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Autore: Roccia di Burro    08/04/2009    4 recensioni
°°Drake... Cosa c'è di meglio di essere la star del liceo? Al secondo anno della Greensburg High School, asso della squadra di basket della scuola, uno stuolo di ragazze che cadono ai tuoi piedi, le matricole da sfottere, i secchioni da torturare, e un frocetto del tuo stesso anno da prendere in giro.°° °°Sei potente come un leone.°° °°Ma attento. La preda un giorno potrebbe rivoltarsi tra le tue zanne e diventare predatore.°° °°E a quel punto che farai?°°
Avvertimenti: la storia non è particolarmente drammatica, il rating è arancione per i temi affrontati, per la presenza di scene di bullismo, e per il linguaggio non sempre all'acqua di rose^^. Non sono comunque presenti scene violente o che possono turbare, in alcun caso^^. Ho scelto, a malincuore, "romantico", perché c'è una storia d'amore, anche se non vedrete nulla di smelenso, ve lo assicuro u.u
Ragazzi è passato un anno ormai da quando ho pubblicato questa storia!! Come sono felice...=) ringrazio chi mi ha seguito fino adesso, chi ha recensito, chi ha solo letto, ma soprattutto chi si è emozionato ^^ Grazie.
Genere: Romantico, Sportivo, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Vi ringrazio per le recensioni e per gli undici preferiti^^ scusate per il tempo trascorso tra un aggiornamento e l’altro, ho cercato di fare del mio meglio.
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« Ehm… Ciao mamma… »

La voce della signora Nolan gli giunse ovattata e metallica dall’altra parte del telefono.

« Ciao tesoro, è successo qualcosa? Mi sembra che tu abbia una voce un po’ strana… »

« Ehm, no… Cioè, a dire il vero avrei… ho perso il telefono. In casa però! »

Per un momento si sentì solo il silenzio.

« Come fai ad averlo perso in casa? »

« So che l’ho portato a casa da scuola, si, ma non mi ricordo dove l’ho messo… Non ti preoccupare, lo troverò presto… Te l’ho detto perché, se non mi senti rispondere, almeno sai il motivo… »

« D’accordo. » dalla voce si capiva che la donna era amareggiata. « Io devo andare adesso, sono molto stanca… Ci sentiamo domani, eh? Ti voglio bene. »

« Si… buonanotte mamma, ti voglio bene anch’io. » Andy percepiva le proprie parole come fossero distanti chilometri, forse a causa del tono leggermente incrinato.

Rimase con il telefono appoggiato all’orecchio, ascoltando il suono della linea libera senza realmente sentirlo. Non aveva né voglia né tempo materiale per stare lì a dare spiegazioni a sua madre, e non voleva farla preoccupare, che già era occupata abbastanza con il lavoro.
Monica Nolan era un’importante manager, promotrice della sede centrale di una delle maggiori aziende immobiliari della zona, per cui era sempre in giro per lavoro. Suo padre invece era un archeologo, sempre impegnato, spesso anche all’estero. Era una cosa triste, girare la casa costantemente soli, ma aveva il vantaggio di poter liquidare entrambi con un “si sto bene” e “no non è successo nulla”.

Riscotendosi, sfilò l’accappatoio e mise il pigiama, rintanandosi sotto le coperte come un leprotto nella tana.



« Dre’, ti togli? »

« Eh? »

« Dai, devo vedere The Life of Jak… »

« Ancora con quello stupido reality? Basta, mi hai scassato… »

« Ma Drake, per favore!! »

« Ho detto no! C’è un altro televisore di là, perché non vai a guardare quello? »

« Ma qui c’è il divano… Dai, fai il bravo fratellone… »

« No. »

« Daiiiii!! Dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai, dai!!! »

« Kat, ho capito! Finiscila di urlarmi nelle orecchie!! »

Scocciato, si alzò dei morbidi cuscini per lasciare il posto alla sorellina tredicenne, che tutta contenta si accomodò sul divano, e appropriandosi del telecomando si immerse nell’agognato programma. Drake lo odiava, era una sottospecie di reality stupido che raccontava le giornate-tipo di un altrettanto stupido cantante per adolescenti in crisi ormonale. Preferiva molto di più le partite di basket.

« Ehi, fratelloneee!! »

Kat lo stava chiamando a gran voce dal soggiorno. Che rumore fastidioso.

« E adesso che vuoi?! » le urlò di rimando il ragazzo, alquanto irritato.

Sentì i passi leggeri di Kat avvicinarsi alla sua stanza.

« Hai dimenticato il cellulare di là… » i suoi occhi nocciola lo fissavano perplessi. « Ma hai cambiato telefono per caso? »

Drake arrossì, borbottando avanzò verso di lei e glielo strappò dalle mani.

« Ehi, puoi essere anche un po’ più gentile, sai? »

« Tu questo non l’hai visto. Non farne parola con mamma e papà, altrimenti te la faccio pagare, chiaro? »

« Va bene, non serve che ti scaldi, solo che… »

« Chiaro?? »

La ragazzina lo scrutò leggermente spaventata, arrotolando nervosamente una ciocca di capelli attorno al dito.

« Si. » interdetta, girò sui tacchi e tornò in soggiorno.

Drake avvertì ancora per parecchio tempo quel senso di nervosismo che l’aveva colto all’improvviso, vedendo il telefono d’Andy Nolan tra le mani di sua sorella. E neppure quando si sistemò le coperte era completamente tranquillo.




« Buongiorno, Alexander. »

Di solito quando Joy lo chiamava con il suo nome intero, non era mai un buon inizio di giornata.

« Io e te dobbiamo fare un discorsetto. »

No, decisamente non lo era.

« Buongiorno anche a te… Cos’hai che non va? »

« E hai il coraggio di chiedermelo? Non mi hai mai risposto ai messaggi, e neppure alle chiamate!! E non dire che eri senza soldi, perché ti sei fatto la ricarica ieri mattina!! »

« Scusa, l’ho perso. »

La bionda aveva aperto la bocca per replicare, ma alla frase di Andy, l’aveva subito richiusa.

« Perso? »

« Si, l’ho perso in casa. »

« In casa? »

« La smetti di ripetere pezzi di ciò che dico? »

« Come ha fatto uno ordinato come te a perdere il telefono in casa? »

« E’ successo e basta. »

Joy gli si parò davanti, col naso a due centimetri dal suo.

« Tu. Non. Me. La. Racconti. Giusta. »

Andy si tolse gli occhiali, distogliendo lo sguardo e passandosi una mano tra i capelli. Lo sapeva che non sarebbe durato a lungo, ancora qualche secondo e le avrebbe detto tutto.

Resisti, Andy, resisti.

Dieci, nove, otto…

Basta solo che lei trovi un nuovo argomento di cui parlare…

Quattro, tre…

Andy…!

Uno…

« E va bene, non l’ho perso. »

Trionfante come non mai, la signorina Joy Cook incrociò le braccia passandolo da parte a parte con uno sguardo di fuoco, che gli intimava pericolosamente di parlare, onde evitare gravi conseguenze.

« Senti… promettimi una cosa, però. »

« Cosa? »

« Non dirlo a nessuno. E quando dico nessuno, intendo proprio nessuno. Neanche al gatto. »

« Ma che ti è successo, si può sapere? »

« Ehi, tu promettimi di non dirlo. »

« Va bene, va bene… » si era improvvisamente preoccupata.

Andy sospirò.

« E’ stato Drake Foster. Ce l’ha lui. »

« Cosa? »

« Si, si... »

« Scusa, ma non era stato sempre lui a romperti gli occhiali? »

« A-ha. »

« E i tuoi che dicono? »

« Mica gliel’ho detto. »

Joy lo fissò con sguardo interrogativo.

« No? »

« Senti, non voglio che si mettano a preoccuparsi per un cretino come quello… Ho detto che li ho rotti io, e che ho perso il telefono. »

« Ti rendi conto che agli occhi dei tuoi sembri più incapace di un poppante? »

« Si, ma mi va bene così. »

« Ma ne sei sicuro? »

« Si. »

La ragazza lo osservò ancora per qualche minuto, in ansia, ma senza il coraggio di dire qualcosa di più.




Drake si stava cambiando col ritmo di una lumaca in letargo. Non che non avesse voglia di andare all’allenamento, ma la notte precedente aveva dormito così male, che era tutto uno sbadiglio.

« Dre’, pensi di farcela per domani mattina? »

« Non rompere Shawn. » Anche le sue frasi erano lapidarie ma strascicate. Decisamente non era giornata.

« Forza, pelandroni!! Quanto vi ci vuole a cambiarvi, eh? Muovete le chiappe e portatele in questa palestra, o ci penso io, ma non vi piacerà!! »

Qualcosa aveva abbaiato? Ah già, forse era Miller. L’indomani avrebbe avuto luogo una partita importante per le selezioni delle squadre di basket delle scuole superiori per i regionali, per cui il coach era più nervoso del solito. E questo era tutto dire.




« Rogeeer!! Dammi tu l’ispirazione!! » Andy stava piagnucolando all’indirizzo del pinguino di peluche, che dall’alto della sua mensola sembrava compatirlo con gli occhietti di lucente plastica nera.

Saranno stati almeno quindici minuti che era fermo alla stessa riga, e non riusciva ad andare avanti. Quell’articolo voleva la guerra.

« …E guerra sia! »

Ma dopo mezz’ora era ancora fermo allo stesso punto. Era talmente esasperato che avrebbe preso volentieri a testate il monitor del computer, se avesse avuto la certezza che con questo metodo sarebbe stato in grado di scrivere l’articolo.

« Ma dai, diciamo le cose seriamente: a chi diavolo interessano gli articoli sul menu della mensa?? Mi conviene aspettare a scrivere quello sulla partita di domani… »

Si fermò, bloccando i pensieri che stava esponendo a voce alta tra sé e sé. Pensare alla partita gli faceva automaticamente ricordare Foster. Foster e il suo telefono. Maledetto bastardo…
Guardò l’orologio appeso alla parete, che segnava le sei. Era stanco morto, e voleva andare a casa. Spense in fretta il computer, prendendo sottobraccio cartella e giubbino in un unico fagotto informe, e si avviò lungo il corridoio.




« Ehi, ma hai intenzione di tenerlo? »

« Cosa? »

« Quello. »

Il biondo aveva accennato con un movimento della testa, al piccolo cellulare metallizzato che si trovava sulla panchina, accanto alla borsa di Drake.

« Boh. »

« Io pensavo che l’avessi gettato. » ghignò.

« Non mi interessa buttarlo via, anche non averlo per lui è una tortura. Che ci fa un giornalista senza telefono? » ridacchiò malevolo.

« Giornalista quello? » Shawn rise sguaiatamente « Se mi metto a scrivere un articolo io, lo faccio meglio…brutto frocetto del cazzo… Comunque se non te ne fai nulla, dallo a me, pensavo giusto di cambiare il mio… »

« Te lo darei volentieri, ma ho avuto un’idea migliore… »

Shawn lo guardò interrogativo.

« Che sarebbe? »

« Oh, vedrai, vedrai… Pazienta un po’, e potrai ridere… »




« Basta!! Tregua! » Andy si decise a staccare, per quel giorno. Tra l’altro in prima pagina ci sarebbe stato il pezzo sulla partita, quindi perché tanta fatica?

Si tolse gli occhiali, massaggiandosi il setto nasale, ammaccato. Quando non aveva ispirazione per gli articoli, la sua agitazione lo portava a premere gli occhiali sul naso, così forte che si lasciava le impronte. Spense i computer, infilò le proprie cose nella cartella, chiuse le finestre e si assicurò che ogni cosa fosse al proprio posto. Infilò il cappotto sistemandosi bene il bavero in modo da evitare i colpi d’aria.
Era ottobre inoltrato, non faceva ancora molto freddo, ma bisognava stare attenti ai colpi d’aria. Solo un paio di settimane prima Joy s’era beccata una tosse incredibile, ed Andy aveva il timore che avrebbe sputato un polmone da un momento all’altro.



« Shawn, non per puntualizzare, ma vorrei sapere che ti frulla per la testa… »

« Scusa, ma se te lo dico, che sorpresa è? »

« Si ma sono curioso! Quanto ti odio quando mi tieni sulle spine, maledetto… »

In quel momento Drake vide Andy, che soprappensiero stava andando loro incontro. Dalla sua espressione probabilmente non si era neppure accorto di loro due.
Fecero in modo di non allarmarlo, e quando gli furono abbastanza vicini, il biondo si fece da parte per lasciare all’amico la possibilità di fermarlo. Questi prese il moro per un braccio bloccandolo tra sé e il muro. La scena si svolse tanto velocemente che Andy, preso alla sprovvista, urlò di stupore.

« Ehi, Ehi, calmati Nolan, mi hai ucciso i timpani… »

« Foster… ma che? Cosa vuoi da me? Non ti basta il telefono, vuoi- »

Ma Drake non seppe mai come finì quella frase. Sentirono tutti e tre dei passi avvicinarsi affannosi, e Shawn si staccò dal muro per andare a vedere chi fosse.

« Foster! Yates!! »

Era inconfondibile. La voce bassa e potente del coach si riconosceva tra mille.

« Foster! »

Drake era spaventato. Non avrebbe voluto ammetterlo neppure a se stesso, ma era così. Andy Nolan non l’avrebbe mai denunciato ai professori, sarebbe stato assolutamente inutile. Grazie al suo talento teneva alto l’onore sportivo della scuola, ed era quasi intoccabile. Quasi, perché Miller nonostante tutto aveva un fottutissimo senso di giustizia. Se l’avesse beccato, l’avrebbe ucciso, come minimo. Suo malgrado dovette allentare la presa sull’esile spalla del ragazzo, staccandolo dalla parete sulla quale ormai aveva scavato una nicchia con la forma del proprio corpo.

« Ah, ragazzi, finalmente vi ho trovati… » Miller sembrava così immerso in quello che doveva dire loro da non accorgersi del terzo incomodo.

« Si coach, dica pure, come mai ci cercava? »

« Beh, dovevo darvi una notizia importante… » si arrestò un attimo, focalizzando l’attenzione sul moro.

Drake si accorse del cambiamento d’espressione da parte dell’uomo, e per evitare qualsiasi sospetto, tolse la mano dal cappotto di Andy, facendo piuttosto scivolare il braccio attorno al suo collo. Un’allegra chiacchierata tra amici. Non fosse che loro due, per quanto ne sapeva il coach, non si erano praticamente mai rivolti la parola, e che in quel momento la faccia del più piccolo non sembrava esattamente il ritratto della tranquillità.

« Tu sei Nolan, giusto? Come mai qui? »

Drake strinse a sé il ragazzo minacciosamente, come per fargli capire che se non si inventava qualcosa che gli salvasse il nobile deretano gliel’avrebbe fatta pagare con gli interessi.
Lo sentì irrigidirsi, ma vide che riuscì a mantenere il controllo.

« Ci stavamo mettendo d’accordo per l’articolo che devo scrivere domani a proposito della partita, signor Miller. Drake e Shawn mi stavano spiegando i vari nomi dei passaggi, e le principali modalità di gioco, dato che non sono esperto del basket. »

Era credibile.

« Oh, bene. Purtroppo però la partita non avrà luogo. »

« Come?? Perché no, che è successo? »

« Il vicepreside della scuola che la nostra squadra avversaria rappresenta ha avuto un brutto incidente in auto, ed ora è in ospedale, per cui i ragazzi, in segno di rispetto, hanno preferito rimandare a domenica prossima. »

« Ah, ok. » Drake era un po’ deluso; si era preparato tanto per questa partita, e i suoi sforzi erano stati pressoché vani.

Andy approfittò del momento.

« Se non vi dispiace io tornerei a casa, ho molte cose da fare. Arrivederci. » e si tolse da quella situazione più in fretta possibile.

Il solo fatto di potersi sedere sul sedile della sua auto scassata gli sembrava un enorme traguardo.
Era sabato, e alla partita mancava più di una settimana.
Ma anche sette giorni passano in fretta.


 





  
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