Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    05/05/2016    6 recensioni
Il messaggio di Moriarty ha sortito l’effetto desiderato: trattenere Sherlock a Londra. Ma il consulente investigativo sa bene che Moriarty non può essere l’autore di quel messaggio dato che si è ucciso sul tetto del Bart’s tre anni prima. Eppure qualcuno aveva degli interessi nel trarlo fuori da quella missione suicida. Ma chi?
Le indagini riprenderanno e Sherlock si ritroverà a dover affrontare un nuovo nemico, forse ancora più pericoloso di Moriarty che non solo sembra conoscerlo così bene da sapere esattamente dove andare a colpire, ma che è pronto a tutto per ottenere quello che vuole. E Sherlock, ancora una volta, dovrà fare i conti con i suoi demoni e con il suo cuore, sperando di riuscire ad avere la meglio.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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For darkness shows the stars
 

I
Did you miss me?
 
 
 Sherlock rinvenne con un ansito. Per un momento sembrò disorientato. Non ricordava come fosse arrivato lì – su quello che aveva tutta l’aria essere un aereo – né tantomeno il perché. Volse convulsamente il capo a sinistra e, quando incontrò lo sguardo di John e i suoi occhi blu, il suo cuore accelerò e il suo corpo si rilassò. Sorrise dolcemente, perdendosi per un momento negli occhi del suo dottore.
 «Vi sono mancato?» chiese.
 «Sherlock, stai bene?» domandò John, la voce carica di apprensione.
 Lui aggrottò le sopracciglia. «Certo.» disse con ovvietà. «Perché non dovrei?»
 «Sei appena andato in overdose, dovresti essere in ospedale.» intervenne Mary che era in piedi di fronte a lui e lo stava osservando con sguardo preoccupato.
 Sherlock inspirò profondamente e si mise a sedere diritto. «Non ho tempo per andare in ospedale.» replicò. «Devo tornare a Baker Street. Ho del lavoro da sbrigare.» e si mise in piedi per andarsene. «Moriarty è tornato…» bofonchiò e barcollò sulle gambe, sentendo la testa girare e farsi improvvisamente pesante.
 John avanzò e poggiò le mani sui suoi fianchi sostenendolo prontamente.
 Quando realizzò che a sorreggerlo era stato John, al consulente investigativo mancò il fiato. Inspirò profondamente, tentando di mantenere il controllo di se stesso, nonostante le mani di John fossero ancora poggiate sui suoi fianchi e poi si avviò lungo il corridoio, reggendosi ai sedili.
 Mycroft si parò davanti a lui, bloccando la sua avanzata. «È quasi una speranza, se può salvarti da questo.» sbottò e sollevò la lista su cui Sherlock aveva annotato tutto ciò che aveva assunto poco prima di salire sull’aereo per indursi l’overdose.
 Sherlock gliela sfilò dalle mani. «Non ho tempo per questo.» affermò facendo in pezzi il foglio e gettandolo a terra. «Devo occuparmi delle cose reali.» e tentò di avanzare ancora, ma il corpo di Mycroft gli bloccò nuovamente la strada.
 «Sherlock…» aggiunse il maggiore, un barlume di speranza a illuminargli gli occhi. «Me lo prometti?»
 Sherlock aggrottò le sopracciglia, poi scosse il capo. «Che ci fai ancora qui?» chiese, quasi avesse appena realizzato che Mycroft avrebbe dovuto mettersi al lavoro per revocare il suo esilio. «Non dovresti tentare di procurarmi un perdono o qualcosa del genere, da bravo fratello maggiore?» e detto questo, con una spallata lo scostò e lo oltrepassò, diretto fuori dall’aereo, seguito da Mary e John.
 
 «Dottor Watson?»
 La voce del politico fece bloccare John sulla soglia.
 Il medico si voltò e incontrò gli occhi del maggiore degli Holmes, leggendovi una profonda preoccupazione. E in quel momento, in assenza di Sherlock, non poté fare a meno di notare che Mycroft Holmes, per la prima volta da quando si erano conosciuti, sembrava addolorato, come se nel profondo dei suoi occhi, nonostante tentasse di nasconderlo, si celasse un dolore profondo e terribile. Non l’aveva mai visto così e forse fu proprio questo a spingerlo a fermarsi e ascoltarlo.  
 «Lo tenga d’occhio.» proseguì Mycroft. «Per favore.»
 John rimase immobile per qualche secondo, colpito da quella reazione da parte del politico. C’era qualcosa di decisamente strano nel suo comportamento. Nonostante ciò annuì. Poi accennò un sorriso e uscì dall’aereo, seguendo sua moglie e Sherlock fino alla macchina.
 «Sherlock, aspetta, spiegaci!» disse, andandogli dietro. «Moriarty è vivo?»
 Il consulente investigativo si voltò, infilandosi i guanti. «Non ho mai detto che fosse ancora vivo.» affermò «Ho detto che è tornato.»
 «Quindi è morto?» chiese Mary.
 Il consulente investigativo si volse verso di lei. «Certo che è morto, si è fatto saltare il cervello. Nessuno sopravvivrebbe ad una cosa del genere.» affermò. «Sono appena andato in overdose per provarlo.» concluse. Poi sospirò. «Moriarty è morto, non ci sono dubbi. Ma la cosa più importante è che so esattamente cosa farà dopo.» concluse con un sorriso accennato e si avvicinò alla macchina, seguito dai coniugi Watson.
 
 Sherlock varcò la soglia di Baker Street e la prima cosa che fece, dopo essersi sfilato il cappotto e la sciarpa, fu avvicinarsi alla sua poltrona e prendervi posto. Sorrise e dopo aver accarezzato i braccioli con le dita, portò le mani sotto il mento, poggiando i palmi l’uno contro l’altro e chiuse gli occhi, immergendosi nel suo palazzo mentale e cominciando a vagare tra le stanze, i corridoi e le scale.
 Non poteva nascondere che il messaggio di Moriarty l’aveva sconvolto. Mycroft gli aveva spiegato che era comparso su ogni canale TV e radio del paese in contemporanea, interrompendo tutti gli altri programmi. Era ovvio che per essere stato inserito nella rete televisiva e radiofonica, sicuramente era stato necessario l’aiuto di un hacker molto abile, altrimenti sarebbe stato sicuramente intercettato e fermato prima della messa in onda.
 Ma chi poteva aver fatto una cosa del genere sapendo che avrebbe potuto essere rintracciato? Chi poteva essere così stato spavaldo da rischiare tutto in quel modo? E poi perché inviarlo proprio nel momento della sua partenza per quella missione? Perché ciò che era ovvio era che non poteva certo essere una coincidenza che la messa in onda del video e la sua partenza fossero avvenuti quasi in contemporanea. Sarebbe potuto comparire prima o dopo, eppure avevano scelto proprio quel preciso momento, il che significava che quel messaggio aveva avuto il preciso scopo di mandare all’aria la sua missione e trattenerlo a Londra.
 Dunque qualcuno doveva aver informato l’autore del messaggio riguardo i dettagli della missione e della partenza. Ma chi? Il governo, forse?
 No, impossibile, si disse immediatamente. Non dopo averlo spedito in missione per aver commesso un crimine. Non avrebbe avuto senso fare una cosa del genere allarmando un intero paese.
 E non poteva di certo essere Moriarty. Jim era morto sul tetto del Bart’s e questo era incontrovertibile. Non ci sarebbe stato modo per lui di sopravvivere dopo un colpo alla testa e dopo un’autopsia – effettuata da Molly Hooper, che si era assicurata che fosse morto, prima di cominciare con l’analisi del corpo.
 L’unica possibilità era che l’autore di quel parapiglia fosse uno dei suoi complici.
 Il problema sarebbe stato capire chi.
 Sherlock era convinto di averli eliminati tutti nei due anni passati lontano da Londra. Aveva dato la caccia ad ognuno di loro, seguendoli, controllandoli, eliminandoli… eppure rieccoli lì, pronti a tornare all’attacco. Perciò, anche se gli costava molto ammetterlo, probabilmente qualcuno doveva essergli sfuggito. E doveva essere qualcuno che aveva degli interessi nel distruggere Sherlock Holmes e colpire l’Inghilterra una seconda volta, utilizzando l’immagine di Moriarty come tramite. Quindi qualcuno che doveva essergli molto vicino. Tanto vicino da avere gli stessi interessi e obiettivi.
 Un’altra cosa di cui Sherlock era completamente certo era che, chiunque ci fosse dietro quella storia, presto sarebbe andato a cercarlo. Non sapeva come e quando si sarebbe rivelato, ma era certo che non avrebbe atteso a lungo prima di mettere in atto la seconda mossa. E lui avrebbe dovuto essere pronto a tutto. Il che significava che per farlo avrebbe dovuto acquisire più informazioni possibili riguardo la messa in onda del video. Perciò, avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di suo fratello, anche se l’ultima cosa che voleva in quel momento era dover avere a che fare con Mycroft. Tuttavia era innegabile che senza di lui non avrebbe potuto fare progressi, quindi si convinse a tentare di essere civile e andare da lui per evitare che la situazione peggiorasse ulteriormente o farsi cogliere impreparato.  
 Aprì gli occhi e si alzò dalla poltrona per prendere la giacca e raggiungere il Diogene’s Club, ma non appena scattò in piedi venne colto da un capogiro. Chiuse nuovamente gli occhi e si portò una mano alla fronte, tentando di recuperare la lucidità necessaria per stare in piedi. Sentì le gambe farsi improvvisamente deboli e instabili e il capo divenne leggero, come se si fosse svuotato completamente. Percepì il cuore martellargli nel petto così rapidamente da rimbombagli con violenza in ogni cellula e sembrò quasi che l’aria nella stanza fosse diventata così pesante e rarefatta da premere sulle sue spalle come un macigno, impedendogli di respirare.
 E poi sopraggiunse il senso di nausea.
 Sherlock ansimò.
 Sicuramente non era nulla di grave: aveva solo bisogno di un po’ d’acqua e si sarebbe sentito meglio. Anche perché non poteva permettersi malori o debolezze in quel momento. Doveva occuparsi di Moriarty, prima che fosse qualcuno dei suoi complici a colpire lui.
 Tentò di muovere un passo per raggiungere la cucina, ma non appena si mosse collassò a terra, privo di sensi.
 
 John varcò la soglia di Baker Street dopo aver riaccompagnato sua moglie a casa. Quel pomeriggio, appena sceso dall’aereo non aveva voluto approfondire la questione di Moriarty dato che gli avvenimenti erano stati sconvolgenti per tutti. Aveva preferito riaccompagnare Mary a casa e schiarirsi le idee. Eppure, non appena aveva varcato la soglia di casa propria, aveva sentito il bisogno di ricevere delle spiegazioni riguardo quella situazione decisamente assurda. E non era riuscito ad attendere a lungo: aveva salutato Mary, raccomandandole di riposarsi, ed era uscito, diretto a Baker Street per poter parlare con Sherlock.
 Non appena entrò, la signora Hudson uscì dal suo appartamento, interrompendo il corso dei suoi pensieri per andargli incontro. Gli rivolse un caldo sorriso e avanzò.
 «John caro, finalmente.» esclamò. «Hai visto quello che è successo?» chiese con aria preoccupata. «Davvero Moriarty è ancora vivo? Per questo Sherlock è tornato?»
 John fece spallucce, richiudendosi la porta alle spalle. «Non lo so, signora Hudson.» rispose. «Siamo tutti molto confusi, ma confidiamo che Sherlock riesca a scoprire cosa sta succedendo.»
 «Spero solo che quel benedetto ragazzo non si cacci di nuovo nei guai.» replicò lei, scuotendo il capo. «L’ultima volta abbiamo dovuto rinunciare a lui per ben due anni.»
 «Sì, lo spero anch’io.» confermò Watson.
 «Tienilo d’occhio, tesoro.» si raccomandò, poggiandogli una mano sulla spalla. «Nessuno di noi vuole perderlo di nuovo per mano di Moriarty.»
 «Lo farò.» assicurò il medico con un sorriso.
 «Vai da lui.» concluse la padrona di casa. «È di sopra, credo ti stia aspettando.»
 «Grazie. A presto, signora Hudson.» replicò John e salì le scale.
 Il messaggio di Moriarty tornò a galla nella sua mente, insieme al ricordo di uno Sherlock in overdose sull’aereo. Sospirò, maledicendosi per non aver notato la condizione dell’amico, sulla pista, prima della partenza. Come aveva potuto essere così cieco da non vedere che si era fatto prima di salire sull’aereo? Era un maledetto dottore, avrebbe dovuto accorgersene e invece era stato troppo cieco per vedere. Era così afflitto e distrutto dalla partenza del suo migliore amico, che non aveva fatto caso alle sue condizioni. Ma adesso nulla avrebbe salvato Sherlock da una bella ramanzina riguardo al suo comportamento irresponsabile e autodistruttivo.
 Aprì la porta, pronto a rimproverare Sherlock, ma si bloccò sulla soglia. Per un momento il suo cuore smise di battere e il sangue divenne ghiaccio nelle sue vene. Sherlock era a terra, accanto alla sua poltrona, pallido come un cencio e immobile, apparentemente privo di sensi.
 Dopo un iniziale momento di panico, John si ricompose, imponendosi di rimanere lucido. Lo raggiunse e si inginocchiò accanto a lui, prendendogli il polso. «Sherlock» lo chiamò.
 Il battito era flebile ma accelerato e il suo viso sempre più pallido ad ogni secondo che passava.
 Non ottenne nessuna risposta.
 John scosse il capo. Poteva essere andato in overdose di nuovo? Forse si era iniettato qualcos’altro dopo essere tornato, stressato da tutta quella situazione… eppure sembrava solo svenuto. Cosa stava succedendo?
 «Sherlock» ripeté a quel punto, prendendogli il volto fra le mani. «Apri gli occhi, avanti. Sherlock…» sussurrò, dandogli leggeri colpetti sulle guance. «Sherlock»
 Dopo un momento, le palpebre di Holmes tremarono. L’uomo trasse un profondo respiro e lentamente, rinvenne. Gli occhi si aprirono, rivelando le iridi azzurre e non appena incontrò gli occhi di John, aggrottò le sopracciglia.
 «…John…?» bofonchiò, la voce impastata.
 Il medico annuì e non poté trattenere un sospiro di sollievo nel vederlo nuovamente cosciente.
 «Cosa…? Dove…?» balbettò il consulente investigativo, confuso.
 «Sei a Baker Street.» spiegò Watson. Poi scosse il capo. «Cos’altro hai preso?»
 «Come?» mormorò, aggrottando le sopracciglia, confuso. «Io non ho… non ho preso nulla… Sono… ehm…» si portò una mano alla fronte e, inspirando profondamente, tentò di mettersi seduto sul pavimento. Ansimò, sentendo una potente fitta alla testa e un nuovo capogiro coglierlo.
 «Ehi… piano.» disse John, poggiandogli una mano sul petto per impedirgli di alzarsi. «Sicuro di non aver preso niente?» domandò, sollevandogli le palpebre, mentre teneva una mano dietro al suo collo per reggergli la testa. Aveva le pupille dilatate e sembrava confuso e dopo essere appena andato in overdose era rischioso lasciarlo in quelle condizioni. «Forse dovremmo andare in ospedale.»
 Sherlock scosse il capo. «Non ho preso nulla.» assicurò, più lucido. «È stato solo un… un capogiro, credo.»
 «Un capogiro?» domandò Watson diffidente, aggrottando le sopracciglia.
 L’altro annuì. «Mi sono alzato troppo in fretta dalla poltrona e sono svenuto.»
 «Non sei mai svenuto da quando ti conosco. Nemmeno quando non mangiavi per giorni interi.» fece notare. Poi scosse il capo. «Non sono tranquillo, preferisco portarti in ospedale.»
 «No.» scattò Sherlock, prendendogli la mano, prima che potesse prendere il cellulare. I loro occhi si incontrarono. «Sto bene. Sarà stato solo un calo di zuccheri. Puoi visitarmi tu, non c’è bisogno di andare in ospedale.»
 John sospirò e dopo un momento di riflessione, annuì. Dopotutto non c’erano segni che indicassero qualcosa di più grave di un calo di zuccheri. «D’accordo.» concesse. «Ma voglio che ti sdrai sul divano e che non ti muovi di lì, siamo intesi? Se ti muovi ti porto in ospedale. In spalla.»
 Sherlock accennò un sorriso. «Vorrei vederti provare.»
 «Non sfidarmi, signor Holmes.» replicò lui, circondandogli la vita con un braccio e aiutandolo a mettersi seduto.
 Sherlock si aggrappò alle sue spalle e si lasciò aiutare a sedersi sul pavimento. Quando le mani di John sfiorarono il suo corpo, provò nuovamente la sensazione percepita sull’aereo, quando il medico l’aveva sorretto. Era qualcosa di piacevole e allo stesso tempo terribilmente sbagliato, qualcosa che gli tolse il fiato e fece accelerare così tanto il suo battito cardiaco da fargli provare un senso di disorientamento.
 I loro visi si ritrovarono a pochi centimetri l’uno dall’altro e i loro occhi si incontrarono per qualche secondo. Per un momento, i due rimasero immobili a guardarsi negli occhi, persi nel blu delle iridi dell’altro.
 Il primo a distogliere lo sguardo fu Sherlock, che abbassò gli occhi, allontanando dalla mente i ricordi che erano tornati a galla. Allontanando tutti i pensieri su John.
 John non era suo. Amava Mary. E lui avrebbe dovuto superarlo e farsene una ragione. Non poteva continuare a rimanere aggrappato ad una speranza irrealizzabile. A sogni che non sarebbero mai divenuti realtà. Doveva dimenticare, concentrarsi sul caso e smetterla di pensare a John, anche se gli fosse costato un’immensa fatica.
 Watson si schiarì la voce. «Ok, adesso ti metto in piedi.» affermò. «Pronto?» chiese, alzandosi e tenendo le braccia dell’amico. Vedendolo annuire, lo aiutò ad alzarsi, reggendolo per i fianchi. Quando il consulente investigativo si fu messo in piedi, John attese qualche secondo per essere certo che fosse stabile sulle gambe, poi parlò: «Ce la fai a camminare?»
 «Perché? Altrimenti mi porti in spalla fino al divano?» chiese Sherlock di rimando, con un sorriso.
 John rise. «Divertente.» e si mosse lentamente verso il divano, sorreggendolo. Lo fece sedere, poi gli poggiò una mano su una spalla, vedendo che era impallidito di nuovo per lo sforzo. «Sdraiati, prima di svenire di nuovo.»
 Sherlock chiuse gli occhi. «Sto bene, te l’ho detto.» bofonchiò.
 «Sei pallido come un lenzuolo. Non stai bene.» fece notare il medico. «Adesso sdraiati o ti porto in ospedale.»
 «D’accordo.» concesse Sherlock, sdraiandosi sulla schiena. «Se insisti…»
 «Sì, insisto.» replicò John e gli poggiò una mano sul petto, accarezzandolo. «Fai respiri profondi. Io torno subito.» concluse e uscì dalla stanza, diretto in bagno. Quando tornò, aveva tra le mani l’apparecchio per misurare la pressione che aveva lasciato a Baker Street quando si era trasferito. Si sedette accanto all’amico e glielo infilò al braccio. Rimase in silenzio per qualche minuto, misurando e controllando i suoi valori e alla fine glielo sfilò, togliendosi lo stetoscopio dalle orecchie. «Hai la pressione bassa, per questo sei svenuto.» spiegò, poggiando l’apparecchio sul tavolino accanto a sé. «Adesso ti preparo un bel caffè e qualcosa da mangiare.»
 «Devo andare da Mycroft.» protestò Sherlock. «Devo saperne di più riguardo al video.»
 «Il video può aspettare.» affermò John, mettendosi in piedi. «La tua salute è più importante.»
 «Moriarty è la priorità.»
 «No, tu sei la priorità.» insistette John con voce ferma. «Adesso devi pensare a rimetterti in forze. Hai rischiato un’overdose solo poche ore fa. Avrai tempo per occuparti di Moriarty.» concluse, avviandosi verso la cucina.
 Sherlock sbuffò sonoramente. «Se l’Inghilterra cadrà sotto la morsa di James Moriarty sapremo che incolpare.»
 «Quanto sei melodrammatico.» rispose John dalla cucina, mettendo su il caffè. «L’Inghilterra non cadrà di certo oggi. E se proprio lo farà, allora potrete incolpare me. Saresti fortunato, il colpevole sarebbe proprio sotto il tuo naso.» disse, tornando il salotto. «Cosa accidenti ci fai in piedi?» esclamò, vedendo che Sherlock si era alzato dal divano.
 «Ho la nausea.» spiegò lui, portandosi una mano alla fronte.
 A quel punto, John, senza perdere tempo, lo raggiunse e cingendogli i fianchi con un braccio, lo accompagnò in bagno.
 Non appena si fu chinato sulla tazza, Sherlock vomitò. Considerando che erano giorni che non mangiava, il contenuto del suo stomaco era alquanto scarso, ma i conati lo scossero violentemente e a lungo, prima di fermarsi. Il medico rimase al suo fianco, accarezzandogli la schiena mentre l’accesso di tosse lo scuoteva violentemente, senza volergli dare tregua.
 Quando i conati si fermarono e Sherlock tornò a respirare normalmente, si sedette sul pavimento e poggiò il capo contro la parete. Il viso era rigato da rivoli di sudore e il corpo scosso da leggeri tremori; il respiro era affannoso e pesante, rotto da leggeri ansiti; aveva gli occhi serrati, le mani strette a pugno, le nocche bianche per lo sforzo.
 John sospirò e prese un asciugamano dal mobiletto sotto il lavandino. Gli asciugò il viso e poi gli poggiò una mano sulla spalla. «Va meglio?»
 Sherlock, lentamente, aprì gli occhi e annuì. «Scusa…» mormorò.
 Watson non poté trattenere un sorriso. «Sherlock Holmes che si scusa… ma allora stai davvero male.»
 Una leggera risata lasciò le labbra del consulente investigativo.
 «Ti va di metterti a letto o vuoi restare qui?»
 «Letto…» borbottò l’altro.
 «D’accordo.» disse John. «Andiamo, ti aiuto.» concluse e lo aiutò a mettersi in piedi. Gli circondò i fianchi con un braccio e lo guidò fino alla sua stanza. Lo fece sdraiare sul materasso e gli accarezzò la fronte. «Mio Dio, sei uno straccio.» concluse, rimboccandogli le coperte. «Devi stare qualche giorno a riposo. Niente indagini e niente casi.»
 E questa volta Sherlock non replicò, si limitò a chiudere gli occhi e dopo qualche secondo, sprofondare nel sonno.
 
 
 Tuo fratello sta male.
 Tienilo lontano dal caso.
                                        JW
 [22.47 – 02/01]
 
 Niente di grave, spero.
                                   MH
 [22.51 – 02/01]
 
 Un calo di pressione.
 Dobbiamo controllarlo più da vicino. 
                                                         JW
  [22.56 – 02/01]     
 
 Lo terrò d’occhio.
                             MH
 [23.00 – 02/01]
    
 Chiedo a Greg di tenerlo
 fuori da casi per un po’.
 Ti prego, tienilo fuori dalla faccenda di
 Moriarty almeno per una settimana.
                                                            JW
 [23.01 – 02/01]
 
 Ci proverò.
                        MH
 [23.04 – 02/01]
   
 Grazie, dottor Watson.
                                 MH
 [23.05 – 02/01]
 
 Quando Sherlock aprì gli occhi, il mattino seguente, poteva dire di sentirsi decisamente meglio. Aveva recuperato le forze e sentiva di poter tranquillamente riprendere con le sue indagini, senza correre il rischio di sentirsi ancora male.
 Uscì da sotto le coperte e dopo essersi cambiato, entrò in cucina. Sul tavolo c’era un vassoio con una tazza vuota e un piattino di biscotti dal profumo invitante. Accanto alla tazza c’era un biglietto sul quale erano state scarabocchiate alcune parola.
 L’uomo si avvicinò e lo prese tra le mani, notando l’inconfondibile calligrafia di John.
 
 Bevi del caffè e mangia qualche biscotto.
 Ti ho lasciato un po’ di spremuta nel frigorifero, accanto ai bulbi oculari.
 Credimi, saprò se non farai colazione. 
 Scrivimi se hai bisogno di me.
 Stai a riposo.
                                                          John
 
 
 Sherlock sollevò gli occhi dal biglietto e sbuffò. Avrebbe dovuto scovare le telecamere piazzate da suo fratello e distruggerle. Non sopportava essere spiato da Mycroft e da John. Non aveva bisogno di qualcuno che lo controllasse, sapeva cavarsela da solo. D’altronde l’aveva sempre fatto.
 Scosse il capo e si diresse verso il frigo, estraendo la brocca colma di succo d’arancia; ne versò un po’ in un bicchiere e azionò la macchinetta del caffè. Avrebbe fatto colazione, se non altro per non essere infastidito da John e da suo fratello, che sicuramente lo stava osservando, essendo stato avvertito da Watson riguardo a quanto accaduto il giorno precedente.
 Una volta finito di mangiare, poggiò le stoviglie nel lavello e dopo aver indossato cappotto e sciarpa decise di uscire e andare al Diogene’s Club per parlare, finalmente, con suo fratello.
 
 Quando Sherlock raggiunse l’ufficio di Mycroft, non si disturbò nemmeno a bussare: aprì la porta ed entrò. Suo fratello era seduto alla scrivania e di fronte a lui, seduto sulla seggiola dall’altro capo, c’era Lestrade.
 Sherlock aggrottò le sopracciglia, stupito dalla presenza dell’Ispettore.
 «Cosa ci fai qui, Sherlock?» domandò Greg, alzando gli occhi. «Dovresti essere a casa a riposare.»
 «Potrei farti la stessa domanda, Ispettore. Non dovresti essere al lavoro a quest’ora?» chiese di rimando, avanzando. Un moto di rabbia lo invase quando si rese conto che non solo John aveva avvertito suo fratello, ma aveva anche informato Lestrade, probabilmente per chiedergli di tenerlo fuori dalle indagini. «E poi da quando frequenti Mycroft?» aggiunse, un sopracciglio alzato.
 Lestrade sospirò. «Io e tuo fratello non ci frequentiamo. Stiamo parlando di lavoro.»
 «Lavoro?» indagò il consulente investigativo. «Direi piuttosto che stavate parlando di me. Credo che John abbia chiesto a entrambi di tenermi fuori sia dal caso di Moriarty che da altri eventuali casi di Scotland Yard. Ecco perché quelle facce e il perché della tua affermazione.» concluse, rivolgendogli uno sguardo eloquente. «Ovviamente John si preoccupa eccessivamente per qualcosa di poco conto. Sono perfettamente operativo, come potete vedere.»
 Mycroft si massaggiò le tempie. «Sherlock, torna a casa.» disse in tono pacato. «Non dovresti stare qui. Lo stress non farà che peggiorare le cose. E in ogni caso non ci sono prove che devono essere portate alla tua attenzione.»
 «Chiudi la bocca, Mycroft.» ringhiò Sherlock, spazientito. «Sai benissimo che hai bisogno di me per questo caso.»
 Il maggiore si mise in piedi. «Ho bisogno che tu vada a casa e riposi.» insistette.
 Sherlock alzò gli occhi al cielo. «Per l’amor del cielo, volete finirla di preoccuparvi per me quando non ce n’è bisogno?» chiese, esasperato. «La vostra apprensione non fa che peggiorare questa situazione. Dobbiamo risolvere un caso e voi pensate alle mie condizioni di salute.»
 A quel punto anche l’Ispettore si mise in piedi per spalleggiare Mycroft. «Le tue condizioni di salute sono la priorità in questo momento.» disse con voce ferma. «Pensaci, Sherlock: come pensi di affrontare Moriarty, o chiunque ci sia dietro questa storia, se nemmeno riesci a reggerti in piedi?»
 «Sto bene!» esclamò il consulente investigativo.
 «Sei quasi andato in overdose soltanto ieri.» fece notare Mycroft. «Non stai bene.»
 «Vogliamo smetterla di rivangare questa storia?» sibilò Sherlock, incontrando lo sguardo del maggiore.
 «Ti sei comportato in maniera a dir poco riprovevole. Quindi no, non voglio smetterla di rivangarlo.» replicò il politico, alzando la voce e avvicinandosi. «Voglio che tu ti renda conto di quanto sconsiderato sia stato il tuo gesto, in modo di scoraggiarti dal ripeterlo ancora.»
 «Te l’ho detto: ho le cose reali di cui occuparmi.» gli ricordò, ma l’altro rimase impassibile, immobile accanto alla scrivania, intenzionato a non parlare riguardo al caso. Perciò Sherlock riprese. «Stai davvero cominciando a stancarmi, Mycroft. Voglio che tu mi dica tutto quello che sai su quel video.»
 «Vai a casa.» sillabò il maggiore. «Non voglio ripeterlo ancora.»
 «Mycroft» ringhiò Sherlock.
 «Mycroft ha ragione.» aggiunse Greg. «Quindi non fare il bambino e vieni con me.»
 Sherlock inarcò le sopracciglia. «Ricordami perché sei qui, Lestrade?»
 «Per tenerti d’occhio, pezzo di idiota.» replicò Greg, avvicinandosi. «Adesso andiamo. Quando starai meglio ti porterò io stesso i documenti e le prove che hanno raccolto.»
 «Oh, questo mi rincuora.» affermò Sherlock, ironicamente. Poi tornò a voltarsi verso suo fratello. «Come puoi startene lì mentre Moriarty minaccia di attaccare Londra un’altra volta?» chiese. «Siamo tutti in pericolo e le mie condizioni di salute saranno l’ultimo del nostri problemi quando i complici di Moriarty torneranno. Perché lo faranno, Mycroft, lo sai anche tu.» Mycroft rimase impassibile. «E voi non sarete mai pronti a…» si interruppe, abbassando lo sguardo e portandosi una mano al capo.
 Mycroft e Greg si scambiarono uno sguardo fugace.
 Lestrade avanzò. «Sherlock?»
 «Che succede?» domandò Mycroft, avvicinandosi.
 Sherlock prese a respirare affannosamente. «La testa…»
 Greg gli poggiò una mano su un braccio. «Senti dolore?»
 Holmes ansimò, portandosi una mano al petto.
 «Mycroft, apri la finestra.» ordinò Lestrade, voltandosi verso di lui. Quando lo vide annuire e muoversi per aprirla, tornò a osservare Sherlock e gli slacciò la sciarpa, poggiandola poi sulla scrivania, avendo notato che stava facendo fatica a respirare.
 Sherlock ansimò nuovamente, sentendo un peso nel petto a comprimergli cuore e polmoni. Le gambe traballarono sotto il suo peso, troppo instabili per reggerlo.
 Greg lo sorresse poco prima che collassasse a terra privo di sensi, accompagnandolo nella caduta e inginocchiandosi al suo fianco. Gli sorresse la testa e con l’altra mano poggiò la sciarpa sul pavimento, in modo da tenere il capo sollevato da terra.
 «Quello sconsiderato.» ringhiò Mycroft, affiancando l’Ispettore. «Perché non poteva semplicemente rimanere a casa?»
 Greg scosse il capo. «Chiamo un’ambulanza.» constatò. «Rimani qui.»
 Mycroft annuì e lo osservò uscire dalla stanza, inginocchiandosi accanto al fratello e accarezzandogli il capo. 


ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao a tutti! Come state? ♥
Rieccomi qui con una nuova long dopo parecchio tempo in cui non mi facevo sentire. ;) Che bello essere tornata! :)
Come avrete potuto leggere dalla trama, la storia è ambientata dopo lo spaciale di Natale e si tratterebbe di un'ipotetica quarta stagione.
Considerando che sto ancora rivedendo i prossimi capitoli - che comunque non sarenno più di dieci - non pubblicherò a giorni alterni ma man mano che i capitoli saranno pronti. :)
Non credo ci sia molto altro da aggiungere, perciò grazie a chi è arrivato fino a qui e a presto con il prossimo capitolo!
Bacioni, Eli♥


 
   
 
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