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Buona
lettura e
recensite, serve a migliorare.
Arthur le avrebbe dato qualsiasi
cosa, se solo gliel'avesse
chiesto, ma lei non l’aveva fatto e ora erano come stelle nel
cielo: che paiono
così vicine, ma che in vero sono a distanze siderali.
Povere stelle fredde.
Povere stelle spente.
Povere stelle così lontane.
Arthur Pendragon, futuro re di
Camelot, restava li,
stravaccato su di una grossa sedia, con gli occhi fissi sul camino,
guardando
la fiamma crepitare lentamente e senza alcune pensiero che non fosse
rivolto a
lei.
Poi si rialzò e scese
lentamente verso il cimitero, dove lei
era seppellita.
Restò per molto tempo
seduto contro la grossa quercia a
fissare quel filare di lapidi, dove era seppellita.
Era una cosa indegna che lei fosse
seppellita lì, nel
cimitero comune e non nella cripta privata dei Pendragon, come si
addiceva al
suo rango
Era una cosa indegna che fossero
così vicini e pure così
lontani e che lei ora fosse irraggiungibile.
Poi si rivolse alla figura che era
emersa lentamente
dall’ombra:” Silenzioso come sempre. Eh
Merlin?”
“Era troppo pericolosa, ci
si sarebbe rivoltata contro. Ho
dovuto.” Disse con voce sommessa, per poi posare con fare
amichevole la mano
sulla spalla di Arthur.
Arthur non apprezzò il
gesto e gliela tolse bruscamente:”
Si, credo proprio che avvelenarla sia stata la scelta migliore. Per il
bene del
regno.” Concluse sarcasticamente.
“Per il bene del
regno.” Ripete meccanicamente Merlin, senza
aver capito l’ironia del principe.
Arthur si
rialzò:” Per il bene di chi?”
“Per il bene del
regno.” Ripete meccanicamente Merlin, senza
aver capito l’ironia del principe.
Arthur pose di nuovo la
domanda:” Per il bene di chi?”
“Per il bene del
regno.” Ripete meccanicamente Merlin, che
non aveva ancora capitò.
“NO. NO. NO.”
Urlò allora Arthur.” Per il bene dei
Pendragon. Per l’interesse dei Pendragon. Per il mio
interesse.”
“E non sono la stessa
cosa?”
“NO. ASSOLUTAMENTE
NO.” Sbottò Arthur.” Fin da piccolo
è
stata posta sulla mia testa una corona, anzi la corona. Io sono
l’erede delle
terre di Albione e come tale ho degli obblighi legati ad essa, obblighi
imposti
dal mio sangue. Nessuno si è fermato solo una volta a
chiedere cosa io volessi,
cosa io fossi in grado di fare o solo quanto questa corona
pesasse.”
“La volontà del
regno, non è la tua volontà?” Chiese
ancora
Merlin, che non capiva la natura umana; troppo confusa e confondente
per lui.
“Tu. Tu e mio padre. Si,
mio padre. Voi carogne. Il Potere. È
questo che volete: il Potere. E mi trattate come creata da modellare a
seconda
delle vostre necessità. Non Arthur Pendragon, ma la copia di
Uther Pendragon. Non
Arthur Pendragon, ma la tua marionetta, Merlin.”
“Non sei la mia
marionetta.” Rispose con un tono di voce
leggermente incrinato Merlin, per poi continuare:” Sono il
tuo confidente e
pensavo un amico, dato i pericoli affrontati e il tempo passato
insieme.”
“Cosa pensi di essere: la
mia metà? Era lei la mia metà, la
mia amica. Era lei con cui mi confidavo.” Poi
scoppiò sommessamente a piangere.
Merlin, con fare pedante, riprese la
parola:” La tua metà è
Ginevra; la scelse tuo padre e tu devi onorare la sua
volontà. Arthur come
amico e confidente ti chiedo di cessare questa follia. Morgana era un
pericolo
per te e per il regno.”
“Un pericolo. Mia sorella
un pericolo?” Disse digrignando i
denti:” Colei con cui ho cavalcato e giocato sotto molti soli
estivi, colei con
cui ho condiviso racconti attorno al camino durante i grandi inverni.
Colei con
cui ho assaporato i frutti di primavera o l’uva del tardo
autunno.”
“ORA
BASTA” Urlò il mago:” CESSA
QUESTA FOLLIA E RITORNA ALLA RAGIONE ARTHUR.”
“Ora
basta.” Ripete con rancore
Arthur:” Hai ragione: Ora basta.” Poi si
avvicinò al mago e gli sferrò un pugno
allo stomaco, mandandolo a terra.
Arthur
le avrebbe dato qualsiasi
cosa, se solo gliel'avesse chiesto, ma lei non l’aveva fatto
e ora erano come i
due amanti sperati Vega e Altair.
Merlin
si rialzò e si recò verso
le segrete. Una volta giunto aprì un passaggio dimensionale
e giunse di fronte
al Grande Drago.
Il
suo alito era caldo come il
vento che soffia gagliardo e la sua voce potente come la cascata che
piomba
impetuosa o il tuono che si abbatte invitto sul più alto dei
monti.
Niente
di così grosso poteva
muoversi con tale grazia, maestosità e velocità,
eppure il Grande Drago era qui
e poi lì in un battito di ciglia.
Merlin
non ebbe paura, ma si
lasciò avvolgere dal suo potere.
“Emrys.
Emrys percepisco
agitazione e paura.”
“Si,
o potente, percepite il
giusto.”
“Morgana
è morta. Quale pericolo
si desta ora su Camelot e su Albione.”
“Un
giovane re che piange la sua
morte.”
“Non
è ancora giuntò il suo
momento.”
“Mordred
è il futuro. Arthur è il
presente.”
“E
il pericolo imminente.”
Concluse il Drago.
“Arthur
le avrebbe dato qualsiasi
cosa, se solo gliel'avesse chiesto” Continuò
rammaricato Merlin: “E temo che
possa fare qualche pazzia.”
“Pazzia
che non può essere
accettata. Ormai il futuro è cambiato. Non sia
più lui il re.”
Improvvisamente
Merlin si ricordò
delle parole di Arthur:” Non sono la tua
marionetta.” E si rivolse quindi al
Drago.
“Vostra
possanza, per la sacra e
venerabile fiamma di cui voi siete custode, concedetegli
un’altra possibilità.”
“E
sia.” Disse il Drago,
sorridendo sinistramente, sapeva quale era il destino di Arthur a quel
punto.
Intanto Arthur era tornato
nelle sue stanze e
si era coricato, piombando in un sonno senza pace.
Nel
suo sogno la ritrovava e la perdeva
in un ciclo continuo e sinistro in cui ogni volta Arthur arrivava
troppo tardi
per salvarla.
Si
svegliò madido di sudore che
albeggiava con due occhiaie e un pallore in volto che avrebbero
spaventato
chiunque, per non parlare poi dei capelli.
Ci
vollero quasi due ore per
potergli restituire una parvenza di regalità, anche
perché era contrario,
voleva portare sul suo corpo i segni del dolore e dei sogni infranti.
Le
avrebbe dato qualsiasi cosa,
se solo gliel'avesse chiesto, ma lei non l’aveva fatto e ora
era troppo tardi.
Fu
lo schiaffo di suo padre a
riportarlo alla ragione.
“Arthur,
sei è un re. Comportati
come tale.” Lo sgridò:” Non farmi
vergognare”
Stava
per rispondere:” È solo
questo che ti importa, padre?”, ma rispose:”
Perdono padre, vi ho disonorato.”
“E…”
Continuò il padre.
“E
prometto di non pensare più
alla traditrice.” Concluse Arthur, senza più
alcuna voglia di reagire e
opporsi. Era vuoto e spezzato, ma aveva capito che l’unica
cosa che poteva
darle era ricordarla nel segreto del suo cuore e lo fece smise di
essere Arthur
Pendragon e indossò il volto del re di Camelot e di Albione.
Cosi
agli occhi di tutti aveva
ritrovato la ragione, ma in realtà in lui, nel suo cuore,
albergava la follia,
anzi la folle ossessione per lei.
“Padre,
non vedo l’ora che si
celebri il matrimonio fra me e…” Stava per dire il
suo nome, ma poi si
corresse:” e Ginevra.”
“Così
si parla, figlio mio.” Disse
Uther abbracciandolo, senza interessarsi, però, realmente
dei veri desideri del
cuore di suo figlio.
“Si
preparino le nozze, tempo
tre, che dico un mese, si celebrerà una festa
sontuosa.” Gridò euforico re
Uther.
Sarebbe
andato tutto bene se una
domenica Arthur non sentì il vangelo della resurrezione di
Lazzaro.
Quelle
parole furono l’ariete che
con virulenta violenza fecero breccia nel segreto del suo cuore,
liberando la
sua ossessione, che con tentacolare forza si strinse attorno alla sua
mente.
Sapeva
cosa poteva darle ora: la
vita, l’avrebbe riportata in vita.
Un
sorriso gli solcò il volto e
tutti coloro che lo videro, pensarono che fosse per via del matrimonio.
Così
mentre fervevano i
preparativi, anche Arthur era euforico, ma per motivi tutti suoi.
Passava
i giorni partecipando con
fervore e gioia ai preparativi delle nozze, ma in realtà la
sua vera euforia la
riversava sui libri che consultava nell’Ala Nera della
biblioteca reale.
Libri
di oscure magie
primordiali, di magie blasfeme e cosi antiche da essere state
dimenticate da
molti anni, di magie sinistre e terribili che aprivano squarci in
baratri di
devastante follia; eppure Arthur vi si gettava con avidità,
come un viaggiatore
assiderato sulla pozza d’acqua, e non importava il tanfo di
sterco e le mosche,
era pur sempre acqua.
Cosi
di giorno si preparava alle
nozze e di notte preparava la resurrezione della sua vera sposa; oh,
quando
fosse risorta, oh, l’avrebbe amato e avrebbero regnato fianco
a fianco e avrebbero
vissuti cosi per sempre.
Alla
fine era riuscito a
ritrovare l’antica formula per riportare i morti in vita.
“Elimnyama
amanzi kanye nosawoti
upelepele obomvu., Asphodel kanye tropaeolum. Othandekayo, igazi,
izinyembezi.”
Erano questi gli ingredienti e la formula era ancora più
sinistra:
Fundza
lendzaba uzongithanda”
Ora
serviva recuperare il corpo,
e non era affatto facile, perché Merlin si era accorto che
qualcosa non andava
e gli stava sempre più sul fiato sul corpo e il matrimonio
era a soli due
giorni di distanza.
Ma
Arthur non si sarebbe fermato,
aveva gli ingredienti e la formula, voleva il corpo, lo voleva e
l’avrebbe
avuto.
Così,
il giorno prima delle
nozze, si incontrò con Ginevra e si mostrò
gentile e cortese per fugare ogni
sospetto, ma Merlin era troppo furbo e si era accorto che era tutto
troppo
perfetto per essere vero.
Non
si sarebbe però fermato Arthur
e quindi chiamò Merlin:” Merlin vieni con me, mi
devo scusare e quindi ti prego
cammina con me.”
Parlavano
e scherzavano come due
vecchi amici, non sospettava nulla il mago, troppo nascosta era
l’intenzione
del giovane re.
“Quando
sarò re.” Disse Arthur:”
Tu sarai il mio confidente e consigliere reale.”
Merlin
era entusiasta, finalmente
il re era rinsavito e pensava al futuro, ma il futuro che Arthur aveva
in mente
era un futuro depravato e oscuro che spalancava a tradimenti e morti;
la sua
gioia sarebbe stata lastricata di cadaveri.
Arthur
le avrebbe dato qualsiasi
cosa, se solo gliel'avesse chiesto e ora poteva, poteva darle la vita e
lei
sarebbe stata tua per sempre.
Solo
quando arrivarono al
cimitero, Merlin percepì una perturbazione, ma fu troppo
tardi quando capì
quale ne era la fonte, perché Arthur lo mandò a
terra colpendolo con l’elsa
della spada.
Il
giovane re afferrò quindi la
pala, precedentemente nascosta nelle vicinanze, e cominciò a
scavare fino a
riesumare la bara, di cui ruppe i sigilli e ne asportò il
contenuto.
Per
passaggi segreti e oscuri
anfratti arrivò alla sua stanza privata, dove
cominciò a preparare l’oscuro e
primordiale rito.
Stava
per darle la vita e le
avrebbe dato il suo amore incondizionato solo a lui.
Intanto
Merlin si era ripreso ed
era corso direttamente ad avvertire re Uther dell’accaduto.
“Maestà,
Maestà.” Gridò allarmato:”
Vostro figlio vuole resuscitarla con la magia arcana.”
“Dici
la traditrice.” Di rimando
Uther:” Non dire follie. IL mio Arthur non lo farebbe mai,
lui ama Ginevra e
domani si sposeranno e il regno avrà una regina che
figlierà l’erede dei
Pendragon.”
“Non
è vero, LUI TI HA MENTITO.”
Gridò Merlin
“Non
procedere oltre, paggio, o
dovrai rispondere alla mia lama di queste accuse infamanti.”
Rispose Uther.
Stava
per sfoderare la sua spada,
quando la notte fu lacerata da un urlo che non si poteva definire
né umano, né
animalesco, anzi non poteva provenire da una qualsiasi creatura vivente.
“Cos’era?”
Chiese allarmato il
re.
“Vostro
figlio.” Rispose Merlin:”
O meglio, la cosa che vostro figlio ha risvegliato.”
Infatti
solo in questo modo poteva
essere definito l’essere riportato in vita: una cosa in forme
e aberrante, un
aborto di diabolica natura.
Nella
sua stanza Arthur fissava
impietrito la sua creatura.
Arthur
le avrebbe dato qualsiasi
cosa, se solo gliel'avesse chiesto e ora poteva, poteva darle la vita e
lei
sarebbe stata tua per sempre; era così convinto della sua
idea che ora
vedendola cadere a pezzi era rimasto incapace di agire.
Quella
“cosa” non era la sua
Morgana, non poteva esserlo; eppure dietro i capelli spenti e
scarmigliati, gli
occhi acquosi e vitrei, il volto scavato e cascante, emergeva ancora la
proto-forma
della sua Morgana.
Si
era lei, non poteva essere
altrimenti: una bestia insensata, ma che Arthur, dopo essersi spaesato,
aveva
deciso di riportare alla ragione.
Si
avvicinò e le accarezzò,
trattenendo il ribrezzo, il volto e poi cominciò a
parlare:” Ciao, sorellina,
sono io, il tuo Artù.”
“Artù.”
Mormorò roca la creatura.
“Si
mi riconosci?” Disse Arthur
trattenendo le lacrime, ma fu solo un attimo.
La
creatura emise di nuovo quell’urlo
spettrale, che avrebbe fatto accapponare la pelle, e poi
balzò addosso al
principe e gli azzannò la gola strappandogli lembi di pelle
sprizzando sangue
tutto intorno.
Così
la trovarono le guardie
quando arrivate sfondarono la porta: china a divorare il giovane Arthur.
Uther,
che era con loro,
inorridì, ma poi ordinò che fosse distrutta e
quando le guardie ebbero, a
fatica, fatto a pezzi la creatura, le uccise, perché non ci
fossero testimoni.
Per
tutti Arthur era stato ucciso
da una bestia che aveva catturato e sperato di allevare, ma che si era
poi
rivoltata contro uccidendolo e uccidendo le due guardie, per poi
scomparire.
Solo
Uther sapeva la verità,
quella macabra e devastante: Che Arthur le avrebbe dato qualsiasi cosa,
se solo
gliel'avesse chiesto e nel tentativo di darle la vita, aveva finito per
perdere
la sua.