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Autore: Vago    02/05/2016    0 recensioni
Non avrei mai immaginato che quella lettera mi avrebbe portato così tanta sfiga.
Io sono stato chiamato per scacciare una bestiaccia e guarda in che posto sono finito. Non che mi dispiacciano le avventure, sia chiaro, ma se sono remunerate le preferisco...
Oh! Non mi sono ancora presentato! Voi potete chiamarmi Shadowfoot, sono uno splendido Halfling di novanta centimetri che per guadagnarsi da vivere si offre come avventuriero per mandanti paganti. Certo, nel tempo libero non me ne sto con le mani in mano, io provengo da un importante clan di ladri professionisti e, devo ammettere, me la cavo abbastanza bene nel mio lavoro.
Io, assieme ad altri sei non proprio perfetti avventurieri, ci troveremo a confrontarci con un mistero e una visione.
Questa è la nostra storia, la storia della compagnia dei 7 fratelli.
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La trama di questa storia non è mia, io sono solo il bardo che decanta le gesta compiute dai nostri personaggi grazie al master che allora ci ha fatto giocare.
Ora che i nostri ruoli si sono invertiti e che gli appunti di quel periodo si sono persi tra le pieghe del tempo, dubito che questa storia si metterà in pari con la meta allora raggiunta.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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 Padre Gavros

Qual strana sensazione… avverto come un occhio che scruta la mia anima e la mia mente, errante come non sapesse cosa cercar. Non importa, non mi farò coglier in fallo e alto manterrò l’onore dei servi di Pelor.
Tre uomini innanzi a noi. Bruti, a giudicare dall’aspetto.
Due maneggiano rozze spade, uno un arco, un semplice muro di legno mi divide da quelle armi. La loro armatura splende sotto la luce del sole al termine della sua corsa del dì.
Il monaco di razza mezzorchesca si volta verso la porta. I suoi occhi rossi guizzano tra le ante dell’ingresso e una finestra socchiusa da cui si intravede il melmoso viottolo dal quale siamo entrati.
- Voi continuate e scoprite perché questi uomini volevano avvelenarci. – ci dice Silverkin con voce prode – io distrarrò le guardie all’ingresso per lasciarvi una via di fuga. Ci rivedremo, se il destino vorrà. –
- Che la grazia di Pelor sia con te. – gli rispondo poggiandogli una mano sulla spalla gonfia di muscoli.
Il mezzorco si getta quindi dalla finestra, correndo freneticamente sul selciato, mentre gran clangore d’armature lo insegue da ben poca distanza.
Mi sposto d’un poco verso la ferita nella parete, evitando il sangue che copre le assi del pavimento.
Pover uomo, non è forse meglio morir in battaglia, di vecchiaia o per volere della Natura, piuttosto che sgozzato come un capretto sacrificale?
Innanzi a me, il rude barbaro solleva per la collottola l’archivista che crede di aver tutto sugli dei e il ladro dalle mani sporche di sangue. Che abbian trovato un piano d’azione?
Lo gnomo pare mormorar qualcosa, una preghiera, forse. Al suo comando una fitta coltre di nebbia si leva dal suolo, nascondendoci ai nostri nemici.
Seguo i miei compagni d’avventura, che corrono verso Nord. Poi, però mi fermo. Invoco la protezione del mio signore, implorandolo di far risuonare passi che si dirigon verso Sud, per far si che i nostri inseguitori ne siano depistati.
La coltre mi priva della vista per quelli che paion sei metri, ivi si dirada, permettendomi dunque di raggiunger i miei alleati e, con loro, la cinta muraria che alta si leva come per toccare il cielo. Un cielo cupo, ora che solo gli ultimi raggi del sole diradan le tenebre.
- Ora che facciamo? Quei tipi non ci lasceranno mai scappare. – dice l’Halfling grattandosi con gran foga le basette, mentre i suoi piedi ancora non toccano il suolo.
- Se il nostro Gruntu mi rimette a terra, vi posso esporre il mio piano. – gli risponde lo gnomo con voce sì squillante.
- VI dicevo. – riprende Bimp spolverandosi i pantaloni dalle molte tasche. – Perché mai dovremmo scappare? Quando siamo arrivati, da un lato della piazza la strada maestra continuava verso le mura, presumibilmente verso il portone d’ingresso. E dubito che, sera tarda com’è la porta della guardiola abbia lasciato entrare la notizia del tumulto che abbiamo provocato. Presentiamoci dunque al cospetto del signore di questa fortezza come ambasciatori di un regno lontano, in visita. Non potranno negarci ospitalità.-
Pelor, mio signore, ascolta la preghiera di questo tuo devoto. Proteggici, mentre ci addentriamo nella bocca del lupo e permettici di uscirne illesi dai suoi denti.
Proseguiamo verso Ovest, intravedendo la piazza del pozzo, ora deserta, dagli stretti vicoli laterali.
Sopra le nostre testa, lanterne ardenti seguono i passi delle guardie poste di vedetta lungo il muro di cinta.
Dinnanzi a noi, finalmente, si manifesta l’inferriata chiusa del portone principale e, lì accanto, un porticino rinforzato all’esterno da barre di freddo metallo.
Lo gnomo bussa tre volte e, al di là, una voce risponde al richiamo. – Chi va là? –
- Mi permetta di presentarci. Siamo un’ambasciata di una città del Sud. Io sono Ferdon di Calindor. Siamo arrivati così in tarda serata da non poter sperare nelle attenzioni del vostro signore, ma vi vorrei comunque chiedere ospitalità. –
- Calindor, hai detto? Non mai sentito parlare di un luogo che porta quel nome. –
- Posso immaginare. SI trova nel lontano Sud, oltre Neverwinter e le terre che vengono dopo. –
- Non posso negare ospitalità a un ambasciata. Avete il mio permesso di entrare. –
Oltrepassiamo quella soglia e metto in mostra il medaglione di Pelor sopra l’armatura che indosso.
- Vi devo chiedere di seguirmi. Prima di permettervi di accedere alle stanza dell’ambasciata dobbiamo fare tappa in un altro luogo. –
Detto questo la guardia si richiude alla spalle la porta, serrandola con un asse posto di traverso.
Non avremo fatto più di sedici metri che già si ferma innanzi a una struttura che pare una scuderia, mentre a lato ci giunge l’olezzo dello sterco di cavallo.
L’uomo entra nella scuderia, intimandoci di aspettarlo.
Al mio fianco, il barbaro, dimostrando la diplomazia tipica dei suoi pari, si gratta le natiche con gusto.
Scrutando nella semi-oscurità della struttura riesco finalmente a intravedere la nostra guida ripalesarsi alla luce delle lanterne, seguito da almeno due suoi compagni d’arme.
Avverto un sibilo alle mie spalle, ma il mio intelletto non riesce a spiegarselo in tempo da evitare che Gruntu venga trafitto due volte alle spalle.
L’imponente mezzorco crolla a terra, con un rivolo di sangue misto a saliva che sgorga dalle labbra verdi e squamose e l’impennaggio di due frecce che spunta dall’armatura.
I miei compagni si voltano, e io con loro, in direzione opposta al tragitto dei dardi.
Oh, grande Pelor! Dall’arco dal quale si può raggiunger il forte principale son giunti due arcieri, amici d’infanzia, mi fa intuire la postura e la fiducia che l’una pare riporre nell’altro.
La situazione, al momento, richiede l’uso della violenza. Mi chino sul corpo privo di sensi del barbaro e gli poggio una mano sulla spalla.
- Immenso Pelor, nemico delle tenebre, dona nuove forze a questo mortale così brutalmente ferito e fa sì che possa sanarsi. –
L’aurea verde della guarigione divina avvolge il mio palmo e le dita, trasferendo il volere del mio dio nel corpo di Gruntu, che si rialza in un secondo.
Con la coda dell’occhio noto l’Halfling lestofante che corre nell’ombra, non visto dai nemici che vanno a circondarci, fino a gettarsi in uno dei barili a lato dell’armeria.
La voce dello gnomo risuona nell’etere con aumentato vigore, frutto della sua magia, un misto tra quella impura dei maghi e quella celestiale degli dei, immagino. – Come osate? Io sono Ferdon di Calindor, voi come vi permettete di non solo negare ospitalità, ma anche colpire, degli ambasciatori del Sud? –
Una risata immonda prorompe dalle gole di coloro che ci sono davanti e dietro, mai mi capitò di udire cotanta follia da un solo suono.
Nuove guardie, intanto si riversano verso di noi dall’arco interno.
Un arciere, il più rapido ad incoccare a quanto pare, mi trafigge la spalla col suo dardo malefico, tempestando il mio corpo di dolore.
L’archivista, forte della sua magia, ordina all’uomo che mi ha colpito di gettarsi sull’altro e questi obbedisce, con gran sgomento dell’amico. Entrambi rovinano a terra, disarmati e confusi.
Il mago, scelto l’incantesimo dal tomo che si porta sempr’appresso, lancia una freccia incantata all’arciere immobilizzato dal peso dell’amico, che prorompe in un grido di dolore.
Il guerriero, sicuro di sé, estrae fluidamente la spada dal fodero che riposa al suo fianco, facendo poi fendere l’aria alla lama finché questa non si blocca contro il parabraccio della guardia che aveva guidato verso quella trappola mortale. La nostra guida, quindi, tenta di rispondere al colpo, ma la spada non riesce nemmeno a sfiorare l’armatura del mio compagno.
Un’altra guardie, ancora all’interno della struttura, tenta anch’essa un colpo in direzione del mezzelfo dai capelli neri, ma la stazza del collega lo intralcia a tal punto da render vano il colpo.
Gruntu, al mio fianco, non perde tempo a constatar la sua guarigione per opera mia, avventandosi con foga distruttrice sulla guida, ma l’intento di sfoderare al contempo l’ingombrante ascia bipenne lo impaccia sì tanto che l’unico a soffrir del colpo sia il muro in pietra dell’armeria.
Mi rendo conto che la situazione s’è fatta ardua per il nostro gruppo, mi accingo per cui, accompagnato dall’archivista, a raggiunger la porta della guardiola da cui ci han permesso di entrare. Non disdegno, però il brandir la mia mazza.
Shadowfoot, nel mentre, riaffiora dal barile in cui poc’anzi s’era nascosto e, grondante d’acqua dalla vita in giù si muove rapido all’ombra delle mura per poi per primo giungere alla porta, nostra salvezza.
L’arciere, superato il momento d’incertezza dovuto all’aggressione dell’amico, si rialza, pronto a scoccare nuovamente frecce dal suo arco.
Bimp ordina nuovamente al primo arciere di rigettarsi sul compagno, ma questa volta qualcosa pare protegger l’uomo dal controllo dello gnomo. Visto che nulla accade, l’archivista si precipita in direzione della porta.
Panmorn segue a ruota il gruppo, correndo sulle esili gambe da mago per non rimaner arretrato. Similmente faccio io, mentre il barbaro dalla verde pelle solcata da cicatrici e il guerriero dagli occhi scuri chiudono la ritirata.
Il secondo arciere tenta una freccia in direzione dello gnomo che, con destrezza tale da sembrar fortuna, evita con un balzo il dardo, ora inesorabilmente piantato nel terreno.
Gruntu, forse condotto dal divino intelletto. Carica la porta a testa bassa, cadendo quasi a terra per il contraccolpo quando il rinforzo di ferro regge alla sua bruta potenza. Il colpo, però, non si è rivelato inutile poiché l’asse posta a bloccare l’apertura si frantuma, permettendoci di fuggire.
Di nuovo, il mezzorco rivela la sua primordiale intelligenza repressa sotto quella montagna di muscoli, quando, con voce gutturale dice – Gigi blocca porta! –
I cardini della porta richiusa si fusero sotto l’incanto del mago, impedendo ai nostri inseguitori di proseguire oltre.
La nostra fuga prosegue verso Ovest ma viene interrotta da una voce così fuori luogo, questa notte.
- Ps, ue ue. Che cazzo avete fatto? Ue, tutto sto casino è colpa vostra? –
Il turpiloquio proviene da una testa coperta da una zazzera di capelli scompigliati e da una barba sporca oltre ogni dire. Un nano, mi vien da dire.
- Ora venite qui. Dopo vi spiego. Dovete solo far entrare quel mezzorco attraverso questo buco! –
Gruntu si lancia nel tombino, rimanendo incastrato all’altezza dei fianchi.
Qui il lavoro di squadra diventa necessario. Il nano pare si sia appeso alle gambe del barbaro, dimostrando, a mio avviso, un discreto coraggio. Il resto della compagnia, invece sale sopra le spalle del mezzorco, saltando per farlo passare.
Solo la grazia di Pelor ci permette di far passare il nostro compagno nerboruto e di precipitare dietro di lui all’interno delle fognature della città.
Il nano ci precede con una torcia accesa in mano, guidandoci fin quando una catapecchia si prospetta di fronte a noi.
Ora che posso osservalo meglio, posso accertarmi che è un nano, le spalle larghe accostate alla corporatura tarchiata, il tutto incorniciato da un folto pellame duro come i crini di cinghiale non lascian che intender altro.
- Gruntu no piace fogne. Puzza più di Gruntu. Gruntu picchia. –
All’udir coteste parole il nano estrae prontamente un coltello che direi provenir da un servizio da cucina, inquadrando il loco, sul corpo del mezzorco, più comodo da colpir per un omo della sua stazza. Mi rattrista, e devo ammetter mi ferisce, constatar chel loco puntato non è altri che la parte più intima e preziosa che il barbaro possiede.
Entriamo nella catapecchia, ove non molto c’è se non qualche barile di birra e un giaciglio sudicio.
Fortuitamente Bimp si fa di mezzo alla baruffa,  evitando quello che sarebbe potuto rivelarsi un disastro.
- Fermi tutti! – urla lo gnomo – Non siamo qui per combattere! –
- Ue, io voglio sapere perché siete venuti qui in città a fare casino. –
- Ti dirò la verità. – gli risponde l’archivista. – Siamo un’ambasciata da parte del regno di Calindor, dal profondo sud. Il nostro compito era quello di proporre una collaborazione al signore di questa città, ma al nostro arrivo le guardie ci hanno attaccato. –
- Calindor, dici. Ue, io quel nome non l’ho mai sentito. –
- Ci credo. – gli rimbecca il nostro halfling – Pensa che Calindor si trova talmente a Sud che da noi il sole sorge a Est e tramonta a Ovest. Hai mai visto una cosa del genere? –
- Minchia ragazzi, che botta vi siete fatti. Posso sapere i vostri nomi? –
- Il mio nome è Bimpnottin Ningel, ambasciatore a capo di questa delegazione. –
- Me Gruntu. –
È il mio momento di presentarmi. – Io sono Padre Gavros. Vorrei coglier l’occasione per ringraziarti per l’aiuto. –
- Si, ue, certo. –
- Io sono l’arcaista Panmorn Arburstiate. –
- Tu che? Ue, parla come mangi, smilzo. –
- Lui Gigi. –
- Ahhhh, allora tu sei Gigi. Potevi dirlo subito. –
- Il mio nome, caro amico, è Sirol Highdrasil. –
- Tu puoi chiamarmi Shadowfoot. –
- Bene. Ue, il mio nome è Pius, della casata dei Motolefium. Shadowfoot, il tuo nome non mi suona nuovo.-
- Diciamo che non sono proprio del posto. Però ammetto di aver già sentito parlare di te. Hai per caso derubato un guardiacaccia? –
- Oh, certo! Ue, l’ultimo lo incastrato meno di una settimana fa. Ue, era proprio un pollo. –
- Puoi dirlo forte. A noi quel pollo ci ha fruttato quell’arco e quella spada. Pensa un po’ com’è piccolo il mondo. –
- Sarà grande o piccolo quanto vuoi ma, ue, io vi ho salvati. Quindi voi mi dovete un favore, ue. Ho giusto un lavoro per cui siete perfetti. Il re ultimamente è un po’ ammattito, ue, tipo ha cominciato a far combattere i suoi prigionieri nell’arena, ue, ma vestiti come delle favole. Il prossimo spettacolo lo hanno chiamato La bella e la bestia. Ue, l’ultimo che hanno fatto era Cappuccetto rosso e il Lupo. Ma, ue, non è finita molto bene per cappuccetto. Comunque, ue, sono riuscito a scippare al re in persona una mappa, ue, e praticamente se entriamo nelle segrete che passano sotto il palazzo, ci sono delle scale che portano alla cucina. Ue, da lì c’è un ingresso nascosto dietro dei mattoni nella cantina. Un corridoio, poi la stanza del tesoro. Allora, mi dovete un favore, ue. Che fate? –
- Noi cosa ci guadagniamo? – domanda Sirol con la mano poggiata sull’elsa splendente della spada.
- Ue, voi potrete prendere ciò che vorrete, una volta all’interno. Padre, ue, secondo lei da quanto non mi confesso?-
- Tanto, mi vien da pensare. –
- Non immagina quanto. Ue, e sa perché? Perché non ne ho bisogno, ue, sono una persona fidata, io, ue. –
Giacciamo la notte nella catapecchia del nano, attorniati dalle sue armi e coltelli.

Mi desto all’alba, nonostante sia recluso nelle luride fogne d’una città posso avvertire il sole stendere il suo caldo manto sul terreno. Comincio le orazioni mattutine, pregando a bassa voce che la giornata a me riservata dal mio signore sia ottimale.
L’archivista mi osserva da poco lontano mentre il volere del dio del sole prende a scorrermi nelle vene, donandomi nuovo vigore e riconcedendomi per la giornata la possibilità di veder realizzate le mie preghiere.
In qualche maniera dall’olezzo magico lo gnomo convince Gruntu a lasciar alla catapecchia l’ascia imponente, favorendo un randello trovato poco lontano, in vero più silenzioso e meno appariscente.
L’ospite di casa ci fornisce panni d’avvolgerci attorno alle calzature, per attutire il rumore.
Così bardati ci avviamo al seguito del nano, con Gruntu in prima fila col randello nodoso in mano.
Alla cima d’una scala un muro di mattoni logori c’intralcia il passaggio, ma Pius, sicuro di sé, comincia a sfilare i pezzi uno a uno dal muro a una velocità impressionante. Ben presto un pertugio ci si apre d’innanzi e, oltre a questo le sale d’una cucina.
Due porte conducono ad altrettanti corridoi d’innanzi a noi e alla nostra destra. Una terza porta, sormontata da un arco, alla nostra sinistra conduce alle cantine. Pius imbocca quest’ultima, dopo aver mandato Gruntu e Sirol a guardia delle restanti due.
Superate botti piene e vuote, scaffali colmi di vasi in vetro e terracotta e bauli sigillati, giungiamo infine a un’ulteriore porta, la cui sommità è campeggiata da un indovinello in  Comune, lingua a noi tutti familiare.
“ Sia Mora che Bionda non ti tradirà mai, alza la voce e grida il nome dell’amata.” Recitano le scritte.
Dubito che qualcuno di questo gruppo ignori la risposta.
- Birra! – pronunciamo assieme, forse a tono eccessivo.
I battenti si aprono silenziosi sui cardini ben oliati.
Avverto movimento nell’altra stanza. Sirol giunge a noi, avvertendoci che Gruntu, ora nascosto in penombra, ha visto due lumi in avvicinamento. Ci sporgiamo dall’ingresso della cantina quel tanto da poter aver visuale su Gruntu e l’ingresso da lui sorvegliato.
Due guardie in armatura, con spade al fianco e lumi appresso passano nel corridoio d’innanzi, senza notare il colosso dalla pelle verde dietro lo stipite.
Tiro un sospiro di sollievo. Oggi non dovremo spargere sangue inutilmente.
Il destino, però, ci gioca un tiro mancino. Dalla porta rimasta sguarnita sopraggiunge una pulzella che visto il barbaro, prorompe in un grido acuto, prima di svenire a terra.
Le guardie invertono la loro ronda, vedendo così il mezzorco.
La prima non fa in tempo a fiatare, che il pesante randello cala sul suo capo, deformando l’elmo e rompendo qualunque cosa ci fosse al suo interno. Tutto ciò che ne esce è un liquido che alla luce del lume riverso a terra pare rosato.
La seconda guardia tenta una stoccata verso il barbaro, ma la punta della spada cozza contro le pareti dello stretto corridoio in cui si trova, producendo una cascata di scintille.
Gruntu cala nuovamente il bastone nodoso, ma il suo bersaglio evita il colpo con un balzo felino.
Bimp, a questo punto, esce allo scoperto, comandando alla guardia rimasta di gettarsi a terra. Questa obbedisce senza fiatare.
La verga cala infine sul suo petto, rompendo ogni osso che incontra sul suo cammino e lasciando la guardia priva di sensi con lo sterno pregno di sangue scarlatto.
La nostra attenzione, quindi, si sposta sulla donzella svenuta. Una nordica, dagli occhi chiari e i capelli color paglia. Potrei descriver altro, ma mi ritengo ancora uomo non così vile da osservare una fanciulla indifesa.
- Gruntu può usare donna? –
Qual proposta indecente da questo bruto.
- No, no che non puoi! – gli rispondo sconvolto a tal pensiero.
Shadowfoot, non dimostrandosi così scontento di poter avvicinarsi alla pulzella, tira fuori dalla sua sacca una delle sue amate corde, colla quale lega la signorina e la imbavaglia, con il proposito di non farla urlare per attirare l’attenzione.
Mi sorge l’idea che l’Halfling della nostra compagnia abbia una qual certa perversione nei confronti delle funi.
Caliamo i tre corpi all’interno d’una botte vuota, risigillandola per non destar sospetto.
I gli sguardi della compagnia al completo tornano a voltarsi sul corridoio al di là della porta appena aperta. Al termine di questo non vi è altro che un muro.
Il ladro e il barbaro scrutano nella semi oscurità in cerca di trappole, senza trovar nulla.
Panmorn cerca dunque qualcosa di nascosto sulla parete opposta, scandagliandola con la sua magia. Ivi ci avverte di aver percepito una porta celata.
Superiamo il corridoio. Inciso sulle pietre della parete v’è una fiamma.
Bimp produce dunque un fuoco fatuo sul suo palmo, accostandolo all’incisione.
Qualcosa scatta e le pareti cominciano a spostarsi per lasciarci passare oltre.
Siamo giunti finalmente alla nostra meta. CI troviamo su un balconcino, all’incirca due metri sotto i nostri calzari si apre una stanza quadrata lunga all’incirca venticinque metri. Pile di monete, sacchi d’oro e forzieri straboccante di gemme sono sparsi ovunque sul pavimento.
Gruntu afferra il nostro ladro per la collottola, impedendogli di raggiungere il tesoro.
Cerco nella stanza fonti di magia, così come l’archivista, ma non rileviamo nulla. Sirol nota, però, in direzione della parete sinistra della stanza una nebbia insalubre, al cui interno si può intravedere una figura deforme con in mano qualcosa da cui pare fuoriuscire la nube.
Basandosi sull’odore putrido, il pizzicore al naso e il bruciore al viso, Bimp cerca all’interno dei suoi tomi un qualche genere di descrizione della nebbia, senza ottenere risultati.
Estraiamo le armi.
Pius, impaziente di posare le sue mani sul tesoro, da una spinta al nostro mago, che capitombola di sotto. Gruntu a sua volta, con un calcio, getta il nano di sotto, per poi seguirlo.
Bimp estrae una mascherina da una delle tasche della sua vestigia, ponendosela su naso e bocca e avvicinandosi alla nebbia con fare curioso.
Non posso guarir le loro ferite, se resto in disparte.
Scendo pure io, con la mazza in mano, pronta per ogni evenienza.
Un oggetto simile a un incensiere, che tante volte ho visto nei templi verso cui ho pellegrinato, viene lanciato in mezzo al nostro gruppo. Una catena lo lega ancora a quella cosa che si nasconde nel fumo.
Per un secondo nulla si muove. Un silenzio tombale aleggia nell’aria. Poi Panmorn e Gruntu si voltano verso di noi con fare minaccioso.
La figura, quindi, si fa avanti con passo lento. È un uomo, il corpo avvolto in un sudicio mantello dal quale esce un braccio rachitico che impugna un’asta, alla cui estremità parte la catena legata all’incensiere. Il volto, inoltre, è coperto da una maschera inquietante: Bianca, con gli occhi cerchiati e un lungo becco che si sviluppa all’altezza del naso.
Bimp si volta verso Gruntu. Utilizzando la sua magia per renderlo nuovamente amichevole.
Alle nostre spalle, dalla balaustra, Shadowfoot tenta un dardo, che manca per poco la figura e si perde nei miasmi di questa nebbia infernale.
Gruntu si torna a voltare verso l’essere, con gli occhi gonfi d’ira e il randello stretto tra le mani. Quando il legno colpisce le coste dell’uomo avvolto dal mantello, questi emette un gemito.
Sono abbastanza vicino per tentar un colpo. La mia mazza si leva alta, in direzione del cielo, per poi abbattersi sulla nuca della figura mascherata. Non ci giunge nemmeno più il gemito. Due rigagnoli rossi fuoriescono dalle ferite per gli occhi, rassomigliando a lacrime di sangue, poi il corpo crolla a terra, scomposto.
Panmorn, ancora sotto gli influssi di questo fumo diabolico, tenta un incantesimo nella nostra direzione, mancandoci.
- Ci penso io al mago! – urla Sirol dalla balaustra impugnando l’arco lungo del guardiacaccia.
Il guerriero pare esser irrorato dalla grazia divina. Il braccio destro tende la corda al suo limite, il legno scricchiola e trema, pronto a rilasciare la freccia incoccata. Che non si renda conto della sua forza?
Il dardo parte a una velocità mai vista, volando dritto e mortale.
Entrambe le ginocchia del mago vengono trapassate e questo non può far altro che compiere una giravolta in aria per poi abbattersi pesantemente faccia a terra con le gambe frantumate.
La nebbia aleggia ancora nell’aria e Gruntu, nuovamente, ci volge il suo sguardo avverso.
Per la seconda volta Bimp lo incanta e, onde evitar ulteriori ferimenti sigilliamo l’incensiere all’interno d’un contenitore offertoci dall’archivista.
Il fumo pian piano si dirada, concedendoci piena visione sulla stanza e sul corpo riverso ai miei piedi.
Bimp e Shadowfoot s’avvicinano e, assieme, prendiamo ad esaminare il cadavere.
Al di sotto del mantello strappato in più punti ci si presenta un corpo rachitico. Studiando l’abito lo gnomo nota diverse fiale ripiene da liquidi dai colori accesi, io, invece, mi approprio della maschera dal lungo becco, in quanto ho notato che all’interno di quest’ultimo v’è inserito un qual genere di respiratore, probabilmente contenente un filtro contro il malanno portato dai veleni. Come ultima cosa, troviamo una missiva all’interno della bisaccia del nostro aggressore.
Io e l’archivista ci apprestiamo, quindi, agli scaffali che si sono palesati al diradarsi della nebbia. I piani sono straripanti di libri, per lo più prime edizioni rovinate di testi religiosi famosi da me già appresi. Un unico tomo desta in me curiosità.: una cronaca delle terre in cui siamo capitati.
Mentre l’halfling è sì intento nel riempire la propria borsa con i tesori contenuti nella stanza, noto con una certa sorpresa l’assenza del nano Pius, accompagnata dalla sparizione di buona parte delle pietre più preziose che avevo notato in un primo momento al nostro arrivo.
Io e l’archivista, attendendo che il mago si riprenda dalle sue ferite, cominciamo a studiare la missiva e il tomo delle cronache. I fogli ingialliti ritrovati sul cadavere riportano una serie di istruzioni che l’uomo avrebbe dovuto seguire pedestremente. Innanzi tutto il suo scopo era quello di assoggettare prima il signore della fortezza, poi la città intera, al suo volere. Per far ciò, leggibile tra le macchie di muffa e sangue, era distinguibile la modalità di preparazione delle tre varietà di veleno, assieme alle specifiche dimensioni dell’incensiere. A fondo pagine, sotto quello che doveva essere stato un nome, ora illeggibile, risalta lo stemma dell’impero che, pensavamo, aver lasciato nel nostro mondo.
Spostiamo or dunque la nostra attenzione al tomo, sfogliandolo piano per paura di rovinar le fragili pagine ingiallite. Buona parte delle cronache è sbiadito, ma possiamo giunger entrambi alla conclusione che l’impero che ci siam lasciati alle spalle, in questo mondo ove siamo finiti, non esiste o, per lo meno, non esiste ancora.
Il dubbio che ora tormenta il mio spirito è riguardante lo stemma riportato sulla missiva. Posso essere un mortale dalla mente limitata, ma dubito che possano esistere al mondo due stemmi così identici appartenenti a due organizzazioni diverse.
L’incensiere s’è esaurito ed ora riposa inerme in mano al mezzorco, mentre il mago, seppur pallido e affannato, è di nuovo in piedi grazie all'intervento delle mie preghiere, che gli han sanato le ossa, i muscoli, i tendini e tutto ciò che la freccia aveva devastato. Ci apprestiamo dunque, dopo aver raccolto da terra la parte a noi spettante, a uscir dalla stanza prima che qualcuno possa coglierci in fallo. 

   
 
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