*Howdy
everyone!
*Ciao a tutti cari lettori, sono l’autrice, e sono qui per
una breve
brevissima premessa alla storia che vi state accingendo a leggere.
*Non preoccupatevi, nulla di grave, è solo
un’informazione di servizio
per non farvi rimanere troppo straniti.
*Frisk in questa storia sarà veramente loquace. E irritante.
E
soprattutto un po’ oligofrenica
(“rincoglionita” mi sembrava una parola
brutta).
*Ah sì, e anche fanciullina.
*No panic, sto scrivendo un’introduzione proprio per
giustificare la
mia scelta di caratterizzazione e spiegarne il motivo: come ben sapete,
la
povera bimba è posseduta durante tutto il suo viaggio
nell’Underground da una
mente esterna, e le sue azioni sono guidate da essa.
*Parlo, ovviamente, di Chara, impersonata dal giocatore.
*O l’autore.
*Me, insomma.
*Dato quindi che Frisk mi avrà allegramente nella sua testa
a decidere
tutto quello che farà e dirà, mi presento subito:
il mio character name è Golia,
piacere a tutti! (ammetto di essere stata indecisa anche fra Mentos,
Ricola e
Tictac, ma alla fine l’italianità ha prevalso).
*Insomma, essendo io la vera destinataria di tutti gli aggettivi
là sopra,
conseguentemente vedrete Frisk comportarsi esattamente come agisco io,
ossia
come una simpatica zuzzurellona.
*Ah tranquilli, non sono una di quei Chara che fanno le Genocide.
*(odio l’umanità solo occasionalmente).
*Bene, chiarito questo, vi lascio davvero alla storia.
*Buona lettura!
Tanto tempo fa, su
una montagna lontana lontana…
“SAAAAAAAAAANS!”
Papyrus si issò a fatica sulla grondaia ai bordi del tetto,
lottando contro il vento e la pioggia torrenziale, e strinse le dita
scheletriche per non perdere la presa sulle tegole scivolose. Purtroppo
per lui
gli scheletri non pesano molto di più di un arboscello in
primavera, quindi il
rischio di essere spinto dalla tormenta e capitombolare giù
di sotto era molto
elevato, ma questo non fermò la sua determinazione. Era
adirato e preoccupato,
e la sua sciarpa rossa sbrindellata sventolava alle sue spalle come il
mantello
di un vero cavaliere.
“SAAAAAAAAANS! – chiamò di nuovo,
urlando tutta la sua
rabbia – SMETTILA! SCENDI DA LÍ!”
“MAI!” rispose la voce di suo fratello suonando
folle e
ferita, così inusuale per uno come lui, come se stesse
rispondendo al suo
peggior nemico. Papyrus si sentì un po’ morire
dentro a sentirlo così.
La figura incappucciata di Sans apparve accovacciata sul
tetto, ancorata precariamente alla superficie sdrucciolevole e con
qualcosa di
tecnologico fra le mani. Solo i suoi occhi brillanti rilucevano nella
fosca
aria della tempesta, stagliandosi febbrili dalla penombra che copriva
il suo
viso solcato da rigagnoli di pioggia. Papyrus finalmente si
sollevò in piedi e
si aggrappò al camino per non perdere
l’equilibrio, messo in serio pericolo
dalle folate di vento.
“IO NON TI RICONOSCO PIÚ, SANS! NON ANDARE DOVE IO
NON POSSO
SEGUIRTI!” urlò il povero scheletro, piegato in
due per non prendere il volo ma
deciso a non abbandonare l’unico altro membro della sua
famiglia.
“TU NON CAPISCI! – rispose
l’incappucciato ruggendo contro i
tuoni – NON CERCARE DI FERMARMI!”
“ERI MIO FRATELLO, SAAAANS! ERI MIO FRATELLO!”
Sans smise con un sussulto di armeggiare con cavi e pinze.
Sollevò lentamente la testa.
Vide Papyrus di fronte a lui, in lotta contro i rovesci del
cielo, bagnato fradicio e quasi in lacrime.
Nonostante tutto, gli scappò un sorrisetto sbilenco.
“Eh. – disse – Paps, ma
tu…”
…
Tutto era cominciato parecchio tempo
prima, per la
precisione un paio di mesi avanti.
I mostri erano, in quel periodo, ancora intrappolati
nell’Underground: in pochi ormai avevano mantenuto viva la
speranza che uno
sfortunato essere umano, il settimo e ultimo, precipitasse in quel buco
umido
dove trascorrevano le loro monotone esistenze e fosse usato per
distruggere la
barriera. Ancora meno mostri, per la precisione quelli che vivevano
nella amena
cittadina di Snowdin, continuavano a disperare di trovar presto la loro
libertà, ma semplicemente perché
l’unico umano che effettivamente era caduto ed
era disponibile alla causa si era rivelato troppo adorabile
perché si potesse
anche solo pensare di mandarlo in pasto al re. Ovviamente, questo
essere umano
era Frisk.
La bimba si era conquistata in meno di mezza giornata i
cuori di tutti gli abitanti della zona nevosa: aveva coccolato tutti i
cani,
aveva liberato il povero Gyftrot dalla sua miseria, era (quasi)
riuscita a
sopportare Jerry ed era persino stata capace di farsi dare il numero di
telefono da Papyrus, che come è risaputo è
impresa pressoché impossibile,
considerati i suoi standards (come
poi ci fosse riuscita, questo se lo chiedevano tutti).
Sans non faceva altro che seguirla ovunque andasse,
trascurando ancora più del solito il suo lavoro di
sentinella, e questo doveva
per forza essere segno di quanto quella bambina piacesse anche a lui.
Di certo,
non era mai stato tipo da fare una cosa del genere. Non era tipo da
fare cose in generale, in
realtà.
In ogni caso, l’inizio della nostra strana vicenda avvenne
proprio in un momento in cui Frisk si era ritrovata di nuovo di fronte
al
piccolo scheletro, circa verso l’ingresso della grotta delle
cascate, e si era
fatta fare un occhio viola per colpa di uno stupido telescopio che lui
si era
portato dietro. Cosa diavolo Frisk sperasse di vedere attraverso quel
coso, poi,
non si sa, dato che in quella maledetta caverna c’erano solo
rocce, pietruzze
luccicanti e infiltrazioni, ma forse aveva solo ceduto alla strana
fascinazione
che Sans era in grado di creare con chiunque gli parlasse: di fatto
aveva
abboccato allo scherzo come una scema.
Si era allontanata un po’, ferita nell’orgoglio, e
aveva
fatto quello che faceva sempre quando qualcosa le metteva tristezza:
aveva
telefonato a Papyrus.
Sans ancora la fissava con quei suoi occhi brillanti,
divertiti dalla sua reazione piccata.
“Ah, mio fratello dici? Ma certo che ha un telescopio!
–
aveva detto squillante la voce di Papyrus attraverso il ricevitore
– Lui adora
quella roba inter-galattica e fantascientifica! Ah, non te
l’ha detto? Ah. No,
lui non dice mai niente a nessuno in realtà!”
Frisk aveva premuto il pulsante di fine chiamata.
Click.
“Ah.” Aveva detto, girandosi e puntando gli occhi
neri
dentro le orbite vuote di Sans. Lo scheletro mantenne il sorriso ma
parve
impallidire (impallidiscono, gli scheletri?), perché il tono
dell’umana era
serio come un annuncio di licenziamento.
“Ehi, ragazzina? – aveva detto, senza rompere (ma
con un
certo sforzo di volontà) la sua calma compiaciuta -
…che hai?”
“Lo sapevo. – riprese Frisk – Lo sapevo,
maledetto sacchetto
di ossa traballanti. Sei nerd anche tu.”
“…cosa?” minimizzò subito
Sans, alzando un’arcata
sopraccigliare come se quell’affermazione fosse completamente
assurda.
“Se se, fai poco quello che cade dal pero. Ormai ho capito
come funzioni, ormai nulla potrà più nasconderti
da me. Sei nerd anche tu ma
non vuoi dirlo perché sembreresti meno fico. Ma ormai
è troppo tardi.”
La bimba gli si piazzò davanti con espressione serissima, e
Sans si lasciò sfuggire un risolino tra i denti
perché la faccina determinata
di quel cucciolo di umano – con l’occhio ancora
cerchiato di viola – era
irresistibile.
“No dico? Ti serve una calcolatrice? Perché stai
dando i
numeri ragazzina.”
“Certo certo. Intanto, tu hai disperato bisogno di una
cosa.”
Frisk gli puntò l’indice contro, confondendolo
ancora di
più.
“Dobbiamo fare una maratona di Star Wars. Io, te, il divano,
una coperta e tante patatine. Non puoi sfuggirmi.”
Sans a questo punto si lasciò andare completamente, preso in
contropiede dalla proposta, ridacchiò sollevando le spalle e
infilò una mano
nei capelli della bambina, scompigliandoli tutti.
“Eh eh eh va bene va bene, se ti fa piacere lo
faremo.”
Anche Frisk sorrise scoprendo tutti i dentini, gongolando
contenta per il sì e per le coccole inaspettate. Lo
scheletro le fece
l’occhiolino.
“Questo vuol dire che pensi di restare?”
“…perché, vorresti che io restassi con
te?”
“Certo sarebb… aspetta, ci stai
provando?”
“…sì?”
“Vai va. Fila che c’è gente che ti
aspetta più avanti.”
Questa piccola promessa
passò presto in secondo piano, e sia
Frisk che Sans non ci pensarono più per un po’.
Insomma, si trovarono anche con
ben altro per la testa: Frisk, per esempio, fu piuttosto impegnata a
cercare di
non farsi uccidere brutalmente da Undyne, da Mettaton, da tutti i
mostri pagati
da Mettaton (per colpa di Muffet ora solo la vista delle ciambelle
glassate le
dava attacchi di panico) e da quella stupida erbaccia di nome Flowey,
che poi
però si era rivelata essere il figlio del re condannato ad
un destino peggiore
della morte e allora parliamone e allora oddio
cos’è quel laser e allora
“lasciami vincere” e allora…
sì, insomma, il resto è storia.
Di fatto, prima della continuazione di questa storia la
barriera fu infranta, i mostri tornarono in superficie e Frisk decise
di
restare a vivere con la sua mamma capra, anche perché,
nonostante non l’avesse
mai detto a nessuno, se era scappata al monte Ebbot tutta sola era
perché in
realtà la sua vita precedente non era proprio tutto questo
gran bijou (ma questo, forse,
è materiale per
un’altra storia).
Passarono i giorni e venne l’estate, e tutti lavorarono
moltissimo per costruirsi una vita fuori dalle caverne, chi
trasferendosi in
città vicine e chi costruendosi una nuova casa lì
sul fianco della montagna,
vicino alla foresta: per loro fortuna, scoprirono che il monte Ebbot
era molto
vicino al mare e il clima che trovarono fu semplicemente delizioso.
Nacque una
nuova cittadina, e fu chiamata – con la tradizionale
originalità dei nomi degli
insediamenti dei mostri – Woods.
C’era
la locanda, il mercato, il pub e anche una scuola, insomma, tutto
quanto: i
mostri avevano spostato le loro attività
all’esterno e probabilmente si
sarebbero espansi sempre di più.
Con grandissima gioia di Frisk, tutti i suoi amici più cari
avevano deciso di restare a vivere vicino a lei in quel piccolo
paesino, perché
non tutti provavano simpatia istantanea per gli umani come i cani o
come
Mettaton, che aveva subito deciso di andare a occupare una bella villa
nel
mezzo di una città umana lì vicina, infestandola
insieme a suo cugino
Napstablook.
Ma ora non è il momento di stare ad approfondire come si
organizzarono i mostri fuori dalla barriera e quello che fecero,
piuttosto, ci
interessa sapere che una sera di Luglio, mentre fuori l’aria
fresca dava un po’
di respiro alla calura del giorno e lucciole vaganti danzavano fra i
fiori nei
cortili, Frisk andò a citofonare alla nuova casa dei due
fratelli
scheletri, con una
borsa sulle spalle e la custodia di un cofanetto di dvd in mano.
Papyrus fu parecchio stupito di
trovarsi la sua piccola
amica alla porta, quella non era proprio l’ora in cui i
ragazzini della sua età
andavano in giro. Lui tra l’altro stava uscendo e si
trovò in imbarazzo su come
accoglierla.
“Saluti Frisk! Buonasera! Che bello vederti qui…
emh… mi
spiace di non poterti offrire nulla, ma abbiamo appena finito di
cenare… non è
un po’ tardi?”
“Ciao Papaya!”
“…senti io sto andando da Undyne, ma non me la
sento di
chiederti se vuoi venire perché poi magari facciamo tardi e
poi Toriel si
arrabbia e…”
La bambina non era nemmeno stata ad ascoltarlo, si era
chinata da un lato per guardare oltre la sua figura sottile e si era
messa a
cercare con gli occhi qualcosa all’interno della casa. Sans
stava sdraiato sul
divano col telecomando in mano.
“Ehi tu! – urlò Frisk – Non ti
sarai mica dimenticato della
promessa che mi hai fatto, eh?”
Papyrus si grattò la testa, confuso, mentre suo fratello si
alzava pigramente per scoprire chi era la nuova arrivata e si stupiva
ugualmente della sua presenza, e soprattutto della sua espressione
carica di
aspettativa.
“Frisk! – esclamò – Entra, non
stare lì fuori! Ma si può
sapere che ci fai qui?”
La bimba superò Papyrus, mollò a terra la sua
borsa e mostrò
entusiasta quello che aveva in mano, sollevandolo come se fosse stato
un trofeo
e sfoderando un sorriso sdentato estremamente contagioso. I due
scheletri la
osservarono senza capire il motivo di tutta quella gioia.
“…sono film?” chiese Papyrus,
continuando a grattarsi la
testa.
“…l’ho trovato oggi pomeriggio al
blockbuster! – spiegò
Frisk, stringendosi al petto il cofanetto – Così
finalmente possiamo guardarli
insieme!”
Sans ebbe un lampo di consapevolezza, nel leggere cosa c’era
scritto sulla scatola in mano alla bambina, e si ricordò di
quella volta, che
sembrava quasi una vita prima, quando le aveva promesso che avrebbero
fatto una
maratona insieme di una saga di film della quale non sapeva
assolutamente nulla
se non che il nome prometteva piuttosto bene. Dopo tutto quello che era
successo se ne era praticamente scordato, ma evidentemente Frisk era
parecchio
determinata e questa sua dedizione per lui gli scaldò il
cuore.
“Cos’è?” chiese Papyrus
interessato.
“Star Wars! Questa
è la saga di fantascienza più bella della
galassia!”
Frisk sembrava in stato di estasi.
“Oh mi spiace, ma non posso guardarli con voi, Undyne mi
aspetta. Ciao ciao!”
“Ciao Paprika!”
Papyrus si defilò veloce come il vento fuori dalla porta di
casa, evidentemente sentendo puzza di una serata parecchio nerd in
arrivo, e
non quel tipo di nerd che andava a genio a lui: era più un
tipo da piratesco o
automobilismo, e Sans lo sapeva benissimo. Lo scheletro rimasto
invitò la bimba
a raggiungerlo sul divano aprendo accogliente un braccio, e lei si
trascinò
dietro la borsa fin lì per poi spiccare un salto e finirgli
letteralmente in
braccio. I suoi occhietti lucidi di contentezza facevano presagire
qualcosa di
parecchio speciale.
“Vedrai che ti piaceranno un sacco Sans! Se ti piace la
fantascienza perderseli è un delitto!”
“…ma quanti sono…?” chiese lo
scheletro sorridendo, dopo aver preso in mano il cofanetto che pareva
di dimensioni più consistenti di
quelle che si era aspettato vedendolo a distanza.
“Sei!”
“Eh?!”
“Sette, in realtà… ma il settimo non
è ancora uscito in
dvd.”
“…ma Frisk, sono tantissimi!”
“La notte è lunga mio caro Sans!”
La ragazzina saltò giù dal divano e si mise a
ravanare
dentro alla sua borsona, tirandone fuori una coperta, un sacchetto di
biscotti,
un thermos pieno di the e il pigiama. Lo scheletro si chiese, con
allegra
rassegnazione, in quale diavolo di situazione s’era andato a
cacciarsi con
quella promessa che le aveva concesso, facendo nuovamente nota mentale
di
quanto non gli andasse a genio fare promesse alla gente.
“Immagino che dovremmo iniziare subito allora, o
l’alba
arriverà prima che abbiamo finito!”
affermò con un occhiolino, avvolgendosi la
coperta sulle spalle e creando uno spazio apposta per Frisk tra le sue
gambe.
Lei non se lo fece dire due volte e inserì il primo cd nel
lettore, spense le
luci, prese il telecomando e si fiondò addosso al suo amico,
infilandosi nel
nido che questo le aveva preparato. Lui la circondò poi con
le braccia e appoggiò
il mento osseo sulla sua testa, in modo tale tutti e due, avvolti dalla
coperta, sembrassero un grosso involtino.
Schermo nero, musica iniziale, titoli di testa.
Da quella notte, nulla fu più come prima.
*Beccatevi questa immagine di
Sans e Frisk vestiti da pinguini. C'entra con la storia? Assolutamente
no. Sono carini? Sì.
*Al prossimo capitolo!
*Goli-COFF COFF
*Kiki