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Autore: Morgana89Black    30/04/2016    1 recensioni
E se Lily Potter avesse avuto un secondo figlio, poi dato in adozione?
Dal capitolo 2:
"Ti lascio queste poche parole, nella speranza che quando le leggerai non mi odierai per essere stata codarda e non aver avuto la forza di tenerti con me. Purtroppo temo che non vivrò comunque abbastanza per vederti raggiungere i tuoi undici anni, il perché forse un giorno lo scoprirai da sola, per ora ti basti sapere che io e tuo padre siamo una strega ed un mago".
Dal capitolo 22:
“Draco... Draco... svegliati”. Le ci vollero diversi minuti per convincere il ragazzo ad aprire gli occhi ed inizialmente lui parve non notarla neanche mentre sbatteva ripetutamente le palpebre nella vana speranza di comprendere cosa fosse successo.
“Nana...”, la ragazza sorrise della sua voce impastata dal sonno. Era quasi dolce in quel momento e sicuramente molto diverso dal solito Malfoy, “è successo qualcos'altro?”. Parve svegliarsi di colpo, al sentore che doveva essere accaduto qualcosa di grave se lei lo svegliava nel pieno della notte.
Dal capitolo 25:
Prima che attraversasse l'uscio per scomparire alla sua vista, udì poche parole, ma sufficienti a gelargli il sangue nelle vene, “lei è un mangiamorte”.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Prologo – Lily.

14 luglio 1981

Mi si sono rotte le acque. È notte. Fortunatamente tu dormi ancora. È da tempo ormai che tra di noi non va più bene. Siamo chiusi in questa casa, da soli, da troppo. Dormo nella stanza con Harry da cinque mesi ed a stento ti rivolgo la parola. A volte mi chiedo se tu ti sia accorto che sono incinta.

Sicuramente non mi hai chiesto nulla, ed io non ti ho detto nulla. Mi sono limitata a nascondere le mie forme, ogni mese più abbondanti, sotto vesti da strega lunghe e sformate. E tu non hai fatto domande. Ed io non ti ho dato risposte.

Forse è stato meglio così. Tanto la mia decisione l'ho presa quando ho capito di aspettare un secondo bambino ed in nessun modo parlarne con te avrebbe potuto cambiarla. Vividi nella mia mente si stagliano i ricordi di quella mattina di sette mesi fa.

 

Sono in bagno da un'ora. La nausea non cessa e la consapevolezza che non si tratta di un'influenza intestinale ormai si è cristallizzata nella mia mente. Sono incinta. Una piccola vita cresce dentro di me. Un vita non voluta e che prepotente è arrivata nella mia quotidianità proprio nel momento più sbagliato.

Ho un bambino di pochi mesi e non sono pronta ad averne un secondo. Non in questa situazione.

Io e James siamo rinchiusi in casa da giorni, sotto la protezione di un incanto fidelis, perché la vita di Harry è in pericolo. Vorrei piangere, vorrei parlarne con qualcuno, ma non posso. James sa che sono in bagno, come ieri, come il giorno prima e probabilmente come domani, ma non ha detto nulla. Lo sa, ma ha ignorato i segnali. Forse anche lui, come me, vorrebbe solo poter chiudere tale consapevolezza in un piccolo angolino remoto e dormire, finché questa guerra non sarà finita.

Mentre realizzo che la piccola vita che porto in grembo potrebbe non nascere, decido che semmai riuscirò a portare a termine questa gravidanza, in questa situazione, il mio bambino non potrà restare in questa casa maledetta. Non posso tollerare l'idea che il frutto del mio grembo rischi di venire brutalmente ucciso da un pazzo.

Ormai ho deciso.

 

È l'una di notte. Esco da questa casa che mi sta stretta da tempo, sperando che tu non ti accorga di nulla, ma so già che non ti alzerai prima delle dieci domattina. Non lo fai da tempo e, d'altronde, perché mai dovresti svegliarti presto.

Ho organizzato tutto. So dove andare e mi stanno aspettando. Porto con me Harry, non vorrei che ti svegliasse, non ha ancora un anno e non sempre dorme tutta la notte.

Mi smaterializzo al monastero. Suono e suor Anna viene ad aprirmi. È una donna gentile ed ormai ho imparato a conoscerla. L'ammiro, perché lei non mi ha mai chiesto nulla. Mi ha ascoltata e compresa, senza giudicarmi. Ha accettato la mia scelta, senza domandare una spiegazione, forse immaginando i miei motivi.

Le sono grata, perché so che se mi avesse chiesto maggiori informazioni, forse, non sarei riuscita a rimanere salda nei miei propositi, e io non posso permettermi di tornare indietro nella mia decisione.

“Cara, è il momento?” mi chiede quando mi vede sull'uscio.

“Temo mi si siano già rotte le acque. Sono arrivata appena in tempo. Ho dovuto portare mio figlio con me” la mia risposta la mette in allarme. Mi conduce immediatamente in una delle camere presenti al primo piano dell'edificio. Mi aiuta a stendermi sul letto e chiama suor Maddalena. Anche lei mi piace ed inoltre è una donna competente e che ispira immediatamente fiducia. È un'ostetrica esperta.

“Devo controllarti. Cerca di rilassarti. Andrà tutto per il meglio” mi rassicura, e prosegue chiedendomi di lasciare il piccolo Harry a suor Anna. Si occuperà lei del mio bambino, fino a quando non sarà tutto finito.

Sono ore interminabili e dolorose. Non ricordavo quanto potesse far male partorire, eppure è passato meno di un anno da quando ho dato alla luce il nostro bambino. Ma quel giorno tu eri al mio fianco, forse per questo non sembrava così dura.

“Un'ultima spinta e sarà tutto finito... coraggio!” mi incita suor Maddalena. Finito. Sarà tutto finito. Ma non mi sento più serena.

Pochi minuti e sento i vagiti di questa nuova vita riempire la stanza. Sono sfinita. Suor Anna si avvicina, tenendo ancora in braccio il mio primogenito, mi sorride e dice “è una bambina”. La guardo per qualche minuto soppesando le sue parole. Poi una lacrima solitaria scorre sulla mia guancia. Una bambina, mia figlia.

“Non voglio vederla. Portatela via!” riesco a pronunciare solo queste parole. Non ho la forza di dir nulla di più. La suora mi guarda qualche secondo, poi fa cenno all'altra di andar via con la neonata.

Resto su quel letto ancora qualche ora. È ancora presto, andrò via all'alba e sarò a casa prima che tu ti accorga della mia assenza.

Non riesco a fermare le lacrime, ma suor Anna non dice nulla e le sono profondamente debitrice per questo. Non sopporterei di dover dare spiegazioni. Dopo ore interminabili e dolorose sento il campanile della cappella suonare sei rintocchi, ognuno dei quali rimbomba nella mia testa come un richiamo disperato.

“Devo andar via. È ora che ritorni a casa” riesco infine a pronunciare queste poche e semplici parole.

“Sicura di non voler restare? Possiamo ospitarti finché non ti sarai completamente ripresa” cerca di convincermi, senza troppa convinzione, la dolce donna seduta accanto al mio letto.

“Non posso. Mio marito mi aspetta...” vorrei aggiungere che non sa che sono qui, ma mi blocco. Guardo la donna per qualche secondo e continuo “vorrei che venisse chiamata Morgana”. Lei soppesa le mie parole per qualche attimo, sorpresa probabilmente per il nome inusuale, dopo annuisce senza aggiungere nulla, ma rassicurandomi tacitamente che il mio desiderio verrà, certamente, esaudito. Tentenno qualche secondo, ed aggiungo “ho delle cose per lei. Vorrei che le venissero consegnate quando compirà undici anni. Fino ad allora, la prego, suor Anna, di custodirle con attenzione”.

“Farò ciò che desideri, bambina. Non ti preoccupare” mi rassicura. Così estraggo dalla mia borsa una lettera, una catenina d'argento con un ciondolo a forma di serpente con gli occhi formati da due piccoli smeraldi ed una chiave d'oro. Consegno tutto alla donna e mi dirigo verso l'uscita del monastero con Harry in braccio.

Nella mia mente una domanda mi si forma prepotente – avrei dovuto dire a suor Anna che la bambina sarà, quasi certamente, dotata di abilità particolari? Diversa? Ma come potevo spiegarle che sono una strega e che anche Morgana lo sarà? È stato meglio tacere. Meno sa e più sarà al sicuro. Almeno per ora -.

Mi allontano da quel luogo con un dolore lancinante al petto. Una piccola crepa nel mio cuore si apre ad ogni passo che faccio. Arrivata in una stradina isolata, mi smaterializzo davanti al portone della mia prigione dorata, salgo le scale di quella casa che non sopporto più ed entro nella cameretta di Harry. Poggio il mio bambino, ancora addormentato, nella sua culla. Mi sdraio, stremata, nel lettino presente in quella medesima stanza e mi addormento dopo pochi secondi, ma solo dopo aver sussurrato “perdonami”.

 

31 ottobre 1981

Halloween è sempre stata la mia festa preferita, sin dal primo anno ad Hogwarts. Anche in un periodo come questo sono felice che, perlomeno, siamo riusciti a riunirci tutti per pranzo e, soprattutto, che tu sia tornato ad essere un po' più sereno. Certo non è come all'inizio del nostro matrimonio, ma mi sembra che tra di noi vada un po' meglio. Una parte di me non può non chiedersi se sia perché ti sei accorto che non porto più in grembo un figlio di cui non ti ho mai detto nulla.

Bussano alla porta e vai ad aprire, sento la tua voce allegra salutare Remus e Sirius, e sorrido con gioia per la prima volta da troppo tempo.

“Lily! Splendida come sempre” Remus mi saluta con affetto ed io lo raggiungo per abbracciarlo.

“Il mio piccolo Harry! Sei cresciuto ometto...” Sirius si avvicina al figlioccio che gli sorride felice, come solo un bambino di poco più di un anno può essere. “Non fare caso a me, Felpato!” lo rimprovero con dolcezza.

“Lils! Tu sei sempre uguale... lui, invece, è nuovo ogni giorno” mi risponde con una smorfia giocosa.

“Se è così che la pensi, allora la torta alla melassa la mangiamo solo io, Remus e James” lo rimprovero fintamente offesa e lui in risposta lascia Harry fra le braccia dell'altro ospite e mi raggiunge in un abbraccio soffocante, per poi chiedermi “mi sono meritato una fettina piccola piccola di torta?”.

“Se la blandisci con quegli occhi così dolci come potrebbe dirti di no?” risponde mio marito ridendo del suo migliore amico.

Pranziamo chiacchierando amabilmente e prendendoci in giro, come se fossimo tornati all'ultimo anno ad Hogwarts, quando sedevamo tutti insieme al tavolo di Grifondoro. Mi mancava quest'atmosfera di festa e di gioia e soprattutto mi mancava il tempo trascorso con voi. Non ci vedevamo da diversi mesi.

Mi perdo a guardare mio marito sorridere, felice come non lo vedevo da troppo tempo e sono felice anche io, o, per lo meno, serena.

Il tempo trascorre veloce e nel primo pomeriggio Remus, sconsolato e titubante si alza. “Dobbiamo andare, Felpato!”.

“Non potete restare ancora un po?” prova a chiedere James, ma infondo sa già che non potete. Dovete incontrare altri membri dell'Ordine per organizzare una missione a nord. Ne siamo a conoscenza entrambi.

“Sai che non dovremmo neanche essere qui, Ramoso” risponde il bel moro tristemente.

Vi accompagniamo alla porta e dopo un veloce abbraccio restiamo ad osservarvi uscire dalla protezione della casa e smaterializzarvi. Sento una dolorosa stretta al cuore quando vi vedo scomparire e resto diversi minuti sulla soglia di casa a fissare il punto in cui vi trovavate poco fa. Una lacrima calda scorre sulla mia guancia ed una sensazione terribile mi stringe il cuore.

Non sapevo, in quel momento, che non vi avrei più rivisti e che la mia vita aveva, ormai, le ore contate.

   
 
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