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Autore: Tetide    08/04/2009    2 recensioni
E' la mia seconda fanfic su "Rosa Alpina", questa volta ambientata al giorno d'oggi. Jeudi ha una vita in apparenza perfetta, ma che in realtà nasconde dubbi e... qualcos'altro! Dunque, cosa succede quando un evento inaspettato scompagina il castello di carte dell'apparente perfezione? Leggete e lo scoprirete!
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Passato e presente CAPITOLO 2
PASSATO E PRESENTE
“Okay, gente: voglio l’articolo per domani, e che sia completo di interviste ai vari scienziati e ricercatori! L’anima di questa città è la scienza, e noi adesso dobbiamo fare respirare a tutti aria di scienza: la notizia di questo esperimento mai tentato prima deve fare l’invidia di tutti i laboratori esteri, chiaro?”,
“Ma signor Robert, per questo c’è già il CERN!”.
Tutti scoppiarono a ridere.
“Grazie dell’informazione, Alain. Ma a noi giornalisti spetta il compito di promuovere la nostra scienza e cultura il più possibile in tutto il mondo”, rispose il direttore, un po’ piccato.
“Dunque, dovremo presenziare all’inaugurazione dell’esperimento, e magari rompere un po’ l’anima a qualche scienziato perché ci riveli i particolari, giusto?”,
“Esattamente, Viviane. E domani voglio un resoconto dettagliato. Lo esigo, mi sono spiegato?”.
Jeudi rideva sotto i baffi. Quando Robert voleva fare il despota ci riusciva molto bene, pensava; peccato che in realtà lui fosse un tenerone, come lei stessa aveva avuto modo di constatare alla festa di compleanno di sua sorella Martha, mesi prima.
I presenti si accinsero a lasciare la sala; Jeudi si stava unendo a loro, quando Robert la trattenne per un braccio “No, tu no Jeudi. Tu non devi andare con loro. Tu resti qui: dobbiamo precisare i termini della tua intervista con Aschenbach”.

Quando furono rimasti soli, si sedettero di nuovo.
“Allora, Jeudi… lui arriva domani alle 11,30; dovresti andare a prenderlo all’aeroporto. Mi hai detto che vi conoscete, quindi non dovrebbero esserci problemi. Jeudi… ma mi ascolti?”,
“Cosa? Oh, certo Robert. Continua pure”,
“No, è inutile. Non mi stai ascoltando. A che pensi?”.
Jeudi stava ripensando a Leonhard e ai tempi in cui stavano assieme. Lui era travolgente e dolce allo stesso tempo, lo ricordava bene; e poi era bello, sfacciatamente bello. Chissà se sarà ancora così, si chiedeva.
“Jeudi! Ma stai dormendo?!?”, ora il suo direttore l’aveva scossa per un braccio,
“Che?!? Sì, ti ho sentito, Robert. Devo andare a prenderlo in aeroporto. C’è altro?”,
“Tu non me la racconti giusta. E sia! Tanto non posso metterti alla tortura per farti parlare! Tieniti i tuoi problemi, dato che non vuoi confidarti, ma cerca di eseguire bene il lavoro che ti ho assegnato”,
“Contaci, Rob! A domani!”.

In macchina verso casa, la donna ripensava ancora a Leonhard; e ripensandoci arrossiva: un po’ per l’imbarazzo che le provocava il ricordo dei momenti intimi passati con lui, un po’ per il senso di colpa per non essersi più fatta viva con lui. Cosa gli avrebbe detto a riguardo, l’indomani, all’aeroporto?

Passò vicina alla strada dove si trovava il meccanico di Lundi; “Quasi quasi faccio un salto da lui, per vedere se la macchina di Lundi è pronta: gli farà piacere”.
Girò a destra e si infilò in una traversina; percorse un altro tratto, fermandosi davanti ad una saracinesca alzata; dall’interno del garage le venne incontro un uomo in tuta da lavoro. “Buonasera, signora Corot – le disse – Cosa posso fare per lei?”,
“Desidererei sapere se la macchina di mio marito è pronta”.
L’uomo rimase interdetto “La macchina del signor Corot? Ma non è qui! A dir la verità, è un po’ che non lo vedo”.
Jeudi restò basita. “Ma… ne è sicuro? Credevo che fosse qui, me lo ha detto lui… magari se ne è occupato qualcuno dei suoi inservienti, e l’ha riconsegnata!”,
“Impossibile, signora: i miei inservienti in questi giorni non ci sono: uno è in ferie, e l’altro a letto con la febbre!”.
Jeudi avvertì una sorda fitta di preoccupazione. “Allora mi sarò sbagliata. Scusi per il disturbo. Buonasera!”,
“Buonasera a lei, signora!”.
Risalita in macchina, si appoggiò al volante. Perché Lundi le aveva mentito? Prima non era mai successo.
Rimise la propria macchina in moto; ma per tutto il tempo della strada, non riuscì a trovare una spiegazione plausibile. Forse che aveva avuto un tamponamento e non voleva che lei lo sapesse? Ma per quale ragione? E dov’era la macchina?
Rientrando a casa, fu colta da un sospetto; si avvicinò al deposito sul retro del giardino, quello che non usavano più come garage, prese le chiavi, l’aprì. E vi trovò dentro la macchina.
La guardò bene: sembrava tutto a posto, niente ammaccature sospette, né altro che potesse far pensare ad un incidente. Cercò di aprire la portiera, ma era chiusa. Allora vi guardò dentro: tutto regolare. Ma allora che motivo c’era di fare tanti misteri?
Per il momento, decise di non dir nulla al marito; preferì cercare di capire da sola: avrebbe senza dubbio ottenuto di più.
Poi si ricordò dello strano episodio della sera precedente, la cicca di sigaretta. O almeno, così le aveva detto Lundi; lei quella cicca non l’aveva vista affatto. E se non fosse stata una cicca, ma qualcosa d’altro? Qualcosa che lui credeva di aver perso in macchina e che aveva invece ritrovato tra i cuscini del divano? E di cosa poteva trattarsi? Qualunque cosa fosse, era qualcosa che lei non doveva vedere.
La sua inquietudine aumentò.
Quella sera, approfittando del fatto che il marito fosse ad una cena di lavoro, non cenò; fece mangiare il figlio, lo mise a letto, poi andò a dormire anche lei.

L’indomani l’aspettava un appuntamento con il passato. L’aspettava Leonhard.

E’ risaputo che quando temiamo od aspettiamo con ansia qualcosa, la notte precedente ci sembra interminabile: le lunghe ore nel buio non passano mai, avvolte dal silenzio, ed il sonno di chi ci è accanto ci sembra quasi un insulto alle nostre ambasce; quanto a noi, il sonno neanche ci sfiora, preferendo rifuggire da chi ha l’animo pungolato da mille piccoli spilli che lo trafiggono, vuoi per curiosità, vuoi per ansia, vuoi per trepidazione; quando, poi, il signor Morfeo si decide a farci visita, in modo inconsapevole ed inaspettato, fuori sta già sorgendo l’alba, ed è proprio il momento in cui meno credevamo di poter cedere alla stanchezza della lunga veglia!
Fu ciò che accadde a Jeudi nella notte che precedette l’arrivo di Leonhard.
Non aveva quasi chiuso occhio, sia per i dubbi sulla menzogna del marito, sia per l’ansia di rivedere il suo ex-amore di tanti anni prima. Ovviamente, non aveva fatto parola a Lundi, né dell’una, né dell’altra cosa, data la ultimamente un po’ troppo pronunciata tendenza di lui alla lite; così si truccò, si vestì in fretta ed uscì.
All’aeroporto trovò la stessa situazione che aveva lasciato tre giorni prima, al suo arrivo: fretta, confusione, voli in ritardo, controlli meticolosi. Un viavai di gente, come al solito.
Si sedette e si mise ad aspettare; il volo da Vienna risultava in orario: sarebbe atterrato tra una mezz’ora, quindi aveva tutto il tempo di preparare gli appunti per l’intervista. Ma più li rileggeva, meno riusciva a concentrarsi su quei fogli: il suo pensiero era assorbito dai ricordi.
Leòn era stato il suo unico ragazzo: a lui aveva dato il suo primo bacio, con lui aveva fatto per la prima volta l’amore; si amavano, sembrava avrebbe dovuto durare per sempre; invece all’improvviso si erano lasciati; poi, per tanto tempo si erano persi di vista; ed ora, che effetto le avrebbe fatto rivederlo? Dopo quello che c’era stato fra loro, non poteva certo dirgli “Buongiorno signor Aschenbach, sono l’inviata del giornale, quindi limitiamoci all’intervista”! Ma che cosa gli avrebbe detto?
Le immagini di un tempo lontano le si riaffacciarono alla mente: lei e Leòn seduti su di un prato, in una primavera lontana, per un pic-nic improvvisato, che mangiavano e ridevano; intorno a loro un gruppo di persone, di amici… non c’era Lundi, allora.
Jeudi socchiuse gli occhi: ricordò una mano di Leòn tra i suoi capelli, poi sul suo viso a sfiorarle le labbra… un brivido le corse lungo la schiena, e poi giù per le gambe fino ai piedi. Chiuse le mani sul velluto del sedile sul quale si trovava; il contatto con la stoffa le diede la sensazione che le punte delle sue dita prendessero fuoco. Si sentì avvampare il viso, si portò le mani alle guance: possibile che il ricordo di Leòn le recasse ancora simili sensazioni?
Cercò di calmarsi e di darsi un contegno: dopotutto, era in pubblico! Si raddrizzò sul sedile, si schiarì la voce e si guardò attorno: nessuno si era accorto di lei, meno  male! L’attenzione di tutti i presenti era calamitata da un uomo che usciva dall’ufficio bagagli smarriti parlando a voce molto alta: si può dire che urlava.
“Siete un branco di incapaci! Quei vini erano di valore! Era un’intera cassa, un regalo per mio fratello e la sua famiglia! Adesso dovrete risarcirmi!”, “Si calmi, signore, le abbiamo detto che la sua cassetta arriverà domani sera al suo albergo. Altrimenti perché le avremmo chiesto l’indirizzo? E’ stata solamente spedita per sbaglio in un altro aeroporto, ma l’hanno ritrovata”, “Storie! Se anche arriverà, le bottiglie saranno in pezzi! Esigo un rimborso!”.
La scena, in effetti, stava attirando l’attenzione di diverse persone; anche Jeudi si alzò e si avvicinò per vedere meglio.
D’un tratto sentì una mano sulla spalla, ed udì una voce “L’ha presa un po’ male, vero?”.
Jeudi si sentì mancare il respiro: era la voce di Leonhard! L’aveva riconosciuta perfettamente, come se l’avesse sentita il giorno prima. Ma esitò a voltarsi: lui come sarebbe stato, dopo tanti anni? Trascorsero secondi sospesi, lunghi come secoli.
Poi si voltò.
Un abbaglio. Una visione dal passato. Leonhard, identico a tanti anni prima, che sembrava uscito da una fotografia di quei tempi: un’immagine del passato che aveva preso vita! Come se gli anni non fossero passati.
“Leòn… sei proprio tu… è… incredibile, davvero!”.
Lui le sorrise. “Ciao, Leòn”, gli disse lei in risposta al suo sorriso.
Per tutta risposta, lui la prese tra le braccia e la baciò, con le labbra chiuse, sulla bocca, lasciandola basita. Anche i suoi modi non erano cambiati, pensò Jeudi: erano sempre travolgenti ed appassionati.
“Neanche tu sei cambiata”, le rispose lui, quasi le avesse letto nel pensiero, “rivederti è stata una vera sorpresa”.
Jeudi non sapeva cosa rispondere: continuava a guardarlo, balbettando.
Fu lui a toglierla dall’impiccio: “Allora, vogliamo restare a vedere come finisce la telenovela della cassa di vini, oppure andiamo al tuo giornale?”, rise,
“Io… ecco… andiamo, naturalmente!”.
Si avviarono all’uscita, verso il parcheggio. Per tutto il tragitto, Jeudi non smise di tormentare le chiavi della macchina con le mani.


Le dodici. La prima parte dell’intervista era finita. Come al solito, Jeudi aveva fatto un buon lavoro. In piedi, davanti al grande tavolo tondo della sala delle riunioni, adesso vuota, riordinava alcuni fogli; Leonhard,seduto, la guardava con aria beata.
“Simpatici, i tuoi colleghi”, le si rivolse,
“Grazie. Anche tu sei piaciuto”.
E’ molto rigida, pensò lui: troppo rigida. Sembra un appendiabiti. Questi non sono i modi della Jeudi che conoscevo io.
Leòn si sporse sul tavolo “Sei diventata di poche parole. Come mai non mi chiedi nulla?”,
“Le domande dell’intervista non ti sono bastate?” fece lei senza alzare lo sguardo dai fogli,
“Non mi hai chiesto la cosa più importante”,
“Cioè?”,
“Come facevo a sapere che ad attendermi ci saresti stata proprio tu”.
Jeudi si arrestò. Già, è vero, pensò. Come faceva a saperlo? Decise di chiederglielo, ma lui la prevenne: “Me lo ha comunicato il direttore del tuo giornale: quando mi ha contattato per chiedermi un’intervista ed io ho accettato, gli ho chiesto il nome di chi sarebbe venuto ad accogliermi ed a farmi l’intervista. Non immagini la mia sorpresa quando ho sentito il tuo nome!”.
Per la prima volta dopo un quarto d’ora buono, Jeudi ebbe il coraggio di alzare gli occhi e guardarlo in viso. Sorrise. Quindi si sedette anche lei, abbandonando i fogli e rilassandosi sulla poltroncina.
“Tu sei sempre una sorpresa, Leòn: lo eri allora e continui ad esserlo anche ora.”,
“Anche tu non scherzi con le novità: il tuo nuovo cognome non lo conoscevo ancora”.
Lei sorrise di nuovo “Mi sono sposata” disse, “Questo lo so. Anche questo me lo ha riferito il tuo direttore: “si occuperà di lei la signora Jeudi Brendell in Corot” mi ha detto”.
Ci fu una pausa. Passarono lunghi minuti di assoluto, interminabile, assordante silenzio.
“E tu sei sposato?” gli chiese lei,
“No. Il mio cuore non riesce a riprendersi”,
“Da cosa?” fece Jeudi con aria divertita; lui si fece serio, a metà strada tra il corrucciato ed il triste “Dal colpo che mi ha inflitto una bellissima ragazza tanti anni fa, rifiutando di seguirmi a Salisburgo e lasciandomi da solo”.
Jeudi congiunse le mani sul tavolo ed abbassò lo sguardo. Sospirò. “Perdonami, non te l’ho mai detto”, gli rispose,
“Detto cosa?”,
“Poco dopo la tua partenza, i miei genitori sono morti in un incidente, ed io ho dovuto occuparmi di mia sorella e di tutte le incombenze familiari”.
Leòn tacque. Non si era certo aspettato una risposta di questo tipo. “Scusami, non lo sapevo”, le disse con un filo di voce.
“Non fa nulla”, rispose lei.
Rimasero per un po’ in silenzio, seduti al tavolo, gli occhi bassi.
Jeudi sapeva di essersi comportata male nei confronti di Leòn; eppure, lui non le aveva dimostrato né odio né risentimento: solo un’inconsolabile amarezza.
“Ma adesso siamo qui” proruppe lui “ed abbiamo anche finito l’intervista! Perché non ce ne andiamo a fare qualcosa di bello?”.
Jeudi avvampò. Ricordava quando lui le si presentava all’improvviso a casa, nel suo appartamento da studentessa, magari con un mazzo di fiori, e le diceva di voler fare l’amore subito, lì, sul divano, approfittando dell’assenza delle sue coinquiline. Lei non riusciva mai a resistergli: Leonhard in un attimo sapeva sciogliere tutte le sue barriere.
Ma anche stavolta lui sembrò averle letto nel pensiero. Rise. “No, non intendevo quel qualcosa lì” le ammiccò “lo so che ora sei sposata. Volevo dire… perché non ce ne andiamo un pò in giro? Presentami la tua città”.
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Questo capitolo è dedicato a Ninfea 306: ANCORA GRAZIE!!!!!
  
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