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Autore: RandomWriter    02/05/2016    8 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
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57.
LYSANDRE IN LOVE

 
 
Lysandre ricontrollò per l’ultima volta l’indirizzo che gli aveva inoltrato il suo amico Castiel. Alzò quindi lo sguardo verso un’insegna rettangolare e mise a fuoco il nome della via. Doveva complimentarsi con se stesso per essere giunto a destinazione senza perdersi ed essere pure in anticipo.
In parte però, doveva riconoscerlo, il merito di quell’impresa spettava alla sua compagna di viaggio.
« Staremo stretti se verrai anche tu » aveva fatto notare a sua sorella Rosalya, ma la ragazza aveva liquidato il problema sostenendo che lei ed Erin erano talmente minute, da occupare il sedile di una sola persona.
« Ti pare che mi perda la parte più succosa della faccenda? » aveva poi protestato.
« A te interessa solo avere un pretesto per saltare le lezioni » l’aveva pungolata il fratello maggiore.
Erano ormai le otto del mattino, un orario un po’ inopportuno per piombare in casa di sconosciuti, come lo erano gli zii di Armin. Stava quindi per telefonare a Castiel quando Rosalya sbottò:
« Che aspetti? Andiamo! » e senza attendere risposta, balzò fuori dalla vettura.
Il poeta sollevò gli occhi al cielo, come se nelle nuvole plumbee cercasse commiserazione per quell’atteggiamento così incompatibile con il proprio.
Il dito sottile della ragazza era già puntato contro il campanello d’ottone, mentre un sorriso radioso le illuminava il viso. Niente in quel momento, avrebbe potuto spegnere l’entusiasmo e l’allegria di vedere l’espressione sorpresa della sua migliore amica.
 
Castiel rotolò sul fianco destro, socchiudendo appena le palpebre. Il materasso cigolò leggermente e lui rimase immobile, sperando che quel movimento non avesse destato la sua compagna di stanza. 
Lui, che non aveva mai sofferto d’insonnia in vita sua, quando c’era quella ragazza nei paraggi doveva lottare strenuamente nel tentativo di addormentarsi. Per tutta la notte si era sentito inquieto ma il timore di disturbare il sonno di Erin lo aveva fatto desistere dal cercare una posizione più confortevole.
Eppure, gli era bastato guardarla, nel cuore della notte, mentre sonnecchiava beatamente, facendolo sorridere con quel viso così dolce ed indifeso. Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato mentre era rimasto lì, incantato, a fissarla e perdersi nei suoi pensieri. Di certo, non era dipesa da lui la rottura di quel contatto visivo: ad un certo punto, Erin si era voltata dalla parte opposta per il resto della notte, privandolo di quella visione.
Si distese sulla schiena, chiedendosi quanto ancora la ragazza avrebbe riposato tra le braccia di Morfeo. Lui aveva un disperato bisogno di caffeina, per sopperire al deficit di riposo e risvegliare i sensi, ma l’idea di abbandonare per primo quella stanza non lo tentava. Anzi. Avrebbe voluto vederla stropicciarsi gli occhi, destarsi pigramente dal sonno e, magari, guardarlo per un attimo disorientata, chiedendosi come mai fossero lì. Una volta Rosalya gli aveva raccontato di quanto Erin fosse particolarmente rintronata dopo un sonno ristoratore e lui non aspettava altro che l’occasione per scoprire anche quel lato così adorabile del suo essere meravigliosamente lei.
Ruotò il capo di lato e notò che il petto della ragazza si alzava e sgonfiava ritmicamente. Le lunghe ciglia, ostinatamente abbassate, trasmettevano una grande femminilità e dolcezza a quel viso. Gli bastava guardare quei lineamenti per sentirsi invaso da una profonda pace e serenità. 
Sorrise, una smorfia istintiva e pertanto incontrollata, destinata però a spegnersi appena il suo udito finissimo riconobbe una voce fastidiosamente familiare:
« SVEGLIA RAGAZZI! » annunciò Rosalya, colpendo il palmo contro la porta.
Castiel vide il corpo di Erin sobbalzare spasmodico, violentemente strappato dalla realtà onirica.
« C-che succede? » farfugliò, con la bocca ancora impiastrata dal sonno.
« White… » scosse il capo il musicista, mettendosi seduto.
« Vi ho disturbatiii? » ironizzò la stilista, dall’altro lato della porta.
« Che ci fai qui? » abbaiò Castiel.
Erano bastate frazioni di secondo per far evaporare tutto il buon umore che aveva accompagnato il suo risveglio. Interagire con una pazza scatenata come Rosalya, gli faceva apprezzare ancora di più la dolcezza ed equilibrio di Erin.
« Servizio carroattrezzi, signore! » si pavoneggiò l’altra, entrando finalmente nella stanza e sedendosi elegantemente sul letto di Erin.
I letti dei due occupanti erano separati da almeno un metro ma non fu solo quella constatazione logistica a turbarla.
Fissò l’amica e, lanciando un’occhiata sprezzante al suo pigiama di Spongebob dichiarò:
« Amica mia, un pigiama così affloscerebbe l’alzabandiera mattutina di qualunque maschio in piena tempesta ormonale »
 
A colazione Rosalya si distinse per la sua chiassosità, che ben si sposò con il carattere esuberante di zia Chloe. Roxanne fissava ammirata quella ragazza bellissima, cominciando a sospettare che nel liceo di Morristown vi fosse una selezione a monte, circa l’aspetto fisico delle sue studentesse.
« Roxy, patti chiari e amicizia lunga » esordì la madre « ti concedo solo oggi come giornata di vacanza, da domani a scuola »
« Ma mamma… » stava per protestare la biondina, quando Ambra intervenne.
« Non ti preoccupare Roxanne, questo non significa che ti escluderemo dall’indagine »
« Quanto pensate di fermarvi? » domandò il padre della bambina, affrettandosi poi a precisare « sia chiaro, siete i benvenuti, ma è solo per capire come organizzarci »
« Oh, non vogliamo approfittare così tanto della vostra ospitalità! » rimediò Erin « ieri ho cercato un motel e… »
« Non se ne parla! » si oppose Chloe « qui c’è spazio per tutti! Restate il tempo necessario »
Ambra stava per ribattere ma il suo ragazzo la anticipò, incrociando la sua mano in quella della bionda.
« Come vuoi, zia… con te è impossibile discutere »
Quel contatto la fece rabbrividire, al ricordo della notte precedente.
Seppure nessuno dei due si fosse opposto alla condivisione del letto, era lampante che tra di loro non ci fosse ancora quel genere di complicità che li avrebbe spinti ad un passo successivo. In cuor suo poi, Ambra era estremamente a disagio. Era vero che Armin era il suo primo ragazzo, ma questo non significava che nessun’altro prima si fosse avvicinato a lei. Era accaduto in uno dei momenti più difficili della sua adolescenza, quando aveva raggiunto un tale stato di indolenza che solo la ricerca di emozioni forti poteva sopirla. Assecondare le avances di quel ricco erede conosciuto nel Wisconsin durante una vacanza, le era sembrato un modo per evadere da quell’apatia suicida, quell’assoluta astensione da ogni emozione. Tuttavia, ne era scaturito un rapporto carnale e pure doloroso, talmente tanto che da quella volta, la sola idea di concedersi fisicamente ad un ragazzo, la paralizzava. Per questo, l’aveva liquidato con uno sfuggente bacio a fior di labbra e si era nascosta il viso sotto le coperte. Avrebbe voluto così tanto sapere cosa il ragazzo stesse pensando in quel momento ma si dovette accontentare dell’indecifrabile silenzio che ne era seguito.
« Dunque ragazzi, sparecchiamo e poi mettiamoci in marcia! » esclamò infine il moro. Per quanto la sua ragazza fosse dispiaciuta e rattristata, lui non cessava di sorridere e trasmettere in chi lo circondava, una buona dose di allegria e spensieratezza. Qualità di cui lei aveva un disperato bisogno.
 
Come previsto da Lysandre, il viaggio in macchina fu alquanto scomodo, addirittura in misura maggiore di quanto avesse preventivato: nonostante le sue resistenze, Roxanne fu costretta a sedersi sulle ginocchia del cugino e occupare il sedile anteriore, mentre gli altri quattro vennero stipati dietro.
« Al ritorno guido io » borbottò Castiel.
Per lo meno accanto a lui c’era Rosalya e, quella vicinanza, non lo irretiva minimamente. Sarebbe stato molto più in difficoltà se, a schiacciarsi contro la sua coscia, fosse stata quella di Erin.
Seguendo le indicazioni, talvolta un po’ confuse, di Roxanne, il gruppetto raggiunse una cittadina minuscola ma accogliente. La gente passeggiava per i marciapiedi ricchi di fiori e piante, le vetrine dei negozi erano curate e caratteristiche. Mestieri ormai dimenticati, come il droghiere resistevano eroicamente, dando sfoggio di una miriade di prodotti colorati e curiosi.
« Che cittadina deliziosa » approvò l’autista, lasciando passare una vecchietta.
« Sembra Stars Hollow di Gilmore Girls » squittirono in coro Erin e Rosalya e, dopo quella comune osservazione, si scambiarono il cinque.
« A me sembra tutta finta » disapprovò Castiel. Quel tipo di ambienti non facevano per lui, amante dell’atmosfera metropolitana. Adorava la sfrontatezza con cui i grattacieli sfidavano la gravità, la dinamicità della musica di strada, la vivacità culturale della metropoli. Aveva amato sin da subito Berlino proprio per quegli aspetti così in linea con il suo modo di essere.
Roxanne si sporse in avanti, indicando un punto lontano:
« Svolta lì! » ordinò a un consenziente pilota.
La vettura imboccò un viale alberato, al termine del quale sorgeva una chiesa dall’architettura neoclassica e un edificio bianco, che ben presto venne loro presentato come la loro meta.
« L’asilo è gestito dalle suore » spiegò la ragazzina, mentre Lysandre parcheggiava.
« Mocciosi e religione » borbottò Castiel, uscendo dall’abitacolo « esiste un binomio peggiore? »
« Forse è meglio che tu non entri, Black. Le suore potrebbero pensare che tu sia una specie di indemoniato » lo punzecchiò Rosalya.
« Ti sei vista, White? » la rimbeccò l’altro, sventolandole davanti al naso una ciocca di capelli bianchi mentre Erin si frapponeva tra i due.
« Potreste evitare di bisticciare, almeno finché non saremo usciti da qui? »
« Credete davvero che ci faranno entrare tutti, solo per parlare con la cuoca? » osservò Ambra, dubbiosa.
« Posso dire che è mia zia, così, giusto per avere un pretesto per entrare » propose Roxanne. La bionda stava per approvare quella scelta, quando Castiel intervenne:
« Le suore sono gente diffidente, non basterà una balla qualsiasi per convincerle »
« Hai una strana concezione delle suore » puntualizzò Erin « e poi credo che la scusa di Roxy reggerà benissimo »
« Detto questo, chi entra? » riepilogò Armin.
« Beh, oltre alla nostra esca, direi Erin in quanto diretta interessata, Ambra in quanto detective ufficiale ed Armin » ragionò Lysandre.
« E io in qualità di…? » lo esortò l’hacker.
« Tu perché hai la faccia da tontolone piacione… da tipo innocuo insomma » completò Rosalya.
Il moro cercò rassicurazione nel poeta che però ammise:
« Non mi sarei espresso in questi termini ma diciamo che il senso era quello »
« Comunque voglio andarci pure io! » protestò la stilista, mentre Ambra passava affettuosamente una mano sulla spalla del suo ragazzo « che senso ha essere venuta fin qui se poi non posso neanche prendere parte alle indagini? »
« Infatti tu non eri richiesta » la gelò Castiel, guadagnandosi una gomitata laterale da Erin.
« Io invece sono contenta che tu sia venuta, Rosa » intervenne prontamente la mora.
« L’ho fatto solo per te, stella » le sorrise radiosa l’amica.
« Se viene la psicopatica, allora entro pure io » s’impuntò a quel punto il rosso.
« Sembri un bambino »
Castiel si voltò verso la provenienza di quella vocina, inquadrando in essa la figura di Roxanne.
« Mocciosetta, vedi di non alzare troppo la cresta. Stai parlando con un adulto »
« Non posso credere che tu abbia lo stesso cognome del mio personaggio preferito » borbottò la biondina tra sé e sé, lanciando un’occhiata sprezzante al ragazzo. Normalmente non le mancava la capacità di rispondere a tono, ma non voleva inimicarsi l’amico di suo cugino. In fondo, bastava ignorarlo e cercare di interagire con lui il meno possibile. Non si capacitava allora del fatto che una ragazza sensibile e carina come quella Erin, potesse essere così presa da lui. Perché, anche se i due diretti interessati non ne erano consapevoli, a Roxanne era bastata un’occhiata per interpretare la complicità e gli imbarazzi tra la mora e il rosso.
Seguì il gruppo, che alla fine aveva escluso solo Lysandre, fino al cancello smaltato di bianco. Si voltò verso il poeta, provando quasi tristezza per la desolante solitudine in cui l’avevano abbandonato. Lysandre sembrò leggerle nel pensiero e le rispose con un sorriso talmente candido, da farla arrossire.
Se avesse avuto qualche anno di più e, soprattutto, le fosse passata quella cotta paurosa per Ryder Parker della seconda B, Roxanne ci avrebbe fatto un pensierino su quel ragazzo così garbato e affascinante.
« Desiderate, ragazzi? »
La ragazzina fu costretta a scostarsi dai propri pensieri e notò che, oltre il cancello si era materializzata la figura di una suora, vestita di nero.
« V-vorrei parlare con mia zia » miagolò timidamente.
Tutta la sua sicurezza era sparita di fronte al cipiglio perplesso della religiosa.
« Chi è tua zia? »
« Patricia Powell »
« Patty? La cuoca? »
« Esatto »
La donna sollevò allora lo sguardo sui ragazzi che circondavano la presunta nipote di Patty e domandò:
« E questi ragazzi? »
« Vede, siamo degli scout e abbiamo conosciuto Patty durante un’uscita. Visto che eravamo qui di passaggio, abbiamo pensato di salutarla, se non è un problema »
Era stata Ambra a giustificare la loro presenza con quella scusa che, seppure poco credibile, era stata recitata con una sicurezza ammirevole:
« Scout? » domandò la suora, soffermando lo sguardo in particolare sull’aspetto eccentrico di Castiel e Rosalya.
« Che vuole che le dica, sorella? Gesù piace a tutti » replicò il primo, velatamente beffardo.
« Non dire stupidate » gli sussurrò Erin « e cerca di prenderla seriamente »
« Beh, quand’è così, credo che a Patty farà piacere vedervi… anche se non ho ancora capito cosa c’entri tu con loro » convenne la religiosa, rivolgendosi a Roxanne.
« Sono pure io una scout » le sorrise quest’ultima. Quel sorriso angelico aveva spiazzato più di una persona in passato e Roxanne doveva riconoscerne di averne sempre fatto un uso magistrale. Quasi fosse la chiave per sbloccare ogni serratura, era bastata quella smorfia per far crollare ogni debole reticenza della donna.
Attraversarono così il viale ciottoloso e silenzioso, seguendo poi la suora oltre una porta a vetri decorata con adesivi colorati.
Castiel e Armin, piazzati in fondo alla spedizione, iniziarono a scherzare e ricordare l’asilo in cui erano cresciuti, facendo commenti poco lusinghieri sulla stazza di una certa Miss Flò Flò, soprannome inevitabilmente attribuitole dai piccoli scolari.
Quel giorno, Erin non potè non notarlo, l’esuberanza e l’allegria dei suoi amici erano più radiose e contagiose del solito.
 
« Patty, hai un minuto? C’è una visita per te »
Una figura alta, con due polpacci robusti resi ancora più evidenti da un paio di pantaloni alla zuava si voltò di scatto, brandendo un mestolo a mezz’aria. La schiuma del detersivo colò sul pavimento, mentre nubi di vapore caldo si levavano da un acquaio immenso.
« Sto lavando i piatti» replicò la cuoca, come se non fosse già abbastanza ovvio.
Quell’osservazione però non voleva essere un pretesto per negarsi agli ospiti, quanto una scusante per le sue condizioni poco presentabili. Ciuffi di capelli castani erano sfuggiti alla morsa di una cuffietta troppo piccola a contenerli e la condensa li aveva arricciati leggermente, conferendole un’aria ancora più affaccendata.
« C’è tua nipote »
Prima che Patricia potesse replicare, la figura minuta di Roxanne superò la suora e corse strategicamente tra le braccia della cuoca.
« R-Roxy! » esclamò quest’ultima, piacevolmente sorpresa.
« Sono così contenta di vederti! » incalzò la biondina.
« Beh, allora li affido a te » si congedò la suora « vieni a cercarmi quando per i ragazzi è arrivato il momento di andare »
La religiosa fu piuttosto rapida nel dileguarsi e questo avvantaggiò il gruppo di amici che ebbe tutto il tempo e la serenità per giustificarsi.
« E voi ragazzi… »
« Siamo venuti qui perché abbiamo bisogno di parlarle, Miss Patty » la interruppe Ambra « si tratta di una questione che ci sta particolarmente a cuore »
 
L’asilo che aveva frequentato lui ben tredici anni prima era molto lontano dai colori e l’allegria della struttura che aveva davanti. Come gli raccontò in seguito suo nonno, suo padre aveva iscritto lui e sua sorella in quella che gli era sembrata l’istituzione più prestigiosa della città. Non dovevano indossare degli anonimi grembiuli, ma delle divise fornite dall’istituto e le educatrici vantavano tutte un curriculum invidiabile nel campo della formazione primaria.
Lysandre sorrise, chiedendosi se suo padre potesse vederlo in quel momento, se davvero, come sosteneva sua nonna, vegliasse su di lui e la sorella. Sarebbe stato interessante in particolare sentire cosa pensasse di quei due figli così diversi dalla sua razionalità di matematico e, piuttosto, affini all’eccentricità della moglie, un’ex attrice.
« Perché sei vestito così? »
I pensieri del ragazzo furono costretti a interrompersi, per concentrarsi sulla vocina delicata ma dal tono impertinente che l’aveva distratto. Dall’altro lato della recinzione, un bambino paffuto lo scrutava con un misto di interesse e timore. Dietro di lui, a debita distanza, si erano raccolti alcuni bambini, che assistevano trepidanti alla scena.
Lysandre sorrise amabile, chinandosi verso il piccolo.
« Perché vengo dal passato » gli sussurrò teatrale.
Vide gli occhi neri del bambino sgranarsi da un ingenuo stupore, mentre un sorrisetto canzonatorio gli distendeva gli angoli della bocca.
« Come ti chiami? » domandò l’infante.
« Lysandre »
La bocca del piccolo interlocutore si dilatò assieme agli occhi, che quasi uscirono dalle orbite.
« E’ LYSANDRE! » urlò, voltandosi verso gli amici, poco lontano.
Il poeta a sua volta rimase interdetto da quell’inspiegabile quanto esagerata reazione, ma non aggiunse nulla.
« Non può essere Lysandre! » si fece avanti una bambina, dal cipiglio attento. Osservò scrupolosamente il ragazzo, fissandolo quasi con cattiveria:
« Sei un bugiardo » lo accusò risoluta.
« Perché lo dici? »
« Perché Lysandre non esiste »
« Mi dispiace contraddirti, piccola principessa, ma io esisto eccome » le fece l’occhiolino il ragazzo.
Bastò quel gesto ad abbattere le difese della bambina. Del resto, il ragazzo aveva sempre avuto piena consapevolezza del suo carisma e sapeva come sfruttarlo a seconda delle età e delle circostanze.
« Dobbiamo dirlo a Meggy! » dichiarò il bambino che l’aveva avvicinato per primo e sparì di corsa, lasciando il poeta in balia di un gruppetto di mocciosi che lo fissava diffidenti.
 
« Così voi vorreste incontrare la signora Leroy? » riepilogò Miss Patty.
« Sì… è molto importante per noi » ammise Erin, guardandola intensamente negli occhi.
La cuoca sospirò affranta, trovando posto alle sue stanche membra su uno sgabello dall’aspetto scomodissimo.
« Vorrei tanto potervi aiutare ragazzi ma la signora non ama essere disturbata… se sapesse che vi mando io… »
« Non lo saprà, Patty! » intervenne prontamente Roxanne.
La donna la fissò dubbiosa, combattuta tra il suo animo generoso e disponibile e il rispetto delle volontà della vecchia artista.
« Volete almeno dirmi perché desiderate incontrarla? »
« Ha realizzato una cornice per una persona… voglio sapere di chi si tratta » le spiegò sommariamente la mora.
Patricia sembrò non cogliere a pieno il senso di quella frase, ma venne comunque distratta dalla domanda di Ambra.
« Lei ha lavorato nella casa della signora Leroy giusto? Ricorda se teneva un registro con i nominativi di chi le ha commissionato le varie opere nel corso degli anni? »
« E’ a quello che ambite? »
« Beh, di certo non mi aspetto che si ricordi a memoria ogni cliente » convenne la bionda « a meno che non abbia un motivo particolare per farlo »
« La signora Leroy non si ricorda delle persone, ma solo delle cose » esclamò Patricia, slacciandosi il grembiule « ha una memoria prodigiosa »
« Davvero? » s’incuriosì Rosalya.
« Oh sì! Ha realizzato centinaia e centinaia di opere nel corso della sua vita, ma di tutte, ricorda sempre l’anno di esecuzione » spiegò la cuoca con ammirazione.
« E’ sicura che non spari un anno a caso? » dubitò Castiel, mentre era intento a ispezionare il contenuto di un voluminoso pentolone.
« No, no, non sono l’unica ad aver notato questo suo talento »
« Quindi ci sono delle possibilità che lei si ricordi chi le ha commissionato la cornice che ci interessa? » sperò Erin.
« Non lo escludo, in effetti… ciò su cui non posso tranquillizzarvi è la disponibilità di quella donna. Potrebbe sbattervi la porta in faccia prima ancora che riuscite a presentarvi »
« E’ per questo che siamo qui, zietta » le sorrise angelica Roxanne « tu in quella casa sei riuscita ad entrare… devi dirci qual è il segreto »
« Ci sono entrata solo perché stava cercando una domestica, Roxy »
« Ma ora che lei non ci lavora più, ha assunto un’altra colf? » osservò Armin.
« Chi lo sa. Forse sì, forse no »
Il moro si voltò verso la sua ragazza, sulla quale si erano concentrati gli sguardi del resto dei suoi amici.
« Che facciamo Ambra? » domandò Erin, esternando quello che era il pensiero generale.
« Beh, dobbiamo comunque provarci. Potrebbe spiegarci come arrivare a casa di questa donna? »
 
Margaret era diventata uno zuccherino, non era rimasta traccia della scontrosità con cui l’aveva aggredito poco prima. Lo guardava trasognante, dal basso della sua minuta statura, mentre il poeta intratteneva i piccoli con la sua voce calma.
« Ti facciamo entrare, Lysandre! » aveva architettato un bambino con il moccio al naso, Ruben.
Fu così che il poeta si era trovato dall’altra parte del cancello, sperando che nessun’educatrice potesse accorgersi di lui. Il che risultava alquanto ridicolo, dal momento che erano in mezzo al cortile. Eppure non c’era traccia di maestre o suore. In quello spazio aperto c’erano solo lui e quei sette bambini che erano diventati il suo pubblico.
Aveva appena evocato la scena della lotta tra il principe e il drago, quando gli accadde una cosa assolutamente estranea alla sua esperienza, qualcosa in cui non si era mai imbattuto prima.
La voce gli morì, lasciando a metà una frase nel punto più emozionante del racconto. Le labbra morbide rimasero socchiuse, poco elegantemente per giunta.
Chinata in avanti, mentre Harry la teneva per mano, stava accorrendo nella sua direzione, una figura femminile un po’ goffa e impacciata.
Aveva un sorriso meravigliosamente tenero, quasi puerile e un viso rotondo. I capelli scuri erano tagliati all’altezza delle spalle, ma la chioma era folta e voluminosa.
« Devi vederlo, Meggy! » stava esclamando Harry.
Ne derivò una risata cristallina, spentasi nell’istante stesso in cui i suoi occhi si posarono su quelli del ragazzo.
Meggy cacciò un urlo spaventato, tale da spaventare persino la causa.
« SANTA PATATA! » farfugliò « PORCA PALETTA! SUOR MARY MI AMMAZZA! » si agitò, guardandosi attorno furtiva.
I sette bambini, assolutamente estranei al terrore della ragazza, si voltarono divertiti e la assalirono gioiosi:
« Meggy! E’ Lysandre! » esclamò Margaret, indicando il poeta.
« Voi che ci fate qui? Non dovreste fare il riposino a quest’ora? »
Quello che doveva essere un rimprovero, era invece uscito come una buffa constatazione, che non aveva minimamente allertato i fuggitivi.
« Non avevamo sonno »
« E suor Mary? »
« Lei sì » ridacchiò Harry « si è addormentata e noi siamo scappati »
« Non mi avevi detto che eravate scappati tutti voi otto! Filate immediatamente a nanna! » cercò di arrabbiarsi la ragazza, fissando Harry.
« Ma Meggy! E’ Lysandre! »
Fu allora che, finalmente, la ragazza si decise a dedicare al ragazzo la giusta attenzione.
Lo fissò per qualche istante in silenzio poi, inaspettatamente, cacciò un secondo urlo:
« SANTA PATATA! E TU CHI SEI?! Da quando sei qui? »
Il poeta era rimasto talmente spiazzato dalla ragazza e da quei modi così infantili che non sapeva come replicare.
« L’abbiamo fatto entrare noi » spiegò Ruben con orgoglio.
« Ma non si fa… » tentò di spiegare lei, sentendosi tremendamente a disagio. Alzò infatti lo sguardo sul poeta, fissandolo timidamente « scusami ma sai, sei uno sconosciuto e loro… »
« Non preoccuparti » gracchiò Lysandre.
Gracchiare.
Lui, la cui voce era sempre impeccabile e balsamica.
L’ultima volta che gli era uscita così terribile era frutto di una sua iniziativa, per convincere Castiel di essere afono e far poi esibire Nathaniel al concerto del liceo.
Si zittì, cercando di umidificare la gola al meglio, ma pure la saliva sembrò averlo abbandonato.
Scrutò quella ragazza, che i bambini chiamavano ripetutamente Meggy.
Aveva un sorriso candido, messo ancora più in evidenza da due occhi azzurri e dolci. I capelli corvini, risplendevano sotto i raggi del sole, apparendo a tratti quasi violacei. Era molto magra, forse un po’ troppo e quella magrezza veniva enfatizzata da una felpa troppo lunga e troppo larga, lasciata aperta.
« Allora, Meggy? E’ veramente lui Lysandre? » domandò Ruben, indicando il ragazzo.
Lei fissò il poeta senza capire e in quest’ultimo lesse un’espressione analoga alla sua. Nel vedere quella smorfia, il suo viso si distese e reclinò il capo all’indietro.
Scoppiò in una risata fragorosamente bella, contagiosa e spontanea.
In quel momento Lysandre la invidiò perché, a memoria sua, erano settimane che non rideva con tanta leggerezza.
« Bambini, Lysandre è un personaggio di fantasia » spiegò con dolcezza.
« Ma allora ci hai mentito » si lagnò Margaret, fissando sprezzante il ragazzo che però insistette:
« Io mi chiamo veramente Lysandre » farfugliò lui, insicuro. Non riusciva a riconoscersi in quell’atteggiamento così remissivo e vulnerabile.
Non era lui.
« … ma non è il Lysandre di Shakky » completò Meggy, allungando la mano verso Margaret « forza bambini, ora a nanna, altrimenti non vi racconto più le storie »
Si levarono cori di protesta ma tutti, chi prima chi dopo, seguirono la ragazza.
Quest’ultima stava per dire qualcosa a Lysandre, quando una voce alle sue spalle la fece sobbalzare:
« Non di nuovo! Megan! »
Megan venne attraversata da una sorta di scarica elettrica, che la fece voltare meccanicamente:
« S-suor Mary… stavo appunto… »
« Come mai tutti questi bambini sono svegli? Mi è preso un infarto! »
« Li stavo… »
« Li porto su io! Bambini! Forza, avanti marsch! »
Lysandre osservò divertito quell’anziana suora apparsa dal nulla e dai modi brutalmente militareschi. Non aveva minimamente calcolato la sua presenza, regalandogli così la possibilità di parlare ancora con quella che si era rivelata una ragazza di nome Megan.
Si sorprese nello scoprire quanto fosse sincero il suo desiderio di intrattenersi ancora con lei e sperò che vi fosse, seppur marginalmente, della reciprocità in quelle intenzioni.
Mentre fantasticava su quale fosse l’argomento migliore con cui riprendere la conversazione, si accorse dell’aria affranta che aveva assunto la ragazza, quasi malinconica.
« Stai bene? »
Quel viso, improvvisamente rabbuiatosi, tornò luminoso come prima, mentre si affrettava a chiarire:
« Sì, sì, tutto ok » minimizzò « scusami… sono proprio pessima… cioè, boh, non volevo essere scortese, ma in un certo senso devo occuparmi dei bambini, beh cioè, non dovrei ma lo faccio comunque… insomma, ne sono un po’ responsabile, no? »
Farneticò quella spiegazione sconclusionata alla velocità della luce, al punto che Lysandre faticò non poco a seguirne la logica.
« Insomma, scusa » esalò infine.
« Non preoccuparti » le sorrise lui comprensivo.
Piombò il silenzio, anche se in Lysandre c’erano fin troppe domande che attendevano una risposta. Decise di partire dalla più scontata e prevedibile, se non altro per rompere il ghiaccio.
« Si può sapere per chi mi avevano preso i bambini? »
Vide la ragazza ridacchiare tra sé e sé e quella risatina la rese ancora più amabile.
« E’ un personaggio di Shakespeare… o Shakky, come dicono loro. E’ il mio autore preferito e ho raccontato loro Sogno di una notte di mezza estate »
« Ti piace Shakespeare? » ripetè il ragazzo sorpreso.
Megan non colse affatto la nota di ammirazione in quella domanda, quanto piuttosto si sentì quasi fuori luogo per quella singolare predilezione:
« Sì, so che è un po’ strano ma amo le sue opere… la sua sensibilità nel toccare l’animo umano con una delicatezza tale da che però finisce per farti sentire quasi nudo… oddio, mi vengono i brividi se penso a certe frasi… »
Gli occhi di Megan avevano iniziato a brillare di una luce intrinseca. Non riflettevano più quella del sole primaverile, ma avevano qualcosa di autentico, qualcosa che li rendeva ancora più belli. Lysandre si perse a guardarli, dimenticandosi di ascoltare quanto lei gli stesse dicendo.
Il suo cervello si riconnesse solo quanto la sentì recitare:
« Non t’ama chi amor ti dice ma »
« … ma t’ama chi guarda e tace » completò lui, rapito.
Lei rimase senza parole, mentre lui distolse lo sguardo in imbarazzo.
E tacque.
 
Odiava il lunedì.
Era il suo giorno libero dal lavoro, eppure non vedeva l’ora che arrivasse il martedì. Prendeva la metro di mattina e veniva circondata dal chiacchiericcio di studenti che si apprestavano ad iniziare l’ennesima giornata scolastica. Compiti in classe, interrogazioni, appunti, libri. Le sembravano passati secoli dall’ultima volta che si era lamentata per quella realtà.
Ricordava la sensazione di libertà provata una volta arrivata in California e realizzato che la scuola non sarebbe rientrata tra le sue priorità.
Ora che non solo l’istruzione non era in cima alla lista delle sue esigenze ma era stata addirittura depennata, Sophia si sentiva in trappola. Il suo futuro tutt’ad un tratto era diventato nebuloso e incerto. Lo era sempre stato, ma se ne stava accorgendo quando tutto attorno a lei aveva preso la piega giusta.
Nathaniel aveva finalmente preso una posizione e dichiarato a sua madre la propria voglia di indipendenza, Ambra era felice con Armin, futuro ingegnere informatico, Erin voleva diventare ricercatrice, Rosalya una stilista.
Tutti avevano le idee chiare eccetto lei.
La metro frenò e lei, colta alla sprovvista, si sbilanciò, urtando un ragazzo davanti a lei.
« Scusa » farfugliò, a voce troppo alta a causa del volume della musica nelle cuffiette.
Lui le sorrise amabile e lei ricambiò finché non si accorse dell’occhiata gelida che le stava lanciando la sconosciuta accanto al moro.
Distolse immediatamente lo sguardo, a disagio, mentre i due tornavano a chiacchierare indisturbati.
Voleva anche lei qualcuno con cui prendere la metro la mattina, qualcuno che le sorridesse in modo così dolce, che riempisse il vuoto della sua quotidianità.
« Deve essere una persecuzione… »
Quello sbuffo arrivò da una voce alla sua destra, dal tono insolente e aspro.
Si voltò e, inorridendo, riconobbe all’istante Ingrid Daniels.
Aveva due pesanti valigie al suo seguito, che ogni tanto riavvicinava al corpo con un colpo di gamba. Nonostante il clima mite, indossava un paio di guanti in seta, igienica barriera contro la sbarra che le fungeva da supporto.
« Signora Daniels… » esclamò Sophia, inclinando il capo in segno di saluto.
Non era quello il genere di compagnia in cui sperava per rallegrarsi la gita in metro.
« Mi sorprende vederla in un mezzo di trasporto così plebeo » aggiunse, canzonatoria. D’altronde, sapeva quanto quella donna la disprezzasse e non era sua intenzione cercare di rimediare all’opinione che aveva di lei. Piuttosto, voleva vendicarsi per la figuraccia che le aveva fatto fare davanti a Nathaniel giorni prima.
« T-trovare un taxi in questa maledetta città è un’impresa » la rimbeccò l’altra.
Pronunciò quella giustificazione con una nota di panico e disagio talmente palpabile che istintivamente Sophia dubitò della sua veridicità.
San Francisco pullulava di tassisti, anche nei posti più abbandonati e meno frequentati. Tuttavia, anziché approfittare di quella circostanza per punzecchiare la donna, la rossa si zittì. Non era al corrente delle difficoltà economiche della famiglia Daniels, ma il suo istinto le suggeriva di non approfondire la questione. Ingrid si guardava attorno come un animale barbaramente strappato dal suo habitat naturale e costretto a vivere in gabbia, fissando con diffidenza chi la circondava.
Una voce metallica annunciò l’imminente arrivo alla prossima fermata ma, udendo quel nome, la donna sbottò fuori di sé:
« Come la Lincoln? Non dovrebbe essere Saint Nicholas la prossima? »
« No, è la Lincoln. Saint Nicholas era la precedente »la corresse Sophia, sorpresa dal fatto che la donna non si fosse accorta della direzione sbagliata.
« M-ma come? No, no, voglio scendere allora! » si agitò.
« Allora dovrà scendere alla Lincoln »
« Non credo proprio! Scendo qui! »
« In mezzo alla strada? » dubitò la ragazza « non può, l’autista non può fermarsi a comando »
« Lo vedremo! » s’impuntò Ingrid, iniziando a farsi strada tra la folla. Non riuscì a fare più di due passi che si imbattè in un impiegato frustrato ed irritabile:
« Signora, dove pensa di andare? Le porte sono dietro di lei »
« Voglio parlare con l’autista, si tolga di mezzo » replicò, schifata dall’odore di colonia scadente che proveniva dal suo cappotto. Una volta sua figlia le aveva detto di amare il caos della metro, l’enorme varietà di persone che la popolano ma Ingrid continuava a preferire il comfort della sua Rolls Royce e di un autista privato.
« Ma robe da matti! Non si parla all’autista! » la rimproverò l’uomo, mentre attorno a lui si levava un mormorio di protesta.
« Signora, si sposti che devo scendere! » la riprese una signora anziana, cercando di superare Ingrid.
« Si sposti lei! »
Si sentì afferrare da dietro e voltandosi, si trovò gli occhi verdi di Sophia che la squadravano.
« Ecco brava, portati via tua madre! » la esortò l’uomo.
Ingrid borbottò ogni possibile impreco, ma la rossa non mollò la presa e la trascinò fuori dal mezzo, non appena le porte le si aprirono sotto il naso.
Atterrarono su un marciapiede dissestato e, una volta lontane dalla folla, la ragazza esclamò:
« Possibile che in ogni posto che vada, finisca sempre per litigare con qualcuno? »
« Che servizio è se il cliente non può beneficiare di ogni diritto? »
« E’ un servizio pubblico » la liquidò Sophia « e comunque se tutti facessero come lei, la metro non arriverebbe mai a destinazione! »
Ingrid arricciò il naso e, afferrate le valigie, iniziò a camminare impettita.
Sophia la guardò incuriosita poi, incapace di trattenersi, scoppiò a ridere.
Rise di gusto, in modo quasi esagerato ma in quel momento era tutto ciò di cui aveva bisogno.
La donna allora si voltò, perplessa e al contempo offesa, mentre la ragazza indicava un punto alle proprie spalle:
« L’aeroporto è dall’altra parte »
Sorrideva, perché in quella figura elegante e altezzosa, non aveva potuto fare a meno di vedere quella più maschile e gentile di Nathaniel, teneramente e irresistibilmente incapace di orientarsi.
 
Per la quinta volta, Kentin guardò i due posti vuoti accanto al proprio banco.
Sbuffò annoiato, mentre Miss Joplin riepilogava il concetto di reazioni di ossido riduzione.
Non gli sembrava un argomento così complesso, eppure la classe la fissava con aria sperduta.
Si indispettì, al pensiero che avrebbe potuto essere con i suoi amici a giocare a fare i detective ed invece, era vincolato a restare lì, a scuola. Gli mancava addirittura la presenza molesta di Castiel, ad interrompere ogni suo sforzo di concentrazione. 
« No Francis, la riduzione è il processo in cui l’elettrone viene acquistato » stava puntualizzando Miss Joplin.
Quell’ennesima spiegazione gli fece sollevare gli occhi al cielo.
 Per fortuna che entro pochi minuti sarebbe suonata la campanella, annunciando l’arrivo dell’ora di matematica. Un vero toccasana per la sua mente.
Poco dopo infatti, l’insegnante di biologia si congedò, piuttosto avvilita da una lezione un po’ sottotono. Aveva sentito la mancanza delle sue studentesse migliori, Erin ed Ambra, oltre che della vivacità di Castiel, che con la sua indisciplina, la costringeva a tenere i cinque sensi in allerta. Lo beccava sempre impegnato a fare qualcos’altro ma, il più delle volte, evitava di riprenderlo fintanto che quelle attività non interferivano con la lezione o distraevano i compagni. Una volta le era parso pure di intravedere dei pentagrammi sul suo banco, ma aveva zittito la curiosità e il suo dovere di approfondire la faccenda.
Kentin stava per mandare un messaggio a Castiel, quando una voce lo distolse dal suo proposito.
« Lezione impegnativa oggi, eh? »
Alzò lo sguardo di scatto, trovandosi di fronte gli occhioni trasparenti di Iris.
A seguito della vacanza alle Bahamas, non si erano mai trovati a tu per tu a chiacchierare. C’erano sempre di mezzo Erin o Castiel e, tutto sommato, la cosa non gli dispiaceva affatto. In presenza di Iris infatti, Kentin si sentiva in imbarazzo, non sapeva più come celare dei sentimenti che erano sempre più lampanti.
« L-le redox non sono un argomento difficile » farfugliò, chiudendo il libro e rimettendolo nello zaino. Si accorse troppo tardi di aver riposto il volume sbagliato e fu costretto a ripescarlo sotto lo sguardo perplesso della rossa.
« A me non entra in testa quale sia una e quale l’altra… cioè… si ossida chi riceve… no aspetta » gli fece cenno di tacere, anticipando l’istinto del ragazzo di correggerla « … chi accetta gli elettroni?... Ah, che casino! »
« Non è così complicato » tornò ad insistere il cadetto, sorridendo leggermente « pensala così: la specie che si riduce ride perché è contenta di aver ricevuto gli elettroni »
« Ride? » ripetè divertita Iris.
« Lo so, è una cagata ma mi aiuta a ricordare facilmente »
« Ok, quindi riduzione come ridere » ripetè Iris « è stupido ma funziona! » squittì allegra.
Il ragazzo sollevò le spalle e incrociò le braccia al petto:
« Novità da Erin? »
« Dice che hanno trovato Tracy Leroy. Oggi pomeriggio andranno a trovarla »
Kentin annuì, mentre Iris iniziò a torturare il lembo inferiore della maglia. Quel giorno aveva messo uno smalto scuro, sperando che le conferisse un’aria più sofisticata come quella che evocava Rosalya.
Aveva anche optato per un capo più femminile, scegliendo quel maglioncino verde attillato con uno scollo a V. Si chiese se il ragazzo si fosse accorto di quei piccoli cambiamenti, ma non osava chiederglielo.
« Comunque se hai difficoltà con chimica, possiamo studiare insieme qualche volta »
Staccò finalmente lo sguardo dalle sue mani, per posarlo sul viso del ragazzo. Un leggero rossore gli aveva tinto le guance, mentre gli occhi rifuggivano al contatto con i suoi.
« D-davvero? » titubò, insicura di aver capito correttamente.
Lui si grattò lo zigomo destro, farfugliando qualcosa che le arrivò come un assenso.
« Mi piacerebbe tantissimo! » squittì con eccessivo entusiasmo. Si pentì all’istante per essersi tanto esposta ma non appena un sorriso tenero illuminò il viso di Kentin, non ebbe alcun rimpianto.
Avrebbero studiato insieme, loro due da soli. Erano settimane che aspettava l’occasione per parlargli senza essere circondata dai loro amici.
Quella volta alle Bahamas, chiusi in quella stanza di ospedale, non avevano quasi interagito, anche se c’erano così tante cose che voleva dirgli.
« Allora facciamo… sabato pomeriggio? » propose il cadetto.
« E se fosse di mattina? Perché nel pomeriggio avevo promesso ad Erin di andare a fare shopping insieme »
« Vada per la mattina » concordò Kentin. Stava per aggiungere altro, quando il professore di matematica fece il suo ingresso in aula:
« Ne riparliamo dopo » concluse Iris, scappando via e lasciandolo lì, impalato a fissarla con un sorriso ebete e al contempo vittorioso stampato in viso.
 
Sophia sollevò gli occhi al cielo, maledicendo la sua offerta di accompagnare Ingrid all’aeroporto. Aveva proposto alla donna di chiamare un taxi, ma la svedese si era fermamente opposta, con una motivazione talmente sconclusionata che già la ragazza l’aveva scordata.
« Manca molto? » sbottava Ingrid ogni dieci minuti.
« Mancherebbe poco se lei si decidesse a salire su un taxi o su un autobus »
« Assolutamente no! »
« Allora continui a camminare e stia zitta »
“Fallo per Nathaniel” si ripeteva.
Se avesse abbandonato Ingrid in quel momento, quella donna non se ne sarebbe più andata da San Francisco. Fu solo allora che un pensiero attraversò la mente di Sophia: dov’era Nathaniel?
Si voltò di scatto, fissando interrogativa la sua compagna di viaggio.
« Mi sto solo togliendo la giacca! » scattò l’altra sulla difensiva, mentre faceva scivolare via un capo in jersey.
« Dov’è suo figlio? »
Ingrid deglutì, rimanendo per un attimo interdetta.
Dischiuse le labbra, spiazzata da quell’uscita ma fu una reazione che durò appena un paio di secondi. Recuperò infatti la sua compostezza e sussurrò sprezzante:
« All’università, dove vuoi che sia? »
« M-ma oggi lei parte » obiettò la ragazza.
« E allora? Mi ha già salutata »
Sophia non replicò e riprese a camminare davanti alla donna, il cui viso però si era rabbuiato.
No, suo figlio non l’aveva salutata.
Dopo la disastrosa cena, in cui le aveva vomitato addosso ogni colpa e recriminazione, non si erano più parlati. Lei stessa si era sorpresa della capacità di portare rancore del ragazzo. Non riconosceva in quell’uomo così ferito e orgoglioso, il bambino biondino e gentile che le sorrideva amabile.
Si chiese quando fosse cambiato così tanto, quando i suoi sorrisi fossero scomparsi e quando avesse iniziato a disprezzarla così tanto.
Dopo quella cena, aveva telefonato a Gustave ma non aveva ricavato alcun supporto dal marito. Si era limitato a sospirare, asserendo che quella notizia non lo avesse realmente sconvolto. Aveva parlato invece di una bomba ad orologeria e del fatto che, tutto sommato, fosse contento che Nathaniel si fosse finalmente liberato del peso che gli marciva dentro.
« Abbiamo fatto troppi errori, Ingrid » le aveva detto con voce mesta « e la cosa peggiore è che non sappiamo come porvi rimedio »
Ma in cosa avevano sbagliato?
Aveva assicurato a Nathaniel e Ambra tutto ciò che a lei era sempre mancato: una famiglia rispettabile, un portafoglio sempre fornito, la possibilità di assecondare ogni capriccio, un’istruzione di elevato grado, un futuro assicurato.
Le bastava sollevare lo sguardo verso la ragazza che aveva davanti e affermare con più forza la solidità delle proprie convinzioni. Quella Sophia Travis indossava abiti sgualciti e dai tessuti scadenti, un paio di scarpe logore, non aveva nulla nell’aspetto che denotasse una persona curata e a modo. Quando parlava, aveva l’irritante tendenza a masticare le parole, mentre la sua Ambra aveva una dialettica limpida e chiara. Non andava più a scuola e, di conseguenza, avrebbe finito per lavorare in qualche catena di fast-food senza ambire ad un futuro migliore. Era così giovane eppure aveva già imboccato la strada del fallimento.
Viveva da sola, lontano dalla sua famiglia, in una città enorme come San Francisco. Avrebbe finito per innamorarsi per un poco di buono, che l’avrebbe messa incinta ad un’età troppo giovane per essere madre.
Di fronte a quello scenario, Ingrid non riusciva davvero a capire cosa avesse sbagliato con i suoi figli.
« Abbiamo fatto troppi errori, Ingrid »
Quella frase continuava a riecheggiarle in testa, intrisa del biasimo di Gustave.
« MA CHE ERRORI?! » sbottò all’improvviso.
Sophia sussultò spaventata, colta alla sprovvista da quello sfogo.
« Tutto bene? » investigò, perplessa.
Il volto della donna era paonazzo, gli occhi lucidi di rabbia.
« Non va bene niente! » strillò isterica « io non ho sbagliato nulla! »
« Ha solo preso il tram sbagliato… non è grave… » borbottò la rossa, ancora confusa.
« Non fare la cretina! » la insultò.
Fu allora che Sophia reagì.
« Senti » disse, abbandonando ogni formalità « ti sto aiutando, quindi il minimo che puoi fare è evitare di prendertela con me! »
« Me lo dici tu cosa ho sbagliato? » esclamò Ingrid, seguendo un proprio ragionamento « perché davvero, io non ci arrivo! PERCHÉ MIO FIGLIO NON È QUI, ADESSO? »
Sophia boccheggiò, disorientata.
« Perché non si è degnato nemmeno di venire a salutare sua madre? Dopo tutto quello che ho fatto per lui! »
« Evidentemente non gli hai dato abbastanza… »
« Abbastanza? Avevamo tutto! » si inalberò.
Fu costretta a coniugare il verbo al passato.
Le era uscito spontaneo, dopo la telefonata di tre giorni prima del marito.
Gustave le aveva raccomandato di moderare le spese e, dopo un’iniziale perplessità, era riuscita ad insistere al punto da fargli sputare il rospo.
Bancarotta.
Erano sul lastrico e lui non si era preso la briga di informarla.
Persino Ambra l’aveva saputo.
Quanta poca considerazione aveva suo marito di lei.
Anche prendere un taxi era ormai diventata una spesa sufficiente a farla sentire colpevole.
« Ho sempre dato loro tutto » tornò ad affermare con ferocia « eravamo una famiglia perfetta! Ambra poi! Ora guarda come si è ridotta…  a buttare via il suo futuro dietro ad un… »
Fu allora che Sophia non ci vide proprio più.
Non Ambra.
Non la ragazza che aveva conosciuto quando era sull’orlo del baratro.
« Oh sì, era talmente felice che ha tentato di suicidarsi per colpa tua! »
Quell’uscita spiazzò Ingrid.
Nessuno in casa Daniels aveva mai affrontato apertamente la questione. Per mettere a tacere ogni diceria e pettegolezzo tra la servitù, avevano deciso di non cercare per la figlia nessun supporto psicoterapeutico. Preferiva non sapere perché quella mattina Molly le fosse corsa incontro, terrorizzata, e con il grembiule sporco di sangue.
Era il sangue di sua figlia e lei era rimasta impietrita.
Si era mossa meccanicamente, seguendo per una volta gli ordini della colf, come se i loro ruoli si fossero invertiti.
Né Ambra, né Molly, né suo marito avevano avuto il coraggio di puntare il dito dopo quell’episodio, ma in cuor suo, Ingrid l’aveva sempre saputo chi fosse il colpevole.
Era come se ci fosse stata lei seduta sul pavimento di alabastro del bagno, intenta a passare alla figlia quella lametta maledetta.
Aveva cercato di seppellire in un angolo remoto della sua mente quella consapevolezza, perché solo nella dimenticanza poteva convincersi che fosse tutto normale. Così come, aveva imparato a ignorare lo sguardo sconfitto di Nathaniel, quando sin da piccolo aveva cercato l’affetto di suo padre ma ne riceveva solo uno sguardo altero e contenuto. Era diventata insensibile di fronte all’espressione apatica con cui i suoi figli si sedevano composti a tavola e rispondevano controllati a conversazioni vuote e affettate.
Era stata cieca e superficiale dinanzi alla delusione e allo sconforto emotivo in cui era sprofondato Nathaniel dopo che Gustave gli aveva stroncato ogni possibilità di carriera musicale. Era stata sorda alle lacrime e ai pianti che talvolta provenivano dalla camera di Ambra.
Era stata in silenzio, quando avrebbe solo dovuto battersi per difendere la felicità dei suoi figli.
Aveva parlato, quando avrebbe solo dovuto zittirsi e ascoltarli.
Improvvisamente, la vita la stava investendo di ricordi e scene che aveva sempre filtrato selettivamente, in modo da presentarle agli occhi una realtà distorta.
No, non solo aveva commesso degli errori. Aveva distrutto la vita dei suoi figli, le creature che più di ogni altre avrebbe dovuto amare.
A quarantaquattro anni, si rese conto di non essere mai stata una vera mamma, di non sapere nemmeno cosa significasse quella parola. Quando aveva annunciato alla famiglia di essere rimasta incinta di un americano, sua madre l’aveva esortata ad abortire, sostenendo che fosse troppo egoista e stupida per amare qualcuno che non fosse lei.
Da allora non l’aveva più incontrata, si era imbarcata per gli Stati Uniti, senza più guardarsi indietro. Avrebbe costruito una famiglia perfetta, di successo, ma quella che credeva essere una villa del marmo più pregiato e robusto, si era rivelato un castello di carte.
Una ad una, le fragili mura erano state abbattute e lei aveva assistito imponente a quel crollo.
Si accasciò a terra, sopraffatta da un peso troppo grande per le sue spalle fragili.
Per una volta non si curò dei germi e della sporcizia dell’asfalto.
Puntò i palmi sul terreno e, scossa da sussulti incontrollabili, pianse. Pianse di un dolore che non conosceva fondo, che sembrava alimentarsi a ogni singhiozzo.
Pianse tutti i suoi errori, tutte le ambizioni che erano naufragate, tutte le illusioni che non si sarebbero mai realizzate.
Pianse il proprio fallimento, come moglie e come madre.
Pianse tutte le lacrime che non aveva mai pianto.
Per paura che le si guastasse il trucco.
Per paura di dimostrare la propria fragilità.
Per paura di perdere quella compostezza che la rendevano così irresistibile agli occhi altrui.
Sophia assisteva inerme a quella scena pietosa, sconvolta e inadeguata.
Spiazzata dall’umanità di una persona che, in quel momento, si era finalmente dimostrata tale.
 
Erin si grattò il capo, perplessa.
Cercò con lo sguardo Castiel, tra di loro la persona con il miglior senso dell’orientamento:
« Mi scusi, ma prima non diceva di girare a destra dopo il distributore? » domandò il ragazzo.
« Destra?... oh sì, sì, scusate, destra »
Erano dieci minuti che la donna cercava di abbozzare una cartina sulla quale indicare il percorso per raggiungere la casa di Tracy Leroy. La cuoca non ricordava il nome della via, in aggiunta al fatto che l’abitazione fosse piuttosto dislocata dal centro abitato.
« Senti zietta » intervenne Roxanne « io so arrivare fino al negozio di scarpe, non puoi spiegarci la strada da lì? »
« Allora devo rispiegarvi tutto da capo »
Castiel sollevò gli occhi al cielo, mentre Armin interveniva:
« E’ troppo chiederle, Miss Patty di venire con noi? »
« Assolutamente sì! Non deve sapere che sono stata io a dirvi dove abita, altrimenti non mi rivolgerà più la parola »
«Non sia melodrammatica » la liquidò Rosalya, guadagnandosi un’occhiataccia dalla donna.
« Ci affideremo a Roxy » concluse Ambra, sorridendo alla biondina « allora, con calma, ci rispieghi tutto da capo »
 
Alexy si guardò attorno, divertito.
« Che mortorio ragazzi! »
« Siamo decimati, Evans, che ti aspetti? » farfugliò Kentin, addentando il panino.
« Chissà cosa staranno facendo gli altri » vociò Violet.
« Sono ancora nell’asilo dove lavora la cuoca » li informò Iris.
Alexy si alzò dai gradini, schioccando la schiena:
« Uffa, avrei voluto andarci pure io »
« Siamo in due » si unì Kentin.
« Beh, se fossi andato pure tu o Iris, in quarta C si sarebbe parlato di assenze sospette » osservò il ragazzo dai capelli turchini.
Kentin lo imitò, alzandosi a sua volta in piedi.
« Facciamo qualcosa dopo scuola? »
« Tipo? » lo incalzò Alexy.
« Boh, andiamo a berci una birra… »
La proposta però non accolse i consensi sperati, costringendo il cadetto a rivalutare le persone a cui l’aveva avanzata. Violet non era certo il tipo da pub, Alexy prediligeva i vini e i super alcolici, mentre Iris… Iris era Iris, non sapeva esattamente cosa pensasse di quell’idea.
Gli ci volevano Castiel o Armin. Soprattutto il rosso lo avrebbe assecondato. Era incredibile quanto fosse in sintonia con un tizio con cui passava la maggior parte del tempo a litigare. Arrivava addirittura a rimpiangerne l’assenza.
« Potremo andare all’inaugurazione di quel pub dietro la stazione » propose la rossa « dicono che ci sarà una degustazione di birre »
A quel punto, Castiel poteva starsene distante quanto voleva.
Per Kentin, Iris era tutto ciò di cui aveva bisogno.
 
« Tutto chiaro, Roxy? »
Rosalya aveva rivolto quella domanda alla ragazzina che non aveva fiatato durante tutta la spiegazione.
Guardò quasi supplicante Ambra, sentendosi colpevole. Fece un cenno di diniego con il capo, mentre Castiel sbottava:
« Ma che cazzo! »
Erin gli mollò un pizzicotto, porgendosi verso la cuoca:
« Mi scusi Miss Patty, ma abbiamo non poche difficoltà a seguire le sue indicazioni »
« Lo so, lo so » borbottò l’altra « scusatemi, ma sono proprio pessima nel darle » ridacchiò « forse dovreste cercare qualcun altro a cui chiedere… ».
Tanto Castiel quanto Rosalya, di fronte alla leggerezza della donna, erano sull’orlo di una crisi di nervoso, ma ciò che accadde in seguito li distolse dall’esplodere:
« Che succede, Patty? »
In cucina aveva fatto il suo ingresso una ragazza dai capelli neri e dalla corporatura minuta. Era graziosa e dotata di lineamenti dolci e quasi infantili. Tuttavia, non fu quella nuova conoscenza a suscitare tanto l’interesse del gruppo di amici, quanto il volto noto che la seguiva:
« E tu che ci fai qui, Lys? » domandò Erin « non ci stavi aspettando fuori? ».
« Oh, l’ho fatto entrare io » spiegò Megan, guardando incuriosita i presenti.
« Li conosci? » le chiese allora la cuoca.
La mora rispose con un cenno di diniego, mentre Lysandre interveniva:
« Sono i miei amici »
« Molto piacere, io sono Megan » sorrise la ragazza.
Quel modo di fare era talmente solare e accogliente, che persino Castiel ed Armin arrossirono, mentre gli occhi di Erin e Ambra diventarono due fessure.
« E così hai un debole per le more » sibilò a denti stretti la bionda, risultando canzonatoria.
« Siamo gelosette eh, Daniels? » la punzecchiò l’altro, lusingato da quel piccolo scambio di battute.
« Assomiglia un po’ ad Erin… »
Castiel si voltò, incrociando il sorrisetto astuto di Rosalya che, felina aggiunse, mantenendo un tono basso:
« … però tu preferisci gli occhioni verdi della nostra amica, eh? »
Il ragazzo emise un verso stizzito, mentre era proprio Erin ad avvicinarsi alla sconosciuta. Si presentò per prima, lasciando poi agli amici la possibilità di dire il proprio nome.
« Scusate, ma non credo di averli memorizzati tutti » s’imbarazzò Megan.
« Forse tu ci puoi aiutare » intervenne Rosalya « sai dove abita Tracy Leroy? »
 
Suor Mary camminava impettita per i corridoi, tenendo il mento sollevato e osservando furtiva ogni angolo dell’ambiente:
« Lodato sia il Signore » esclamarono un gruppo di consorelle, incrociandola durante quella marcia.
« Sempre sia lodato » replicò lei, sbrigativamente.
Non poteva perdonarsi di non essersi accorta subito della presenza di quell’estraneo. Era stata talmente calamitata dal gruppetto di fuggitivi, che solo una volta tornata nella stanza del riposino, aveva metabolizzato che accanto a Megan ci fosse la figura di un ragazzo.
Eppure aveva passato in rassegna ogni stanza della struttura, compreso il giardino esterno, ma di lui non c’era traccia. Anche Megan era sparita e quella constatazione iniziava a renderla sempre più nervosa.
No, la loro Megan non era il tipo.
Era una pasticciona, una ragazza distratta e ingenua, ma era moralmente ineccepibile.
Doveva mordersi la lingua per aver anche solo pensato una simile oscenità.
Accelerò il passo, dirigendosi verso l’unico locale che non era ancora stato sottoposto alla sua sorveglianza: la cucina.
A pochi metri dalla porta, sentì un insieme caotico delle voci e, con sua enorme sorpresa,  all’interno della stanza non vide solo lo sconosciuto, ma altre otto persone, Patty e Megan comprese.
« Che sta succedendo qui? » gracchiò turbata.
Megan trasalì, voltandosi di scatto, mentre Patty interveniva:
« Oh, non si arrabbi sorella. Sono dei ragazzi che ho conosciuto a scout »
Aveva deciso di assecondare quella scusa, in nome della simpatia che aveva provato per quel gruppo così eccentrico che aveva percorso tanta strada per parlare con lei.
« Tu? » obiettò la vecchia « ma come è possibile? Negli scout non ci sono cuochi »
Tutti guardarono istintivamente Ambra che, colta in fallo, avvampò per la fallacità della sua idea:
« Eh-eh Daniels, sembra che anche tu ogni tanto prenda un granchio » la stuzzicò Armin.
« Doveva pur improvvisare una scusa… e poi, tu manco sapevi chi siano gli scout, quindi non rompere »
« Penso che mi verrebbe una reazione allergica anche solo a vederne uno » ironizzò il ragazzo « come fanno a passare tutto quel tempo all’aria aperta? »
« Eppure, un po’ di sole non ti farebbe male… »
Mentre i due erano impegnati a punzecchiarsi sottovoce, era toccato a Lysandre prendere in mano la situazione:
« Oh, si sbaglia. Talvolta gli scout coinvolgono anche persone che non fanno parte della loro comunità per le uscite » stava spiegando la cuoca.
« Siete un gruppo piuttosto eterogeneo… » osservò la religiosa, puntando la sua attenzione su ogni singola persona presente « … ma del resto » aggiunse, soffermandosi su Castiel « Semel scout… »
L’espressione del rosso era impagabile: piegò la testa di lato, corrugando la fronte confuso e infine si guardò attorno, quasi cercasse un suggerimento:
« … semper scout! » completò Roxanne, ridacchiando per la figuraccia del ragazzo.
La suora sorrise, mentre Erin e Rosalya si erano lasciate contagiare dall’allegria della ragazzina.
 
Dopo aver ringraziato la cuoca, il gruppo si congedò, seguendo suor Mary attraverso i corridoi che avevano percorso poco prima.
« Non hai l’impressione che ci stia cacciando fuori? » sussurrò Castiel ad Erin.
« Beh, forse, però poco importa: abbiamo saputo quello che ci interessava sapere »
La vecchia aprì il cancello, permettendo ai ragazzi di uscire ordinatamente:
« Fate buon viaggio ragazzi… » e, per la seconda volta, si soffermò a fissare Castiel « … lodato sia il Signore »
Il musicista, le cui mani erano affondate nelle tasche, sollevò le spalle e, non sapendo come replicare, borbottò:
« … Ok »
Dietro di lui si levò un coro generale di versi, frutto di risate che dovevano essere trattenute. Prevedibilmente, il suo modo di fare lasciava scaturire non poche perplessità circa il suo presunto passato scout.
« Di che ordine avete detto di essere? » indagò la suora, circospetta.
Abbandonato a sé stesso, e senza alcun supporto da parte dei suoi amici, Castiel improvvisò:
« Le giovani marmotte »
Armin era ormai paonazzo e solo una gomitata ben assestata gli impedì di scoppiare a ridere. La donna infatti aveva un’aria particolarmente offesa ma decise di non indagare ulteriormente.
Si allontanò quindi con freddezza, ripromettendosi di rivolgere alla cuoca le domande che quel gruppo di amici stentava a rispondere.
« Ma perché cazzo parlava sempre a me, quella? » sbottò il rosso, circondato dalle risate goliardiche dei suoi amici. Affrettò il passo, cercando di allontanarsi il più possibile da quell’asilo.
« Secondo me voleva tentare di redimere la tua anima dominata dal Demonio » sibilò Rosalya, guadagnandosi un’occhiataccia truce.
 
Chloe accorse al telefono, asciugandosi le mani bagnate. C’era un pessimo tempismo tra la sua decisione di lavare i piatti e lo squillo del telefono.
« Sì? » miagolò, appoggiando la cornetta contro l’orecchio.
« Chloe, sono io »
Riconobbe all’istante quella voce, che la fece trasalire:
« Patty! I ragazzi sono stati lì? »
« Sì, se ne sono appena andati »
« E? »
« Mi dispiace, ma in qualche modo sono riusciti a scoprire dove abita »
« Ah… »
Seguì qualche secondo di imbarazzante silenzio, poi la cuoca tornò a dire:
« Scusami, ho provato a scoraggiarli ma è difficile senza tradire… »
« Non preoccuparti » la consolò l’altra « io stessa non sono riuscita a depistarli… si è messa di mezzo Roxy e a quel punto non ho potuto fare nulla »
« Tua figlia è un vulcano, Chloe. E’ cresciuta molto. Diventerà una bellissima ragazza »
« Ha preso dal ramo Evans » dichiarò la donna con orgoglio « a proposito, hai visto mio nipote? Ti avevo spiegato qual è no? »
« Sì, quello moro. Guardava tutto il tempo la ragazza bionda, non è che stanno insieme? »
« Ma certo che stanno insieme! Il tuo famoso radar si sta affievolendo? »
Patricia sghignazzò, poi tornò seria:
« Chloe… anche se ho assecondato la richiesta della signora Tracy, in cuor mio spero che quei ragazzi scoprano la verità, davvero »
 
Il bagno di quel fast food aveva un pavimento disgustosamente appiccicoso. Oltre lo specchio, che se non altro era pulito, Ingrid scrutò l’immagine di un viso stanco e dal trucco sfatto.
Era lì dentro da almeno un quarto d’ora e sicuramente la sua accompagnatrice, che la stava aspettando all’esterno, si stava spazientendo. Eppure lei non riusciva ad abbandonare quella stanza.
Avrebbe significato tornare a guardare Sophia in faccia e non era sicura di riuscirci.
Dopo quel pianto liberatorio, nessuna delle due aveva parlato.
Dal canto suo, Sophia aveva trovato posto su una panchina e si stava godendo l’ultima sigaretta del pacchetto. Era curiosa la sua capacità di far sì che la famiglia Daniels le vomitasse addosso tutte le proprie angosce. Prima Ambra, poi Nathaniel ed infine Ingrid. Mancavano solo Gustave e la gatta Juliet e il pacchetto sarebbe stato completo.
Non era il momento per scherzare.
Quella donna stava soffrendo. E tanto.
Aveva giurato di disprezzarla tutta la vita per come si era comportata con i suoi figli ma in quel momento le risultava impossibile.
Spense la sigaretta e recuperò il cellulare.
C’era un’altra telefonata che doveva fare.
 
A pranzo, il gruppo di amici rientrò in casa della zia Chloe, allegri e chiassosi.
« Mamma! Siamo tornati! »
La donna accorse loro incontro, accogliendoli in salotto. Si fece raccontare l’esito di quella ricerca e fu Erin a rispondere alle sue domande:
« Abbiamo conosciuto Patty, ma visto che non riusciva a spiegarci dove vive Miss Leroy, ci è venuta incontro Megan, una ragazza della nostra età che lavora lì all’asilo »
« Ah, in che senso vi è venuta incontro? »
« Ci ha proposto di accompagnarci lei, dalla signora Leroy » precisò Rosalya « andremo oggi pomeriggio »
« Capisco » ponderò la donna, cercando poi lo sguardo della figlia. Roxanne stava per ribattere, quando la madre la anticipò:
« Tu signorina oggi devi studiare! »
« Ma- »
« Roxy è stata molto preziosa » intervenne Ambra « tuttavia non possiamo andare tutti da Miss Leroy. Non ci stiamo nella macchina di Lysandre »
« Lys è rimasto alquanto colpito dalla maestrina » commentò Armin canzonatorio.
Il poeta si irrigidì all’istante e quella reazione non sfuggì a nessuno dei presenti, meno che meno a Castiel, che da mesi aspettava l’occasione per punzecchiare l’amico su un simile argomento. Per Lysandre infatti, era fin troppo facile farsi beffe della cotta del rosso, dal momento che lui non aveva nessuno per la testa. Era arrivato il momento di invertire le parti e provare un gusto sadico nel metterlo in difficoltà:
« S-se per te non è un problema, Megan… c-ci faresti un grosso favore! » lo imitò, incurvando le spalle timidamente.
« Non ho detto così! » scattò il poeta sulla difensiva.
« Pensavo ti piacessero più… mature » commentò la sorella, pensando alla precedente relazione del fratello.
Di fronte al disagio del poeta, fu Erin a prendere una posizione:
« Dateci un taglio. Si sono solo parlati »
Rosalya sollevò gli occhi al cielo, mentre Ambra ridacchiava divertita:
« Tu hai proprio due fette di salame sugli occhi, Erin! Ma che fette di salame? Hai due bistecche di mammut! »
« Che ho detto di male? E’ la verità… » si difese, mentre Castiel sorrideva divertito dalla sua ingenua ottusità.
Lo scambio di battute venne interrotto dall’arrivo dello zio che, con sé, recava anche notizie circa lo status della macchina di Castiel. Il guasto sarebbe stato riparato in giornata, in modo che l’indomani i ragazzi potessero rientrare finalmente a Morristown.
 
Ingrid attese qualche secondo che le porte automatiche si aprissero e varcò la soglia.
« Non serve che mi accompagni fino al check-in » sentenziò con durezza, senza voltarsi verso Sophia.
Le lacrime avevano lavato via ogni residuo di trucco, al punto da rendere irriconoscibile la donna. Nonostante avesse appreso il beauty case, non aveva voluto porre rimedio a quell’inconveniente. In ogni caso, nessun maquillage le avrebbe conferito quell’aria fiera ed altezzosa che rappresentata uno dei punti forti del suo fascino.
« Come vuole » disse semplicemente.
Sophia non si era nemmeno resa conto che, d’un tratto, aveva smesso di aiutarla in nome di Nathaniel.
Aveva stabilito di accompagnarla in aeroporto per lei, Ingrid.
Perché, per quanto ci fosse di sbagliato in una persona, nessuno meritava la solitudine.
Non era giusto farla partire così, afflitta e amareggiata da una vita che non sapeva come cambiare.
La donna si fermò, inspirando profondamente:
« Ti prenderai cura di Nathaniel, in futuro? »
Quella domanda la destabilizzò.
Era troppo sensibile su quell’argomento, era una ferita aperta e le bastava che qualcuno la sfiorasse per farla sobbalzare.
« Non è a me che deve chiederla una cosa del genere » mormorò, con la voce roca.
Ingrid sorrise tristemente e sentenziò:
« Sembri piuttosto convinta »
« Perché è la verità »
La donna scosse il capo, serena.
« Sarò pure un fallimento come madre, ma riconoscimi almeno l’esperienza e la sensibilità di una donna »
La ragazza non riuscì a replicare, boccheggiando aria.
Ingrid riafferrò il trolley con una mano e con l’altra il bagaglio a mano.
« A-aspetta »
La svedese fu costretta a fermarsi, mentre Sophia spostava nervosamente il peso da una gamba all’altra.
Dove era finito quell’idiota?
Eppure nell’insultarlo al telefono era stata fin troppo esplicita.
« Perderò l’aereo »
« Nathaniel verrà » le annunciò tutto d’un fiato.
Dapprima Ingrid rimase senza parole, poi scosse il capo:
« No, non verrà »
« Verrà » insistette Sophia « l’ho chiamato io »
Fu allora che un sorriso tornò a stendere i lineamenti del viso di Ingrid che commentò semplicemente:
« Allora sì, verrà… io però devo andare, altrimenti non parto più »
« E non vale la pena perdere un aereo per riappacificarsi con il proprio figlio? » la supplicò quasi la rossa.
Ingrid scosse il capo, malinconica:
« Mi basta sapere che sarebbe venuto… »
Per un attimo vide uno zampillio negli occhi della donna che, alla fine, si mutò in un sorriso sereno « … e che troverà te ad aspettarlo »
Sophia era spiazzata, confusa e impotente. Aveva le labbra dischiuse, pronte ad urlarle contro di aspettare, ma non riusciva ad emettere alcun suono. Sapeva cosa significasse partire con il cuore colmo di rancore e sensi di colpa. Non poteva sopportare che qualcun altro patisse quello che stava provando lei.
Eppure, non fece nulla.
Ingrid, dopo un cenno con il capo, le voltò le spalle e si allontanò tra la folla. La sua figura, così fiera ed austera, divenne sempre più piccola, fino a scomparire.
« Grazie per averla accompagnata »
Trasalì e si voltò di scatto, sconvolta. Alzò il mento, verso la figura di Nathaniel, che la troneggiava dall’alto della sua statura.
« M-ma che… cazzo, corri da lei! » sbraitò, strattonandolo per una manica.
« Mi aveva visto, non preoccuparti » la sedò lui, senza perdere la sua compostezza.
« C-cioè tu eri qui e non ti sei avvicinato? »
« Va bene così »
« NON VA BENE COSÌ PER NIENTE! Va’ da lei! » tornò ad aggrapparsi alla sua felpa, ma non riuscì a smuoverlo di un centimetro.
« Sophia… va bene così » ripeté lui calmo.
« No » boccheggiò lei « cos’è? Una questione di orgoglio? »
« Abbiamo bisogno di tempo… entrambi »
« Devi dirle che la perdoni » insistette lei « non farla partire con quest’angoscia… lei è… fragile »
E in quelle parole ormai ne ebbe la conferma. Non c’erano Ingrid e Nathaniel. C’erano lei ed Erin. Lo sguardo di rancore di quest’ultima e la consapevolezza di essere nel torto dell’altra. Era tornata in California devastata da un rapporto che ormai si era sgretolato, priva di quel perdono di cui aveva così disperatamente bisogno:
« Vai da lei, Nathaniel… fallo tu, perché lei non ci riesce » gli sussurrò.
Lui però rimase sordo a quella supplica.
Fu allora che Sophia si scontrò con un lato nascosto della sua personalità, lato che aveva scoperto anche nella gemella: l’ostinazione. Quella perseveranza a voler difendere la propria posizione e orgoglio, in nome di un dolore che continua a fare male.
« Andiamo… » le sussurrò semplicemente.
Lei lo seguì docile e sconfitta.
Stordita, da una giornata che aveva preso una piega imprevista.
Camminarono in silenzio, entrambi assorbiti dai propri pensieri.
I passi continuavano ad avvicendarsi l’uno davanti all’altra, al punto che, senza accorgersene, Sophia si accorse di essere giunta in spiaggia.
Avanzarono, mentre i granelli si accumulavano sulla tela delle loro scarpe.
« Ti ricordi questo posto? »
Lei si guardò attorno, riconoscendo negli scogli e negli edifici sullo sfondo, la spiaggia in cui lei e Nathaniel avevano litigato qualche mese prima. Le stesse acque in cui lei si era tuffata per poi essere soccorsa da lui.
« E’ dove me ne hai dette di tutte i colori » ridacchiò lui, pensieroso.
« Io? » gracchiò lei.
Lui ghignò e si sedette per terra.
Il vento gli scompigliava i capelli biondi, che il sole aveva leggermente schiarito in quegli ultimi mesi.
« Mi hai fatto male quella volta »
La voce le era uscita in un sussurro bassissimo, ma il ragazzo aveva colto ogni sillaba.
« Lo so » esalò infine, ricordando come avesse riversato tutta la sua frustrazione su quel fisico così minuto.
« No, non lo sai »
Non sapeva cosa avesse innescato in lei quello scontro, quale turbine di emozioni avesse preso forma dopo che lui si era rivelato così straordinariamente complesso.
« Tu invece mi hai salvato, Sophia »
Lei strinse un pugno di sabbia nel palmo, ma tanto più serrava la presa, tanto più i granelli le sfuggivano di mano.
« Non è stato difficile, ti perdi con niente »
Il biondo ridacchiò, sereno:
« Non banalizzare il discorso »
Lei era la sua bussola. Quando credeva di non avere una direzione precisa da intraprendere, era arrivata lei, dal nulla e indicargli la strada. Con tono saccente e burbero, ma aveva imparato a conoscerla ed apprezzarla così com’era.
Se solo avesse trovato anche lei qualcuno che meritasse di starle accanto, come lui aveva Rosalya, forse avrebbe smussato parte di quell’asprezza che la rendevano così dura verso la vita:
« Troverai mai qualcuno che smuova il tuo cinismo? » le domandò, sovrappensiero.
« Ah beh » sospirò lei con un sorriso amaro « sarà la mia fine quando succederà »
« Non intendevo in senso negativo » precisò Nathaniel « non hai capito la domanda »
« E tu la risposta » lo liquidò lei, con freddezza.
Le faceva male, per quella difesa che per lei era rappresentata dalla sua ironia e cinismo, non sempre poteva avvalersene per tenerlo lontano. Per pararsi da quei colpi che le arrivavano dritti al cuore, facendolo sanguinare.
Era lui ad aver mandato all’aria tutte le sue certezze ma era così preso dalla sua vita, da non essersene reso conto.
« La prossima settimana devo tornare a Morristown »
Ecco, ne aveva appena avuto la prova.
Non l’aveva preparata a quella notizia, gliel’aveva comunicata con la non curanza di una persona disinteressata. Sarebbe rimasta sola, mentre lui si sarebbe riunito alla sua dolce metà. Alla sua vera metà.
« Sarai contento. Puoi riabbracciare Rosalya »
E si odiava, perché di quel dolore sembrava non averne mai abbastanza, perché solo autoimponendoselo, poteva sperare che giorno dopo giorno le facesse sempre meno male.
« Non vedo l’ora » sospirò lui, con un sorriso dolce « anche se… »
E fu a quel “se” che Sophia si aggrappò con tutte le sue forze. Era uno scoglio minuscolo e scivoloso, non forniva un appiglio sicuro, eppure non volle lasciarlo:
« … eppure mi dispiace lasciarti qui » ammise « ormai siamo amici, no? »
Mollò di scatto quello scoglio e si lasciò andare alla deriva.
Sulla base di quali indizi aveva osato sperare in qualcosa di diverso?
« Già » mormorò lei.
« Allora lo ammetti » borbottò lui, vittorioso.
« Se per te amicizia è avere nella propria vita una persona che ti insulta e che ti serve come navigatore satellitare, sono la migliore amica che tu abbia mai avuto »
« Rieccolo, il tuo cinismo » commentò lui.
Lei sbuffò, ma Nathaniel insistette:
« Sul serio, perché per una volta non parliamo sinceramente? Perché non la smetti di scattare sulla difensiva? Che male c’è a dire che tra noi si è creato un bel rapporto? »
« Mi stai psicanalizzando? Guarda che sono io la figlia di una psicologa »
« Sophia… » la rimproverò lui.
« Che vuoi che ti dica? Non sono brava in queste cose » borbottò a disagio.
Nathaniel sorrise e tornò a guardare l’orizzonte.
« Credo che mi mancheranno le tue battutacce, sai? »
Lei fece spallucce e rimase in silenzio.
Non gli confessò che già iniziava a sentire la nostalgia della sua voce calma e gentile. Tacque, di fronte a quel sorriso caldo e rassicurante che le rasserenava l’umore.
E ancora una volta, Sophia cacciò in un angolo remoto del suo cuore una verità che, il solo pensarla, la riempiva di amarezza.
 
Dopo pranzo, Rosalya e Lysandre avevano chiesto di potersi riposare un’oretta dal lungo viaggio fatto la notte precedente. Il resto del gruppo ne approfittò allora per concordare una strategia comune in vista dell’imminente incontro con Tracy Leroy.
Erin, Ambra, Castiel e Lysandre sarebbero passati a prendere Megan, all’indirizzo che la ragazza aveva fornito loro e insieme, avrebbero raggiunto la dimora dell’artista. A quel punto, considerata la fama sociofobica della donna, solo Erin ed Ambra si sarebbero presentate alla porta. Gli altri avrebbero atteso in macchina.
« Credo sia la cosa più saggia » aveva concluso la bionda.
Attendere lo scoccare dell’ora X fu un’agonia, la cui attesa era avvertita con particolare impazienza da Erin. Si sentiva sempre più vicina alla meta, a quelle risposte che sua sorella si ostinava a tacerle. Inoltre, quella faccenda la eccitava non poco, appagando la naturale curiosità che era parte del suo essere.
Rosalya fu la prima a destarsi dal suo sonno, raggiungendo gli amici nel soggiorno.
Proprio quando Castiel si era deciso ad andare a svegliare l’unico disperso, sentirono dei passi provenire dalla rampa di scale. Alzarono tutti lo sguardo, pronti a rimproverare l’addormentato per il ritardo, ma la scena che si trovarono di fronte, annullò ogni protesta.
Il rosso in particolare assunse un’aria dapprima perplessa, poi sbottò:
« Ehi, quella è la mia felpa, vecchio! »
« L-Lys? » boccheggiò Erin sconvolta.
Sotto lo sguardo sbigottito dei suoi amici, il poeta si era presentato in una mise assolutamente estranea alla sua natura: aveva optato per una felpa nera e larga, che Castiel aveva prontamente riconosciuto come propria. L’incursione nell’armadio dell’amico però non si era limitata a quell’unico capo: jeans e t-shirt rientravano anch’esse tra i piccoli furti di cui si era macchiato il ragazzo.
« L’ho solo presa in prestito » esclamò, cercando di ostentare quanta più naturalezza possibile.
Passò davanti ai suoi amici con fierezza, mentre loro non riuscivano a fare a meno di fissarlo inebetiti.
« Allora? Andiamo? »
 
Mentre Ambra ed Erin erano assorbite dalla conversazione, Castiel iniziò a punzecchiare Lysandre:
« Ti sei cambiato per la maestrina, Lys? »
Il ragazzo non replicò subito, ma rimase assorto a guardare il paesaggio:
« Mi è venuta voglia di sperimentare un look diverso, tutto qui »
Il musicista scosse la testa divertito e proseguì:
« Non sembri neanche tu, vestito così »
« Sei solo invidioso perché a me i tuoi vestiti stanno meglio che a te » commentò placidamente l’altro, sorridendo mellifluo.
Castiel incassò quella piccola sconfitta con un ghigno compiaciuto e borbottò:
« Tzè, come no… perdi tutto il tuo fascino da lord inglese » lo schernì.
Lysandre sospirò gravemente e concluse:
« Te l’ho già detto in passato, Castiel… so che sei attratto da me, ma questa cosa è unilaterale »
Il rosso lo mandò a quel paese, mentre ormai, imboccando una via a destra della carreggiata, si accorse di essere già arrivato a destinazione. C’era poco da fare: anche se finalmente le circostanze gli avevano presentato l’occasione di vendicarsi di tutte le frecciatine che Lysandre gli aveva mandato sulla sua cotta per Erin, il poeta era molto più bravo di lui a dissimulare il proprio imbarazzo.
 
Appena la sagoma di un’abitazione prese forma, i ragazzi notarono due figure ad attenderli davanti alla porta d’ingresso. In una riconobbero prontamente Megan, che li accolse sventolando il braccio. Accanto a lei, una ragazza di qualche centimetro più bassa, li fissava impenetrabile.
Aveva i capelli raccolti in uno chignon disordinato, con un ciuffo che le copriva parte della fronte spaziosa. Gli occhi erano dello stesso colore di quelli di Megan, ma l’espressione era molto più pensierosa e controllata.
« Lei è mia sorella minore, Keira » esordì Megan, stringendo a sé la ragazza.
Quest’ultima sorrise appena, timidamente.
« Piacere » la accolse Erin « quanti anni hai? »
« Quindici »
Se l’atteggiamento di Erin voleva essere il più incoraggiante possibile, quello dei suoi amici era al dir poco confuso. Keira si sentì quindi di troppo, mentre quelle paia di occhi continuavano a fissarla perplessi.
« Ho pensato di farla venire con noi » spiegò Megan « lei è amica della signora Leroy »
Prevedibilmente quell’informazione sobillò un mormorio sorpreso.
« Sul serio? » quasi la attaccò Ambra.
Keira si strinse nelle spalle e farfugliò:
« Cioè… diciamo che la conosco di persona »
« Keira va a trovarla qualche volta » spiegò Megan, gesticolando animatamente « sembra che vadano particolarmente d’accordo »
Mentre parlava, il viso di Lysandre era disteso in un tenero sorriso. Seguiva i movimenti di quelle labbra, dispiegarsi in smorfie buffe e adorabili. Solo dopo qualche istante, si accorse di essere sotto osservazione. Keira infatti, lo stava fissando imperscrutabile, ma quello sguardo lo fece sentire vulnerabile come mai gli era accaduto prima. Deglutì a disagio e iniziò a guardarsi attorno, cercando di sottrarsi a quella sensazione.
 
« Come mai in quarta C oggi ci sono ben tre assenti? Erin, Castiel e Ambra? »
« Questo trio di assenze insospettisce anche me » osservò Miss Joplin, mescolando il contenuto del bicchiere in plastica. Un aroma inebriante di caffè le solleticò il naso, facendola sorridere appagata.
« E in quinta manca pure Armin » aggiunse astutamente.
« Cosa stai insinuando? » esclamò Miss Robinson, riponendo con cura una cartella di cartoncino piena di disegni « aspetta… vuoi dire che? »
« Eh, eh, comincio a crederti sai quando dici che Erin Travis e Castiel Black stiano insieme »
« Io devo ancora capacitarmi del fatto che Ambra e Armin siano una coppia… ma sei proprio sicura che fossero loro? »
Miss Joplin sorrise, continuando a sorseggiare la bevanda fumante.
La collega, dal canto suo, scosse il capo divertita e, con aria trasognante, commentò:
« Ah, cosa darei per tornare alla loro età… »
« Già »
 
Un manto verde di edera selvatica rivestiva la superficie murata, coprendo quasi ogni metro quadrato di superficie. A malapena, i visitatori potevano intravedere i mattoni sottostanti.
« Siamo sicuri che ci abiti qualcuno? » domandò Castiel, osservando l’abitazione a cui li avevano condotti le due sorelle « sembra abbandonata »
« No, la casa è questa, vero Keira? » lo tranquillizzò Megan, ricevendo un semplice cenno d’assenso.
La ragazza scrutò oltre in giardino e si accorse di un movimento furtivo delle tende.
Lei sapeva che erano lì.
« Allora voi tre ci aspetterete qui, d’accordo? » riepilogò Ambra, guardando l’autista, Lysandre e Megan « Keira, tu sei la nostra esca »
La ragazza guardò quasi con panico la sorella, che le sorrise incoraggiante. Non si sentiva a suo agio ad andare via con quelle due sconosciute, ma del resto, era l’unica che poteva davvero aiutarle ad arrivare a Tracy.
Colpa di sua sorella, che aveva quell’inspiegabile tendenza e predisposizione a voler aiutare sempre tutti.
Si fece coraggio e si mise dietro Ambra ed Erin, mentre attraversavano il giardino folto di erbacce.
Nonostante dovesse essere lei a condurle all’interno dell’abitazione, la ragazza restava in disparte, al punto che Ambra si vide costretta a prendere l’iniziativa e bussare la porta. Dopo un minuto, non giunse alcuna risposta, così ritentò, questa volta con maggior decisione.
« Forse non è in casa… » si preoccupò Erin.
« No, c’è » la smentì Keira.
« Allora prova a chiamarla tu… » la esortò la bionda « magari a te risponderà »
Keira annuì e superò le due ragazze, posizionandosi davanti alla soglia:
« Signora Tracy… sono io » disse semplicemente.
Dopo qualche secondo, udirono dei passi in lontananza, farsi sempre più nitidi e distinti, accompagnati da un rumore secco, come di un bastone che colpisce il pavimento. Un suono deciso anticipò un’imprecazione, rivelando che la donna avesse appena urtato contro una superficie rigida.  
La maniglia ruotò e, mentre la porta si apriva con lentezza, Erin fu la prima a scoprire il reale aspetto della famigerata Tracy Leroy.
Nemmeno nelle sue fantasie più eccentriche, sarebbe riuscita ad immaginare quell’aspetto.
La figura che le si presentò davanti, infatti, aveva un volto scarno, enfatizzato ulteriormente da un paio di pesanti occhiali rotondi ed eccessivamente grandi. Nonostante il fisico ossuto, la donna indossava vistose collane di pessimo gusto e dai colori caldi. I capelli argentei, erano tagliati corti ai lati e volumizzati sulla sommità del capo.
Sullo stipite della porta, la vecchia artista appoggiò la mano le cui vene erano in evidenza, mentre l’altra afferrava saldamente un bastone logoro.
« Come mai da queste parti, Keira? »
« Queste ragazze hanno bisogno di parlarle, signora Tracy » rispose educatamente la ragazza.
Erin deglutì e, constatando il silenzio timoroso di Ambra, per una volta decise di farsi coraggio e prendere il posto della bionda:
« La prego, si tratta di una cosa importante »
« Lo so »
Quella risposta le spiazzò, ma infuse alla mora una maggiore determinazione a perseguire il suo scopo:
« Come sarebbe a dire? »
« Ho già visto la tua faccia »
Erin boccheggiò confusa, ma proprio quando stava per smentire quella constatazione, Ambra intuì il significato di quella frase:
« Sophia è stata qui? »
La donna sorrise sorniona e, con estrema lentezza, si voltò, dando le spalle alle sue giovani ospiti.
 
« Vi dispiace se vado a fare due passi? Mi rompo le balle a stare qui in macchina »
Castiel non attese nemmeno la risposta a quella domanda, aveva già la sigaretta in bilico sulle labbra e l’accendino pronto in tasca. Chiuse la portiera della vettura con poca grazia e si incamminò lungo il sentiero da cui erano venuti, soffermandosi sotto un pioppo.
« Il tuo amico è un po’… bizzarro » sussurrò Megan, guardandolo da lontano e rompendo un silenzio che stava durando da troppo tempo « … però è simpatico! » si affrettò ad aggiungere, nel timore di aver offeso Lysandre.
« Castiel è simpatico a modo suo » convenne il poeta.
Non era da lui sentirsi così in difficoltà.
Quella ragazza, dallo sguardo così limpido e trasparente, lo metteva a disagio, eppure ogni sua frase o movimento sembrava motivata da intenzioni contrarie. Gli sorrideva gentilmente, cercava il dialogo e non gli faceva pesare la sua discutibile compagnia. Non che a Lysandre pesasse il silenzio, anzi, ma per qualche ragione, non poteva perdonarsi di apparire così poco interessante e apatico di fronte a quella ragazza.
 
Erin ed Ambra si erano scambiate un’occhiata interrogativa, prima di seguire la signora Leroy e Keira all’interno dell’abitazione.
Ad entrambe era sembrato fin troppo facile trovarsi faccia a faccia con una donna che era stata loro descritta come una vecchia asociale e misantropa. Non aveva ammesso apertamente di aver conosciuto Sophia ma, alla luce del suo commento precedente, non erano possibili altre interpretazioni.
Erano giunte in un salotto dominato da un’imponente libreria e con una carta da parati talmente scura, da incupire ulteriormente l’ambiente. Volumi vecchi e impolverati, dai titoli ormai sbiaditi, incurvavano le assi lignee, che resistevano tuttavia all’imponente peso della cultura. In un angolo, un dipinto incompiuto, veniva esibito agli occhi degli ospiti curiosi, anche se la tempera ormai secca indicava uno stato di abbandono da tempo. Il drappeggio delle tende era evidente, messo ancora più in risalto da un tessuto pesante, che ricordava il palco di un teatro. Tutto in quella stanza risultava eccessivo e opprimente.
« Lei dipinge, Miss Leroy? » tentò Erin.
« Siete venute qui per chiedermi questo? »
Lo sguardo di Ambra si irrigidì, ma cercò di perpetuare un atteggiamento accondiscendente.
« Siamo venute qui perché abbiamo bisogno di lei, signora »
« Non ho nessun motivo per aiutarvi »
« Allora perché ci ha fatte entrare? » obiettò Erin.
« Non mi risulta di averlo fatto. Siete voi che avete deciso di seguirmi »
« Miss Tracy, queste ragazze vogliono solo farle qualche domanda »
La donna si voltò verso la ragazza più giovane presente in quella stanza, indugiando per qualche secondo lo sguardo su di lei:
« Sono tue amiche? »
« E’ un favore che mi ha chiesto Meggy »
La vecchia artista si sedette pigramente su una poltrona in velluto, senza scomodarsi nell’invitare le sue ospiti ad accomodarsi sul divano. Si allungò sul tavolino in acero e iniziò a riempire di tabacco un’eccentrica pipa.
« Tu e tua sorella dovreste smetterla di essere così disponibili. Aiutate chiunque, anche gente che non conoscete » mormorò, tenendo il bocchino in bilico tra le labbra.
« Con tutto il rispetto, non ci vedo nulla di sbagliato in questo »
Era stata Erin a pronunciare quell’ultima affermazione, guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte delle presenti, per la sua, quasi insolente, determinazione.
Tracy la scrutò con interesse e, emettendo un ghigno beffardo, borbottò:
« La sfrontatezza è un vizio di famiglia per caso? »
« Lei ha già conosciuto Sophia, la gemella di Erin, non è così? » intervenne Ambra, anticipando la domanda della mora. L’artista non replicò, ma abbandonò la poltrona in cui si era appena seduta per spostarsi davanti alla finestra.
« Quella ragazza dovrebbe imparare le buone maniere »
« Non so cosa le abbia detto mia sorella, ma non è una persona cattiva » si premurò a giustificarsi Erin.
« Non ho detto questo » convenne la vecchia.
Ambra inspirò, cercando di fare il punto della situazione.
Quello scambio di battute era sterile e non sembrava condurle verso alcuna precisa direzione. La reticenza con cui le stava trattando quella bisbetica poteva essere giustificata dalla sua volontà di tenerle all’oscuro da quella faccenda, fornendo però un pretesto ulteriore per indagare in profondità.
« Abbiamo una sua opera, Miss Leroy » la informò « una cornice, ad essere precisi »
Quell’informazione non turbò minimamente la padrona di casa, che continuava a fissare l’esterno.
« Lo so. Me l’ha già mostrata Sophia »
« Potrebbe almeno dirci a quando risale? » tentò Ambra.
« Ci risulta che abbia un talento unico nel ricordare le date di ogni sua opera » incalzò Erin.
Videro un ghigno beffardo sorgere agli angoli della bocca della vecchia, non appena questa tornò a prestare loro attenzione.
Keira la fissò di sottecchi, incuriosita. Non aveva mai visto quello sguardo così vivace e attento negli occhi vitrei dell’artista, normalmente annoiato e apatico.
« Un talento, dite? » sembrò quasi sfidarle.
Erin non seppe come replicare, mentre Ambra, sorrise a sua volta. Non era il tipo da sottrarsi ad una provocazione, specie se questa richiedeva capacità intellettuali e cognitive di un certo livello.
« C’è un codice, non è vero? »
Erin si voltò interrogativa, mentre Keira spostava lo sguardo su l’artista che, a sua volta, domandò:
« Gliel’hai detto tu, Keira? »
La ragazza scosse il capo, e quel semplice gesto, bastò affinché l’artista le credesse. Quella muta conversazione testimoniò la grande fiducia che la vecchia riponeva in Keira, che sin da piccola, era una delle poche persone di cui Miss Leroy tollerava la presenza. Come erano destinati a scoprire in seguito Erin e i suoi amici, la quindicenne aveva un animo apparentemente calmo e rilassato, ma celava dentro di sé un’esplosione di emozioni che avevano conquistato la scultrice. Con Keira poteva parlare di letteratura, arte e cinema, senza mai rimanere delusa dalla conversazione. Aveva sempre un’opinione su tutto, che esponeva in modo chiaro e sicuro di sé, contrariamente all’immagine che forniva all’esterno.
« Se riusciamo a scoprire l’anno esatto di fabbricazione del quadro, lei ci aiuterà? » propose Ambra.
Miss Leroy sentì un fremito attraversarle la schiena.
In tanti anni, nessuno era mai giunto alla conclusione che, dietro la sua capacità di ricordare l’anno di fabbricazione di un’opera, vi fosse un qualche trucco. Quella ragazza bionda invece ci era arrivata subito.
Sorrise, pensando che forse, era veramente arrivato il momento di scoperchiare il vaso che conteneva una verità celata da anni.
 
Il cilindro di tabacco si era ormai avvicinato al filtro della sigaretta e Castiel lo strisciò contro la corteccia ruvida dell’albero. Inevitabilmente, la cicca cadde a terra, confondendosi tra le erbacce e ringraziò che non vi fosse Erin nei paraggi a costringerlo a raccoglierla.
Ricontrollò lo schermo del cellulare, storcendo il labbro.
Tornare in Germania.
Era rientrato in America da poche settimane e già doveva prepararsi ad annunciare il suo ritorno nel vecchio continente.
« Ci manchi, piccolo Mozart » gli aveva scritto Chester.
« Porta anche Erin! » aveva aggiunto Ace.
La smorfia del rosso divenne ancora più amara.
Non che quei ragazzi non gli mancassero.
Per quanto negasse l’evidenza, li aveva adorati sin da subito. Eppure, l’idea di tornare da loro lo faceva sentire inquieto.
Erin.
Solo lui sapeva quanto realmente avrebbe voluto portarla con sé, farle conoscere la Germania e quel mondo che l’aveva assorbito così tanto.
L’idea di partire una seconda volta, di lì ad un paio di mesi, senza dirle la verità, lo angosciava.
Aveva il sentore che, una volta tornato, non sarebbe stato tanto fortunato da trovarla ancora ad aspettarlo. Per la prima volta, Castiel iniziò a considerare seriamente l’idea di prenderla in disparte e dirle tutto.
Dirle che da quando lei era entrata nella sua vita, ogni cosa era cambiata in meglio, che lui era diverso.
Lei non era solo la sua migliore amica, era la ragazza che lo faceva sorridere di cuore, che placava il suo malumore. Erin emanava una sorta di luce, fatta di candore e spontaneità.
Ingenua fino all’inverosimile, era tenera nel suo modo di arrabbiarsi e prendersela con lui.
Non aveva mai provato nulla del genere.
Nemmeno quando stava con Debrah.
Se con la sua ex, Castiel si era sentito vivo, con Erin, lui si sentiva semplicemente e straordinariamente fortunato.
 
Miss Leroy aveva fatto cenno alle ragazze di seguirla lungo un corridoio stretto e angusto.
Le tre, si erano disposte ordinatamente in fila, camminando in silenzio l’una davanti all’altra.
Erin ispirò nervosamente.
Si sentiva sotto esame e, se quella prova si fosse conclusa con un fallimento, avrebbero mandato all’aria tutti i loro sforzi.
Avevano bisogno di più aiuto possibile. Ambra, orgogliosa fino al midollo, non lo avrebbe mai accettato, così toccava a lei informare gli altri.
Cercando di non farsi notare, digitò un messaggio sul gruppo dei suoi amici.
« C’è una sorta di codice segreto per l’attribuzione dell’anno di esecuzione delle opere della Leroy. Dobbiamo scoprirlo, ora! »
 
Roxanne lanciò di malavoglia il joystick di lato, sbuffando contrariata, mentre Armin trionfava:
« Non te la prendere, cuginetta, ma non c’è verso di battermi »
« Ci giochi persino a scuola! Ovvio che parto svantaggiata! »
Rosalya sbuffò irritata. Si stava spazientendo a restare con quei due, calamitati dallo schermo di una TV.
« Spiegami una cosa, Armin… ad Ambra non dà fastidio questa tua fissa per i videogiochi? »
« Fastidio? » ripetè l’altro sorpreso « macchè! Metà delle volte è lei a propormi di giocare insieme »
« Sì, sì, come no » commentò l’altra con cinismo.
« Non conosci Ambra Daniels come la conosco io » ammiccò il moro.
L’amica non replicò subito, ma accasciò la schiena contro il divano.
« … e francamente, Rosetta cara, più la conosco e più mi piace »
I due si sorrisero complici, il primo arrossendo leggermente, l’altra divertita. Lui e Ambra erano davvero una bellissima coppia. Come del resto, lo era lei e il suo Nathaniel. Se un giorno si fossero sposati, la famiglia dei gemelli sarebbe diventata parte della propria ed la stilista non riusciva ad immaginare un futuro più allegro di quello in cui Alexy ed Armin fossero presenti nella sua vita.
Le sue romantiche riflessioni vennero bruscamente interrotte dal brusio del cellulare. Si allungò per recuperarlo e, dopo aver letto sommariamente il testo, sbottò:
« Ragazzi, abbiamo del lavoro da fare! »
 
Erin fu l’ultima ad entrare nella stanza. Miss Leroy le aveva condotte nel suo studio personale. Non c’era un metro quadrato di superficie libera, né sulle pareti, né sul pavimento. I muri erano ricoperti da quadri e mobili, mentre sul parquet erano disseminati fogli e pezzi di legno. L’ambiente era dominato da tre ampi tavoli e da opere incompiute abbandonate in vari punti della stanza.
« E’ ancora in attività? » domandò Ambra, studiando con attenzione un’opera.
« E’ un modo come un altro per impiegare il tempo » minimizzò la diretta interessata.
Mentre le due si guardavano attorno, affascinate ed incuriosite, la donna spiegò:
« Dunque, qui avete tutto quello che vi serve per scoprire l’enigma. Prendetevi tutto il tempo che volete »
Stava per voltare loro le spalle, quando Ambra la interruppe.
« Mi scusi, ma prima voglio avere una dimostrazione »
« Dimostrazione? »
« Del suo talento di indovinare le opere » spiegò la bionda « solo per essere sicura che non si tratti di una menzogna »
« Ambra! » scattò Erin, preoccupata che la donna potesse offendersi per tanta diffidenza.
La vecchia artista però non si scompose, anzi, assecondò quella richiesta:
« D’accordo, scegli un’opera »
La bionda si guardò attorno e individuò una cornice di cui ricordava esattamente l’anno di fabbricazione. La indicò e Miss Leroy impiegò appena un paio di secondi prima di rispondere:
« 1967… ti torna? »
Ambra annuì, mentre Miss Leroy annuì vittoriosa:
« Io sarò di sotto a prendere del te… « Keira, vieni come me »
La ragazza annuì in silenzio, seguendo la vecchia artista lungo il corridoio da cui erano venute e lasciando le due ragazze da sole.
« Ah… » esclamò la donna, facendo capolino sulla soglia « ciò che è scontato, non viene mostrato. Ciò che non si può sapere, viene indicato »
Prima che le ragazze potessero chiederle delle delucidazioni circa quella frase, la vecchia era sparita, lasciandole con un pugno di mosche.
« Che tipa stramba questa Leroy » commentò Erin, appena sentì sparire il rumore dei passi « però non è cattiva »
« Per te Travis, nessuno è mai cattivo » sorrise Ambra.
« Nessuno nasce cattivo, Ambra » precisò, iniziando a muoversi nella stanza « a volte confondiamo la cattiveria con l’infelicità delle persone »
« Bel modo di vedere le cose » ironizzò la bionda, avvicinandosi ad un mezzo busto.
« L’ho capito dopo aver conosciuto te » la zittì Erin, godendosi l’espressione inebetita con cui la fissò Ambra. Era in momenti come quelli, che la bionda non riusciva a non pensare che Erin Travis fosse la ragazza migliore del mondo.
 
« Allora, possiamo basarci solo su questo libro per decriptare il codice » asserì Armin, aprendo il voluminoso tomo che aveva pagato lui stesso il giorno prima.
« E se Tracy incidesse l’anno in piccolo in qualche angolo di ogni sua opera? » domandò Rosalya « da qui certo non lo vediamo »
« Lo escludo » s’impuntò Roxanne.
 
« Perché dici? » si incuriosì Erin, riponendo al suo posto una piccola statua di un guerriero masai.
« Perché altrimenti poco fa, l’avremo vista avvicinarsi alle opere, invece lei indovina l’anno osservandole a distanza… deve trattarsi di qualcosa che balza facilmente all’occhio »
« E’ per questo allora che l’hai sottoposta a quel piccolo test, poco fa? »
Ambra si limitò a sorridere astutamente, seguita a ruota da Erin.
« Mi spaventi, Daniels »
 
« Scommetto che se incidesse l’anno in qualche punto, qualcuno l’avrebbe notato da un pezzo » concluse Roxanne, sfogliando febbrilmente le pagine.
« Beh, c’è anche da dire che abbiamo esaminato a fondo la cornice e non abbiamo notato nulla » ricordò Armin.
 
« Esatto, Erin » ribadì la bionda, sovrappensiero « quindi ci deve essere un simbolo, un qualcosa che può essere tradotto in un numero »
Ambra si spostò dall’osservazione delle cornici appese, ad uno dei piani di lavoro.
« L’ordine non è il forte degli artisti » commentò divertita « tua sorella ne sa qualcosa »
Non ottenne alcuna risposta, così alzò lo sguardo verso la mora, intenta a sfogliare un blocco di appunti.
Erin era china sul pavimento, con le gambe incrociate e sembrava totalmente assorta dalla lettura.
« Trovato qualcosa di interessante? » indagò Ambra, avvicinandosi.
La mora non staccò lo sguardo dal fascicolo e replicò:
« Sei ancora in contatto con lei? »
In un primo momento Ambra non capì a cosa si riferisse, convinta che la ragazza non avesse udito l’affermazione di poco prima, poi collegò quella domanda a Sophia.
« Sì… è molto dispiaciuta per questa situazione, Erin »
« Te l’ha detto lei? »
« Si capisce »
Erin sospirò, alzandosi in piedi. Porse il volume ad Ambra che rimase disorientata dalla freddezza del suo sguardo. Le era bastato citare la gemella per svegliare nella mora un atteggiamento freddo e scostante:
« Prova a darci un’occhiata anche tu. Credo ci sia qualcosa di interessante »
Ambra accolse l’oggetto tra le mani senza fiatare e iniziò a passare in rassegna le pagine. Il blocco era colmo di schizzi a matita di una serie di soggetti, che spaziavano da figure viventi a esseri inanimati.
« Ci capisco poco di arte » commentò Erin, senza abbandonare il malumore che l’aveva assalita « ma non trovi che sia curiosa la sua fissa? »
 
« Fissa per cosa, scusa? » domandò Rosalya.
Era stupita dalla capacità di analisi della tredicenne. Negli ultimi dieci minuti, la ragazzina era riuscita a esporre in modo estremamente lucido e razionale un ragionamento che l’aveva condotta ad una conclusione interessante.
« I cherubini » borbottò Armin, allungandosi sul tavolo.
Roxanne sorrise vittoriosa.
I due liceali pendevano dalle sue labbra.
 
Keira allungò la tazza fumante all’artista, che la accolse con un cenno di gratitudine.
« Miss Tracy, posso chiederle una cosa? »
L’anziana sollevò appena lo sguardo, mentre gli occhiali si appannavano sotto l’influsso del vapore caldo.
« Non devi essere così reverenziale con me, Keira. Te l’ho già detto »
« Perché non vuole aiutare quelle ragazze? »
Miss Leroy sorseggiò lentamente la bevanda, assaporando ogni nota dolciastra del tè.
« Più zucchero la prossima volta, per cortesia »
Keira non batté ciglio e, quell’espressione così imperscrutabile fece sorridere la donna che, divertita dalla pazienza della giovane, rispose:
« Ti sbagli, Keira. E’ proprio perché ho deciso di aiutarle che le ho lasciate nel mio studio »
 
Ambra chiuse il blocco e accorse davanti alla parete delle cornici.
Le passò in rassegna una ad una, poi si spostò verso le sculture in un angolo della stanza.
Come aveva fatto a non accorgersene prima?
« In ogni opera di questa donna ci sono delle figure umane, che nella maggior parte dei casi sono cherubini, ma questo poco importa » esternò Erin, avvicinandosi.
« Se c’è un codice, questo deve trovarsi in ogni opera, è ovvio… e l’unico elemento in comune tra tutte sono le figure umane » rincarnò Ambra.
« Ora dobbiamo capire come queste siano associate a dei numeri » riepilogò Erin « se ogni figura fosse un numero, dovrebbero essercene quattro, no? Un anno è composto da quattro cifre »
« Ma se consideriamo che le prime due cifre sono scontate, cioè 1 e 9, basta indicare le ultime due »
« Frena, comunque lei ha realizzato opere anche dopo il 2000, seppur non di successo e sotto l’attenzione della critica. Continua a inserire delle figure umane anche nelle opere tutt’ora in corso d’esecuzione » obiettò Ambra.
Erin soppesò quell’ultima affermazione, incrociando le braccia al petto.
« Ci sta sfuggendo qualcosa, Ambra… l’indovinello… »
« Ciò che è scontato, non viene mostrato. Ciò che non si può sapere, viene indicato » ripetè Ambra, tra sé e sé.
« Appunto: l’artista non indica le prime due cifre dell’anno, poiché esse sono scontate… ma mostra le altre due, perché sono altrimenti impossibili da azzeccare »
« Ha senso » convenne Ambra « se indica uno zero od un uno come terza cifra, è scontato che l’opera non è del 1900, viceversa… »
Erin nel frattempo si era avvicinata ad una scultura nella cui composizione comparivano due cherubini, ai piedi di un colonnato
« Questa posa mi è familiare… »
 
« L’ho vista in un vaso a pagina 34 » si eccitò Rosalya, rubando il libro da sotto il naso di Roxanne « mi ha colpito per la posa strana delle mani! »
Roxanne ed Armin si allungarono sul tavolo, scrutando attentamente la figura.
« In effetti queste due opere risalgono entrambe al 1974! » concluse vittoriosa la stilista, ma ci pensò la biondina a sedare il suo entusiasmo.
« No, mi dispiace, l’altra è del 1973 »
L’allegria di Rosalya si sgonfiò all’istante, ma fu Armin a cogliere la palla al balzo.
« No, aspettate, siamo sulla pista giusta! »
 
« LE MANI! » esclamarono in coro Erin e Ambra.
Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere.
In quel momento anche il cellulare della mora vibrò e bastò un’occhiata fugace per realizzare che anche i loro amici fossero giunti alla stessa conclusione.
 
« Direi che ci sono arrivate » sogghignò Miss Leroy riponendo la tazza, ormai vuota, sul tavolino.
Keira si limitò a sorridere contenta e attese il momento in cui avrebbe visto le due presentarsi in salotto vittoriose.
Il grido di esultazione di poco prima, aveva strappato un sorriso fin troppo chiaro sul volto stanco ed invecchiato dell’artista.
 
Erin quasi inciampò sulle scale, tale era l’eccitazione di aver risolto il mistero.
Ne erano sicure, tutto combaciava.
Aveva rimosso il dispiacere associato al pensiero della sorella, tale era l’euforia per quella sfida che aveva solleticato la loro capacità di deduzione.
Irruppe nel soggiorno, trovando le due donne comodamente sedute sul divano.
Seguiva Ambra che, dall’atteggiamento molto più posato, non rinunciava però ad na smorfia vittoriosa.
« Miss Leroy, abbiamo la risposta! »
La donna non fece una piega ed Erin aggiunse:
« La cornice è del 1975! »
Bastò il sorriso di Keira per far esultare le due ragazze. L’artista invece impiegò qualche secondo in più, prima di sbilanciarsi:
« Come ci siete arrivate? »
Erin era tutta un sorriso d’eccitazione, così toccò ad Ambra illustrare il percorso del loro ragionamento.
«Lei riesce ad indovinare la data delle sue opere senza doverle scrutare da vicino, quindi abbiamo escluso subito che la incida in qualche punto nascosto. Oltretutto, sarebbe stata notata da qualcuno prima di noi, invece questo non è mai accaduto. Abbiamo quindi notato che in tutte le sue opere ricorre la presenza di due figure umane minori, la cui posa delle mani a volte, risulta inusuale… Per esempio in un’opera, c’è un angelo con le dita ripiegate a pugno, anche se in modo rilassato e solo il mignolo leggermente teso. Abbiamo pensato che quello potesse indicare il numero uno. Molte altre figure invece hanno le dita di una mano distese, mentre quelle dell’altra indicano per lo più un uno o un due, infatti sono opere realizzate tra gli anni Sessanta e Settanta. Seguendo questo schema interpretativo, abbiamo notato che nell’opera che ci ha indicato prima, quella del 1967, le mani dell’angelo di sinistra indicano un sei, mentre quello di destra un sette. Praticamente in tutte le sue opere, lei lascia che siano le mani dei due personaggi minori, frequentemente dei cherubini, ad indicare letteralmente l’anno di esecuzione… ma la distensione delle dita è talmente rilassata da sembrare casuale »
Seguì un lungo silenzio, al termine del quale Miss Leroy si alzò in piedi, applaudendo un paio di volte.
« Bene, mi chiedo quanto debbano essere rincoglioniti i critici moderni per non esserci mai arrivati »
« Diciamo che lei ci ha messo del suo, sostenendo che non vi fosse alcun codice » le ricordò Keira « le persone non indagano qualcosa che non c’è »
« Non queste ragazze » convenne la donna, scrutando le due « per quel che ne so io, voi vi basate su una mia opera per scoprire la storia che c’è dietro… senza sapere se effettivamente ci sia »
« E lei questo come lo sa? » intervenne Erin « in fondo, non le abbiamo detto nulla »
« Ho conosciuto Sophia, non può bastare? »
La mora si zittì, ricordando quel particolare, così toccò ad Ambra intervenire:
« Cosa disse a Sophia? »
« Niente di più di quello che dirò a voi »
« Serafica… » ironizzò Ambra, che per un attimo si era illusa di scucire qualche informazione extra alla donna. Aveva notato un cambio di atteggiamento nel suo modo di porsi, ma ciò non bastava a renderla più simpatica e disponibile. Mentre erano intente a seguire l’artista nella stanza attigua, Keira scrutò l’espressione della mora accanto a sé, stupita da quanto rapidamente fosse mutato il suo umore, al solo nominare la gemella. Non osò chiederle nulla, tale era la sua natura riservata e discreta. Pensò alla sua di sorella e a quanto visceralmente le fosse legata. Anche se Megan era la maggiore, con il suo carattere spensierato e talvolta impulsivo, Keira aveva maturato un comportamento molto protettivo verso di lei. Per questo, quando aveva visto quel ragazzo un po’ eccentrico avvicinarsi alla sorella, si era irrigidita. Meggy era facilmente suggestionabile, uno spirito puro e ingenuo. Sicuramente non si era accorta di nulla, ma era fin troppo lampante cosa significassero i secondi in cui gli occhi del ragazzo indugiavano dolcemente sul viso dolce della ragazza. Per certi versi, quella Erin le ricordava Megan, e forse proprio per questo, aveva sentito sin da subito, una piacevole empatia verso di lei.
Le ragazze vennero condotte in un’altra stanza, ancora più buia ed angusta delle precedenti. La padrona di casa aprì  le finestre, permettendo alla luce di irradiarne l’interno. Le tre iniziarono a tossire, a causa di una voluminosa nube di polvere che si levò dalle superfici.
« Vengo molto raramente in questa stanza » commentò l’artista.
« L’avevamo intuito » sbuffò Ambra, iniziando a starnutire. Per la sua allergia, quella stanza era veleno.
« Su, su, ti fai un po’ di anticorpi, cara »
« Anche mia sorella è allergica alla polvere » commentò Keira.
« Eppure continua ad insistere per venire a pulire questa casa » borbottò Miss Leroy « dovrebbe imparare a farsi gli affari suoi »
« Lo fa per il suo bene, Miss Leroy » la difese Keira.
« Lo so… è questo che mi ha arrabbiare. Tua sorella è troppo buona »
La ragazza sorrise, come faceva ogni qualvolta qualcuno parlasse bene di Megan.
L’artista si portò davanti una cassettiera enorme, ricolma di cassettini minuscoli e segnati ciascuno da un anno.
« 1975, eh? »
Aprì il cassetto corrispondente, sfilandolo dalla struttura. Lo posò su un tavolo ed iniziò a cercare tra le varie ricevute, quella corretta. Ad ogni foglietto era allegata una fotografia e, dopo una sommaria ricerca, ne estrasse uno:
« E’ questa la cornice che vi interessa, no? » chiese, esibendo una fotografia.
Le ragazze annuirono, mentre lei, scrutò il foglietto:
« Dovete leggerlo voi il nome, la mia vista è notevolmente peggiorata »
Erin sfilò dalle mani della donna la ricevuta e lesse:
« Chi è Cosima Manning? »
Le tre giovani guardarono la vecchia che fece spallucce:
« Come faccio a saperlo? Avete visto quante opere mi sono state commissionate durante gli anni? » obiettò indicando la cassettiera alle sue spalle.
« Qui dice che l’opera le è costata duemilacinquecentosessanta dollari » calcolò Ambra « che per quegli anni sono ancora più soldi rispetto ad oggi »
« La gente che si rivolgeva a me, specie quando diventai famosa, non aveva problemi di soldi » precisò l’artista.
« Lei non ricorda proprio nulla di questa donna? » indagò la voce quasi supplicante di Erin.
L’artista ripose la ricevuta al suo posto e richiuse il cassetto:
« La vostra fortuna è che, se come artista sono una casinista, come imprenditrice sono molto organizzata »
Non capirono il senso di quell’affermazione, finchè non la videro spostarsi su uno schedario accanto ad una vecchia poltrona.
« Mi chiedo ancora perché continuo a tenere tutte queste cartacce » borbottava tra sé e sé la donna, mentre scorreva una serie di fascicoli dopo la lettera M. Dalla fila, ne sfilò uno e lo porse alla mora:
« Questo è tutto quello che posso dirvi. Niente di più »
Erin aprì la cartellina, mentre Ambra si allungava a sbirciare sopra la sua spalla.
« E’-è l’indirizzo della signora Manning? » si stupirono le due ragazze.
« A te cosa sembra? Molti dei miei clienti richiedevano la spedizione a casa e quindi dovevo avere un recapito »
« Abita nei pressi di Chicago » osservò Ambra.
« Anche Sophia ha visto questo registro, vero? » chiese conferma Erin.
La vecchia annuì e aggiunse:
« Di più non so dirvi. Da questo punto in poi, proseguirete da sole »
Ambra stava per obiettare ma la mora la anticipò:
« La ringrazio, Miss Leroy. E’ stata davvero preziosa »
 
Castiel tornò nella vettura, trovando solo Lysandre al suo interno.
« Hai fatto fuggire la maestrina? » lo canzonò.
Il poeta però era assorto a fissare il panorama, con un sorriso dolce, al punto da ignorarlo totalmente. Il rosso allora levò il capo e vide, poco lontano, Megan intenta a giocare con un cane.
La vista dell’animale, destò da subito l’attenzione del rosso che si avvicinò incuriosito. Megan era intenta a coccolare un pastore tedesco, che si rotolava a pancia all’aria.
« E’ il cane della vecchia? »
La ragazza trasalì, non essendosi accorta della figura alle sue spalle.
« Oddio che spavento! »
Anche l’animale risentì di quel brusco cambio d’umore e si mise ritto sulle zampe.
« Buono bello… » lo accarezzò Castiel, chinandosi all’altezza della belva.
Gli bastarono pochi secondi e il cane già lo adorava, dimenticandosi totalmente di Megan.
« Ci sai fare con gli animali » osservò lei, sinceramente stupita.
« Ho un cane » spiegò semplicemente il musicista, sorridendo leggermente alla creatura pelosa. Quella dolcezza intenerì Megan, che finalmente rispose alla domanda che le era stata posta.
« Comunque sì, è il cane di Miss Leroy, Mirtillo »
« Strano esemplare per una tipa così solitaria » osservò il rosso, strapazzando le orecchie di Mirtillo « e nome di merda per un cane così bello »
Megan sorrise, un po’ spiazzata dall’eccessiva libertà di linguaggio che il ragazzo si concedeva.
« Se fosse tuo, come l’avresti chiamato? »
Castiel ci pensò un attimo e, ricordando il nome del gatto di Erin, replicò:
« Eric »
« Come il protagonista di Rossana? »
« Di che? » gracchiò interrogativo.
« Rossana! Il cartone. Non l’hai mai visto? » prima che il ragazzo potesse rispondere, Megan iniziò a canticchiare allegramente « Rossana dai pensaci un po’ tu! Perché così non se ne può più! Sappiamo che non ti arrendi mai, che provi e riprovi finchè ce la fai »
Era particolarmente stonata, ma non se ne curava. Cantava con allegria, autoironia, strappando una risata persino nella serietà del ragazzo accanto a lei. Non era solo quell’atteggiamento così spontaneo e allegro a contagiarlo, ma l’immagine di una persona che, nelle parole di quel testo, Castiel aveva riconosciuto immediatamente come Erin.
 
Lysandre aveva osservato quella scena da lontano. Oltre il vetro impolverato dell’auto, percepiva i due ad una distanza ancora maggiore e sentì un nodo stringergli lo stomaco. Avrebbe voluto scendere dalla vettura, intromettersi nella conversazione e riuscire a portarla avanti come stava facendo il suo amico. Ma lui non era così.
Con lui, le persone non si divertivano come in compagnia di Castiel.
Il rosso aveva quella straordinaria capacità di farsi amiche le persone, nonostante i modi scontrosi e bruschi. Quell’ossimorica combinazione tra il suo carattere e quel suo talento, era paradossale. Aveva sempre ammirato Castiel per questo.
Avrebbe voluto così tanto far ridere Megan nello stesso modo in cui l’amico stava facendo.
Invece no.
Lui era il poeta dei grandi discorsi, delle lunghe riflessioni. Non era capace di battute buffe, solo di ironia pungente. Era troppo serio, troppo sulle sue per annullarsi di fronte agli altri.
Megan era così spontanea, limpida e semplice, che nulla aveva a che fare con i suoi modi artefatti e teatrali.
Per la prima volta in vita sua, Lysandre White desiderò essere diverso.
Desiderò esserlo per piacere a qualcun altro che non fosse se stesso.
 
« Keira… »
Mentre Erin e Ambra, dopo essersi congedate dall’abitazione di Miss Leroy, avevano intrapreso la via di ritorno verso la macchina, la ragazza era stata richiamata dalla vecchia:
« Grazie per averle portate qui »
« Era la cosa giusta da fare »
« Sarai contenta ora, no? »
La ragazza fece spallucce e concluse:
« Trovo semplicemente assurdo che persone estranee come me e lei conoscano una storia della quale i diretti interessati sono all’oscuro... se solo lei mi autorizzasse a- »
« No » tagliò corto l’artista « ti raccontai questa storia solo perché hai conosciuto Sophia, il giorno in cui venne qui, ma questo non significa che verrò meno alla promessa. Non sta a noi raccontare i dettagli di questa faccenda… troppe persone coinvolte »
« E se non lo scoprissero mai? Tutti hanno il diritto di sapere la verità » insistette Keira.
« Ma né io né te abbiamo il diritto di raccontargliela. Siamo solo degli spettatori. E’ stato un caso che questa storia sia venuta a galla, ma sarà una loro scelta portarla fino in fondo… soprattutto quando la verità inizierà a far male »  
 
Keira scrutò discretamente le persone sedute in quel soggiorno.
Quando sua sorella aveva accettato l’invito di fermarsi a cena dagli zii di un certo Armin, aveva iniziato a sentire i battiti accelerarle.
Troppe persone per lei che amava la tranquillità e la serenità di piccole compagnie.
Eppure, non poteva sottrarsi a quell’invito, avrebbe offeso i presenti e rattristato Megan.
Aveva memorizzato velocemente i nomi di tutti, anche di quella ragazzina poco più piccola di lei che stava discutendo animatamente.
« Non tutti i libri per adolescenti sono banali! »
Quell’affermazione così animata, era scaturita dalla precedente e cinica osservazione di Castiel.
« Ah no? E quel coso là, dei vampiri? Oppure Harry Potter?»
Il solo sentire che Twilight venisse messo sullo stesso piano della sua opera preferita, mandò in escandescenze Roxanne. Saltò su in piedi ma, prima che aprisse bocca, una voce commentò:
« Chiariamo una cosa: Twilight è una storia, Harry Potter è un mondo »
Tutti si voltarono verso Keira che, istintivamente, guardò da un’altra parte a disagio.
Dopo appena due secondi, si trovò davanti la biondina che la fissava adorante:
« Ti adoro, sappilo! » squittì, mentre alcune delle ragazze ridacchiavano per la spontaneità di quei modi.
Keira si limitò a ridacchiare nervosamente ma rincuorata da quella reazione e, disarmato dalla difesa sull’opera della Rowling, Castiel su costretto a zittirsi.
La serata proseguì all’insegna dell’allegria e delle battute. La vicenda del quadro era passata in secondo piano, dopo che anche Armin, Rosalya e Roxanne erano stati aggiornati sugli ultimi sviluppi.
La macchina di Castiel era stata riparata e l’indomani sarebbero ritornati a Morristown.
In pochi minuti, Keira e Roxanne erano diventate amiche, scoprendo una viscerale e comune passione per i libri, oltre che una spiccata propensione alla scrittura.
Sotto le insistenze della biondina, Keira era stata costretta a farle leggere un suo scritto salvato sul cellulare e, prima che l’autrice potesse fermarla, Roxanne era corsa da Lysandre.
Lo trovò seduto sul divano, intento a leggere un libro.
« Lys! Armin mi ha detto che tu scrivi poesie, non è vero? »
Il ragazzo alzò lo sguardo, per trovarsi davanti quello limpido e cristallino della ragazzina. Annuì, mentre Roxanne gli sfilava sotto il naso lo schermo del cellulare.
Lesse il testo in silenzio, poi lo restituì alla ragazza.
« L’hai scritta tu? » chiese evidentemente stupito. Nel frattempo Keira era accorsa alle sue spalle, intercettando i due:
« Oh no, è opera di Keira! »
Il ragazzo spostò allora lo sguardo, mentre la poetessa abbassava il proprio.
« E’ molto bella. Complimenti. Hai un modo di scrivere così profondo che non si addice alla tua età »
La ragazza, anziché ringraziare semplicemente, borbottò una serie di parole confuse, che fecero ridacchiare la biondina.
« Kei è sempre in difficoltà quando le fanno dei complimenti » intervenne una voce.
Se Keira si sentì quasi confortata da quella presenza, Lysandre si irrigidì d’un tratto. Megan scompigliò i capelli della sorellina, che si scostò da quel gesto affettuoso.
« Hai letto Fiori di ciliegio? » domandò, sedendosi accanto a lui sul divano.
« H-ha una sensibilità così spiccata, tua sorella » miagolò quasi Lysandre.
Roxanne aggrottò la fronte, sorpresa da quel nervosismo, mentre Keira lo fissò con interesse e, per certi versi tenerezza. Era curioso come quel ragazzo, fino ad un attimo prima posato e controllato, tradisse ora tanto nervosismo ed insicurezza.
« Oh sì, lei è la mia critica più severa. E’ molto matura, più di quanto lo sia io. Tengo molto alla sua opinione »
« Fai bene » commentò Lysandre, senza ben sapere cosa stesse dicendo.
« Secondo me è bellissimo quando le persone riescono a trovare nella scrittura, una forma di espressione » stava raccontando Megan, con trasposto e dolcezza « Keira un giorno diventerà una grande scrittrice, ne sono certa »
« Tu sei troppo ottimista e sognatrice » borbottò la ragazza in imbarazzo.
« A volte il segreto del successo, sta nel trovare qualcuno che ti dica che hai le capacità per farcela »
Keira fece spallucce, assuefatta agli incoraggiamenti materni della sorella, mentre Lysandre sorrideva rapito. Adorava quel modo di fare, non poteva che esserne affascinato e conquistato.
« Lys, ti si è intasato il disco rigido? »
Sollevò lo sguardo di scatto, trovando Armin e Castiel e fissarlo:
« Che battuta di merda, Evans » commentò Castiel, per poi rivolgersi al poeta « sei più rincoglionito del solito, dobbiamo preoccuparci? »
« In cosa vi posso essere utile? » replicò l’altro, vergognandosi all’istante del tono formale con cui si era rivolto ai due amici, senza alcun sarcasmo.
« Mettiamoci d’accordo per domani » replicò Armin.
« In realtà c’è poco da mettersi d’accordo. Guidiamo io e te, Lys » tagliò corto Castiel.
« D’accordo »
« Però tu ti tieni tua sorella in macchina »
« Come vuoi » replicò il poeta, arrendevole.
« E Armin… »
« Io? » protestò offeso il moro « perché non mi vuoi? »
« Perché sei un rompicazzo, Evans »
Il moro stava per replicare, quando Castiel si sentì tirare via per un braccio.
« Devo parlarti » tuonò Rosalya.
« Ok, ma sta’ calma… » borbottò l’altro, confuso. Si isolarono in un angolo della stanza e, quando finalmente il moro le chiese il motivo di tanta foga, la stilista sbottò:
« Tu e quell’altro idiota! Vi sembrava proprio il caso di interrompere Lysandre? »
Il ragazzo non capì, così borbottò:
« Dovevamo fargli il linguaggio dei segni? »
Ricevette una sonora batosta sul capo, mentre la stilista sbottava:
« Cretino! Non hai visto come guardava Megan? Stavano parlando! E voi due vi mettete in mezzo »
« Che c’è di male? C’erano anche la cugina di Armin e Keira… »
« Non è questo il punto! Quante altre occasioni avranno per parlarsi? »
Castiel stava per rispondere, ma Rosalya lo anticipò:
« Zero! Quindi, o scocca oggi la scintilla, oppure siamo fottuti! »
« Maddai Rosa, ne stai facendo una tragedia! » rise il rosso.
Per la seconda volta si sentì strattonare violentemente, e costretto a guardare in direzione del poeta.
Lysandre era rimasto solo, Megan era impegnata in una conversazione con Erin ma lui, anziché tornare a leggere il suo libro, la osservava da lontano.
Aveva una smorfia dolce, serena, nuova. Mai prima aveva visto tanto trasporto nello sguardo dell’amico.
« Cazzo, è proprio cotto… » borbottò sorpreso.
La stilista sollevò gli occhi al cielo, sospirando:
« Finalmente ci sei arrivato. Non l’ho mai visto così, prima d’ora »
« E che ci vuoi fare? Saranno affari suoi »
« Un corno! Sono stufa di essere circondata da gente che non ha il coraggio di fare il primo passo! »
« A chi ti riferisci? » domandò il rosso, sinceramente sorpreso.
Rosalya si morse la lingua, inspirando a pieni polmoni:
« Senti un po’, Black. Ora tu prendi da parte mio fratello, io Megan e vediamo di farli chiacchierare insieme. Non è difficile, o la tua incapacità sociale potrebbe essere un ostacolo? »
Il musicista emise un grugnito di disappunto, borbottando:
« Non immischiarmi in questo genere di cagate da femmine »
 
Mentre i due erano impegnati a discutere, Erin si deliziava della compagnia di Megan.
Era una persona così piacevole che sarebbe rimasta ore a chiacchierare con lei.
Scoprì che avevano la stessa età ma, dopo scuola, si recava in quell’asilo come supporto alle suore e insegnanti dell’istituto. Quel giorno l’avevano conosciuta per puro caso, dal momento che il suo liceo era chiuso per motivi organizzativi.
Ogni volta che Megan parlava di bambini, i suoi occhi le si illuminavano, poiché il suo sogno era proprio quello di diventare maestra. Era quel tipo di persona che si entusiasmava facilmente, che non si vergognava di esternare le proprie emozioni e fu per questo che, sin da subito, Erin aveva sentito una straordinaria empatia verso di lei.
Sorrise, quasi ignorando la voce cantilenante della sua interlocutrice e si perse a meditare su quante persone nuove avesse conosciuto in così poco tempo: Megan, Keira, Miss Leroy, Miss Patty, zia Chloe, Roxanne. La vicenda del quadro, assieme ad un affascinante mistero, aveva portato con sé l’opportunità di arricchire la sua vita con persone il cui ricordo era destinato a colorare il suo passato, per poi essere rispolverato in un futuro ad esso legato.





 
NOTE DELL’AUTRICE
 
Dunque, è sempre più difficile iniziare questo spazio, perché sono ormai banalmente immancabili le mie scuse.
Scuse a voi lettrici per il ritardo nell’aggiornare IHS e scuse alle autrici delle storie che sto (stavo) seguendo T_T.
Per non essere pedante, non mi dilungherò ulteriormente in tal senso, ma sappiate che sono davvero dispiaciuta dal fatto che, per impegni lavorativi, il tempo che posso dedicare alla mia storia e alle persone che ho conosciuto per mezzo di essa, si sia ridotto drasticamente.
Ho deciso che non farò più previsioni circa la data di pubblicazione, è troppo impegnativo per me rispettare le scadenza :S Piuttosto, potrei mandare un messaggio tramite Wattpad a pochi giorni dalla pubblicazione, questo sì u.u
 
Veniamo ora alla storia.
Beh, sin da quando  è iniziata IHS, non ho mai saputo come combinare Lysandre. Per un certo periodo, avevo pensato a Violet, ma poi non era una coppia che mi convinceva totalmente e, se non convince me, da autrice non sarei riuscita a convincere voi. Così, grazie allo scambio di conversazioni con alcune di voi, è nata la personalità di Megan che, come potrete immaginare, (SPOILER!) conto di far riapparire più avanti.
Il personaggio di Keira invece è un tributo ad una mia carissima amica, Kayleah, che è stato fin troppo divertente far interagire con una nostra comune conoscenza, la carissima Roxy, alias Clove Malfoy (sorella volpe, sorella scimmia <3)
 
Sarò sbrigativa in questo spazio, perché devo ancora correggere il capitolo, così passo direttamente a rispondere a due domande che mi sono state poste nel form apposito (https://docs.google.com/forms/d/1wyv8hujlm__oDyaziSxmfdgxZhVG8GnZ-N4Ob1hV-j8/viewform)
 
- Mi piacerebbe sapere se Lys ha mai fatto un pensierino su Erin anche platonicamente o se ha mai pensato anche solo per un secondo di portarla via a Cass.
Direi che non c’è capitolo più adatto di questo per postare questa domanda. So che l’atteggiamento di Lysandre verso Erin, viene percepito nella maggior parte dei casi, come ambiguo. In effetti, ho voluto lasciare una piccola nota in sospeso, perché ben si addice alla personalità criptica del poeta. Tuttavia, se volete la verità più sincera, eccola: Lysandre non è mai stato innamorato veramente di Erin. Tra tutte le sue amicizie femminile, lei è sicuramente la ragazza che più lo affascina nel senso romantico del termine, però non per questo nutre dei sentimenti diversi da una fraterna amicizia. Ha un ben radicato istinto protettivo verso di lei che, rispetto alla sorella Rosalya, è più vulnerabile e buona, ma niente che possa essere confuso con amore. In Megan però, Lysandre ritrova alcune delle caratteristiche che più apprezza in Erin, come la sua spontaneità e bontà, ma nell’ottica non voler creare una sostituta alla mora, ci tengo a precisare che Erin e Megan sono diverse: la prima ha un talento unico nel diventare amica delle persone (cosa che la accomuna a Castiel), mentre l’altra, per quanto possa essere gentile, è più timida e tende a circondarsi di una cerchia ristretta di persone. E’ più riservata, ecco, oltre che molto più ingenua di Erin (incredibile a dirsi!)… e queste sono solo alcune delle qualità che, secondo me, uno come Lysandre, per complementarietà, può trovare affascinanti. Insomma, ho concepito Megan come una personaggio che possa portare della serenità nel poeta, alleggerire un po’ il suo modo di vedere il mondo e, perché no, insegnargli ad essere più “bambino”.
 
-I genitori di Lisandro e Rosalya sono morti ma... sono morti realmente?
Sì, su questo fronte, niente colpi di scena ^^
 
 
Alla prossima!

 
  
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