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Autore: Black Swallowtail    02/05/2016    0 recensioni
"C'è una parte di noi di cui tutti ci vergogniamo. Tentiamo di tenerla nascosta, di seppellirla nel profondo; facciamo in modo di sbarazzarcene, così che non torni più a tormentarci; tuttavia, come si suol dire, è qualcosa di più facile a dirsi che a farsi. Il passato torna sempre a bussare alla tua porta, in un modo o in un altro."
Minato Saito è stato un caso più unico che raro di sindrome di seconda media - del tipo peggiore, un così detto "Evil Eye". Deciso ad iniziare una vita diversa, intenzionato ad allontanare il passato che lo tormenta, si appresta ad iniziare un nuovo anno scolastico; tuttavia, quello che lo attende supera di certo le sue aspettative. Scoprirà, suo malgrado, che non si sfugge tanto facilmente dagli artigli di quella strana malattia e che, spesso, se ne rimane vittime per sempre, anche dopo che si è tentato di fare di tutto per sfuggirgli.
Quella ragazza che, seduta poco davanti a lui, è convinta di essere un'eroina imprigionata in una falsa realtà, lo trascinerà con sé verso un mondo fantastico che si nasconde sotto gli occhi di tutti - un mondo di vetro; un mondo d'immaginazione.
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Chapter 6 Even in my dreams, I've seen you a lot

 

Ci sono innumerevoli ostacoli sulla via di uno studente, ma pochi sono spaventosi e distruttivi quanto i primi esami di metà trimestre. Prima ancora di essermene reso del tutto conto, la mia carriera da liceale è già arrivata quasi a metà del suo primo ciclo e, mentre le vacanze estive sono all'angolo, prima di poterci godere un po' di libertà, dobbiamo affrontare un nemico talmente potente da incutere un timore come nessun altro. Non sarebbe un gran problema riuscire a prepararmi adeguatamente alle prove delle varie materie, se non fosse sorto un altro, gigantesco imprevisto che ha preso il nome della mia vicina di casa e compagna di classe. Esattamente come sospettavo, Mana non ha aperto nemmeno un libro di testo dall'inizio dell'anno, e solo la fortuna ha impedito che i professori la trovassero impreparata di volta in volta; anzi, ora che ci penso, mi sembra che nessuno le abbia mai chiesto di risolvere un quesito o le abbia posto qualche domanda. Che razza di fortuna sfacciata possiede questa ragazza?

Mentre mi chiedo secondo quale principio cosmico ed invisibile il destino favorisca una scansafatiche come lei, sto con il mento poggiato sul palmo sinistro ad osservare Mana che pigramente e senza troppo impegno risponde alle domande di storia che le ho preparato, mettendo ogni tanto qualche crocetta dopo aver annuito tra sé e sé. Non mi ci è voluto molto per capire il modo di scegliere le risposte; dopo aver, meccanicamente, portato il palmo alla fronte ed aver atteso un istante con il cerchio magico impresso su di esso a contatto con la pelle, ha sbarrato gli occhi come se una verità assoluta le fosse stata rivelata, e poi ha tracciato il segno senza nemmeno leggere la domanda – per tutti e trentadue i quesiti.

Inutile dire che, quando ho corretto velocemente il primo foglio, non sia riuscita a totalizzare nemmeno dieci punti su cento. Strano a dirsi, ma consegnare in bianco apparirebbe più dignitoso e risparmierebbe imbarazzanti commenti sul fatto che abbia modificato alcuni quesiti per conformarli alla sua idea del mondo: in breve, quello che mi sono ritrovato a leggere non è stato un comune test di storia, ma una verifica a risposta multipla sul suo mondo immaginario.

“—Questa volta stai rispondendo normalmente?” chiedo stancamente, picchiettando la matita contro la pagina del libro di giapponese moderno aperto sotto i miei occhi, sottolineando pigramente una frase che ormai ricordo a memoria, dopo averla letta così tante volte, “Non è che stai facendo come prima, vero?”

A quella domanda si irrigidisce di colpo, come se avessi toccato un nervo scoperto, e annuisce seccamente, “Certo, per chi mi hai preso… Non sono domande difficili.”

“Mh? Meglio così,” torno a leggere il testo, scorrendo velocemente la vita dell'autore, fino ad arrivare alla poesia; inizio a leggerne i caratteri uno ad uno, ripetendoli meccanicamente, e cerchiando i passaggi più importanti, nel tentativo di concentrarmi sul mio studio, ma è del tutto inutile finché con la coda dell'occhio vedo Mana che fissa il suo foglio come se fosse incantato con qualche magia ipnotica. La sua fronte corrucciata e le sopracciglia inarcate dicono esattamente il contrario di quanto ha appena affermato, ma non voglio saltare a conclusioni affrettate. Vorrebbe dire non avere fiducia in lei.

Ma chi voglio prendere in giro? Non è questione di fiducia, è che sono il primo a non voler accettare la realtà innegabile. Ora come ora, Mana è un caso talmente disperato da rasentare l'irrecuperabilità. Mi porto la matita alla bocca, mordicchiandone appena con i canini l'estremità, mentre la osservo leggere per l'ennesima volta una domanda bianca, e continua a sfiorare la casella delle risposte, senza riuscire a sceglierne una. Tentenna da almeno tre minuti e in venti non è arrivata ad un quarto dell'intera prova, nonostante l'abbia preparata basandomi sulle ultime lezioni di storia. Vorrei chiederle cosa abbia fatto invece di prestare un minimo di attenzione alle spiegazioni del professore, ma mi basta scavare qualche istante nella memoria per riuscire a vederla mentre riempie la sua agenda di appunti di magia nera o tenta di scagliare qualche magia silenziosamente. Per quanto siano cose del tutto fuori dal comune, e sempre sintomo della sua sindrome, almeno ha smesso di comportarsi in quel modo estremamente teatrale dei primi giorni; probabilmente deve essere soddisfatta dalla piega che stanno prendendo gli eventi, con tutti questi nuovi membri della Biblioteca, oltre ad aver preso molto più sul serio la storia dei Vuoti quando le ho detto che, con l'avvicinarsi degli esami, il loro numero aumenta esponenzialmente.

Non ho avuto il coraggio di chiederle se effettivamente abbia aperto almeno un libro, prima di oggi, o se abbia prestato attenzione a qualche lezione, perché temo la risposta, pur conoscendola chiaramente: Mana, fino ad ora, non si è nemmeno data la pena di scoprire le materie di cui tratteranno gli esami di metà trimestre, figuriamoci di studiarne il programma. Ovviamente posso dirlo, perché la mia esperienza diretta, e terribilmente imbarazzante, è stata simile se non identica. Ma io, allora, ero solo; Mana, invece, ha qualcuno al suo fianco. Mi impegnerò al massimo per farle passare questi esami, fosse l'ultima cosa che faccio.

“Ho finito!” la sua esaltazione è talmente prorompente da prendermi alla sprovvista, facendomi sobbalzare e sbattere la gamba contro il tavolino. Mi mordo la lingua, trattenendo una imprecazione, mentre tendo la mano tremante verso di lei, in una tacita richiesta di consegna; nonostante lo sguardo interrogativo, me la consegna senza tergiversare, incrociando le braccia al petto e socchiudendo gli occhi; il suo viso, in un istante, si tinge di un'espressione di superiorità che le ho già visto numerose volte e che conosco fin troppo bene.

“Una passeggiata, come ti avevo detto, per una del mio livello. Ancora una volta, ricorrendo all'Occhio Demoniaco, ho osservato la realtà che l'Antico ha creato per intrappolare gli inconsapevoli e ho riportato le sue risposte sul foglio della Prova. Ora, vai pure avanti, Nightmare Edge,” il suo braccio destro compie un ampio arco a mezz'aria, fendendola fino a tendersi verso di me, l'indice allungato a puntare verso la mia persona, con un'aria di sfida tipica dell'eroe che affronta il nemico senza abbassare lo sguardo – convinto di avere la situazione in pugno, “Emetti la tua sentenza. Ma ricorda, l'Occhio Demoniaco è il più fort—”

“Zero su cento.”

“...Eh?”

La mia sentenza funerea deve averla colpita più forte del previsto. Mi è sembrato di sentire il rumore di qualcosa che si rompeva. L'espressione di superiorità sul suo viso inizia lentamente a mutare, fino a congelarsi in una di sorpresa con la bocca incurvata, completamente sconfitta dalle mie parole così secche. Mi è bastato scorrere velocemente le risposte per capire che non ha la minima idea di quello che dovrebbe studiare.

“Non è possibile… eppure mi sono impegnata così tanto, ho chiesto l'aiuto dell'Occhio,” si porta le mani al volto, tremanti, totalmente annientata dal giudizio impietoso; si rannicchia in un angolo della stanza, il viso rivolto verso il muro, e l'aria attorno a lei sembra divenire improvvisamente più pesante, mentre mugugna sottovoce qualcosa di incomprensibile. Mi passo una mano tra i capelli, sospirando a fondo, prima di scuotere la testa con rassegnazione.

“Era ovvio che avresti sbagliato, hai messo le risposte in modo da formare un cerchio magico!” le dico, dando un colpo con il dorso della mano al foglio delle risposte che, effettivamente, se visto nel suo insieme, ha le caselle delle risposte completamente riempite a penna e disposte a foggia di una posticcia e molto semplicistica effige del marchio sulla sua mano, “Non può funzionare!”

“...Pensavo che così facendo avrei attivato l'incantesimo che sigillava il foglio e mi avrebbe rivelato le risposte già complete,” si giustifica, senza guardarmi negli occhi, la fronte tenuta bassa a guardarsi le ginocchia poggiate sul pavimento, appena sfiorate dall'orlo della gonna color vinaccia della divisa estiva.

Mi porto la mano al viso, senza riuscire a trovare una risposta adatta, limitandomi a rannicchiarmi nell'angolo che poco prima ha occupato lei e iniziando ad emettere bassi lamenti di dolore e gemiti disperati. Questa situazione è a dir poco irrecuperabile.

“A-andiamo, Minato, non fare così,” Mana mi si avvicina, scuotendomi lentamente per la spalla, “Mi impegnerò, va bene?”

A quelle parole, una piccola luce di flebile speranza si riaccende in me, abbastanza da farmi alzare lo sguardo verso di lei, incrociando i suoi grandi occhi corvini che tremolano leggermente quando incontrano i miei, e per un momento posso quasi sentire una scintilla tra di noi, la scintilla della determinazione, di chi è disposto a combattere e dare tutto quello che ha per raggiungere il suo obbiettivo, la volontà di un guerriero.

“Davvero?” le chiedo, con un soffio, stringendo i pugni con tutta la mia forza, “Hai davvero intenzione di impegnarti seriamente?”

“Certo che sì!”

Non tutto è perduto, allora. Mancano solo quattro giorni agli esami, certo, ma possiamo ancora farcela. Nonostante i giorni precedenti siano stati inutili, nonostante tutti i miei tentativi fino ad ora si siano rivelati vani, ora sembra finalmente disposta a collaborare e a dedicarsi con tutta se stessa a questo obbiettivo. Sì, quel fuoco che arde nei suoi occhi lo potrei riconoscere ovunque, ormai, perché è proprio solo di lei: il fuoco di chi può fare tutto quello che vuole, se lo desidera. Questa volta, ne sono sicuro, possiamo farcela.

“Stai a vedere!”

“—Eh?” il gorgoglio di stupore che emerge dalle mie labbra è l'unica reazione possibile a quella affermazione da brividi gelidi lungo la schiena; voglio davvero sperare di aver interpretato male quello che sta facendo. Perché sta spostando il tavolino? Perché sta agitando le braccia in quel modo?

“Mana, posso sapere cosa hai in mente?”

“Non ti ho forse detto che mi sarei impegnata con tutta me stessa, per raggiungere il nostro obbiettivo?” mi lancia un'occhiata da sopra la spalla, dopo essersi voltata dall'altra parte, che scintilla sinistramente, come se volesse afferrarmi e risucchiarmi con sé, ingoiarmi nel pozzo infinito dell'oscurità che le tinge le iridi, “Stai a vedere.”

Totalmente rapito da quello sguardo che mi ha lanciato, non posso che rimanere immobile come una statua, completamente paralizzato, mentre incrocia le braccia al petto, come se stesse stringendo qualcosa tra le dita.

Non dirmi che…

Oh, Nero Assoluto, figlio dell'ultima fiamma cremisi, discendi su questa terra e distruggi le convenzioni di questo mondo… Obbedisci all'Occhio che tutto vede e tutto comprende. INFRANGI QUESTA REALTÀ!”

Piegatasi leggermente all'indietro, tende le braccia verso il soffitto, il Marchio rivolto verso l'alto. Per un lungo istante, non succede nulla.

...E continua a non accadere niente.

“Basta, mi arrendo,” lascio che dalle mie labbra venga esalata quella testimonianza di sconfitta più totale, crollando penosamente a terra, senza nemmeno avere la forza di rialzarmi. Mana, dal canto suo, sembra terribilmente in disappunto per non essere riuscita a squarciare il velo della realtà, perché, pur se fuori dal mio campo visivo, occupato solo dal lampadario spento e dal soffitto illuminato dai raggi del sole del tramonto, la sento che si chiede dove ha sbagliato nell'eseguire l'incantesimo. Non ho nemmeno la forza di rimproverarla, questa volta, la mia saldezza è andata spaccandosi in mille pezzi dopo che la mia ultima, flebile fiammella di speranza è stata spenta brutalmente.

Dopo qualche istante, il viso di Mana si china sopra di me, l'espressione interrogativa sul suo volto è più che sufficiente a farmi capire che non ha ben presente la gravità della situazione, “Tutto ok?”

“Scusami, Mana...” sussurro, coprendomi gli occhi con le dita, lasciando solo uno spiraglio che mi permetta di vederla ancora appena, di poter ancora osservare i suoi occhi dubbiosi, “Ho fallito miseramente.”

“Non devi scusarti… tu hai fatto del tuo meglio,” la sua voce, in questo momento, è fievole, ma riesco appena ad udirla, a percepire il suo tono, “è colpa mia.” Lo stesso di quando, quella volta, sotto la pioggia, mi ha detto di voler rivedere casa sua. Il luogo a cui appartiene, attraverso la Nebbia che si è creata attorno. Un tono di voce talmente malinconico da farmi sbarrare gli occhi.

Il sole cremisi entra con i suoi raggi arancioni all'interno della stanza, e i suoi riflessi le colorano appena il viso di milioni di sfumature, e perfino l'assoluto nero delle sue iridi sembra più chiaro; quell'espressione triste, su di lei… in questo momento, è irreale come la prima volta che l'ho vista. È così lontana, eppure così vicina. Se tendessi la mano, riuscirei ancora a toccarla?

Senza pensarci, allungo la mano verso il suo viso, verso quel sorriso triste che sta esattamente sopra di me, e lo sfioro appena, in una sorta di timida, impacciata carezza.

Solo quando lei arrossisce di colpo e i suoi occhi si sbarrano tremolanti di colpo per la sorpresa, mi rendo conto di quello che, di riflesso, senza pensarci, come se non fossi in questa realtà per il quale ho tanto penato, ho fatto. Il fatto è che, per un lungo istante, mi è sembrata sfuggire via dalla mia presa. Per un momento, mi è sembrata scivolare via, verso un mondo dove non avrei potuto raggiungerla.

“Forse per oggi è meglio lasciare perdere,” riesco ad articolare, dopo un lungo, infinito silenzio di sospensione che nessuno dei due è riuscito a rompere, “Ti va di mangiare qualcosa?”

“Ah… ah, sì,” risponde, dopo qualche momento di esitazione, la voce ancora tremolante per quell'improvvisa azione, “Arrivo, allora.”

Evito di incrociare il suo sguardo, ed esco direttamente dalla camera, senza nemmeno voltarmi per accertarmi che mi stia seguendo in cucina. Se mi girassi in questo momento, la vederei che, immobile sull'uscio della porta di camera mia, tocca il punto in cui le mie dita l'hanno sfiorata, stringendo le labbra, prima di scuotere la testa e raggiungermi.

Seduta davanti al televisore, con le gambe incrociate e il collo teso verso lo schermo, del tutto assorbita dalla sequenza epilettica che si sta svolgendo sullo schermo, Hanako sembra risvegliarsi solo quando ci sente entrare nella stanza; si volta appena a guardarci, inclinando la testa lateralmente, come se ci stesse studiando con attenzione, allo stesso modo in cui si studierebbe un animale raro rinchiuso in una gabbia. Tento del mio meglio per ignorarla, anche se è difficile sentirsi osservati qualunque cosa si faccia, anche prendere del semplice gelato dal congelatore; quando lo apro, una leggera brezza gelida mi carezza il volto, mandandomi un brivido lungo il corpo che scaccio affondando la mano a scavare tra gli spinaci surgelati e le bistecche di manzo brinate, finché non sento tra le dita l'inconfondibile forma di due gelati, due semplici ghiaccioli al limone, gli ultimi superstiti di una scorta comprata una settimana fa e terminata in ancora meno tempo a causa del continuo aumentare delle temperature e dell'intensità delle nostre infruttuose sessioni di studio.

Ci sediamo attorno al tavolo e, dopo averlo scartato, inizio a succhiare pensosamente il ghiacciolo, lo sguardo perso verso la finestra, per evitare di incontrare lo sguardo di Mana ancora una volta. Dopotutto, ora abbiamo altri problemi a cui pensare, molto più urgenti di una semplice…

“Fratellone, stai male? Sei tutto rosso.”

La domanda di Hanako mi prende alla sprovvista, e per un istante rischio quasi di soffocarmi con il ghiacciolo; dopo aver tossito qualche volta, scocco un'occhiata penetrante alla colpevole e alla sua capacità totalmente inopportuna di piombare nei momenti peggiori e di fraintendere continuamente le situazioni.

“No, non sto male,” le rispondo seccamente, affondando i denti nel ghiacciolo e riducendo in piccoli frammenti il pezzo strappato, prima di ingoiarlo, “Sarà il caldo.”

Hanako non sembra dare troppo peso alla mia risposta, scrolla semplicemente le spalle, prima di spegnere la televisione e andarsene in camera sua a finire i compiti che ha lasciato in sospeso. Ci ritroviamo di nuovo io e Mana, soli, e il silenzio crollato improvvisamente tra di noi, come a separarci.

Mana è la prima a romperlo, mentre giocherella con il bastoncino del ghiacciolo ormai sciolto, picchiettandolo contro la superficie del tavolo, “Minato,” trattengo il respiro, pronto a ricevere una qualsiasi domanda su quello che è accaduto prim... “Prenderesti il mio cellulare?”

Preso alla sprovvista, obbedisco meccanicamente a quell'ordine, e dopo essere tornato in camera mia, e aver recuperato il cellulare poggiato sopra il mio letto accanto al mio, glielo porgo, incuriosito da quella improvvisa richiesta. Quindi, evidentemente, quel momento di imbarazzo è già sparito. Sì, dopotutto non è stato nulla, ed abbiamo qualcosa di molto più importante da affrontare, una situazione decisamente difficoltosa e che, da qualunque verso la possa guardare, non sembra avere via d'uscita.

“Comunque, a cosa ti serve il cellulare?” le chiedo, mentre mi alzo per andare a prendere del tè freddo dal frigorifero, versando il contenuto ambrato della bottiglia in due bicchieri in cui lascio cadere anche qualche cubetto di ghiaccio recuperato dal freezer; immagino si aspettasse la domanda, perché si volta verso di me mostrandomi il dorso della mano ed il Marchio, leggermente sbiadito perché, probabilmente, non ha avuto tempo di applicarlo di nuovo.

Tende le braccia verso l'esterno, come se stesse richiamando qualcuno verso di sé, e dalla sua bocca emerge una bassa risata di soddisfazione, come di chi ha raggiunto un'illuminazione di grado superiore che gli permette di superare qualunque ostacolo.

Questo vuol dire che ha trovato un modo per uscire da questa situazione?

Nightmare Edge, per quanto l'Occhio Demoniaco sia il più forte, a volte è necessario ricorrere all'aiuto di altri compagni per sconfiggere l'Antico. È il momento che, per la prima volta, la Nuova Arcana Biblioteca dell'Eterna Oscurità si riunisca per affrontare il suo nemico, per adempiere allo scopo per la quale è stata creata!”

“Vuoi studiare in gruppo, quindi? Questa è… davvero un'ottima idea! Haruhiko e Nao sono tra i migliori della nostra classe...” e forse loro riusciranno dove io ho fallito, ma mi trattengo dal dirlo e mi limito ad annuire. Per una volta, un'idea di Mana non si è rivelata del tutto folle, mi sento quasi commosso.

“Mh, va bene, ci penso io a quello,” la sento mormorare, annuendo tra sé e sé, “non ci dovrebbero essere problemi. Domani allora metteremo a punto gli ultimi dettagli. Un piano degno di te, Grimoires Master.”

Quando Mana mi si avvicina, sto bevendo gli ultimi sorsi del tè leggermente annacquato, alcuni cubetti si sono sciolti mentre giocherellavo sovrappensiero con il bicchiere; si siede accanto a me, mostrandomi un'aria compiaciuta che indica chiaramente come la sua strategia sia andata a segno. Conoscendo Haruhiko, difficilmente le avrebbe rifiutato un favore, sopratutto di fronte ad una richiesta così disperata.

“Domani, appena terminata l'ultima ora, la Biblioteca si riunirà per sconfiggere l'ennesimo ostacolo posto dall'Antico sul nostro cammino,” mi annuncia solennemente, senza nascondere la soddisfazione nell'annunciarlo, “Dobbiamo distruggere questo esame, per liberare la via verso il nostro nemico.”

“Sì, sì, come ti pare. Devo avvertire mia madre che avremo ospiti,” rispondo, facendo per alzarmi, ma Mana scuote repentinamente il capo, “Non ce n'è bisogno, Nightmare Edge.”

“Andiamo in biblioteca?”

Un altro cenno di diniego.

Non mi viene in mente nessun altro luogo in cui potremmo riunirci. Forse casa di Haruhiko o di Makoto, ma anche questo tentativo si rivela un buco nell'acqua. A casa di Ogawa è fuori discussione, visto tutti i problemi che ha con sua sorella, e quella di Nao è inaccessibile visto che, ironia della sorte, sua madre si è ammalata subito dopo di lei. E se non è casa mia, né tanto meno quella di Mana, poiché i suoi genitori non ci sono…

Il mio cellulare vibra improvvisamente e, sovrappensiero, non presto troppa attenzione al mittente quando lo apro; solo nel momento in cui leggo il testo e mi ritrovo con gli occhi sbarrati, noto che mi è stato mandato da lei.

Come sono riusciti a convincerla..?

Non mi dire che—

DA:Hitomi Mori

Impegniamoci al massimo domani nello studio, Minato!

 

La scuola è particolarmente pesante, oggi. I professori stanno facendo del loro meglio per non metterci pressione, ma il fantasma degli esami imminenti si fa sempre più vicino e le lezioni di ripasso hanno aumentato di colpo il ritmo, crollando sulle nostre spalle di stanchi e provati studenti; l'aula sembra un forno crematorio, e il caldo dell'esterno non ha fatto altro che aumentare esponenzialmente entrando in classe, risucchiando nello spazio di poco tempo ogni minima volontà di essere produttivi; a detta di Haruhiko, questo è il momento in cui i forti di distinguono dai deboli, o qualcosa del genere, un discorso che non sono riuscito ad ascoltare del tutto. Ridotti praticamente a fantocci colanti sudore, chi sdraiato sul banco, chi in un precario equilibro tra il sonno e la veglia, sembriamo più una massa di zombi che un collettivo di studenti. Makoto, dietro di me, ha ceduto alla calura dopo la terza ora, ritrovandosi con la testa ciondolante e in uno stato di dormiveglia, interrotto bruscamente solo dai richiami del professore; Kauzhiro, nonostante abbia tentato di non farlo notare, non ha sofferto di meno il caldo, al punto che, in questo momento, dopo che ci siamo radunati per il pranzo, sta trangugiando avidamente ampie sorsate d'acqua da una bottiglia da un litro estratta da chissà quale tasca magica. Mi chiedo come non stia annegando, nel berne così tanta.

L'unico che sembrava totalmente immune alla calura, è stato Haruhiko: per qualche motivo, è come se il clima esterno non lo tocchi e abbia ripercussioni minime sul suo fisico. O almeno, è quello che ho creduto, finché Hitomi non mi si affianca con un sorriso sardonico, sedendosi di fronte a me, nel posto solitamente occupato da Mana. Riuniti intorno ai tavoli uniti per mangiare, Kazuhiro poggia la bottiglia d'acqua ormai vuota con un profondo sospiro di sollievo, proprio nel secondo in cui Hitomi indica uno strano, insolito oggetto sporgere dal banco di Haruhiko: una borsa termica comparsa da chissà dove, posso giurare che questa mattina all'ingresso non la avesse con sé, ed effettivamente mi appariva stranamente deformata e gonfia, come se contenesse una grande quantità di… qualcosa. E quel qualcosa si rivela essere una scorta di acqua minerale ed integratori di vario genere, abbastanza da trascendere il comune livello di sopportazione umano ed ascendere ad un piano superiore, al prezzo probabilmente di qualche anno di vita, almeno a giudicare dalla quantità di contenitori di plastica accatastati all'interno.

“Incredibile, Acqua delle Sorgenti di Reillor!” esclama Mana, strappando fulmineamente dalla mano di Hitomi uno dei pochi integratori superstiti, esaminandolo con un'espressione rapita controluce, le bollicine colorate al suo interno che galleggiano pigramente verso la superficie.

“No, è una comune bibita energetic—” ovviamente la mia debole protesta viene soffocata dall'entusiasmo della mia compagna, che inizia immediatamente a porre domande a raffica ad Haruhiko su come l'abbia ottenuta, domande che vengono spente da Hitomi con un sorriso affilato, “Anche tu non sei immune del tutto a questo clima, allora.”

“Posso stare benissimo senza quelle,” risponde di rimando a bassa voce, stringendo le bacchette con tanta forza da farle leggermente scricchiolare; l'unica cosa che lo trattiene, credo sia l'idea di non poter mangiare senza, “E non credere di poter minare le mie capacità in questo modo solo per ottenere il primo posto, Mori!”

“Oh-oh, Nishimura! Ti vedo più sicuro di quanto in realtà tu sia!” ringhia lei di risposta, alzandosi in piedi e allungandosi verso di lui, il sorriso incurvato in un ghigno mordace, “Ma questa volta sarà diverso. Sfrutterò ogni mia capacità per vincere, mi hai sentito?”

“Questi due… ce l'hanno ancora per le simulazioni?” ovviamente il commento rassegnato è quello di Nao, il cui sguardo perplesso non sembra volersi staccare dalle espressioni feroci, se non animalesche, che hanno piegato i loro visi.

Scrollo le spalle, troppo esausto per riuscire ad intervenire con più di qualche patetica parola nel vano tentativo di dividerli. Effettivamente è dalle simulazioni della settimana scorsa che la scintilla di rabbiosa competizione scoppiata tra questi due non sembra spegnersi; è qualcosa che va ben oltre la voglia di primeggiare. È come una lotta per il posto di animale dominante, e la terribile aria di sfida che aleggia tra i due, talmente tesa da poter esplodere con una minima scintilla, non accenna ad allentarsi e non credo lo farà prima dei risultati degli esami stessi. Il punto è che Haruhiko è sopra di Hitomi di uno o due punti sul punteggio complessivo, una differenza talmente minima da poter essere facilmente ignorata; ma nessuno dei due è il tipo da arrendersi su questo punto. Come ho imparato a mie spese, Haru adora la competizione e non si lascerebbe superare per nulla al mondo; quanto ad Hitomi, non è così differente da lui, in questo, e farebbe di tutto per creare una nuova immagina di sé completamente antitetica a quella di un tempo.

Il risultato, lo abbiamo sotto agli occhi ogni giorno.

“Kazu, ti dispiace..?”

Alla richiesta di Nao, Kazuhiro, ormai abituato a questo scenario, li divide mettendosi in mezzo con il suo sguardo sinistro da teppista mancato, che automaticamente fa indietreggiare entrambi i contendenti come presi di sorpresa. Non posso biasimarli, dopotutto anche io ho sentito un brivido scorrermi lungo la schiena, quando ho incrociato il suo sguardo corrucciato in alcune occasione, pur sapendo come egli non sia per nulla come appaia esternamente. Nao batte le mani con aria conciliante, riportando la pace sul campo di battaglia che è divenuto il nostro tavolo per il pranzo, “Basta, voi due. Haruhiko, tu sei un rappresentante di classe, e tu Mori, che impressione vuoi dare agli altri?”

Come se entrambi avessero ricevuto un calcio nello stomaco, i loro corpi si irrigidiscono di colpo. Ricadono quasi simultaneamente sulle loro sedie con un tonfo, uno con un'aria terribilmente mortificata, togliendosi gli occhiali con mano tremante, l'altra rossa in viso e con i denti digrignati, le spalle leggermente vibranti dall'imbarazzo. Faccio uno stanco gesto di ottimo lavoro alla nostra salvatrice, e avvicino alla bocca la lattina di soda fredda presa dal distributore, bevendone una piccola sorsata per schiarirmi la gola, prima di riuscire a parlare nuovamente, “Vi avverto, non sarà un compito facile. Mana è un caso disperato e...”

“Non sono andata così male,” protesta senza troppa energia, passando imbarazzata le dita sul bordo della lattina, ma il suo commento viene ignorato, perché sappiamo tutti più che bene in che situazione si trovi.

“Dicevo, sarebbe stata un'impresa impossibile per me. Per questo motivo, voglio ringraz—”

Hitomi soffoca le parole ancora prima che lascino le mie labbra, avvicinandosi pericolosamente a me in un solo, sinuoso scatto, piegandosi leggermente verso di me in modo da far incontrare i nostri occhi; come se fossero magneti, in un solo istante mi ritrovo a guardarla senza riuscire a staccarmi, e il sorriso che si apre sul suo volto di colpo è totalmente diverso dal ghigno sinistro che aveva fino ad un secondo fa, come se fosse cambiata repentinamente semplicemente nel momento in cui ho iniziato a parlare.

“Non preoccuparti, Minato, ce la metteremo tutta. E se avrai bisogno di aiuto, puoi sempre chiedere a m—eh?!” la frase viene interrotta quando Mana appare da dietro, colpendola alla testa con la mano su cui è impresso il sigillo, facendola barcollare all'indietro per la sorpresa. Il mio sguardo sorpreso incontra il suo e, per un istante, mi sembra di cogliere in esso una scintilla di un'emozione passeggera, inghiottita di nuovo dalle tenebre delle sue iridi.

“Cosa ti salta in mente?” le chiedo, mentre Hitomi si massaggia il punto colpito, “Guarda che non si attaccano le persone alle spalle.”

Mana abbassa gli occhi, il ciuffo che li copre leggermente, ed evita di guardarmi in viso, mentre sussurra appena, “Non lo so. Mi ha dato fastidio.”

Queste sono le ultime parole della nostra pausa pranzo, prima che la campanella suoni richiamandoci tutti di nuovo ai nostri posti, condannati ad un'altra, lunga ora di lezione prima di poter fuggire da quest'aula dalla calura infernale e recarci a casa di Hitomi per imbarcarci nell'impresa titanica di riuscire a preparare una ragazza disperata e priva di nozioni, nello spazio di soli tre giorni, agli esami del trimestre: un miracolo, più che una sfida. Ma se c'è una cosa di cui sono sicuro, è che se deve accadere qualcosa di prodigioso, le persone adatte a compierlo sono quelli che lei stessa ha riunito nella Nuova Arcana Biblioteca dell'Eterna Oscurità. E, anche se ho smesso con le fantasie della sindrome di seconda media da un bel po', non posso che chiudere gli occhi per un secondo e formulare un incantesimo di fortuna, nella speranza che essa ci aiuti nel triste avvenire.

Quando la campanella finalmente emette il suo penetrante e metallico suono, io e Hitomi siamo i primi ad uscire dall'aula; mentre attendiamo che gli altri ci raggiungano, ci sediamo sulle panchine del cortile, il sole estivo che non vuole darci nemmeno un secondo di tregua, il cielo talmente terso da ferire quasi gli occhi con il suo azzurro così splendente, privo di imperfezioni, senza alcuna nuvola. Una giornata talmente perfetta non solo è quasi irreale, ma sembra invitarci a risparmiare le energie, piuttosto che camminare sotto il sole per poi crollare sui libri a studiare. Sposto cautamente lo sguardo su Hitomi, che sta poggiata allo schienale con un'espressione assente stampata in viso, e una lattina di cola nella mano destra, che si porta delicatamente alle labbra per berne un lungo sorso, senza alcuna pietà della mia bocca riarsa dalla calura.

Come intuendo i miei pensieri, i nostri sguardi si sfiorano e la sua faccia si illumina di colpo; tende la lattina verso di me, inclinandola appena così da farmi vedere il liquido scuro e fresco al suo interno muoversi secondo il leggero roteare del suo polso, “Ne vuoi un sorso?” mi chiede, rivolgendomi un sorriso ancora più ampio di quello della pausa pranzo, “Prima che gli altri arrivino e si facciano strane idee.”

“C-come?” faccio fatica a deglutire, sia per la gola secca ed impastata, sia per l'improvviso battito accelerato che ha preso il mio cuore. Per quanto possa darmi dello stupido, la mia mente non riesce a processare del tutto quello che sta accadendo davanti ai miei occhi.

“Non farti strane idee. È solo per aver mantenuto il segreto con gli altri compagni di classe,” spiega, picchiettando l'indice sul bordo della lattina, e producendo un sordo rumore di alluminio contro la sua unghia, ricoperta di un pallido smalto colore violaceo.

“Gli altri della Biblioteca lo sono venuti a sapere comunque...” sospiro, allungando la mano verso la bevanda offertami come un dono dal cielo, esattamente con la stessa avidità di un disperso in mezzo al deserto, “Mi dispiace per quello. Avrei dovuto stare più attento a parlarne con Mana.”

“Non potevi farci nulla. E poi, mi hai anche ascoltato e per poco non ti ho fatto ritardare a lezione. È il minimo.”

Vinco ogni resistenza, e dopotutto sono troppo assetato per poter rifiutare un così generoso dono del cielo. O di Hitomi, in questo caso. Stringo la lattina, e la piacevole sensazione di freddo che si allunga per il mio braccio mi rinfranca per qualche secondo, scacciando l'afa dal mio corpo, “Allora, grazie mille,” esitando, con ancora qualche dubbio, ma troppo spossato dalla sete per badarci, avvicino la lattina alle labbra e…

“FERMO!” un colpo deciso di mano me la strappa dalle dita, scagliandola a rotolare a terra e rovesciando tutto il prezioso contenuto; la cola gocciola penosamente sull'asfalto, quasi sfrigolando al contatto, e io non posso che rimanere completamente immobile ad osservare quel dolce elisir, la mia salvezza, completamente sprecato, come se mi stesse beffardamente ridendo in faccia. Con un movimento meccanico del collo, la mia attenzione passa lentamente dallo sfacelo della bevanda rovesciata, all'autrice sconsiderata di quel gesto folle ed insensato – una voce che riconoscerei tra migliaia. Mana emette un profondo sospiro di sollievo, quasi come se mi avesse appena salvato per un pelo, ed annuisce compiaciuta tra se e se per l'intrepida azione che mi ha negato un sacrosanto momento di refrigerio.

“Si può sapere perché lo hai fatto..?” sussurro, disperato, incapace perfino di provare rabbia per questo gesto inconsulto, mentre tento vanamente di stringere l'aria, il vuoto, poco prima occupato dalla lattina.

Lo sguardo interrogativo di Mana è quello di chi non comprende come gli altri non intuiscano il motivo di un'azione talmente sconsiderata, o insensata ai miei occhi. Hitomi, dal canto suo, sembra esattamente confusa come me, e quando Mana nota che nessuno di noi riesce a capire, estrae il suo quaderno degli appunti arcani, sfogliandolo concitatamente sotto i nostri sguardi curiosi di una spiegazione plausibile, finché non raggiunge la pagina che cerca, aprendola fieramente davanti a noi con un, “Non è ovvio? Ora capite, vero?”

Il capitolo si chiama -Veleni e Filtri- ed è una copiosa raccolta di intrugli totalmente inventati dagli effetti osceni e talmente crudi nella descrizione, da darmi un improvviso impulso di vomitare i rimasugli del pranzo; trattenendo l'istinto di rimettere, indico debolmente la pagina aperta sul Kurokemono, che l'elegante scrittura gotica di Mana descrive come un potente veleno infettivo dal colore nero che divora il suo possessore, rendendolo una parte dell'Ultimo Oscuro, una creatura di qualche tipo di cui serbo un vago ricordo. In pratica, lei ha fatto tutto questo perché… credeva che della cola fosse un veleno.

Mi porto le mani al viso, completamente rassegnato, e limitandomi ad emettere un sospiro di una tale intensità, da lasciarmi praticamente senza aria nei polmoni. Hitomi, invece, ha già la bocca aperta per protestare, quando Haruhiko compare alle nostre spalle, la borsa in spalla – dove diavolo ha messo quella in cui teneva le bottiglie?! – che gli dà un colpetto sulla testa come per calmarci, con l'aria intransigente del capoclasse, “Allora, avete finito di fare i bambini, voi tre? Piuttosto, Mori. Dov'è casa tua?”

“Ah, non preoccupatevi di quello,” Hitomi si alza in piedi, ed estrae il cellulare dalla tasca, “Due minuti e saremo lì.”

“Abiti così vicino?” chiedo, mentre tengo sotto occhio Mana che si è seduta vicino a me con aria rattristata, tirandomi appena la manica per richiamare la mia attenzione. La sua espressione è talmente affranta che non me la sento nemmeno di tenerle il broncio, e dopotutto fino ad ora non ho avuto nemmeno l'idea di litigare con lei, per quanto mi abbia trascinato nelle situazioni più assurde; quella, dopotutto, è stata solo un'altra delle sue fantasie ed io la capisco fin troppo bene. Forse è per questo che non riesco ad arrabbiarmi, nonostante tutto. In fondo, sento quasi di divertirmi, quindi le do un buffetto amichevole alla guancia, e torno a concentrarmi sulla risposta di Hitomi, che scuote la testa, “Non troppo distante da qui.”

“Andiamo, allora, non abbiamo tempo da perdere,” risponde Haruhiko.

“Sono questi i momenti in cui vorrei poter usare il Teletrasporto...” sospira Hitomi, mentre ci allontaniamo dalla panchina.

“Ah, posso fare io, se volete...”

“No, Mana, non serve, stava scherzando.”

“Oh.”

Mentre ce ne andiamo, Mana rimane indietro. Sta in piedi di fronte alla lattina, come se esitasse a toccarla. Una singola nuvola passa, in questo momento, a coprire il sole, oscurando con la sua ombra il cortile, e in quel preciso istante è come se la sua intera figura si fosse fatta più scura. Ed è solo ora che noto l'espressione ancora malinconica sul suo viso. Non si accorge nemmeno che le sono arrivato al fianco, finché non le poggio la mano sui capelli, scompigliandoglieli appena, facendoli ondeggiare alla luce del sole che riprende a farsi spazio, fino ad investirci nuovamente con la sua calura.

“Tutto bene?” le chiedo.

Annuisce, “Stavo solo… pensando.”

“A cosa?”

Improvvisamente, come se questa innocente domanda avesse infranto qualcosa, sembra tornare di colpo in sé, perché scuote la testa e tende la mano con il cerchio magico verso il cielo, “A come affrontare il terribile mostro che si cela dietro agli Esami, non è ovvio? E se aumentassi la mia capacità di Vedere oltre il Velo? Pensi che potrei farcela?”

“Dovresti studiare seriamente, piuttosto. Andiamo, gli altri ci aspettano.”

La prendo per mano e, senza voltarmi, la trascino quasi di peso verso l'entrata della scuola, dove tutti gli altri stanno aspettando pazientemente il nostro arrivo – dopotutto, è principalmente per Mana che stiamo facendo tutto questo.

Se solo mi girassi, ora, potrei vederla che si tocca, con le dita tremanti, il punto dove l'ho accarezzata, e forse noterei anche come le sue guance si stanno tingendo di rosso.

Ma sono troppo schiacciato dall'idea terribile dello studio che si prospetta davanti a noi, per riuscirci.

Riuniti tutti al cancello, e dopo aver ascoltato un mezzo rimprovero di Haru sulla nostra lentezza, ci mettiamo tutti in marcia guidati da Hitomi, che ci indica la strada di volta in votla, un percorso abbastanza semplice da seguire, in realtà; Cinque minuti a piedi sono sufficienti per arrivare in una strada secondaria che non sembra diversa dalle altre che ho già visto, banalmente identica alle stesse in cui si trova la mia abitazione o quella di Mana. Mi sfugge solo la necessità di avere un muro laterale talmente ampio, che prosegue per una lunghezza impressionante, dove ci sarebbero potute essere delle altre case, ma non faccio domande, dopotutto l'urbanistica non è di mia competenza, ma è un dubbio che viene fugato dalla nostra guida poco dopo, quando ci fermiamo di fronte a quella che sembra essere nulla più che una semplice parte del muro stesso; si volta verso di noi, rivolgendoci un sorriso soddisfatto, come ad attendere le nostre reazioni – probabilmente molto diverse da quelle che si aspettava, perché Kazuhiro è il primo a riuscire a porle la fatidica domanda, data la palese confusione di tutti noi. “Per quale motivo siamo fermi qui davanti?”, chiede Ogawa senza riuscire a nascondere un tono dubbioso, come se si aspettasse una sorta di gioco di prestigio da un momento all'altro.

Ma la risposta di Hitomi non fa altro che lasciarci ancora di più nel dubbio, visto che dal suo sguardo siamo noi che non riusciamo a capire qualcosa di tanto ovvio, “Come perché?”

“Ogawa si è espresso male,” interviene pacatamente Haruhiko, “Volevamo sapere dove hai lasciato il cerv—” Io e Makoto siamo abbastanza veloci da tappare la sua bocca prima che la sua affermazione dia il via ad un'altra lite, combattendo strenuamente contro il suo agitarsi, e riusciamo a soffocare le sue parole in un basso mugolio indistinguibile. Una occhiata di supplica a Nao è sufficiente a farla intervenire, prima che la situazione precipiti ancora di più.

“Perché siamo fermi davanti a questo muro.”

“Ah, giusto. Non ve l'ho detto. L'ingresso è più avanti, venite.”

Per qualche ragione, ho come l'impressione che fosse solo una messinscena per rendere ancora più impressionante lo spettacolo che ci si presenta dopo aver mosso qualche altro passo fiancheggiando il muro, sul quale si apre improvvisamente un grosso cancello in ferro battuto e finemente decorato con motivi simili a quelli che ho visto nelle mie ricerche sull'arte occidentale greca, ai tempi in cui ne studiavo la mitologia per soddisfare la mia sete dell'occulto generata dalla sindrome; e, al di là del cancello, si apre un lunghissimo viale alberato circondato da un prato come l'ho visto solo nelle foto di alcune ville nobiliari della vecchia Europa. Tuttavia, ciò che cattura davvero l'occhio, è l'edificio elegantemente sfarzoso che si innalza sul fondo, stagliandosi fieramente contro il cielo terso, una architettura dalle reminiscenze occidentali che, seppur di soli tre piani, ruggisce fierezza e stato sociale elevato da ogni suo mattone.

“Benvenuti a villa Mori! Fate pure come se foste a casa vostra,” sorride tranquillamente Hitomi, come se non ci stesse mostrando nulla di speciale. Non riesco a capire se si tratti di falsa modestia, o se effettivamente sia convinta che non ci sia nulla di esagerato o di incredibile da sfoggiare – in entrambi i casi, non sembra comunque che il suo scopo fosse impressionarci per appagarsi del nostro stupore. Nessuno di noi è riuscito a trattenersi dal rimanere a bocca aperta di fronte a quell'improvvisa apparizione nel mezzo di un quartiere qualsiasi. Perfino il muro che abbiamo visto, è parte stessa della casa, la sua recinzione che delimita il giardino dalla strada.

“Su, venite, non abbiamo molto tempo, vero Nishimura?” sogghigna, ammiccando verso Haruhiko, che tenta di ricomporsi dallo stupore in una frazione di secondo, assumendo nuovamente la sua espressione seria da capoclasse. Mentre attraversiamo il vialetto, con la ghiaia che scricchiola sotto le suole delle nostre scarpe, all'ombra ristoratrice degli alberi che lasciano filtrare solo qualche occasionale raggio di sole, noto l'espressione dubbiosa di Mana, come se qualcosa non andasse e la disturbasse. Vorrei non doverle chiedere nulla, ma semplicemente non riesco ad ignorarla, quindi le do un colpetto alla spalla per richiamare la sua attenzione, “Qualcosa non va?”

“Questa casa… è protetta da numerosi incantesimi. Il mio Occhio Demoniaco potrebbe essere impossibilitato a sfruttare il suo pieno potenziale,” mi spiega con un'espressione talmente seria che se non fossi abituato alle sue fantasie, probabilmente finirei quasi per dare credito a quello che mi sta cautamente sussurrando, “In caso di attacco del nemico, dovremmo disattivare le protezioni, solo in quel modo riuscirò a combattere. Pensi di potercela fare?”

“Siamo qui per riuscire a farti passare gli esami, non per...” mi passo una mano tra i capelli, quando noto il suo sguardo pieno di aspettativa, non me la sento di spegnerlo in questo modo; quindi mi mordo la lingua per trattenermi e, preparandomi a dare uno scossone a quella parte di me che si vergogna terribilmente del suo passato, annuisco e mi piego verso di lei, per sussurrarle il mio piano, “Mi basterà attivare la Black Zagan e incanalare Zafkiel verso il nucleo delle difese. Quindi, mi raccomando, tenta di individuarlo.” È come se qualcosa di agitasse dolorosamente in me, mentre lo dico, ma è una sensazione che sparisce nell'istante stesso in cui sul volto di Mana si apre un sorriso entusiastico per la mia risposta, “Certo. Farò subito, vedrai,” stringe le piccole mani in due pugni di determinazione, “Lo individuerò senza alcun problema.”

L'idea geniale mi attraversa come una scarica elettrica. Mi congratulo con me stesso anche solo per aver partorito questa geniale intuizione; mi sembra quasi di raggirarla, sfruttandone l'innocenza, ma dopotutto a mali estremi, estremi rimedi – e visto com'è disastrosa la sua situazione, ogni mezzo è valido. Per cui...

“Ah, Mana,” aggiungo, quasi come se si trattasse di un dettaglio secondario, “Voglio stringere un patto con te. Allora, ecco...” mi schiarisco la voce, in modo da farla suonare nuovamente come quella del Nightmare Edge, decisamente più sprezzante e cupa del mio normale tono, “In nome del nero Abisso che tutto divora, se riuscirai a studiare per i test, e a passarli tutti...” tendo il braccio in avanti, dopo un gesto esageratamente teatrale, “Ti concederò un frammento del mio potere!”

Nella mia testa, suonava decisamente migliore. Forse pretendo troppo, nello sperare che ceda davvero ad una scusa banale come questa; chiunque si accorgerebbe che è una bugia creata con il solo di—

“Davvero?!”

“Ah… certo.”

“Giuramelo!” si pianta davanti a me, le braccia sui fianchi, un piglio deciso come non l'ho mai visto sul suo volto, una volontà talmente bruciante da minacciare quasi di scottarmi. Senza mostrare alcuna esitazione, annuisco, coprendomi la parte destra del viso con la mano sinistra, e sforzando il viso un ghigno di superiorità, “Ho mai mentito, forse?”

“Allora...” mi afferra la mano e, abbassando la testa, in modo che i nostri occhi non si incrocino, “Giura,” le nostre dita si incrociano, mentre insiste, con voce talmente fievole da non riuscire nemmeno ad udirla, “che mi darai il tuo potere.”

“Lo giuro sul nostro patto.”
A quelle parole, la sua presa si fa un po' più forte. I suoi occhi si illuminano di colpo, “Allora farò del mio meglio, Nightmare Edge!

“Mi raccomando, allora. È una promessa.”

Non so nemmeno io perché la stia prendendo così seriamente. Forse perché ho visto quanto lei ci tenga, o forse perché è difficile vederla illuminarsi così. Fatto sta, che ora spero davvero di poter adempiere a questo giuramento che ci siamo scambiati. Quindi, ora più di prima, dovrò mettere tutto me stesso per aiutarla a superare questi esami.

Prima che gli altri ci richiamino, ci accodiamo di nuovo al gruppo, raggiungendo Makoto e Kazuhiro, gli ultimi della fila, il cui sguardo perplesso è ovviamente rivolto verso Hitomi e Haruhiko che stanno ancora discutendo sui risultati che otterranno, utilizzando termini abbastanza inadeguati per un contesto scolastico, come “annichilire”, “distruggere”, “fare a pezzi”, o “ridurre a una manciata di inutili atomi fluttuanti nel nulla cosmico”. Anche i migliori, quindi, a modo loro, sono stressati da questi esami, alla fine; spero solo che passino in fretta, in modo che la competizione tra quei due si spenga e il loro rapporto torni a normalizzarsi. Ogni volta che li guardo, è come se osservassi uno scontro tra due titani in grado di spazzarci via tutti e onestamente non è uno spettacolo a cui voglio assistere.

L'interno della magione di Hitomi non ha nulla da invidiare all'esterno e, pur non ostentando un lusso sfrenato, non posso che sentirmi un intruso qui dentro. La sensazione persiste anche quando saliamo al secondo piano, seguendo la padrona di casa che fa strada, impegnata con Haruhiko a scrivere qualcosa su un foglio con una dedizione quasi demoniaca, al punto che mi sembra di poter vedere uno scintillare sinistro nei loro occhi, come accesi da una sorta di malvagità furiosa; riesco vagamente ad immaginare di cosa si tratti e, se la mia ipotesi è giusta, non posso reprimere un brivido lungo la schiena. Deglutisco a vuoto, mentre rivolgo a Mana un'occhiata di sottecchi, ovviamente trovandola ignara di quella fatalità si sta per abbattere su di lei. Forse, pensandoci meglio, non è stata una così buona idea affidarsi a loro…

La camera di Hitomi è… stranamente normale. Mi aspettavo qualcosa più in tema con il resto dell'abitazione, e quindi decisamente più sfarzoso, ma in realtà è solo molto ampia ed il letto è a due piazze, decisamente troppo grande per una sola persona. Per il resto, non ha nulla di insolito o troppo diverso da una qualsiasi altra camera da letto. Ci sediamo attorno al tavolino messo appositamente al centro della stanza, sopra ad un tappeto da un vago color viola incredibilmente soffice, i libri già impilati davanti a noi. L'espressione determinata sul viso di Mana mi scalda il cuore, perché so benissimo quanto stia prendendo seriamente la sua promessa, ma allo stesso tempo mi preoccupa la sua preparazione attuale e le misure disperate che richiederà.

Haruhiko si schiarisce la voce, e questo è tutto quello che basta per far calare il silenzio tra noi, tutti in attesa di quel che sta per accadere, pronti ad udire il suo giudizio, opportunamente vagliato per una situazione tanto buia come quella di Mana. Nella sua mano destra c'è un foglio, anzi una tabella perfettamente divisa per ore, argomenti e giorni – un piano perfettamente congegnato di studio matto e disperatissimo necessario a far raggiungere a Mana un livello sufficiente a sopravvivere agli esami. I miei occhi si spalancano di fronte a quella schiacciante e fitta mole di lavoro che lascerebbe sfinito chiunque, figuriamoci una come lei che vive distaccata da questa realtà e immersa nelle sue fantasie, rinnegando il mondo e preferendogli quello di magia e irrealtà. Io che ho studiato con lei, so benissimo quanto sarà dura seguire quel programma, ma… la guardo. Non l'ho mai vista così pronta per qualcosa, così carica di aspettativa e volontà, e questo accende in me una flebile speranza. Forse possiamo farcela.

No, dobbiamo farcela.

“D'ora in poi, per i prossimi giorni, tu non sarai più un essere umano.”

“Piantala, Nishimura, così le metti paura...”

Il primo scambio di battute tra Hitomi e Haruhiko non è per nulla rassicurante, ma Mana non ne sembra eccessivamente turbata, perché inizia a sghignazzare a bassa voce, incrociando le mani di fronte al volto con un gesto di superiorità agghiacciante, “L'Occhio Demoniaco non ha di certo paura di affrontare un ostacolo del genere. Lo spazzerò via senza alcun problema.”

Non credo che abbia del tutto afferrato la situazione, ma quanto meno sembra aver accettato di buon grado il fatto che verrà sottoposta ad un regime massacrante che, su carta, assomiglia più ad una tortura psicologica di qualche genere.

“In questo caso, ti assicuriamo che riuscirai a superare i test senza alcun problema,” Haru si aggiusta gli occhiali sul naso, mentre apre il primo libro che ha preso in man dalla pila di fronte a sé, storia moderna, “Acquisirai una conoscenza senza pari!”

L'espressione di Mana si accende di colpo all'udire quelle parole e balza in piedi tendendosi verso di lui, piegata a metà sul tavolino, “Una conoscenza senza pari?! Potrò lanciare incantesimi ancora più potenti?”

“Beh, no ma—” Haruhiko viene bloccato prima che possa terminare la frase da un calcio ben assestato di Hitomi sul suo piede destro, mettendolo a tacere di colpo; dalla sua bocca ancora aperta esce solo un gemito soffocato e si rannicchia a terra senza dire una parola, lasciando che Hitomi continui al posto suo, cogliendo la palla al balzo, “Ovviamente. Riuscirai a divenire esponenzialmente più forte, alla fine di questo intenso allenamento.” Mi fa un segno di vittoria, sorridendomi, ed io le rispondo annuendo con gratitudine.

“Lascio tutto nelle vostre mani...” le dico, quando mi si siede accanto, “E sei stata davvero pronta a risponderle in quel modo. Sicuramente ora sarà ancora più motivata di prima.”

“Ho solo fatto quello che fai anche tu di solito, no?” mi risponde, “Piuttosto, tu non hai bisogno di aiuto?”

“Mh? No, sono a posto così. Anche se...” do un colpetto con la penna alla pagina di un problema di matematica sul libro e che ho tentato invano di risolvere inutilmente nei giorni precedenti, “Non so come proseguire, da qui.”

“Oh, è semplice. Basta che fai così… e così… chiaro?” dopo aver scritto rapidamente delle note al lato della pagina, alza la testa ad incrociare i nostri sguardi, in attesa di una conferma.

“Sì… sì, è vero. Che stupido, e pensare che ci ho messo così tanto. Grazie, Hitomi. Sei molto più gentile di quanto tu voglia far vedere, eh?”

Abbassa di colpo gli occhi, scuotendo la testa, “E questo da dove esce? Sei quel tipo di persona che aspetta che una donna abbassi la guardia, prima di attaccarla?”

“Ma cosa stai dicendo?”

Ancora confuso, non mi accorgo di Mana che sopraggiunge alle mie spalle, gettandosi addosso alla mia schiena e facendomi cadere in avanti, con la faccia dritta sul suo quaderno che mi ha prontamente messo in faccia per mostrarmi una pagina fitta di domande… e una valutazione di Haruhiko in un angolo. Sessantadue su cento.

Non riesco a credere che, in a malapena qualche ora di studio, sia riuscita a fare passi da gigante. È passata dallo scrivere che la crisi economica era dovuta alla guerra con i Sovrani dell'Abisso a saperne perfino la data di inizio. L'entusiasmo e la felicità che le dipingono il viso, non posso che sentirli specchiarsi in me. Non posso che ridere insieme a lei di quel risultato.

“Allora, Nightmare Edge, che ne dici? Sto mantenendo fede al nostro patto,” sorride trionfante, mettendosi in piedi e stringendo il quaderno con orgoglio, “proprio come ti avevo detto.”

“La battaglia è appena iniziata,” le do un buffetto sulla testa, “Ma sembra proprio che, procedendo così, dovrò darti una parte del mio potere.”

“Sarà un gioco da ragazzi, per l'Occhio Demoniaco!” e, lanciato questo proclama, dopo aver assunto la sua solita posa, se ne scappa via trotterellando verso Haruhiko che la sta richiamando per continuare la sessione di studio; sono sicuro che sia sgattaiolata via solo per mostrarmi l'esito di quel test. Era così felice, dopotutto, che sono sicuro lei stessa non ci abbia creduto all'inizio.

“...Un po' la invidio,” sussurra Hitomi alle mie spalle, affiancandosi a me, “—Perché altrimenti rimarrebbe sola, eh?”

Mi volto verso di lei, con ancora il mio libro tra le mani, e le lancio un'occhiata interrogativa, “Come?”

“Non importa. Piuttosto,” mi ridà il libro, “Togliti quel sorriso dalla faccia, abbiamo molto da fare.”

Sto sorridendo?

Non me ne ero reso conto.

 

Quando arriviamo a casa, manca poco all'ora di cena. Il cielo si è imbrunito ed i lampioni gettano la loro pallida luce sul marciapiede. Passiamo sotto quel tenue bagliore, entrambi con l'aria esausta di chi ha passato un intero pomeriggio a lavorare senza sosta. Paradossalmente Mana, che dovrebbe essere la più stanca, non sembra essere messa peggio di me, nemmeno dopo che Haruhiko e Hitomi l'hanno tenuta sotto uno stretto regime di studio che l'ha portata a raggiungere dei risultati incredibili in così poco tempo. Non voglio sapere con esattezza come e secondo quale schema abbiano lavorato, perché probabilmente mi sentirei mancare solo pensando a qualcosa di simile, eppure sono sicuro che si tratti di qualcosa decisamente più impegnativo del semplice risolvere problemi. Tra l'altro, Kazuhiro mi ha aiutato più di una volta, e quindi non ho nemmeno fatto tutto da solo.

Grimoire Master si è raccomandato di continuare a studiare il più possibile per non rimanere indietro nella tabella di marcia,” dice lei, quando arriviamo di fronte a casa sua, “Spero di riuscire a farcela.”

“Cerca di non fare troppo tardi, va bene?” mi sistemo meglio la cartella sulle spalle doloranti, ed alzo lo sguardo verso casa sua. È buia, come al solito, senza nemmeno una luce, come se non vi abitasse nessuno al di fuori di lei. I suoi genitori sono davvero poco presenti… è come se non ci fossero. È qualcosa che posso capire solo in parte, ma a cui non sono del tutto estraneo, visto quanto poco riesco a vedere mio padre. A volte, vorrei chiederle cosa facciano, ma è un argomento che mi passa sempre di testa, impegnato come sono a starle dietro in tutte le sue stravaganze e nelle sue immagini surreali della realtà.

Anche questa sera… sarà da sola?

“Vuoi venire a cena da me?” le chiedo, indicando casa mia alle spalle, “Non credo che sarebbe un problema.”

Sembra pensarci su per qualche istante. Si morde le labbra e torce le dita, mentre riflette, prima di scuotere la testa con poca convinzione, e sussurrare un no a bassa a voce. Non sembra del tutto convinta, e non posso costringerla a venire da me, ma per qualche ragione non riesco a sopportare l'idea che stia da sola. Dopotutto, l'ho detto anche ad Hitomi qualche tempo fa, che sono accanto a lei perché mi sembra di essere l'unico a capirla. Perché non voglio che rimanga in solitudine. Schiocco la lingua con tutto il mio disappunto, prima di annuire in risposta, e voltarmi, salutandola, “Ricorda che io ci sarò sempre,” le dico, dopo averle dato le spalle, con una voce tanto bassa che forse riesco ad udire solo io, “per qualunque cosa.”

Per un istante, mi sembra che tutto sia caduto nel silenzio. Serro i pugni nelle tasche, senza aggiungere altro, senza attendere una risposta, muovo il primo passo verso il cancello di casa mia che, pur stando dall'altra parte della strada, mi appare in questo momento così terribilmente lontano.

“Minato.”

Mi paralizzo. È come se il mio intero corpo fosse stato attraversato da una scarica elettrica e, per un istante, l'incredulità è talmente forte da non lasciarmi nemmeno spazio per riuscire a capire del tutto quel che è appena accaduto.

Mi ha chiamato… per nome?

Non con il titolo che mi sono dato a causa della mia sindrome di seconda media, ma con il mio nome vero e proprio.

“Mh?” mugugno, voltandomi nuovamente verso di lei, le mani ancora in tasca, e lo sguardo fisso verso l'asfalto, verso le mie scarpe, come se avessi paura di incrociare il suo. Che voglia dirmi qualcosa di importante? Qualcosa che fino ad ora non mi ha rivelato? Mi sento nervoso. Terribilmente nervoso. È qualcosa di… tanto serio?

“—Non ho idea di come fare per letteratura.”

“...Eh?”

Il suono che esce dalla mia bocca risuona nella strada priva di suoni, nel suo silenzio quasi spettrale, e Mana abbassa lo sguardo imbarazzata, “Domani Grimoire Master mi chiederà di fare il test di letteratura...” mi lancia un'occhiata di supplica talmente comica da farmi scoppiare a ridere sul posto, abbastanza da dovermi tenere per qualche secondo lo stomaco, mentre le faccio cenno di non preoccuparsi.

“Ti aiuterò io, per questa volta,” le rispondo, dopo aver fatto qualche respiro profondo per calmarmi. Con un cenno di assenso pieno di gratitudine, Mana si volta a spingere il cancello di casa sua, facendomi cenno di seguirla.

Dopo aver frugato per qualche secondo nella borsa, ne estrae tre chiavi strette attorno ad un anello nero, sul quale riesco a distinguere dei caratteri runici incisi di un colore ambrato che riluce appena nella semioscurità. Dopo aver trovato quella giusta, la infila nella serratura ed apre la porta con uno scatto, su un ingresso lasciato nel buio, senza una minima fonte di luce a rischiararlo. Mana entra per prima, togliendosi le scarpe, e accende l'interruttore posto accanto all'uscio, salutando sottovoce con un flebile, “Sono a casa” senza ricevere ovviamente alcuna risposta.

Casa sua è leggermente più grande della mia, ma non sembra molto diversa. Mi tolgo anche io le scarpe e la seguo, “Scusate per l'intrusione,” dico ad alta voce, ovviamente senza rivolgermi a qualcuno in particolare, dato che l'intera abitazione sembra deserta, come se nessuno vi sia entrato da questa mattina. L'unica cosa fuori posto, è una sedia in cucina leggermente spostata, probabilmente quella usata da Mana per mangiare prima di uscire per andare a scuola. Le altre due sedie lì attorno sono invece perfettamente al loro posto.

“Sei pronto ad entrare nell'oscurità?”

Sobbalzo quando lei si ferma di colpo di fronte ad una porta chiusa, senza voltarsi verso di me, dandomi solo la schiena minuta. Allunga la sua mano verso la maniglia e sembra quasi carezzarla, mentre la sfiora, il dorso della sua mano che riluce appena con la sua fosforescenza nel buio del corridoio dove ha lasciato la luce spenta, senza alcun dubbio per rendere tutta questa messinscena più teatrale.

“Una volta entrato, non potrai più tornare indietro.”

“Guarda che stiamo solo entrando in camera tua.”

“No, questo portale è un collegamento con le Fauci del Primo Peccato e—”

Apro la porta di scatto con un gesto secco del braccio, stringendo la sua mano che era già poggiata sulla maniglia, rivelando, per l'appunto, una piccola stanza da letto che letteralmente straripa di ogni sorta d'oggettistica concepibile dell'occulto, fantasy e gotica. Modellini di spade, pistole, pile di libri dall'aria antica, probabilmente edizioni speciali di qualche collana di dark fantasy, disegni di creature o cerchi magici su tutte le pareti, ed una invidiabile collezione di peluche sul letto, una quantità tale di oggetti da rendere praticamente impossibile muoversi liberamente. In un certo senso, non scherzava quando ha detto che non si può tornare indietro.

“Quanta roba hai qui dentro?” tento di arrivare fino alla scrivania senza calpestare nulla, rischiando più di una volta di inciampare in qualche strano vaso e di finire impalato su una riproduzione di qualche lama. Molte sono disposte disordinatamente sul pavimento, ma ce ne sono una decina che invece sono accuratamente poggiate su una sorta di rastrelliera da parete, e sono proprio quelle ad attirare la mia attenzione, e non perché, mentre mi avvicinavo, scivolando su una boccetta vuota di una pozione, ho rischiato di finirci contro, ma perché piuttosto tra di esse ho riconosciuto… “Ma è la riproduzione identica della DarkFang! È meravigliosa, guarda i dettagli, le rune, sono perfette, ed il manico, guarda com'è lavorato finemente, questa è arte! Ti sarà costata tantissimo, ho saputo che è prodotta in edizione limitatissima e solo poche sono state donate a dei fortunati vincitori di un concorso speciale. Ovviamente io non ho vinto.”

“Uhm, puoi provarla, se vuoi...”

“Posso?!” il mio tono entusiasta sembra accendere anche lei, che annuisce vigorosamente prima di avvicinarsi alla rastrelliera, facendomi cenno di allontanarmi, perché deve togliere l'incantesimo protettivo. Mentre la sento che mugola un mantra, il mio sguardo è totalmente assorbito da quell'arma che ho sempre desiderato, fin da bambino, e sulla quale ho a lungo fantasticato, quindi poterla stringere tra le mani è come, per un istante, tornare ad essere il me della sindrome, il vero Nightmare Edge.

Quando ne sento il peso, non posso fare a meno di menare un paio di fendenti per saggiarla, prima di poggiarla sulla mia spalla in una posa teatrale che rapisce lo sguardo di Mana. Quando lo sento su di me e la vedo osservarmi assorta, torno immediatamente cosciente di me stesso e le porgo la spada con una sorta di silenzioso imbarazzo, mugugnando un semplice grazie.

“Per un momento,” ride, prendendo l'arma dalle mie mani e rimettendola al suo posto con uno scatto metallico dell'anello che la sostiene, “Mi sei sembrato pronto per combattere chiunque, perfino l'Antico. Proprio come mi aspetto dal Nightmare Edge.”

“Non dovremmo studiare, piuttosto?”

Il rumore che tuttavia proviene dal mio stomaco, seguito dopo un solo istante da quello di Mana, ci avverte che effettivamente ci stiamo dimenticato dell'ora. Presi come eravamo dalle nostre faccende, non ci siamo resi conto che l'ora di cena è passata da almeno mezz'ora e che ancora non abbiamo mangiato niente.

“Vuoi che sia io a cucinare?” chiedo, mentre entriamo nella stanza semibuia che ho intravisto prima, e la osservo mentre cerca all'interno del frigorifero con sguardo corrucciato. Quando mi sente, si volta a guardarmi con aria meravigliata, e gli occhi che brillano, “Sai cucinare?!”

“Un po'. Posso fare del curry, se vuoi.”

La sua espressione si spegne subito e inizia a strusciare l'una contro l'altra le gambe, come se qualcosa la mettesse a disagio. Non sembra voler parlare, quindi non mi resta che avvicinarmi io stesso al frigo nonostante lei tenti debolmente di prendermi per la manica, solo per scoprire che… è vuoto. Completamente vuoto, senza nulla al suo interno e talmente asettico da sembrare mai utilizzato. Capisco la mania della pulizia, ma qui si esagera… “I tuoi non ti hanno lasciato nulla?” le chiedo, dopo aver richiuso la porta su quella tristezza ed essermi seduto, “Cosa mangi di solito?”

Silenziosamente, allunga la mano verso la credenza e, davanti al mio sguardo stupito, la apre rivelando una pila di cibo precotto; ne prende due confezioni, e le poggia tristemente sul tavolino insieme alle due bacchette chiuse in una bustina di carta usa e getta. Quel cibo in scatola poggiato sul tavolino illuminato dalla smorta luce del lampadario, consumati nella solitudine di questa casa semibuia, sono la sua cena. Stringo i denti, imprecando contro quei genitori invisibili che se ne sono andati da qualche parte, lasciando Mana da sola, scaricandola qui dentro con del cibo preconfezionato. In me, monta della rabbia. Una rabbia che non riesco a sopprimere, ma che muta rapidamente in tristezza quando lei si siede accanto a me e, con sguardo vuoto, quasi rassegnato, apre la piccola confezione di ramen, versandoci dentro dell'acqua calda preda da un thermos.

“—è sempre così?” devo prendere tutto il mio coraggio per riuscire a farle la domanda.

Annuisce malinconicamente, mentre si porta alla bocca quegli spaghetti smunti e penzolanti, che grondano gocce colorate di spezie, succhiandoli nella bocca. “Non è colpa loro,” mi sussurra, come se stesse leggendo nella mia mente, “Stanno facendo qualcosa di più importante.”

“Più importante di te?”

“Stanno combattendo l'Antico.”

Cosa vuol dire? È così che vedi questa situazione? Perché… perché sei così sola? Ti sta bene così? Per questo non me lo hai mai detto?

—Sei così abituata ad essere sola?

“M-Minato?”

Non so quando l'ho abbracciata. Non so quando l'ho stretta con tutta la mia forza. Ma so che, ora più di ora, non voglio che rimanga in questa solitudine. Se non ci fossi io, sarebbe sola? Non lo so. So solo che, ora che è qui con me, non voglio più che passi un'altra serata così, in questa casa vuota, senza nessuno, con solo se stessa.

“Scusami,” sussurro a bassa voce, “Non ti lascerò più sola.”

“...Mh.” Ricambia il mio abbraccio, e sento le sue braccia sottili che stringono la mia testa, mentre, a bassa voce, con il volto poggiato nella mia spalla, sussurra tenue “Grazie, Minato.”

Non dirò a nessuno quel che è accaduto stasera, né che io e Mana siamo rimasti stretti in quel modo per un tempo che mi è sembrato infinito, fluttuando lontano da questo mondo, in un luogo dove eravamo solo noi due.

L'unica cosa che posso fare, è mentire a chiunque mi chieda cosa abbia fatto questa sera e pregare che Mana faccia altrettanto.

Sarebbe troppo imbarazzante, mi dico.

In realtà, qualcosa in me sembra come volermi sussurrare che questo singolo ricordo perderebbe di valore, se scappasse dalle nostre labbra.

Dopotutto, è qualcosa che solo io so di lei.  

   
 
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