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Autore: veronpar    26/04/2016    0 recensioni
Rebecca, una ragazza di 22 anni. Una laurea in mano da poco e una nuova vita a Londra. Per conoscere se stessa, allontanarsi da una famiglia che la ama ma che al tempo stesso la considera ancora una bambina e soprattutto, il bisogno di lasciarsi alle spalle una storia finita male.
Brandon, 24 anni. Hooligans, immaturo, sfacciato e pieno di se. Cosa succede se i loro sguardi inevitabilmente si incontrano?
"e tu, tu sei arrivato, mi hai guardato e allora tutto è cambiato per me. "
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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È tardo pomeriggio. Sono distesa sul letto, nella mia nuova stanza presa in affitto a Londra. Sono arrivata da circa tre ore e la mia testa ha già pensato di tutto senza fermarsi neanche un secondo. L’aver lasciato Roma e i miei amici. I saluti con la mia famiglia all’aereoporto e le raccomandazioni di mamma. “Rebecca goditi questa nuova avventura”- “ci mancherai tantissimo. Scrivici tutti i giorni anzi no, chiamaci tutti i giorni e scrivi almeno una volta a settimana”. Sorrido. Le persone che fanno parte della mia vita erano tutte lì a salutarmi. Il testone di mio fratello nel mentre prendevo un caffè al bar dell’aereoporto mi ha confidato, strappandomi la promessa di mantenere il segreto, che è stata una cosa organizzata da mio padre e mia sorella. Al pensiero scuoto la testa e scoppio in una risata fragorosa. Nonostante la felicità di essere qui, già sento la loro mancanza . Avrei voluto avere più tempo per stare con loro prima di salutarli, dir loro che averli al mio fianco è sempre stato molto importante. C’erano tutti, tranne Fabio. Sospiro. Forse è stato meglio così. Si, è stato decisamente molto meglio. Improvvisamente i miei pensieri vengono interrotti da Susan la mia conquilina d’appartamento; un concentrato di esuberanza e follia allo stato puro. Bassa, capelli a caschetto biondo cenere, un fisico da paura nonostante la sua altezza. Un carattere fin troppo aperto ma che subito mi è andata a genio. Sono certa che con lei sicuramente non mi annoierò. “Dai italiana, fatti bella che stasera si esce a festeggiare il tuo arrivo. Non accetto un no, quindi hai esattamente 30 minuti per essere decente e portare il tuo culetto fuori dalla porta”. Le sorrido, si è già trasformata in un uragano per i miei gusti e la cosa non può che farmi piacere. Siamo in un pub di Camden Town, è uno dei miei quartieri preferiti di Londra. Mi piace tutto di esso, dai negozi alla gente che lo frequenta e poi, è il quartiere di Amy Winehouse, una delle mie artiste preferite. Il pub è pieno di gente e Susan, la folle Susan, ha prenotato un grande tavolo con i suoi amici, senza dubbio stravaganti come lei ma simpatici. Mi piace la mia nuova vita londinese. Tra una battuta e una risata è già la terza birra che mi faccio e se continuo di questo passo mi prenderò una forte sbronza. Dallo stereo parte God Save The queen dei Sex Pistols, è una delle canzoni che ascolto per caricarmi. Insieme a Johnny Rotten iniziamo a cantarla insieme "no future no future, no future for you" attirando l’attenzione di tutti i presenti, ok l’alcool sta facendo il suo effetto. La canzone finisce portando con se gli applausi ma anche i fischi dei presenti, di certo non si può dire che siamo stati intonati. “Ehi Jack, porta un’altra pinta di birra al tavolo, oggi si festeggia”, mi giro verso Paul e con un leggero sorriso esclama “ehi italiana stasera si beve e si festeggia senza fare storie”. Scoppio a ridere e chiedo a Susan di accompagnarmi in bagno, dopo un po’ di storie si alza e mi accompagna. Come previsto per il bagno c’è la fila, mi appoggio al muro verdone del pub pieno di scritte e sbuffo, le attese mi hanno sempre snervato. Susan, improvvisamente inzia a urlare di muoversi, dicendo che non può passare tutta la serata a fare la fila. In preda ai fiumi dell’alcool scoppio a ridere senza freni e lei insieme a me. Fino a quando non si gira il ragazzo davanti a me. Alto, carnagione scura, due occhi cerulei, moro; una semplice maglietta bianca e dei jeans scuri che gli fasciano la vita, quanto basta a far intendere il fisico che nasconde sotto. Con un sorriso esclama “spiegaglielo bene altrimenti mi tocca cambiare il serbatoio qui seduta stante e non mi sembra il caso davanti a queste belle ragazze”. Quel sorriso. David Bowie intanto sta cantando Space Oddity “Now it's time to leave the capsule if you dare, This is Major Tom to Ground Control” e credo che la mia navicella si sia appena schiantata contro questo ragazzo. Il mio cervello non ha avuto neanche il tempo di articolare una risposta che l’angelo davanti a me è entrato in bagno. Resto ferma, appoggiata al muro quando improvvisamente Susan mi riporta alla realtà. “Becca torna nel pianeta terra, si è liberato il bagno, entra dai”. Ancora non realizzo, meccanicamente entro e mi chiudo la porta dietro di me. Era reale o semplicemente frutto della mia fantasia? Neanche ricordo il motivo per cui dovevo andare al bagno; apro il rubinetto dell’acqua e inizio a lavarmi la faccia. Mi guardo allo specchio e mi faccio una coda. Sento una forte vampata di calore. Riesco dal bagno, promettendomi di tornare alla realtà. Con Susan torno al tavolo dagli altri ma non faccio altro che guardarmi intorno, dov’è il misterioso ragazzo? Accidenti l’ho perso. Decido di uscire a prendere una boccata di aria fresca e fumarmi una sigaretta, tra vari spintoni arrivo all’uscita. Davanti a me, appoggiato a un lampione in disparte c’è il ragazzo della fila. Questa volta indossa un maglione blu scuro Stone Island; è bello anche da dietro. Come se mi avesse letto nel pensiero si gira, mi osserva e viene verso di me. Mette una mano in tasca e dal jeans caccia un accendino. Lo prendo con mano tremante senza dire una parola e accendo la mia sigaretta. Glielo porgo balbettando un flebile “grazie”; scuote leggermente la testa, sorride ed esclama “piacere Brandon”. Brandon. Da lontano un ragazzo lo chiama “dai Bran, andiamo sai che domani ho il turno di mattina”. Vedendo che si gira torno improvvisamente alla realtà, “Rebecca. Mi chiamo Rebecca”.
   
 
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