose nemmeno in quel momento.

«Ognuno usa quello che gli riesce meglio.» replicò, abbassando la mano che aveva agitato. «Voi avete la forza fisica e la resistenza. Io gli spiriti della natura.»

«Non è una gara equa, quando l’avversario è un mago.» replicò Arthuria.

Guinevere ridacchiò, e inarcò un sopracciglio. «Ma io sono solo un’apprendista.» spiegò. «Così come voi non siete ancora un guerriero completo, perché vi state ancora addestrando ad esserlo. E poi abbiamo pareggiato.»

Arthuria sbuffò, e si articolò nell’esprimere una smorfia di disappunto.

«Di chi siete apprendista?» domandò. «E come fate a conoscermi?»

«La mia maestra è la maga Cassandra.» spiegò Guinevere. «Ed è anche la donna che mi ha allevato. Viviamo in una capanna nel bosco, poco distante dal castello di Lady Igraine. Vi ho vista una mattina, mentre mi allenavo nel contatto con gli spiriti della natura; voi stavate salendo questa collina.». Arthuria la vide sorridere, e inclinare di nuovo il viso. «La prima cosa che ho pensato è stata che vi sareste presa qualche malanno, a salire la collina solo con questi vestiti.»

Arthuria rotolò gli occhi per l’esasperazione. «Se non alleno la resistenza al freddo, come posso combattere durante l’inverno, o in posti ancora più freddi di questo?»

Il sorriso di Guinevere non accennò minimamente a sparire, e lei annuì. «Certo.» disse. «Ma è mia modesta opinione che la resistenza alle basse temperature andrebbe allenata senza prendersi malanni, come rischiate di fare voi. Se ci si ammala, si perdono giorni di allenamento, la gente intorno a voi si preoccupa, e soprattutto, nel peggiore dei casi, si rischia di diventare ancora più vulnerabili al freddo.»

Arthuria la fissò, storcendo le labbra in una smorfia: suo malgrado, il ragionamento di Guinevere non faceva una piega. Ma non voleva dargliela vinta.

«Cosa mi consigliate di fare, dunque, per non rischiare di ammalarmi?» domandò, inarcando un sopracciglio.

Guinevere non colse la sua provocazione arrabbiandosi; sorrise di nuovo, stavolta con un fare quasi ironico, e si tolse il proprio mantello, rivelando di indossarne uno che sembrava più leggero del primo.

Guinevere prese in una mano il mantello leggero, di colore tendente al marrone chiaro, e glielo mise sulle spalle, avvolgendole la schiena e il collo.

«Tra i punti più sensibili al freddo ci sono la schiena e il collo.» spiegò, mentre glielo legava davanti. «Coprite quelli, e avrete fatto metà dell’opera.»

Poi, Arthuria la fissò mentre si rimetteva il proprio mantello, visibilmente più pesante di quello che aveva dato a lei.

«Vogliate perdonarmi se non vi ho concesso l’uso del mio mantello.» disse Guinevere; sorrideva ancora. «Ho pensato che avreste preferito avere un mantello più leggero, per proteggervi giusto il necessario, e poi allenare la vostra resistenza alle basse temperature.»

«Infatti è quello che voglio fare.» replicò Arthuria, riscuotendosi, e annuendo. «Vi ringrazio per la premura.»

Guinevere fece spallucce. «Questo e altro, per il nostro futuro re.»

Arthuria spalancò gli occhi, esterrefatta.

Aveva detto “re”?

D’istinto, gettò un’occhiata alla spada ancora incastonata nella roccia, sorpresa.

«Non è ancora il momento giusto.» disse Guinevere, riscuotendo di nuovo la sua attenzione.

Arthuria la fissò, perplessa.

«Non siete ancora pronta a diventarlo.» proseguì lei. «Dovete ancora imparare cosa siano davvero la rettitudine e la giustizia. Solo allora sarete veramente consapevole di cosa significhi diventare re, e delle responsabilità graveranno sulle vostre spalle dal momento in cui estrarrete questa spada dalla roccia.» spiegò. Poi, si voltò a guardare Caliburn, e sorrise. «Ma siete sulla buona strada.» aggiunse. «Avete determinazione, ed entusiasmo. Se continuerete in questo modo, non ho dubbi che Caliburn sceglierà voi, come nuovo re del Paese.»

Arthuria la fissò, sorpresa.

Sarebbe stata davvero lei?

No… in quel discorso c’era qualcosa che non tornava.

«Avete detto “sceglierà”.» commentò, rendendosi conto di cosa fosse. «Il che significa che Caliburn non ha già stabilito chi sarà il suo possessore?»

«Il possessore di Caliburn non è predestinato.» disse Guinevere, tornando a guardare lei. «Qualunque persona con un cuore retto, e animata da senso di giustizia, e conscia delle responsabilità che portare Caliburn e diventare re comporterebbe, potrebbe estrarla da questa roccia.» spiegò. «Ma ahimè, la Britannia in questo momento è carente di persone di questo genere. E quelle che lo sono hanno perlopiù la vostra età, e con l’avanzare degli anni cambiano.». Guinevere la guardò, e sorrise. «Voi vorreste questa spada, Arthuria?»

Arthuria guardò di nuovo Caliburn, inclinando il viso di lato come per osservarla meglio.

«Penso che chiunque la voglia. Quindi sì, la vorrei anche io.» confessò. «Anche se vi confesso che non so esattamente il motivo, Guinevere. Ho sempre pensato di voler diventare forte per poter diventare re. Anche se sono una femmina, e magari non potrò mai raggiungere la forza fisica che può avere un maschio, cerco in tutti i modi di sopperire alla differenza.» disse. «Ma quando arrivo qui, è come se tutta quella voglia di diventare forte… non dico che sparisca; ma di sicuro passa in secondo piano. E il primo posto diventa di Caliburn in sé. Come spada, e come segno di giustizia.» commentò, allungando una mano verso l’elsa – ma senza osare toccarla. «Spesso mi sono chiesta se sia giusto il mio volerla. Anche il mio voler diventare re. So che Merlin mi sta educando per quello; ma quando arrivo qui, mi chiedo sempre se io sia degna anche solo di toccarla.». Ridacchiò, e abbassò la mano. «Non so nemmeno cosa siano concretamente questi grandi ideali di giustizia e di rettitudine di cui mi si parla. L’unica cosa che vorrei è essere degna di toccare questa spada. Magari anche di estrarla.»

Guinevere rimase in silenzio per qualche istante – tanto che Arthuria si voltò, per scrutare le sue reazioni.

«Avete la purezza di un bambino.» considerò alla fine l’apprendista maga.

Arthuria si irritò, e fece schioccare la lingua. «Così mi offendete.» le fece notare.

«Non era mia intenzione. Tutt’altro.» replicò Guinevere, sorridendo. «Vi prego solo di mantenere questa purezza, nel corso della vostra vita. Non scambiate la vostra innocenza con null’altro, prima di prendere questa spada.»

Arthuria si accigliò, notando che Guinevere aveva concluso la frase lasciando intendere che dopo non avrebbe avuto più l’innocenza che le sarebbe stata necessaria per estrarre Caliburn; ma quando fece per chiedere spiegazioni, Guinevere sollevò lo sguardo verso il cielo, e sorrise.

«Credo che siate in ritardo.» considerò. «Il sole si è levato già da qualche minuto.»

Arthuria sollevò lo sguardo a propria volta, a contemplare il sole, la cui luce trapelava tra i cumulonembi ammassati sopra la Britannia.

Le tonalità di grigio delle nuvole, il colore biancastro del cielo, e la luce dorata che si espandeva ovunque; erano uno spettacolo talmente mozzafiato, che per qualche attimo lei si bloccò a fissarlo, rapita.

Voltando lo sguardo, vide che anche Guinevere stava facendo lo stesso, con il sorriso sulle labbra.

Guinevere sembrò accorgersi di essere osservata, perché si voltò verso di lei, e le sorrise ancora più ampiamente di prima.

«Ci rivedremo domani.» disse. «Anche io devo iniziare l’addestramento quotidiano tra poco.»

Arthuria sorrise, e annuì.

«A domani, allora.» disse.

Guinevere chinò la testa davanti a lei, in segno di saluto.

Arthuria si voltò, e iniziò a correre lungo il sentiero della collina.

«Mi aspetto una vostra vittoria, nella gara di domani!»

La voce di Guinevere la fece fermare.

Voltandosi, si accorse di essere scesa di parecchio, in quei pochi secondi; eppure, riusciva a sentirla ancora perfettamente, come se fosse lì di fianco a lei.

Alzò lo sguardo per fissarla; e sorrise, al vedere i suoi capelli agitarsi, forse preda di qualche spirito del vento, e il suo intero viso sorridere, sinceramente, come una bambina.

Annuì e si voltò, riprendendo a correre.

Il suo percorso in discesa, invece dei soliti pensieri su Caliburn e sul diventare forte in modo da estrarla, quel giorno si concentrarono sulla gioia di aver conosciuto una persona in grado di capire le sue aspirazioni, e con cui incontrarsi il giorno dopo.

 

Quella notte, prima di addormentarsi, il pensiero di Arthuria tornò alla Guinevere sulla cima della collina che le urlava di vincere il giorno dopo; ai suoi capelli scuri mossi nel vento, al suo mantello rosso cupo, e ai suoi occhi luminosi che parevano sorridere.

La sua figura era stata, per qualche attimo, circondata dalla luce del sole che la lama di Caliburn rifletteva.

E per qualche istante, ripensandoci, Arthuria pensò che fosse qualcosa di bellissimo – molto più incantevole della luce del sole mattutino che trapelava tra le nuvole.

Avrebbe vinto, il giorno dopo.

Era un’amichevole battaglia aperta.

 

 

Note sui personaggi

Arthuria Pendragon: versione femminile del nome di King Arthur (italianizzato: Re Artù).

Guinevere: versione inglese del nome Ginevra. Nella leggenda originale, Guinevere non era né una maga, né figlia adottiva di Cassandra; era, invece, figlia del Re Leondegrade (uno dei Cavalieri della Tavola Rotonda), e sposa di Arthur.

Merlin: versione inglese di Merlino, il mago che contribuì alla nascita di Arthur(ia), che si occupò della sua istruzione durante l’infanzia e l’adolescenza, e che fu il suo consigliere quando questi divenne re.

Cassandra: maga. Personaggio inventato dall’autrice.

Lady Igraine: madre di Arthur(ia), che concepì con re Uther. È, altresì, la madre di Morgana, storicamente concepita con il primo marito, il duca di Tintagil.

Caliburn: conosciuta come la Spada nella Roccia. Viene spesso identificata con Excalibur, ma nella leggenda originale le due spade erano probabilmente differenti, e la spada che doveva essere estratta dalla roccia per ottenere il titolo di re era Caliburn; Excalibur, invece, viene donata dalla Dama del Lago ad Arthur(ia) successivamente.

 

Le vicende: è un pezzo completamente inventato, rispetto alle leggende originali, come buona parte delle vicende che verranno raccontate nei capitoli successivi. Nelle leggende del ciclo bretone, Guinevere e Arthur non si sono conosciuti in tenera età, né, tanto meno, Arthur andava a vedere Caliburn tutti i giorni, né Guinevere viveva in un bosco ed era una maga.



Postfazione importante (o forse no)
Salve a tutti. ^^ Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto. O quantomeno vi abbia interessato.
Alcune note che potrebbero essere di chiarimento.
Questa è una fanfiction incentrata principalmente sulla storia di Arthuria, quindi di parti a carattere Fate/Stay Night se ne vedranno in numero limitato. Siccome sono una brutta e cattiva secondary (ergo: ho visto solo l'anime, e ho iniziato a giocare alla VN, ma abbiate pietà: ho anche trecentocinquantatré Final Fantasy da recuperare e un po' di altre cose da fare), questa dovrebbe essere una cosa positiva. Sperando di non beccare comunque strafalcioni mentre scrivo quei piccoli cenni.
Sostanzialmente tutto questo è nato per farmi andare bene la Shirou x Saber che ci hanno propinato alla fine dell'anime.
Quindi non mi stupisco che quella che doveva essere una one-shot sia diventata una long fic.
(non è vero, non è quello il motivo, è solo che... sono io.)
Ma comunque, essendo una riscrittura delle leggende arturiane un po' diversa dalle leggende cui si è abituati, direi che per me è interessante scriverla.
Ultima cosa (per ora): al momento la storia conta quattro capitoli. ...Il problema è che sono ferma da tre anni nella scrittura del quinto. XD C'è da dire che però nel frattempo mi sono liberata di diverse cose che mi bloccavano dallo scrivere. Quindi, per ora cercherò di pubblicare un capitolo al mese, e nel frattempo continuerò a scrivere. ^^
(Ricordatevi che le recensioni sono sempre ben accette. :3 )
Bene, per ora è tutto. Alla prossima. ^^
-mady

  
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