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Autore: lanavepirata    25/04/2016    0 recensioni
La storia inizia nel giorno del funerale di Anita; la famiglia, quando torna a casa, trova una lettera che annuncia il ritorno della ragazza morta.
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"La messa è finita, andate in pace". Nina si alzò dalla sedia, sollevata dall’idea che potesse andarsene e non vedere più quella folla di gente singhiozzante. Odiava le lacrime, sia le sue che quelle degli altri, e questo le rendeva ancora più difficile assistere ad un funerale. Il funerale di sua sorella Anita, per giunta.
Tornò a casa, seduta sul retro della macchina, immersa nel silenzio totale e assordante che aveva imparato a conoscere negli ultimi  giorni. Sua madre ogni tanto la spiava dallo specchietto retrovisore, forse per controllare come stava, forse per accertarsi che ci fosse ancora, almeno lei. Scesi dall’auto attraversarono il vialetto coperto da una coltre di foglie che suo padre non aveva avuto la forza di rastrellare, ed entrarono in casa. Tutti e tre notarono subito una busta sul tavolino del salotto; la carta era vecchia e ingiallita e non c’era il francobollo. "Forse è un telegramma che mi sono dimenticata di leggere" disse la madre, quasi con un tono di scusa, ed andò a prenderla con un andamento rallentato che ricordava quello di una donna di ottant’anni. Lesse le poche righe della lettera muovendo velocemente gli occhi e si accasciò sulla sedia più vicina. "Che c'è scritto?" disse il padre, senza ottenere risposta. "Mamma, cosa c'è scritto?" provò di nuovo Nina, e le prese la lettera dalle mani. il foglio, che aveva quell’odore tipico dei vecchi libri che trovi nei mercatini dell’usato, recitava queste parole:

Gentile famiglia Marchetti,
la informiamo che in data 25 Ottobre 2016 la signorina Anita Marchetti farà ritorno alla vostra casa, in via dell’Ombra, numero 57.
Cordiali Saluti


I tre si guardarono per un minuto, agghiacciati e senza la capacità di esprimere una sola parola. "Chi è che si diverte a fare questi scherzi idioti?" disse improvvisamente il padre, alzandosi di scatto dalla poltrona come era solito fare un tempo, quando ancora aveva l’energia per farsi prendere dall’ira. Strappò di mano il foglio a Nina, cercando invano il mittente della lettera. "Forse si tratta di uno sbaglio" disse la madre con un filo di voce, mentre la palpebra le tremava leggermente. Il nome della sorella, l’indirizzo, l’anno, c’era tutto, pensò Nina. Il 25 Ottobre, esattamente tre giorni dopo. Provarono a pensare se Anita avesse organizzato un viaggio da qualche parte prima che la sua malattia se la mangiasse viva, e se la data di ritorno fosse proprio il 25 Ottobre, ma non venne loro in mente niente. Rimasero nel salotto per molto tempo, finché il padre non decise di buttare la lettera e non pensarci più, ma mentre si dirigeva al cestino, Nina e la madre videro che l’uomo la nascose nella tasca interna della giacca. Quella fu la giornata più infinita della vita di Nina. La ragazza si sentiva quasi in dovere di non fare nulla, forse per rispetto verso sua sorella, forse perché non riusciva a scacciar via quella voce nella testa che bisbigliava “forse dovresti dar retta alla lettera…”, “forse dovresti aspettarla…”. “Falla finita Nina, sei ridicola” si ripeteva distesa sul pavimento di camera sua, mentre il tic-tac delle lancette sembrava andare più lento del solito. Ma alla fine arrivò la sera, e anche l’ora di mettersi il pigiama, di lavarsi i denti, di andare a dormire, ma non prima di sentire una frase provenire dalla camera dei suoi: "E se..." . Poi più niente.
Il 25 ottobre arrivò, come arriva ogni giorno, nonostante la lentezza del tempo ci illuda che esso possa arrivare a fermarsi. I membri della famiglia erano ormai estenuati dalla lotta interna tra voglia di credere alla lettera e razionalità, che tutti e tre vivevano segretamente poiché nessuno aveva più parlato di ciò che era successo. Passarono la mattinata paralizzati dall’angoscia, e alla fine, come qualcosa di inevitabile, si creò in casa l’atmosfera dell’attesa. Per l’ora di pranzo il padre apparecchiò la tavola, e mise al posto di Anita il piatto, solo quello però, niente posate ne bicchiere. Fece così anche a cena e la famiglia mangiò in silenzio, ma più rilassata perché la giornata stava finalmente volgendo al termine. Quando Nina finì di lavare l’ultimo bicchiere, il campanello suonò. Gli sguardi dei tre si incrociarono veloci, agitati, ma Nina non si stupì nel vedere che nel volto dei suoi genitori non c’era sorpresa. Aprì la porta e Anita era lì, piccola e ricurva in un maglione rosa antico che Nina non aveva mai visto prima. Si spostò per farla entrare e le fece cenno di sedersi, come si fa con un ospite, tutto nel totale silenzio della famiglia. Da dove si comincia a parlare con una persona che è morta tre giorni prima? Avrebbero dovuto chiederle dove fosse stata in quei giorni d’assenza? Solo il pensiero di cosa avrebbe potuto rispondere faceva gelare il sangue a tutti, perciò continuarono a tacere. Nina non osava nemmeno guardare i suoi genitori, perché sapeva che non avrebbe più visto la dolcezza con cui guardavano Anita nei giorni precedenti alla morte, ma solo disagio. Disagio che notava anche nella sorella, gobba e smarrita come se non avesse mai visto quella casa. "Vado a dormire, sono un po' stanca" disse all’improvviso, alzandosi e dirigendosi con fare fiacco verso la sua camera, che si pensava sarebbe rimasta vuota per sempre. L’indomani mattina Nina fece quasi un salto quando si trovò di fronte Anita, in piedi ferma in salotto e con ancora indosso il maglione rosa. "Buongiorno" accennò con un filo di voce, ma non ebbe risposta. La guardò allontanarsi e fermarsi di fronte alla finestra della cucina, dove rimase per quasi tutta la mattinata. Nessuno della famiglia ebbe il coraggio di provare a parlarle, ne lei sembrava intenzionata a stabilire un contatto: vagava per la casa e cercava di incrociare il meno possibile lo sguardo degli altri. A cena tutti mangiarono poco, e l’unico suono udibile era l’aria che entrava lentamente nei polmoni e veniva buttata fuori rumorosamente. Diversi giorni si susseguirono in questo modo, con la presenza/non presenza di Anita che diventava sempre più ingombrante: i membri della famiglia arrivarono a far di tutto per non trovarsi nella stessa stanza della ragazza e vivevano in una perenne condizione di disagio, come se non riuscissero più a percepire il conforto che la propria casa di solito dà.
Una mattina la famiglia si alzò, consapevole che ci fosse qualcosa di diverso. Anita non era da nessuna parte, ne in cucina, ne in salotto, ne camera, ne in giardino a fissare la strada. Tutti sentirono bruciare il senso di colpa, non perché non avessero fatto niente per tenerla con loro, ma perché erano contenti che se ne fosse andata. Non si guardarono nemmeno, per la vergogna che potesse trasparire il sollievo che stavano provando. Tornarono pigramente alla loro vita di sempre e poterono finalmente piangere in pace la scomparsa della loro amata e compianta figlia e sorella.
                                                                                                                                                
   
 
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