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Autore: itachiforever    05/05/2016    5 recensioni
Tutto è cominciato un normale venerdì pomeriggio primaverile, uguale a molti altri prima, ad altrettanti che sono venuti dopo quello e chissà quanti ancora ce ne saranno. Tutto è cominciato con una scelta, una decisione presa senza riflettere troppo...
Volevo solo andare a casa di mia zia. Ma a casa di mia zia non ci sarei mai arrivata. Qualcun altro mi avrebbe trovato prima.
Genere: Horror, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Slenderman
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza
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Prologo


Tutto è cominciato un normale venerdì pomeriggio primaverile, uguale a molti altri prima, ad altrettanti che sono venuti dopo quello e chissà quanti ancora ce ne saranno.
Non è cambiato poi molto da prima… da prima di quel venerdì pomeriggio di quella primavera. Ogni giorno era più o meno uguale a tutti gli altri e ora continua ad essere così, anche se in maniera diversa. Ma quel venerdì è stato un giorno diverso da tutti gli altri e, per quello che riesco a ricordare, sono solo due i giorni “speciali” della mia vita.
Il primo è stato quando mia madre è morta. E il giorno stesso scoprii che mio padre aveva una relazione segreta con un’altra donna, lei divorziata e con un figlio di qualche anno più grande di me. Avevo circa sei o sette anni credo, non ricordo bene. Ci trasferimmo in una città vicina e i due si sposarono un paio di anni dopo.
Il secondo è stato quel venerdì pomeriggio in cui decisi che era arrivato il momento di finirla. Di mettere un punto a quel capitolo troppo lungo della mia vita e cominciarne un altro, lontano da quella che non sono mai riuscita a definire famiglia.
Ma andiamo con ordine. Non mi sono ancora presentata.
Mi chiamo Sharleen Crawford, sono alta 1,68 cm, ho i capelli di un biondo piuttosto scuro e gli occhi verdi. L’ultima volta che ho festeggiato, per modo di dire, dato che sono andata a comprarmi da sola una fetta di torta al cioccolato al bar, il mio compleanno è stato al compimento dei sedici anni. Ora sinceramente non so quanti anni ho. Il tempo non ha più molta importanza e come ho già detto tutti i giorni sono uguali. Credo siano passati tre o quattro anni, ma non posso esserne certa. Sono –diventata da quel venerdì- taciturna, magra e con problemi di insonnia frequente.
Quel venerdì era iniziato male, come tutti gli altri giorni.
Mi svegliai allo stesso orario di sempre e scesi in cucina. Feci colazione con papà Henry, Evelin la matrigna, Patrick, il fratellastro più grande, e Kevin, il fratellastro più piccolo nato dopo il secondo matrimonio di papà. Dovetti al solito sorbirmi le lamentele dei due piccioncini su quanto fossi inutile e bla bla bla, non voglio annoiarvi più di tanto, e le prese in giro dei miei adorati bulletti, ops, volevo dire fratellastri… Dopo la colazione salii in camera mia, ovvero la soffitta, quel posto dove solitamente vengono lasciate ad ammuffire le cose che non servono più e i giocattoli di quando si è bambini. L’allegro quartetto sarebbe partito poco dopo per un week end al mare, lasciandomi come al solito a casa. Il mio muso lungo li avrebbe messi di pessimo umore, e comunque non meritavo di andare in vacanza dato che andavo male a scuola e non contribuivo al sostentamento della famiglia, come se non fossi io a pulire sempre tutta la casa da cima a fondo, a lavare piatti e vestiti e tutto. Una moderna Cenerentola in sintesi. Poco male, avrei avuto di nuovo la casa libera per qualche giorno, con accesso illimitato alla scorta di snack dei ragazzi e alla connessione internet, per me un tabù. Compravano talmente tante cose che quando rubacchiavo qualcosa non se ne accorgevano neanche. Peccato che quel giorno non avrei avuto tempo di sgranocchiare biscotti e guardare film al pc. Non appena loro fossero partiti, io avrei fatto i bagagli e me ne sarei andata.
Lo so, è stata una scelta avventata fatta da una sedicenne che preferiva andare in una casa famiglia o in un centro di recupero o che so io piuttosto che passare un altro giorno in quella casa.
Appena loro furono partiti, non senza avermi dato la lista degli ordini da eseguire,  verso le quattro di pomeriggio, presi il mio zaino di scuola e ci infilai dentro tutto quello che avevo deciso di portarmi. Persi dei vestiti comodi, alcuni leggeri e alcuni più pesanti. Mi lavai e cambiai velocemente il pigiama che avevo tenuto tutta la mattina, mettendo anche quello nello zaino, e indossando al suo posto i pantaloni neri di una tuta, scarpe da ginnastica bianche e una maglietta a maniche corte bianca con la scritta “young, wild & free” in viola chiaro. Perfetta per l’occasione no?
Presi dal comodino una foto con me e la mamma, quando era ancora viva. Morì in un incidente, venne investita da una macchina mentre tornava a casa. Avevo preso gli occhi e i capelli da lei, e fortunatamente non avevo preso niente da mio padre. Ogni giorno prendevo quella foto e la guardavo per qualche minuto, cercando di ricordare ogni piccolo momento passato con lei. Ma ero troppo piccola, e i ricordi di quando si è piccoli piano piano svaniscono. Era un angelo, semplicemente perfetta. La mamma che tutti vorrebbero. Venne sepolta nel cimitero della città dove abitavamo, e proprio per questo non potevo andarla a trovare.
Ricacciai indietro qualche lacrima che faceva forza per uscire e scesi in cucina a prendere una bottiglietta d’acqua e una di the al limone, un pacco di gocciole e uno di patatine al formaggio.
Andai poi in camera di Patrick e presi il coltello a serramanico che teneva nel cassetto del suo comodino. Da Kevin presi invece la torcia elettrica e un paio di batterie in più. Faceva tanto lo sbruffone ma aveva una paura matta del buio. Infine presi i pochi soldi che avevo da parte.
Lasciai tutto, non che comunque avessi molto, telefono compreso perché non fossi rintracciabile, e andai via, senza curarmi di chiudere a chiave la porta.
Appena uscita attraversai la strada e arrivai al parco di fronte casa. Feci con calma il tragitto che mi avrebbe condotta al limitare del bosco che stava proprio al confine della città, passando per i vialetti e soffermandomi a guardare i bambini che giocavano sulle giostre e le famiglie allegre, ricordandomi di quando anche io ne avevo una identica, all’apparenza. Se mia madre era vicina, mio padre era un padre esemplare. Se non era in casa, non dovevo azzardarmi a mettere piedi fuori dalla mia stanza e fare un qualsiasi tipo di rumore.
Alla fine del parco una pineta fungeva da zona pic nick, in quel momento vuota dato l’orario. La attraversai finchè non arrivai alla recinzione che impediva l’accesso alla prima parte del bosco. La recinzione era stata messa dopo una serie di sparizioni avvenute nelle città limitrofe al bosco. Tantissimi bambini e ragazzi si erano praticamente volatilizzati nel nulla e non si era più saputo niente di loro. Si poteva accedere solo da un cancello controllato, a qualche centinaio di metri di distanza da dove ero io. Ma non volevo che nessuno sapesse di me, quindi con non poca fatica scavalcai la recinzione, o meglio caddi dal lato opposto una volta arrivata in cima. Atletica non è esattamente un aggettivo che mi si addice, anche se, per mia fortuna – o sfortuna? – sono abbastanza veloce.
Ignara di tutto quello che sarebbe successo dopo continuai a camminare in mezzo a quella parte iniziale di bosco, arrivando come pianificato alla seconda recinzione, oltre la quale c’era la strada che mi avrebbe portato alla città dove vivevo prima. Ancora oltre si trovava il bosco vero e proprio, dove per nessuna ragione, come tutti gli adulti dicevano, si deve andare. Dicevano che tutti quelli che erano spariti erano entrati o si erano avvicinati troppo. Che chissà quale tremenda creatura si aggirava tra quegli alberi. Le solite storielle per spaventare i bambini, no? Forse…
Stavo per scavalcare anche quella rete, quando mi accorsi di una macchina della polizia sul ciglio opposto della strada. Dei cespugli mi impedivano di essere vista, ma se avessi scavalcato mi avrebbero fermata e poi chissà che altro. Avevo sentito di un posto di blocco in quella zona, per fare in modo che tutti rispettassero le regole della strada, ma non me ne ero ricordata. Decisi quindi di aspettare che i due poliziotti si mettessero in macchina ed andassero via. Non sarebbero certo rimasti lì per tutto il giorno, pensavo.
Fui invece costretta ad aspettare almeno le dieci di sera, perché non si mossero da li prima di quell’ora. Scavalcai e attraversai velocemente, rifugiandomi tra i cespugli della foresta. Era meglio camminare parallelamente alla strada nascosta dalla vegetazione fitta, piuttosto che vicino alla strada col rischio di essere investita, come mamma, o scambiata per “una dai facili costumi”. Dato l’orario la strada non era un posto sicuro e la foresta era buia e piuttosto inquietante, meglio camminare tra le due.
Iniziai quello che sarebbe dovuto essere un viaggio a piedi di almeno tre giorni e iniziai a fantasticare su come sarebbe cambiata la mia vita con la mia dolce zietta a prendersi cura di me.
Avevo infatti intenzione di andare da mia zia Rosalyn, la sorella di mia madre, che ero sicura mi avrebbe aiutato.
Ma a casa di mia zia io non ci sarei mai arrivata. Qualcun altro mi avrebbe trovato prima.





Angolo Autrice
Mi è venuta in mente e non ho potuto fare a meno di scrivere, nonostante le altre serie ancora in corso...ma pazienza u.u

Perdonate eventuali errori e segnalatemeli se li trovate. In questo primo capitolo non succede molto, è solo introduttivo. Volevo scrivere tutta la storia della ragazza ma sarebbe venuta fuori una cosa un po' noiosa forse XD quindi mi sono trattenuta e ho scritto il minimo indispensabile, spero siate riusciti a capirci qualcosa...in caso contrario chiedete pure :3

Al prossimo capitolo! (Se ci sarete CvC)
  
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