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Autore: Rooosteerr    01/05/2016    0 recensioni
«Che cosa farà,
così morsa dai mali, quell'anima
superba, che ignora pietà?
» ─Euripide, Medea.
Duemila anni fa, Euripide narrava la vicenda della straniera Medea e di Giasone, la vicenda di una donna tradita dal proprio compagno e costretta, per vendetta, a compiere il peggiore dei delitti mai concepiti dalla mente umana. Nel periodo corrente, la storia si ripete ed i protagonisti di questo orrore sono Nadja e Marco.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Prefazione

MEDEA: «Giove, e di Giove tu figlia, Giustizia,
e tu, raggio del Sole, alta vittoria
or dei nemici nostri, amiche, avremo,
e siam già su la via: speranza nutro
or che i nemici miei la pena scontino,
poi che quest'uom, dal lato ove il periglio
era maggiore, come un porto apparve
dei miei divisamenti. Indi la gomena
da poppa legherò, come io di Pàllade
giunga alla rocca, alla città. Sin d'ora
tutti vi voglio esporre i miei propositi,
né voi crediate che per gioco io parli.
Dei miei famigli alcuno invierò
a Giasone, e ch'ei venga chiederò
al mio cospetto; e, come ei giunga, blande
parole gli dirò: ch'io son convinta,
che mi par giusto quanto accade; e i figli
miei chiederò che restino. Non già
che abbandonarli io voglia in terra estranea;
ma con la frode voglio morte infliggere
alla figlia del re. Li manderò,
che a lei rechino doni: un peplo fine
e, foggiato nell'oro, un serto; e, ov'essa
ne abbellisca le sue membra, morrà
d'orrenda morte, e chicchessia la tocchi:
di tal farmaco i doni intriderò.
Ma tronco qui le mie parole, e gemo
per l'opera che poi compier dovrò:
ché morte ai figli miei darò: nessuno
v'è che salvarli possa. E, poi che tutta
di Giasone sconvolta avrò la casa,
e compiuto lo scempio nefandissimo,
partirò da Corinto, e dei figliuoli
la strage fuggirò: ché dai nemici
esser derisa, amiche, io non lo tollero.
Su via, la vita a lor che giova? Io patria
non ho, né casa, né rifugio ai mali.
Bene errai, quando le paterne case
abbandonai, credendo alle parole
d'un ellèno che il fio mi pagherà,
con l'aiuto d'un Dio: ché i fig1i nati
da me, piú vivi non vedrà, né prole
dalla sua nuova sposa avrà: ché deve
per i tossici miei morir la trista,
di trista morte. Me dappoco e fiacca
non creda, o rassegnata: anzi, al contrario,
per gli amici benigna, e pei nemici
funesta: a gloria cosí giungon gli uomini.
» ─Euripide, Medea.

 

  
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