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Autore: Himenoshirotsuki    29/04/2016    3 recensioni
[Fantasy Steampunk]
La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per combattere i mostri; l'altra che muove le sue armate di luce contro le vessazioni e i miscredenti in nome di un dio forte e misericordioso.
Luce e ombra, ying e yang che si alleano e si scontrano continuamente da più di cinquant'anni.
Ma è davvero tutto così semplice? La realtà non ha mai avuto dei confini netti e questo Alan lo sa. In un mondo dove nulla è come sembra e dove il male cammina tranquillo per le strade, il cacciatore alla ricerca della sua amata si ritroverà coinvolto in un qualcosa di molto più grande, un orrore che se non verrà fermato trascinerà l'umanità intera nel caos degli anni precedenti l'industrializzazione. Perchè, se è vero che la Dogma e la Chiesa difendono gli umani dai mostri, non è detto che non sarebbero disposte a crearne per difendere i loro segreti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Slayers '
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Slayers
Act. 2 - The Druid's Heart

 
 
Attraversarono uno stretto fiume e, una volta dall’altra parte, spronarono i cavalli nel bosco, tra le alte querce dalle ampie chiome e le felci che arrivavano alle staffe.
Angelika si guardava attorno meravigliata. Mai nella sua breve vita era stata circondata da così tanto verde, nonostante avesse vissuto in campagna. Spesso si fermava ad osservare questo fiore o quel fungo variopinto e più volte Frejie doveva spronarla a muoversi, ma la ragazza sembrava persa in un mondo tutto suo. Alla fine, la maga ci rinunciò. Ormai la destinazione era vicina e, se avessero proseguito di buona lena, sarebbero arrivate con un’ora d’anticipo sulla tabella di marcia.
Frejie sospirò e si strinse nella pelliccia di visone. Nonostante la stanchezza però, sapeva che la preoccupazione per quello che Angelika le aveva detto le avrebbe impedito di dormire. A questo si sommava il dubbio che Davlamin non fosse lo stesso che aveva conosciuto dieci anni prima. Non sapeva se avesse intuito qualcosa riguardo il potere di Angelika, ma si ritrovò a sperare che avesse perduto l'arguzia di cui si vantava un tempo.
Girò stancamente la testa e vide la sua allieva sussultare e il suo cavallo impennarsi davanti a un lupo dal manto grigio, gli occhi gialli e le zanne snudate sul muso contratto. Allarmata, la maga cominciò a fare dei rapidi gesti con le mani, maledicendosi per la sua disattenzione, quando il vento le portò una voce alle orecchie. Era una voce delicata, che parlava un idioma antico e precluso ai più. Anche gli animali dovettero percepirla, perché il cavallo si lasciò domare e il lupo smise di ringhiare, indietreggiando fino a un’alta quercia, dietro la quale Frejie scorse una figura minuta e esile.
Era un bambino fra i tredici e i quattordici anni. Come tutti i figli dei druidi, i capelli lunghi erano stati intrecciati con perle e piume di corvo, mentre sul viso spiccavano i simboli tribali dipinti con mallo di noce e tralci di vite. La tunica verde e marrone, cucita con diversi pezzi di stoffa, gli ricadeva morbida sul corpo immaturo. Naturalmente, aveva un pugnale assicurato alla cintola e la freccia incoccata nell’arco abbassato. Alle sue spalle, Frejie percepì la presenza di altre dieci figure.
- Ko wai’l  koe?1 - domandò il piccolo, avvicinandosi di soppiatto.
Kel’ matou hoa oto koutou ariki. Kia haere tatou.2 - rispose senza esitare.
Sorpreso che conoscesse la loro lingua, avanzò incuriosito di un passo, ma una voce autoritaria gli urlò qualcosa che lo bloccò sul posto.
Frejie fece voltare il sauro e vide tre uomini e due donne avvicinarsi. Erano tutti armati e portavano i capelli lunghi, come la tradizione imponeva ai guerrieri. Una ragazza della stessa età di Angelika intimò ai compagni di fermarsi e si staccò dal gruppo, gli occhi azzurri e attenti puntati su di loro. Le tre trecce che le ornavano il capo dondolavano ad ogni suo passo, accarezzando i fianchi stretti e segnati da due profonde cicatrici ad artiglio. Al suo passaggio, le foglie non scricchiolarono, come se levitasse. Frejie celò la sorpresa dietro una gelida compostezza.
Alè ono Frejie te wahine makutu?3 -
La maga annuì, rivolgendole un ampio sorriso: - Sono passati solo quindici anni e già ti dimentichi di me, Anevia? -
- No, ma non potevo avere la sicurezza che fossi davvero tu. -
- E cos’altro ti serve per convincerti che sia io? -
La ragazza restrinse gli occhi a due fessure: - Whakaaturia ahau te pere me nga kohatu.4 -
Frejie scese da cavallo e, dopo essersi abbassata il cappuccio, inclinò il collo in modo da mostrarle la prima pietra del potere, quella che aveva alla base della nuca. Seguì un lungo silenzio, durante il quale Anevia le tolse il mantello e le tastò la schiena, contando le gemme una ad una per accertarsi che fossero realmente sedici. Solo quando sfiorò l’ultima fece cenno agli altri di abbassare le armi e di avvicinarsi.
- Adesso sei sicura che sia realmente io? - la canzonò la maga.
- Diciamo di sì. - rispose Anevia, - Lei chi è? -
Vedendo che la stava indicando, Angelika incassò la testa nelle spalle, calcandosi il cappuccio in testa come se bastasse a farla sparire. Frejie non la biasimava, i Cervir, così si chiamavano tra di loro, non erano famosi per la loro ospitalità, anche se il ragazzino di prima la guardava più con curiosità che astio.
- È la mia allieva. -
La seconda ragazza del gruppo era un po’ più alta di Frejie, ma il seno piccolo, i capelli neri e l’ovale morbido del viso le suggerivano che non dimostrava gli anni che aveva. Quando Anevia le aveva dato l’ordine, era stata la prima a raggiungerla.
- Aria… strana attorno a lei. - commentò.
- Lo so, per questo sono qui. Devo parlare col Padre. - spiegò pacata.
- E che autorità avresti per fare una richiesta simile? - intervenne uno dei tre guerrieri, che superava di almeno una testa tutti i suoi compagni.
Aveva un accenno di barba rossiccia sul mento e sulle guance. Portava la collana di un dente di lupo al collo e una pelliccia marrone, spessa e pesante. Una cinghia di pelle gli assicurava sulla schiena una faretra piena di frecce.
- E tu chi saresti, muda?5 - domandò Frejie.
Quello la trafisse con un’occhiata gelida: - Non chiamarmi “ragazzo”, asing6. -
- Non era mia intenzione offenderti. Sono un po’ arrugginita, al di fuori della foresta la vostra lingua non è parlata. –
La sua voce era velata d’ironia, ma il guerriero non si scompose. La scrutava con diffidenza, in un modo che le ricordò Alan. Solo in un secondo momento, Frejie si rese conto che entrambi avevano gli stessi occhi.
“No, i suoi sono più chiari.”
Si morse le labbra e inghiottì la tensione che le serrava la gola, la mano stretta con forza sull’orlo del mantello.
- Non hai ancora risposto alla mia domanda. – insistette il cacciatore.
A Frejie parve che ci fosse qualcosa di forzato nella freddezza che ostentava, ma accantonò il pensiero e incoraggiò Angelika ad avvicinarsi. La giovane, seppur con palese riluttanza, smontò di sella. Era rigida e a malapena riusciva a controllare il tremore alle mani. Quando la sua maestra le tolse il cappuccio, per poco non si ritrasse spaventata.
- La tua compagna l’ha già notato e penso che anche a tu abbia percepito un’aura diversa dalla mia su di lei. Sono qui perché ho bisogno di saperne di più e l’unico che può chiarirmi le idee è proprio il Padre. - illustrò Frejie.
Il druido incrociò sull'ampio torace le braccia cosparse di incisioni e attese altre spiegazioni, per nulla intenzionato a cedere terreno, né tanto meno fiducia. Il silenzio tra di loro si fece così denso che Frejie poté sentire il battito agitato del cuore di Angelika.
- Cosa vuoi che ti dica? Ne so meno di te. Sono venuta qui per avere risposte e non sei tu colui che potrà darmele. -
- Ha ragione lei, Kiol, è inutile rimanere qui a discutere. - intervenne Anevia.
- Come fai a sapere che non sta mentendo? È un’asing, un’estranea, non ci si può fidare di loro. -
Le due donne si scambiarono un’occhiata d’intesa.
- Noi ci conosciamo. - rispose Anevia, rivolgendo poi un rapido gesto ai due uomini rimasti indietro, che annuirono e scomparvero tra gli alberi.
- Vuoi davvero scortarla fino al cuore? - chiese dubbioso Kiol.
- Sì. Ora va’ con Feun e Hel, seguili e assicurati che annuncino la nostra ospite. -
Kiol aprì la bocca per ribattere, ma Anevia gli aveva già dato le spalle. Prima di andarsene, il cacciatore lanciò un’ultima occhiata a Frejie e, solo quando sparì nel sottobosco, la maga si concesse di tirare un sospiro di sollievo.
- Qualcosa non va? – la voce di Anevia la riscosse dai suoi pensieri.
- No, sono solo molto stanca. – si affrettò a rispondere, - è stato un lungo viaggio. –
La druida tacque. Alzò la testa e rimase un momento a osservare il lento oscillare dei rami sopra di loro. Il vento aveva cominciato a soffiare più forte e il viola del crepuscolo si stava espandendo sopra la linea dentellata delle cime degli alberi.
Frejie si sistemò meglio il mantello sulle spalle, abbandonandosi a una risatina divertita.
- Perché ridi? –
- Nulla, nulla. Non cambi mai. – si passò una mano sulla bocca, prendendosi un momento per recuperare la sua solita compostezza, - Sono passati quindici anni, ma sei rimasta la stessa ragazza ossuta e seriosa. -
- Taci, prima che cambi idea. - indicò Angelika col mento, - Davvero non sai nulla? -
- Dubiti delle mie parole? Mi ferisci. -
- Sempre meglio dubitare che fidarsi ciecamente. -
- Hai appena mandato via tutti i tuoi compagni, scegliendo di restare in compagnia della tua amica e quel bambino, che a malapena conoscono la lingua comune. Questo non è forse un segno di fiducia? -
Anevia sbuffò e le diede le spalle. Lasciò la freccia incoccata nell’arco e le dita della destra appoggiate sulla corda, nell’evenienza che si fosse presentato un qualche pericolo. La ragazza coi capelli neri la seguiva a poca distanza, camminando molto velocemente senza fare rumore, mentre il bambino avanzava tranquillo vicino ad Angelika. Di tanto in tanto, Frejie li osservava e non poteva non trovare la scena divertente. La sua allieva balbettava più del solito, gesticolando per farsi capire dal suo interlocutore, che, invece, non riusciva a rimanere serio. La fissava con un misto di divertimento e curiosità, talvolta tentava anche di articolare una frase, ma la commistione tra lingua druidica e lingua comune rendeva difficile la conversazione. Così, alla fine, anche lui passò ai gesti e Angelika scoppiò a ridere di cuore, come sempre faceva quando trovava una cosa buffa. E quella leggerezza riuscì a placare almeno un po’ la preoccupazione della maga.
- Sembri tenere molto a lei. - considerò Anevia.
- Tengo a lei come a qualunque delle mie allieve. -
- Non sembra. -
- È invidia quella che vedo nei tuoi occhi, Bragwen? -
La ragazza contrasse le labbra in una smorfia stizzita: - Non chiamarmi così. -
- Mi pare sia il tuo nome. -
- Lo era. - fece un cenno alla ragazza dai capelli neri e quella aumentò l’andatura, - Quel nome non mi si addice più. Mi sembrava di averti già detto che ora sono Anevia, una druida. -
- Sei stata una delle mie allieve migliori. - sospirò amareggiata.
- E tu un’ottima maestra, ecco perché mi hai lasciata andare per la mia strada. -
Frejie annuì e distolse lo sguardo. Bragwen era il suo orgoglio, il suo fiore all’occhiello. Sua madre, una donna aristocratica che si dilettava con la magia, quando aveva sorpreso la figlia a sollevare con la forza del pensiero una pila intera di libri aveva smosso mari e monti per trovare qualcuno che potesse seguirla nella sua carriera da maga. All’epoca Frejie aveva appena lasciato la Dogma e aveva accolto quella ragazzina ossuta e cupa quasi con riconoscenza. Le aveva insegnato tutto, dai rudimenti fino agli incantesimi più potenti. Come sua madre, morta di sifilide circa tre anni dopo che aveva cominciato il suo apprendistato, sognava per lei una carriera brillante. Tuttavia, quando Bragwen era venuta da lei comunicandole che sarebbe diventata una druida, le era caduto il mondo addosso. Aveva fatto di tutto per dissuaderla, era arrivata persino a minacciarla pur di trattenerla, ma alla fine le era sfuggita dalle mani. Ancora oggi le faceva male ricordare il momento in cui il falco pellegrino, l’animale di cui Bragwen aveva preso le fattezze, era sparito oltre la linea dell’orizzonte. Successivamente la ragazza le aveva scritto una lettera, in cui la informava del nuovo nome e dei motivi che l'avevano spinta a scappare, pur senza scendere nei dettagli. Da allora non aveva più ricevuto sue notizie.
- Sei sempre stata uno spirito libero, ma ancora oggi mi chiedo cosa ti abbia spinta davvero ad abbandonare tutto. Nella lettera eri vaga. -
- Gli stessi motivi che guidano tutti coloro che decidono di lasciare la città e venire qui. - fece un cenno in direzione del bambino, - Né io né Manto siamo druidi di sangue puro. Lui è un orfano che è stato abbandonato vicino alla foresta, io sono la figlia illegittima di un uomo che non si è mai degnato di riconoscermi, ma che nella sua infinita bontà mi ha pagato gli studi per diventare una maga. Eppure, nonostante tutto, i druidi ci hanno accolti, dandoci un altro nome, un’altra identità e un’altra famiglia, e così fanno per tutti coloro che rivedono nei cieli anneriti delle città una tomba, una cappa soffocante che offusca la mente e soffoca il cuore. Frejie, tu mi hai aperto gli occhi e per questo ti ringrazio, ma non mi pento di essermene andata. La magia, quella che pratichi tu, quella che piega la natura imponendosi su di essa come il vincitore sul vinto, è sempre stata un peso per me. Prima o poi me ne sarei andata comunque, era inevitabile. - 
- Non penso capirò mai la tua scelta. - sospirò, si strinse nel mantello e si sistemò la pelliccia sulle spalle.
Anevia le lanciò un’occhiata obliqua: - Ne sei proprio sicura? –
La maga non rispose, non ne valeva la pena. Lei era stata la prima a rinnegare le sue vere origini quando le si era presentata l’occasione. Non poteva cambiare le sue origini, ma nell’aspetto non aveva più niente che potesse ricordare l'elfa che era.
- Cos’hai intenzione di fare con la tua allieva? - le chiese Anevia.
- Voglio capirla. -
- Non ti ho chiesto questo. Non solo questo, almeno. - replicò, la linea serrata delle labbra tradiva la finta indifferenza dello sguardo. Frejie sapeva cosa voleva sapere, qual era la tacita domanda che le stava rivolgendo.
- Non lo so. Vedremo. -
La druida la fissò per interminabili istanti, poi si riscosse e finse di sistemare l’arco.
- Acceleriamo il passo o non arriveremo mai. –
Proseguirono per altre due ore, le druide sempre davanti a loro e Manto e Angelika poco dietro, sempre concentrati in quella loro strana conversazione. Anevia e la sua compagna conoscevano molto bene la foresta, e se Frejie fosse andata lì da sola senza un incantesimo di geomanzia non avrebbe saputo orientarsi. Loro invece sembravano conoscere l’ubicazione di ogni albero, sasso, animale e sentiero nascosto presente nella foresta, che, sebbene non fosse una delle più grandi di New England, era insidiosa come qualsiasi altro luogo in cui l’industrializzazione e la civiltà non avevano mai messo piede: dirupi, terreno talvolta instabile, strade che conducevano nel nulla e torrenti impossibili da guadare erano tra le tante difficoltà che lei e Angelika avrebbero dovuto affrontare se avessero intrapreso il viaggio da sole. Con le due druide, invece, non perdevano mai la bussola e sapevano sempre quando era il momento di andare a destra o a sinistra, di tagliare attraverso l’erba alta e le ortiche, o avanzare zigzagando tra gli alberi. In questo erano molto simili alle driadi di Brugge, anche se queste nelle loro fila contavano solo donne e raramente qualche uomo, appartenente però sempre al popolo fatato. Le loro figlie, concepite durante le notti di luna nuova, avevano tutte la pelle olivastra e gli occhi e i capelli verdi, e fin da piccole sapevano maneggiare perfettamente la magia insita nella natura, muovendosi nella foresta con la stessa scioltezza con cui Frejie camminava in città. I druidi avevano ripreso alcune delle usanze delle driadi, come l’accoppiamento rituale e la venerazione degli spiriti primordiali, ma la loro società era molto più liberale e aperta nei confronti degli uomini, tant’è che alla Madre, la Wilm’nìs, era affiancato il Padre, l’Hilm’nèr.
Quando Frejie vide la foresta diradarsi, capì che erano arrivati. Le querce si aprivano in una radura estremamente ampia, dove erano state erette delle piccole capanne di rami intrecciati ricoperte di foglie naturali e magiche, affinché né il vento né la pioggia potessero farle cadere. La luce aranciata del sole illuminava il profilo di una decina di figure intente a pulire le verdure e a condire la carne, o tenere a bada i bambini che si rincorrevano l’un l’altro. Non appena uno di loro li vide avvicinarsi, si fermò a guardarli e la bambina che lo stava inseguendo, una ragazzina dai capelli color mattone e il viso e le braccia spruzzate da lentiggini, gli cadde addosso. Seguì un breve tafferuglio tra i due, ma bastò lo sguardo severo di Anevia per convincerli a smettere.
La druida coi capelli neri, che Frejie aveva appreso chiamarsi Frig, corse agilmente verso Kiol, che stava venendo loro incontro. Indossava gli stessi vestiti di prima, ma adesso sul capo portava due corna di cervo. Doveva essere stato un esemplare piuttosto giovane, visto che non erano lunghe e ritorte, ma erano più che sufficienti per designare il ragazzo come il prossimo Hilm’nèr.
- Non mi avevi detto che Kiol era il giovane cervo. - sussurrò ad Anevia.
La druida fece spallucce: - Ha superato la prova da poco. Deve però capire che quando siamo in ricognizione mi deve ancora obbedienza. -
- Questo spirito di ribellione mi ricorda qualcuno. -
Anevia la fulminò con lo sguardo, ma prima che potesse ribattere Kiol era già davanti a loro. Di nuovo i loro occhi si incrociarono, ma questa volta fu il cacciatore a distogliere lo sguardo per primo.
- Il Padre è pronto a ricevervi. -
Legarono i cavalli alla staccionata più vicina e, con Angelika che teneva per mano Manto, si avviarono verso il centro del villaggio, dove, vicino a tre grandi falò non ancora accesi, vicino a un grande e frondoso albero di noce sorgeva un’abitazione leggermente più grande delle altre. Kiol si fermò davanti alla porta e si spostò facendo entrare Frejie e Angelika. Il piccolo druido mise il broncio quando Anevia gli ordinò di andare a casa, protestando in coro con Angelika in una lingua a metà tra quella dei druidi e quella comune. Alla fine riuscirono a staccarli promettendo loro che per quella notte avrebbero potuto dormire insieme.
L’aria che si respirava all’interno della capanna era satura del profumo degli incensi e del ginepro che bruciava nelle ciotole di pietra agli angoli della casa. Le piante dai fusti spessi e forti si arrotolavano su se stesse, arrampicandosi sui rami che costituivano le pareti della stanza e infilandosi negli spazi tra di essi, per poi sbucare all’esterno e godere della carezza degli astri. Tutto l’arredamento era costituito da un tavolo stracolmo di erbe di ogni genere, uno sgabello su cui erano poggiati libri e pergamene e un letto con una coperta di lana pesante a ridosso di un focolare.
Angelika si guardava intorno con curiosità. Rispetto a quando erano partite, era molto più sciolta e tranquilla.
- Maestra, perché siamo qui? - bisbigliò, osservando la sinuosa lingua fumosa di un incenso.
- Te l’ho già detto. - rispose inginocchiandosi sul pavimento di foglie secche, eppure magicamente morbide.
- Lo so però… è strano qui. -
- È normale. Dai, siediti, non è educato aspettare in piedi come un avvoltoio. -
Angelika obbedì, sedendosi a gambe incrociate vicino a lei. La meraviglia era ben visibile sul suo viso, le labbra schiuse in un sorriso gioioso e il naso arricciato e leggermente arrossato che non faceva altro che accentuare l’ovale delicato del suo viso fanciullesco. Era una bambina nel corpo di una donna, una bambina che sembrava stare vivendo un sogno.
- Chiudi la bocca prima che ci entri una mosca. - la rimproverò la maga con un tono tra il serio e il faceto.
- O-oh, s-sì. Questo posto sarebbe piaciuto un sacco a Peter. -
- Gli racconterai tutto quando torneremo, allora. -
- Certo! Gli racconterò anche di Manto, di Anevia e… -
- E anche di quanto tu ti sia sentita a tuo agio qui? -
Entrambe le donne girarono la testa al suono di quella voce gentile e allo stesso tempo decisa, una voce che esigeva rispetto e obbedienza. Persino Frejie si sentì in obbligo di chinare il capo quando il Padre posò lo sguardo su di lei. Ma non era stato lui il primo a parlare, bensì la donna che lo affiancava.
Tena ki a koutou, Hilm’nèr10. - li salutò.
Whatu ki a koe, makuta.11 - rispose cordialmente la donna, - Non piegare la testa davanti a noi, non sei più una straniera da molto tempo, Frejie. -
Frejie osò alzare gli occhi solo dopo un istante di esitazione. In quel momento si avvide che Angelika era rimasta immobile a fissare le due figure che stavano avanzando verso di loro, completamente rapita dall'aura che emanavano.
L’Hilm’nèr era un uomo alto, dalle braccia muscolose e il collo taurino. Portava dei calzoni di tela legati in vita con un cinturone, sotto al quale sbucavano dei ciuffi di pelliccia, e i piedi erano scalzi e ricoperti di terriccio. Delle crespe ciocche rosse, intrecciate alla maniera dei cacciatori, ricadevano languide sul petto nudo e dipinto con disegni tribali. Le lunghe e maestose corna di cervo che indossava sulla testa gli conferivano un’aria regale e fiera. La donna che lo accompagnava era bassa e di corporatura esile, ma nell’espressione saggia e nei lineamenti seri e marcati Frejie riconobbe la stessa forza. Indossava una gonna nera che frusciava ad ogni suo passo e lasciava scoperte le caviglie ricoperte di rune rosse e verdi, che Frejie immagino estendersi anche sulle gambe. In testa portava una corona di penne di corvo, che, assieme ai pendagli di ferro, ai fiori e alle campanelle che le ornavano i capelli neri, scendeva lungo la schiena nuda. Le innumerevoli collane che coprivano appena il piccolo seno emisero un suono cupo quando si accostò ad Angelika e, con un delicato ma fermo gesto della mano, le afferrò il viso scrutandola a lungo negli occhi.
Contro ogni previsione della maga, la sua allieva non si ritrasse.
- È questa la giovane che hai sognato, toku wahine?7 - le domandò l’uomo, rimasto rispettosamente indietro.
- Aye. - rispose e le inclinò la testa per osservarla da un’altra angolazione, - Guardala, taku aroha8, ha i miei stessi occhi, come il corvo mi aveva predetto. Anche se non avrei mai immaginato che gli Spiriti si fossero già appropriati della sua mente. -
- Di che state parlando? -
- Tranquilla, makuta9, ora ti spiegheremo ogni cosa. -
La donna accarezzò la guancia di Angelika e si sistemò davanti a loro, seduta a gambe incrociate, con la mano appoggiata sul pavimento che sfiorava quella del suo compagno. Anche se non si guardavano, Frejie riusciva a percepire la forza che li teneva uniti, un legame indissolubile e sacro che univa le loro anime in una sola.
- Il corvo mi ha annunciato la vostra venuta in sogno. - esordì la Wilm’nìs, - Mi ha detto che sareste giunte quando la ruota dell’anno si fosse trovata al suo estremo inferiore e così è stato, ma non mi ha rivelato il motivo. Parlate e non abbiate timore. -
Frejie guardò Angelika, che se ne stava imbambolata a fissare la donna. Non sembrava intimorita né incuriosita. In realtà, sul suo viso la maga non riconobbe nessuna delle sue solite emozioni, tanto che pareva un'altra persona.
- Non voglio tediarvi a lungo, penso che possiate immaginare il motivo per cui sono giunta fino a qui. La magia della mia allieva è molto diversa dalla mia e non sono in grado né di controllarla né di capirla fino in fondo. Ho pensato che voi poteste darmi una risposta. All’esterno, al di fuori della foresta, si vocifera che voi siate un Oracolo. -
- Ed è così, makuta. Ho ricevuto il dono della Vista dagli Spiriti e sono in grado di navigare attraverso il fiume del sogno e del tempo. Però lascia che ti dica che la tua allieva è capace, molto più di me, anche se il suo potere le ha portato via buona parte della sua mente. -
La maga annuì grave. Sospettava che il ritardo mentale di Angelika non fosse solo dovuto al sangue che le scorreva nelle vene. Tutto quello che aveva passato, le violenze, la perdita di colui che amava, le morti a cui aveva assistito e soprattutto i sogni non avevano fatto che tormentarla, e senza una guida o un'ancora aveva finito per impazzire, sebbene non in modo irreversibile.
- Si può controllare? - indagò impaziente.
- Si può controllare il sorgere del sole e l’alternarsi delle stagioni? - intervenne l’Hilm’nèr con un sorriso indulgente, - Per quanto voi maghi possiate soggiogare la natura, essa tenderà sempre a ribellarsi alle vostre redini, come una giumenta che fugge il morso dell’addestratore. Chi vede vedrà sempre, perché quando chiude gli occhi si immerge anima e mente nel Sogno, il fiume che scorre attraverso i mondi. -
Frejie assottigliò le palpebre e sfoggiò una smorfia indispettita: - Tutto si può controllare, kiniagi12. Anche se per breve tempo, tutto si può piegare. -
L’espressione della Wilm’nìs non mutò e, con pazienza, si accinse a spiegare: - Vedi, la magia di un Oracolo è l’opposto della tua, come due sorelle con padri diversi. I vostri libri, da cui attingete ogni vostra conoscenza, sono un patrimonio inestimabile, che per secoli ha reso grande un popolo donandogli la forza e il potere per proteggersi dai mostri che albergavano fuori e dentro le anime. I libri, il retaggio del passato, costituiscono sì i mattoni del futuro, i pioli della scala per ascendere agli dei, ma ricorda che sono destinati a trasformarsi in polvere, perché sono fatti della stessa natura di cui è fatta la carne degli uomini. Il tempo erode le pagine e, così come il vento spazza via le ceneri delle sue vittime, l’avanzare frenetico dei secoli seppellisce il sapere nella memoria dei morti. La tua arroganza, makuta, sta nel non aver compreso che la mente degli uomini è soggetta a inganni. -
A Frejie venne quasi da ridere. Era andata lì per capire qualcosa di più su Angelika e ora si ritrovava coinvolta in una discussione sulla magia.
- Lo so che non credi, altrimenti anche tu potresti vedere. Peccato, perché hai un animo forte e una mente salda, saresti un Oracolo davvero potente. -
- Mi state prendendo in giro? -
- Un complimento non è sempre sinonimo di adulazione. - disse pacato l’Hilm’nèr, - Tu non credi ed è giusto che sia così, perché la tua stessa essenza dipende da ciò in cui riponi la tua fede. Volevi delle risposte e ti sono state date, sta a te decidere come agire. -
- Mi avete detto che non si può controllare. – sibilò a denti stretti.
- Tu non puoi. – spostò lo sguardo su Angelika, - Solo lei può controllare il suo potere. -
“Il mio contributo è inutile, quindi.” Si morse le labbra e contrasse la mascella.
Come se le avesse letto nel pensiero, la Wilm’nìs le prese le mani. Nonostante il freddo e i calli, aveva le dita calde e morbide.
- La sua magia e la tua sono figlie della stessa madre. Per quanto possano essere diverse, non possono esistere l’una senza l’altra. Le Vene del drago e la forza di volontà rappresentano la sorella dominante, che si impone sugli altri per conseguire il suo scopo e rendere onore al sangue che l’ha generata. L’altra gemella è colei che cammina nella nostra ombra, che vive in noi fin da quando siamo nati. È gentile e preferisce guidare in silenzio, piegando la realtà con la gentilezza della voce. La prima è caos, è sfrenata, instabile, distruttiva e perennemente affamata, mentre la seconda è ordine, semplicità, calma. Insieme hanno creato la vita e si contendono l’anima di chi, come noi, ha nelle vene il sangue della loro madre. E così come loro influenzano noi, noi influenziamo loro. Finché la ruota girerà, fino a quando il fango, le intemperie e il ghiaccio non faranno cadere a pezzi il legno marcio, potrai sempre fare qualcosa. -
Frejie si portò una mano alla fronte e scosse la testa: - Parlate per enigmi, Wilm’nìs, quando io ho bisogno di risposte chiare subito. -
- Le risposte te le ho date nell’unica forma che conosco, le stesse che lo Wyrd, il Corvo bianco, mi ha sussurrato quando vidi per la prima volta. -
- Non posso aiutarla se non so nemmeno come interpretare i suoi sogni. -
Di punto in bianco, Angelika riassunse la sua solita espressione curiosa, si protese verso la donna e mormorò: - Sì, ditemi capire, per favore… -
- Non è così semplice. - l’Hilm’nèr incrociò le braccia sul petto e piegò la testa di lato, riflettendo, - A volte i sogni vanno presi per quello che sono, ossia semplici manifestazioni dei nostri sentimenti e della nostra anima. Altre volte sono le gocce del fiume che scorre attraverso i mondi e sulla ruota del tempo, mischiandosi alla scia incessante delle anime. Quando ciò accade, interpretare il loro volere e ascoltare i loro sussurri diventa difficile. - spostò lo sguardo su Angelika, - Se quello che hai visto ti preoccupa, l’unica cosa che puoi fare è aguzzare l’udito. -
- Come fare a saperlo? -
L’uomo scosse la testa e la luce del sole morente si infranse sulle corna di cervo.
- Ho sognato a lungo. - rivelò, - Ma non avevo la Vista come la mia taku wahine, sapevo a malapena tenermi a galla senza affogare nel fiume. Quello che mi è stato mostrato, però, mi è bastato per capire alcune cose, forse quelle più importanti. -
Angelika annuì con la testa china, come se avesse capito perfettamente ciò che intendeva.
La maga le lanciò uno sguardo obliquo: - L’unica cosa che posso fare, dunque, è sostenerla nel suo percorso. –
L’Hilm’nèr annuì: - Lei è l’unica a poter prendere il comando del suo destino. –
La maga indurì lo sguardo con una smorfia stizzita: - Il destino non esiste, kiniage12. –
La Wilm’nìs si alzò, - Tu non vedi, makuta, per questo non puoi capire. Per te, il fato non esiste e vita, quella continua catena di scelte e svolte, ti appartiene, ma ci sono cose, eventi che esulano dalla nostra volontà. Chi abbia deciso fosse così, non ci è dato saperlo, ma prima lo Wyrd si manifesta per chiunque. E quando esso viene a trovarti, lo si può accettare oppure lo si può tentare di combattere, così come si può bloccare il fiume quando esce dai suoi argini. -
- Nessuno può decidere della mia vita. - replicò gelida.
Le labbra della donna si arcuarono in un mezzo sorriso e non aggiunse altro. I suoi occhi non erano più concentrati su di lei. Fissavano un punto sopra la sua testa, ma sembravano vedere al di là del tetto di foglie e del cielo ormai scuro.
- Oggi è Yule, la notte degli spiriti, makuta. Spero che possano alleggerire il peso che hai nel cuore e portarti consiglio. -
La maga schioccò la lingua, ma non disse niente. Poi si alzò e, dopo un rapido inchino, fece cenno ad Angelika di seguirla fuori.
- Come ti senti? - le domandò.
La sua allieva chinò ancora di più la testa, ma, nonostante il tremore, trattenne stoicamente le lacrime.
- Ho paura. Paura di questo potere, paura che il corvo venire a far visita anche a me. Miei sogni strani, difficili, e tutto per colpa mia perché non brava per vedere bene. Se Alan farsi male… -
Frejie le passò un braccio intorno alle spalle le sollevò il mento con un dito: - No, Angelika, non pensarci neanche. Non sarà colpa tua se Alan si farà del male. Sarà colpa di un mostro, o di un altro cacciatore, o di una missione più difficile delle altre o addirittura un suo errore. È uno Slayer, la sua vita è sempre in pericolo, ma ha imparato sulla sua pelle che non deve mai abbassare la guardia. Tu potrai anche avvisarlo del pericolo imminente, però dovrà poi essere lui a fronteggiarlo. -
- Da solo? -
La maga esitò un istante, poi le sorrise: - No, non sarà solo. Lo aiuteremo noi. -
A quelle parole, Angelika sembrò rilassarsi, ma prima che potesse aggiungere altro Manto le corse incontro. Alla vista del bambino, le ombre abbandonarono il suo viso e tornò a sorridere come se niente fosse accaduto. Non attese nemmeno il permesso di Frejie per allontanarsi con lui e in un attimo era già lontana a danzare intorno al falò che era stato acceso in mezzo al villaggio.
La maga la lasciò andare, in fondo Angelika aveva bisogno di un po' di svago, se lo meritava. Poi, accertandosi di non essere pedinata, si diresse fino al limitare della radura e con dei gesti fece apparire uno specchio dagli opachi riflessi rosati, al di là del quale, tuttavia, non scorse niente a parte un'infinita distesa di tenebra.
 

Note

Ko wai’l  koe? ----> Chi siete?
2 Kel’ matou hoa oto koutou ariki. Kia haere tatou
 ---> Non siamo nemici, ragazzo. Abbassa l'arco. 
Alè ono Frejie te wahine makutu?
 ---> sei tu, Frejie? 
Whakaaturia ahau te pere me nga kohatu. ---> mostrami le sedici pietre e ti crederò
5 muda ---> ragazzo
6 asing ---> straniero
toku wahine ---> mio amore, anche mia signora.
8 
taku aroha ---> mio amore, mio signore. Come prima, dipende dal contesto.
9 makuta ---> maga
10 Tena ki a koutou, Hilm’nèr. ---> Salute a voi, Hilm'nèr
11 Whatu ki a koe, makuta. ---> Salute a te, maga..
12 Kiniagi/ Kiniage ---> titolo onorifico, tradotto letteralmente sarebbe re e regina.

 

  
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