Note: Non avrei mai
pensato di arrivare a finire di scrivere questa OS.
Davvero, ci ho messo ben tre mesi per riuscire a completarla.
È la prima Sterek
che mi sono messa a scrivere quando qualcuno, _Stranger_, mi ha quasi
“costretta” perché pretendeva che io ne
scrivessi una. Mi è venuta
l’ispirazione ascoltando la canzone “Donde
Está El Amor” di Pablo Alborán, una
canzone bellissima e un testo che, me ne sono resa conto solo pochi
minuti fa,
è perfetto per l’intera O.S. Vi consiglio infatti
di leggere la storia
ascoltandolo almeno una
volta.
Il titolo invece è ispirato “Give me a
Reason” di P!nk, ma trovo che per la
storia sia perfetta anche una strofa di New Divide dei Linkin Park (la
trovate
subito dopo il titolo), come mi ha fatto notare la mia beta che
stravede per
questa canzone.
La ringrazio
moltissimo perché, nonostante
siamo al telefono da quasi tre ore, nonostante abbia sonno tanto quanto
me, ha
preferito che pubblicassi la storia insieme a lei e, soprattutto, mi ha
spinto
a continuare a scrivere.
Avvertenze: La
One-Shot segue il canon fino alla fine della quarta
stagione, escludendo tuttavia la partenza di Derek.
Detto
questo… Buona
lettura!
Noi ci rivediamo alla fine della storia (a meno che non vi siate
spaventati
dalla lunghezza della O.S. e non siate scappati prima).
https://www.youtube.com/watch?v=POP9_phDB2g
So give
me reason
To prove me wrong
To wash this memory clean
Let the floods cross
The
distance in your eyes
Give me reason
To fill this hole
Connect
the space between
Let it be enough to
reach the truth that
lies
Across this new divide
New
Divide –Linkin Park
Per lungo tempo Derek
aveva vissuto nel silenzio. Sin da quando la sua
famiglia era morta nell’incendio aveva smesso di essere quel
ragazzino pieno di
vita e desideroso di conoscere il mondo. Per anni aveva vissuto come un
automa
insieme a sua sorella Laura, ma anche lei era venuta a mancare e Derek
aveva
deciso che vivere non era più una priorità. Poi
Scott era comparso nella sua
vita e lui si era sentito responsabile di quel ragazzino che,
improvvisamente,
sembrava avere l’intero mondo sulle spalle. E insieme a Scott
era arrivata
anche una folata d’aria fresca, sarcastica e invadente che
aveva dato un po’ di
colore alla sua vita monotona. Perché Stiles, per Derek, era
questo. Quel
ragazzino tutto pelle e ossa anche se non era un licantropo, anche se
non aveva
nessuna forza sovraumana e non poteva guarire, non si era mai tirato
indietro.
E lui, semplicemente, se ne era innamorato. Non era stato un colpo di
fulmine,
né un amore puro e assoluto come quello con Paige. No,
quello che provava Derek
ancora non se lo sapeva spiegare. Alcune volte lo avrebbe voluto
uccidere – e
ci era andato più vicino di quanto gli piacesse ammettere
– altre volte entrava
nel panico per una semplice chiamata senza risposta.
Lo aveva guardato dormire per tutta la notte, chiedendosi come avrebbe
fatto
ora a tenerlo al sicuro. Ora che era
inutile.
Era stupido pensare che Stiles avrebbe rinunciato ad aiutare i suoi
amici, ma
come accettare con il cuore in pace che il suo ragazzo era
costantemente in pericolo
e che lui non poteva farci niente? In momenti come quelli Derek si
odiava.
Sapeva che Stiles non lo amava per la sua licantropia, ma non poteva
fare a
meno di domandarsi cosa sarebbe successo ora che la loro vita stava
cambiando
così drasticamente.
«Ehi… Non sei riuscito a dormire nemmeno questa
notte?».
«Mi sono appena svegliato». Bugia. E Stiles
s’irrigidì.
«Facciamo colazione? Cosa vuoi che ti prepari?».
Sorrise. Anche se il suo
ragazzo gli aveva mentito, anche se nemmeno lui aveva chiuso occhio,
stando
all’erta ad ogni minimo movimento del maggiore, Stiles
sorrise.
«Non ho fame».
«Non mangi da due giorni, Derek». Era preoccupato,
ma l’altro vi aveva sentito
solo rimprovero.
«Ho detto che non ho fame». Si
girò dall’altra parte, dandogli le
spalle, un chiaro invito ad andarsene
immediatamente.
Sapendo che se fosse rimasto avrebbero litigato, Stiles raccolse i
propri
vestiti sparsi per terra e si rivestì
velocemente.
Quando il materasso si abbassò leggermente sotto il peso del
minore, Derek
avrebbe voluto prenderlo per il polso, tirarlo sotto di sé e
baciarlo per ore e
ore. Avrebbe voluto ma non lo fece perché lui era Derek Hale
e non poteva
permettersi di farsi vedere spaventato. Non da
Stiles.
Quando Stiles si chiuse la porta del loft alle spalle non
riuscì più a
trattenersi e cominciò a tirare calci e pugni a tutto
ciò che lo circondava,
sapendo che Derek non lo avrebbe sentito. Non
più.
Finalmente tranquillo scese le scale un gradino alla volta, sperando
che il suo
ragazzo avrebbe spalancato la porta e lo avrebbe raggiunto, baciandolo
e
dicendogli che tutto sarebbe andato
bene.
Ma Derek non lo fece nemmeno quella volta.
Salì nella Jeep con una nuova consapevolezza: non poteva
più andare avanti
così. Vedere Derek sempre più debole, sempre
più irascibile lo stava logorando.
Doveva fare assolutamente qualcosa. Che Derek smettesse pure di
combattere, lui
non lo avrebbe
fatto.
Chiamò
Deaton per dirgli che doveva parlargli e che in dieci minuti sarebbe
arrivato alla clinica.
Parcheggiò qualche isolato più avanti
perché aveva visto la moto di Scott e non
voleva coinvolgere il suo migliore amico. Non ancora
perlomeno.
Aspettò accovacciato per più di
mezz’ora nascosto dietro ad un albero,
abbastanza lontano per non far sentire il suo odore da Scott ma
abbastanza
vicino da controllare l’entrata, e solo dopo che aveva visto
il ragazzo salire
in moto e allontanarsi Stiles si alzò e raggiunse la clinica
veterinaria.
Deaton lo stava già aspettando: le braccia incrociate come
al solito e nemmeno
l’ombra di un sorriso sul suo
volto.
«Non posso aiutarti, Stiles. Ti ho già detto che
non so cosa gli sta succedendo
e non so come
aiutarlo».
«No».
«Stiles…».
«No, d’accordo? Non puoi dirmi che non posso fare
niente. Non puoi pretendere
che stia a guardare il mio ragazzo morire senza che io faccia
nulla». Mantenne
la calma. Non urlò né alterò in
qualche modo la voce. Semplicemente non ne
aveva più le
forze.
«Io non ne so nulla, ma conosco qualcuno che potrebbe sapere
come aiutarlo». A
quelle parole Stiles si rianimò e tornò, dopo
mesi di agonia, a
respirare.
«Nahual».
«Na che?».
«I Nahual sono creature antiche, originariamente spiriti
buoni simili ad angeli
guardiani, ora desiderosi di vendetta per un torto subito
più di duecento anni
fa. Trovarli è molto difficile e non è detto che
si lasceranno avvicinare, ma
potrebbero aiutare
Derek».
«Perfetto, dimmi dove li trovo».
«Stiles,» Deaton gli mise le mani sulle spalle per
provare a calmarlo, «non è
così facile». Spinse all’indietro il
ragazzo fino a che questi non raggiunse la
sedia accanto al tavolo metallico su cui Deaton spesso e volentieri non
curava
solo cani, gatti o animali
selvaggi. Stiles si sedette e
l’uomo ritornò a
parlare.
«Non ne ho mai incontrato uno né ho mai letto
qualcosa su di loro. So solo
quello che mi ha detto Talia, e che è veramente poco.
Cercarli non è sicuro e
non è detto nemmeno che riuscirai a trovarli. Sono creature
pericolose, Stiles,
molto più di quello che abbiamo affrontato sino ad ora.
Però sono in debito con
Talia e forse, visto che si tratta di un Hale, aiuterebbero
Derek.
«Non mi importa quanto sia pericoloso, Derek sta morendo e
non posso
permetterlo. Non sopporto l’idea di perdere anche
lui».
L’uomo si portò le mani al volto, lisciandosi le
sopracciglia aggrottate,
ancora indeciso su come procedere. Stiles era determinato e sapeva che
non
avrebbe rinunciato alla possibilità di salvare Derek, ma era
una missione
suicida e non sarebbe mai riuscito da solo
nell’impresa.
«Chiama Cora o Peter, se loro sono disposti ad aiutarti ti
dirò come trovare i
Nahual».
Stiles
uscì dalla clinica con il cuore più leggero e
finalmente, dopo mesi,
riuscì a sorridere sinceramente. Non uno di quei sorrisi
finti che faceva di
fronte a suo padre, Derek o a chiunque gli chiedesse come si
sentisse.
Non provò nemmeno a contattare Peter, ci teneva troppo alla
sua pelle e troppo
poco a suo nipote, perciò la sua prima e unica scelta fu
Cora. Per la fretta il
telefono quasi gli cadde dalle mani che tremavano per
l’impazienza, e quando
sentì il primo squillo il suo cuore perse un
battito.
La ragazza gli rispose dopo pochi squilli con il panico nella
voce.
«Pront-
Pronto?».
«…».
«Stiles, maledizione!
Parla».
«Forse possiamo salvargli la
vita».
«Stiles».
«Se sei con me Deaton ci dirà cosa
fare».
«Spiegati meglio». Cora aveva trattenuto il
respiro, non voleva alimentare le
proprie speranze inutilmente e Stiles era stato troppo criptico. Se
veramente
Deaton sapeva come aiutare suo fratello perché non aveva
parlato sino ad
allora? Perché aveva taciuto loro la verità pure
vedendo Derek deteriorarsi
giorno dopo giorno? Ad un certo punto lei non aveva più
resistito – si chiedeva
come facesse Stiles a sopportare di veder morire la persona che amava
– e se ne
andò a New York per fare pace con il proprio dolore,
così come avevano fatto
anche Derek e
Laura.
«Mi ha parlato di qualcuno che potrebbe sapere cosa gli sta
succedendo e come
salvargli la vita». Il ragazzo ancora non poteva credere a
quello che stava
dicendo, gli sembrava di vivere un sogno, una mera illusione che si
sarebbe
potuta spezzare da un momento
all’altro.
«È pericoloso». Si sentì in
dovere di mettere le cose in chiaro sin da subito,
sapeva che Cora non si sarebbe tirata indietro – amava troppo
Derek –, ma gli
sembrava giusto metterla in guardia sin da subito.
«Il tempo di fare le valigie e arrivare
all’aeroporto e poi ti chiamo per farti
sapere quando puoi venire a prendermi. A tra
poco».
«A presto, Cora».
Dopo aver chiuso la
telefonata ritornò alla macchina, salì e
imboccò la
strada per la casa di Derek. Era passata qualche ora da quando se ne
era andato
e, anche se molto probabilmente si sarebbe rifiutato, Stiles doveva
almeno
provare a fargli mangiare qualcosa. Forse se Derek non avesse smesso di
combattere le sue condizioni non sarebbero degenerate in
così poco tempo, ma
Derek era un lupo sin dalla nascita e non era abituato a sentirsi
debole e
vulnerabile.
Quando Stiles ritornò al loft ritrovò il moro
ancora a letto, in boxer e con
solo il lenzuolo a coprigli la gamba destra e un
fianco.
«Ehi, cosa vuoi mangiare oggi? Ieri sono andato a fare la
spesa quindi chiedi
pure qualsiasi cosa».
«Non ho
fame».
Stiles lo raggiunse sul letto, si sedette sui polpacci
dell’altro e si abbassò
a baciarlo sulle labbra.
Avrebbe voluto
approfondire il bacio, forse sarebbe stata la loro ultima volta, ma
Derek lo
interruppe non appena Stiles gli mordicchiò il labbro
inferiore e premette con
la lingua per fargli aprire la bocca.
«Non ne ho voglia». Lo spinse via. Nonostante non
avesse più la forza da
licantropo Derek, nei suoi momenti buoni, continuava a essere
più forte di
Stiles.
«Cosa vorresti fare? Perché non andiamo a farci
una passeggiata nel bosco?
Fuori fa caldissimo e il bosco sarebbe l’ideale per ripararci
dall’afa».
«Non ne ho voglia, maledizione! Perché sei
ritornato? Vattene ché voglio stare
da solo». Stiles, per la seconda volta nell’arco di
una giornata, fu cacciato dal
suo letto. Da quando il lupo aveva perso i suoi poteri, passava
più tempo nel
letto di Derek che nel proprio, quindi aveva cominciato a considerarlo
come
suo.
«D’accordo».
Un altro giorno si sarebbe sentito sfinito, incazzato e forse avrebbe
preso a
pugni qualche cosa –ultimamente lo faceva sempre
più spesso – ma non quel
giorno. Nonostante il rifiuto e la morsa allo stomaco che provava ogni
volta
che vedeva il volto pallido di Derek, Stiles quel giorno si sentiva
sereno.
Perciò andò in cucina e tirò fuori
diversi ingredienti dal frigo e dalla
credenza, aveva deciso che non gli importava che Derek non volesse
mangiare, lo
avrebbe obbligato se necessario. Aveva bisogno di aggrapparsi a
qualcosa che
gli desse forza per quando sarebbe partito, aveva bisogno di ritrovare
il
ragazzo di cui si era innamorato.
Non vi erano mai stati gesti d’amore eclatanti o
dichiarazioni
sdolcinate, solo un bacio rubato e un primo appuntamento disastroso che
era
finito con Stiles che era scappato dalla finestra del pub in cui erano
andati.
∞∞∞
Stiles e Cora si
trovavano nella clinica di Deaton, ascoltando il druido
parlare di quanto i Nahual fossero pericolosi e
sanguinolenti.
«Sono una specie di streghe e stregoni, capaci di
intrappolare lo spirito degli
animali del bosco e assumere le loro sembianze. Né il sorbo
né il vischio ha
qualche effetto su di loro e sono molto più forti di te,
Cora. Dovete solo
basarvi sulla diplomazia e sperare che, in nome di tua madre, decidano
di
offrirvi il loro aiuto. E Stiles, dovresti dirlo a
Scott».
Stiles mosse un paio di volte la testa in segno di diniego. Scott era
il suo
migliore amico e lo conosceva abbastanza da sapere che non gli avrebbe
mai
permesso di andarsene da solo. E Beacon Hills aveva bisogno di lui
più di
quanto ne avesse Stiles.
«Potresti darci due minuti, per favore?». Il
veterinario annuì e si ritirò in
un’altra stanza per scrivere la lettera di presentazione che
i due ragazzi
avrebbero dovuto portare con
sé.
«Devi lasciare Derek». Non ci fu bisogno che Cora
aggiungesse altro, Stiles
capì e, anche se preferiva che non fosse così, le
dava ragione. Non poteva
sparire per settimane, forse mesi senza far insospettire Derek. Ma se
si
fossero lasciati, visto che il maggiore ormai non usciva più
di casa, sarebbe
stato difficile, ma non impossibile, nascondergli la sua
assenza.
«Lo
so».
∞∞∞
«Va
bene». Abbassò gli occhi e, nonostante lo sforzo,
non riuscì a tenere
la voce ferma.
«Mi dispiace». Ed era sincero. Era maledettamente
sincero e questo faceva
ancora più male.
«Ho capito».
«Sono
serio».
«Ho capito, maledizione!». Alzò la testa
di scatto, mostrando con fierezza gli
occhi rossi e traboccanti di lacrime. Perché ormai non gli
importava più nulla…
Che andassero tutti al diavolo! L’altro
indietreggiò, incapace di sostenere il
dolore che leggeva nei suoi occhi. Sapeva che stava piangendo, ma nel
vederlo
così debole e vulnerabile qualcosa dentro di lui si
spezzò. Prese un grosso
respiro, e facendo violenza su sé stesso per non correre
verso il suo ormai ex
ragazzo, aggiunse un’ultima cosa che sgretolò
definitivamente il cuore di
entrambi.
«Ti ho amato tanto». Stiles uscì dal
loft in silenzio, con il cuore a pezzi e
con un attacco di panico
imminente.
Corse a perdifiato per raggiungere la Jeep il prima possibile e potersi
finalmente lasciare andare.
Solo una volta prima di quel momento si era sentito così
vuoto e pieno di
dolore da essere persino incapace di reagire. Gli sembrava di aver
perso la sua
ragione di vita, ancora una
volta.
E questa volta era tutta colpa
sua…
Batté ripetutamente i pugni sul volante, sul cruscotto e
contro il vetro del
finestrino finché le nocche non gli si riempirono di sangue.
E anche allora
continuò a sfogare la sua frustrazione su tutto
ciò che lo
circondava.
Il dolore fisico lo aveva calmato, permettendogli di mettere in moto e
cominciare a guidare verso casa. Non mancavano che pochi isolati, ma
ancora non
si sentiva pronto a rientrare, guardare suo padre negli occhi e
mentirgli.
Semplicemente non poteva sopportare di essere di nuovo causa di dolore
per le
persone che amava. Sapeva che suo padre si sarebbe tormentato,
chiedendosi dove
fosse finito e dove avesse sbagliato. No, non poteva fargli questo.
Fingere che
tutto andava bene e poi scappare come un
ladro.
Nella sua vita Stiles pensava di aver affrontato ogni sofferenza
possibile –
era persino stato torturato – ma niente poteva essere
paragonato a quello che
aveva sentito vedendo Derek crollare. Lui, il grande lupo cattivo,
l’Alpha che
aveva rinunciato alla sua condizione pur di salvare la sorella. Derek
che era
tornato umano e che diventava più debole ogni
giorno.
Ma Stiles non si sarebbe arreso, a costo di morire provandoci, gli
avrebbe
salvato la vita.
Sorpassò casa sua, quella di Scott, il liceo, il parco
giochi nel quale aveva
conosciuto il suo migliore amico, l’ospedale dove aveva perso
sua madre e dove
aveva avuto la fortuna di averne incontrata
un’altra.
Pensò che una piccola deviazione non avrebbe messo a rischio
i suoi piani
perciò si fermò davanti alla grande villa dei
Martin. Sentiva il bisogno di
parlare con qualcuno, sfogarsi e sentirsi dire che non stava facendo
una
cazzata.
“Sono qui fuori. Scendi per
favore?”
Si passò ripetutamente le mani sui jeans nel
tentativo di darsi una
ripulita per non spaventare Lydia. Ma ormai non poteva farci
più niente, il
sangue si era seccato e non sarebbe andato via semplicemente sfregando
le
nocche sulla stoffa ruvida dei pantaloni.
Stava ancora pensando a come nascondere le mani quando sentì
il lieve
ticchettio delle unghie di Lydia contro il finestrino. Con un segno
della testa
le chiese di salire in auto. La rossa alzò gli occhi al
cielo e sbuffò, ma fece
come le era stato detto.
«Allora, cosa c’è di così
urgente da disturbarmi alle dieci di
sera?».
«Ho lasciato Derek», sputò tutto
d’un fiato. Dirlo ad alta voce fece sembrare
tutto più reale.
Aveva lasciato Derek.
Stiles Stilinski aveva lasciato Derek Hale.
«Tu hai fatto cosa?».
«Morirà, Lydia. Me l’hai detto
tu». Morirà… Derek morirà.
Diede un altro pugno
contro il finestrino, chiedendosi quanti altri colpi avrebbe retto
prima di
rompersi.
«Stiles...». Gli prese le mani con delicatezza,
portandosele alle labbra per
baciarle dolcemente.
«Perché?». Stiles non la stette a
sentire. Oltre la spalla della ragazza vi
aveva scorto Derek che, immobile, lo stava guardando. Inizialmente
aveva
pensato di avere le allucinazioni, ma quando lo vide girarsi e
allontanarsi,
con il passo malfermo e le spalle ricurve, Stiles non resistette
più. Sfrecciò
via dal veicolo, raggiungendo Derek in pochi
attimi.
«Aspetta». Un
sussurro.
«Perché? Pensavo ci fosse un motivo, qualcosa che
ti aveva spinto a
lasciarmi... ». Soffriva. Stiles allungò una mano
verso di lui, accarezzandogli
la guancia ruvida a palmo aperto. Il maggiore inclinò la
testa di lato,
godendosi quelle carezze che gli erano così tanto familiari
ma che adesso gli
sembravano così
sbagliate.
«Derek». Bastò questo per farlo
rinsavire e spingere via il suo ex ragazzo.
Stiles cadde a terra, sbucciandosi palmi e
ginocchia.
E rimase lì. Rimase a guardare le sue lacrime infrangersi
contro l’asfalto. La
sua pelle spezzarsi sempre di più ad ogni nuovo
pugno.
Se solo Derek fosse stato ancora un licantropo avrebbe sentito la
sofferenza
che Stiles emanava, l’odore salato di cui era impregnato. Ma
Derek non era più
un licantropo e non aveva sentito. Non aveva
capito.
Aveva messo la Camaro in moto e se ne era andato. E questa volta non
sarebbe
più ritornato
.
«Vieni dentro con me, Stiles. Dobbiamo darti una bella
ripulita». Gli aveva
dato il suo tempo, pensando che prima o poi si sarebbe stancato di
picchiare
l’asfalto; ma dopo dieci minuti di pugni, urla e insulti
rivolti al mondo e a
se stesso, Lydia aveva capito che Stiles non avrebbe smesso. Che non si
sarebbe
mai perdonato per il dolore che stava causando a Derek e a se
stesso.
Cercò di essere il più autorevole possibile,
anche se vederlo in quelle
condizioni le spezzava il cuore perché – diamine
–Stiles era il suo migliore
amico.
Indossava un bellissimo abito bianco che svolazzava di qua e
là ad ogni folata
di vento, ma non esitò un’istante prima di
inginocchiarsi di fronte al ragazzo
e stringerlo a sé, facendolo sfogare e provando a
trasmettergli tutto quello
che non riusciva a dirgli a parole.
Lydia era la più intelligente del branco e le erano bastati
solo pochi attimi
per capire quali conclusioni avesse tratto Derek vedendoli insieme. Se
solo
fosse stato lucido avrebbe capito che non c’era niente da
temere, che Stiles
non solo era innamorato, ma che aveva completamente perso se stesso in
Derek.
«Io…», si interruppe perché
era talmente distrutto da non avere nemmeno la
forza di parlare. Stiles si era rotto nel momento in cui aveva
abbandonato il
loft di Derek. Per un attimo, quando se lo era visto davanti, con i
pugni e la
mascella serrati, aveva pensato di mandare tutto al diavolo, di dirgli
che era
stato colto da una pazzia improvvisa ma da cui era
rinsavito.
Però Derek lo aveva guardato. E Stiles vi aveva visto le
profonde occhiaia che
gli solcavano il volto, aveva ricordato le notti in cui sgattaiolava
fuori dal
letto per vomitare e i giorni in cui stava rinchiuso in casa senza
voler vedere
nessuno. E Stiles, lentamente, moriva con
lui.
«Per favore, sali». Lydia non provò a
convincerlo ad abbandonare il suo piano,
sapeva che niente di ciò che avrebbe detto
l’avrebbe fatto desistere, ma voleva
almeno sapere cosa aveva in mente e cercare di aiutarlo al meglio delle
sue
possibilità.
«Va tutto bene. Andrà tutto bene». Gli
prese il volto nelle mani e con voce
amorevole ma decisa gli ordinò di smettere di piangersi
addosso e di seguirla
in casa. Ma Stiles non la sentì nemmeno. Nelle sue orecchie
ancora rimbombava
il rumore della portiera che veniva sbattuta con forza e quello del
motore che
si affievoliva sempre di più.
«Derek! ». Un urlo disumano si infranse nel
silenzio della
notte.
Non si pentiva, ma sapere di non poter più tornare indietro
lo stava logorando.
Forse aveva sbagliato. Forse non avrebbe dovuto tenerlo
all’oscuro di
tutto.
«Andiamo, Stiles. Ti fai una doccia e poi mi spieghi tutto,
d’accordo?».
Stiles, che nel frattempo aveva raccolto i cocci del suo cuore e
recuperato un
po’ di lucidità,
annuì.
Erano seduti sul letto della ragazza, Stiles aveva i capelli umidi per
la
doccia e Lydia aveva insistito per asciugarglieli con il phon,
così da non
obbligarlo a guardarla in faccia mentre gli diceva come e
perché avesse
lasciato Derek.
«Fammi ricapitolare, hai lasciato il tuo ragazzo
perché Deaton ti ha parlato
dell’esistenza di questi Nahual che potrebbero sapere cosa
gli sta
succedendo».
Stiles annuì.
«Perché non aspetti ancora un po’ e non
mi dai il tempo di fare qualche ricerca,
potrei trovare qualcosa che vi potrà
aiutare».
«In internet non c’è nulla, e nemmeno
sui libri in biblioteca ho trovato
qualcosa. La nostra unica possibilità è sperare
di imbatterci in loro
casualmente o di incontrare un clan abbastanza antico da sapere come
trovarli».
Sospirò. Aveva fatto ogni tipo di ricerca, ma non aveva
trovato niente che
confermasse almeno ciò che Deaton aveva detto
loro.
Lydia decise di lasciar perdere l’argomento Nahual e
concentrarsi sul cuore sanguinante
del suo migliore
amico.
«Capisco che lo vuoi salvare e lo accetto» gli
accarezzò lo zigomo con il
pollice, «ma perché hai deciso di
lasciarlo?». Se lo chiedeva pure
lui.
«Non mi avrebbe mai permesso di partire
altrimenti». Una mezza verità non era
un bugia, giusto?
«Stiles, hai coinvolto Cora, non pensi che abbia il diritto
di sapere? Potrebbe
non perdonarti mai». Ecco l’altra mezza
verità.
«Non lo farà». Stiles sapeva che Derek
non gli avrebbe mai perdonato l’aver messo
in pericolo la propria vita e quella di sua sorella solo per salvarlo.
Stiles
era egoista e preferiva morire piuttosto che affrontare la morte della
persona
che amava. Stiles era egoista e piuttosto che essere lasciato aveva
preferito
essere lui quello a porre fine alla loro storia. Stiles era innamorato.
Un
amore che sapeva non avrebbe mai più provato, un amore che
ti distrugge, che ti
spezza per quanto travolgente.
«Non voglio che tu parta». Non gli avrebbe fatto
cambiare idea perciò tanto
valeva essere sincera.
«Dovrai prenderti cura di lui, Lydia. Non permettere che mi
cerchi – non
permettere che nessuno lo faccia – e fai in modo che non si
lasci andare perché
ho rinunciato alla cosa più bella della mia vita e non
voglio che sia invano.
L’ho fatto soffrire e mi odio per questo, ma non voglio che
muoia, Lydia, non
voglio». Sembrava un bambino, nonostante il suo un metro e
ottanta centimetri
di altezza e il quarantatré di piede, Stiles si sentiva come
quando sua madre
morì.
«Shh, andrà tutto bene. Non osare morire
perché ti resusciterò solo per
ucciderti con le mie mani, chiaro? Non sarebbe la prima
volta». Tra le lacrime
Lydia riuscì a vedere sul viso dell’amico un
debole
sorriso.
«Lydia, sono venuto da te perché ho bisogno di un
favore», sospirò un paio di
volte prima di continuare.
«Domani dirai a Scott che forse ho trovato un modo per
salvare la vita di Derek
e dovrai fare in modo che non gli dica niente. Se Derek viene a sapere
quello
che ho fatto non solo non me lo perdonerà mai, ma
probabilmente aggraverà la
sua situazione. Me lo devi promettere, Lydia».
«Lo prometto però dimmi almeno dove vai. Ti
prego…».
«Non posso».
Con il cuore
più leggero dopo aver parlato con Lydia, Stiles
ritornò alla
propria macchina deciso più che mai a mettere in atto il
proprio piano.
Aveva previsto ogni minima cosa. Avrebbe lasciato un biglietto per suo
padre e
uno per Scott in cui avrebbe spiegato ai due le sue ragioni, certo che
l’avrebbero capito e appoggiato. Beh, non era proprio certo
ma che importanza
avrebbe avuto? Quando loro avrebbero letto la lettera lui probabilmente
sarebbe
stato già fuori dallo Stato.
Quello che non aveva previsto, però, era stato il tradimento
di quella che fino
a pochi minuti prima gli aveva giurato che lo avrebbe
aiutato.
«Maledizione, Lydia», imprecò quando
vide suo padre aspettarlo davanti alla
porta d’ingresso che lo guardava severo, arrabbiato e anche
un po’
deluso.
«Sul serio, Stiles? Sul serio?». Non lo aveva
previsto, ma non avrebbe permesso
a suo padre di ostacolarlo perché non si trattava di una
stupida partita di
lacrosse ma della vita di
Derek.
Senza rispondere oltrepassò l’uomo,
aprì la porta di casa e volò sulle scale
–
facendo più gradini alla volta per risparmiare tempo
– e si rinchiuse nella
propria stanza.
La valigia era pronta, la lettera da consegnare a suo padre e Scott
anche, non
gli rimaneva che prendere i soldi che aveva nascosto sotto il materasso
e
raggiungere Cora al
confine.
«Stiles!». Lo Sceriffo entrò nella
camera del figlio come un
uragano.
«Cosa pensi di fare? Non puoi andartene di casa! Vuoi forse
farti uccidere?».
«Papà,» cominciò Stiles
ponderando bene le parole, « Derek sta morendo».
L’uomo
annuì ma non diede alcun segno di cedimento.
«Se… se tu». Le parole gli morirono in
bocca.
«Se tu avessi avuto anche una piccola possibilità
di salvare mamma l’avresti
colta?». Stava giocando sporco. Tuttavia, nonostante il lampo
di dolore che
vide attraversare gli occhi del padre, non se ne pentì.
∞∞∞
Derek non smetteva di
pensare a quello che
aveva visto. Quando Stiles gli aveva detto che non riusciva
più ad andare
avanti in quel modo, che si sentiva intrappolato in una relazione che
non aveva
futuro, era rimasto senza fiato. Sapeva sin dall’inizio che
se mai si fossero
lasciati ne sarebbe uscito danneggiato, ma non avrebbe mai immaginato
che gli
avrebbe fatto smettere di voler vivere. Quel ragazzino pelle e ossa si
era
insinuato nella sua vita fino a diventarne parte indispensabile. Quindi
vedere
le sue spalle che per l’ennesima volta abbandonavano il loft,
lo aveva fatto
riflettere. Cosa stava facendo? Certo, non sapeva cosa gli stava
succedendo ma
invece di combattere, cercare una soluzione – una cura
– si era arreso. Perciò
aveva indossato le prime cose che aveva trovato a portata di mano e,
prese le
chiavi di riserva della Camaro, era salito in macchina alla ricerca di
Stiles.
Se non l’avesse fatto ora Derek sarebbe stato più
felice.
Era andato da lei.
Stiles non lo aveva mai amato – almeno non come amava Lydia
– e quella ne era
la prova.
Si stese sull’erba fredda e umida del bosco, incurante del
fatto che avrebbe
potuto peggiorare le sue condizioni, e a occhi chiusi si
addormentò con l’odore
della natura nelle narici. Si sentiva a casa. Si sentiva protetto.
Ricordò il
loro primo appuntamento,
l’assordante rumore del cuore di Stiles durante il loro primo
bacio e il
proprio silenzio quando Stiles gli aveva detto “Ti
amo” per la prima
volta.
No
hace falta que me quites la mirada
para que entienda que ya no queda nada
Aquella Luna que antes nos bailaba
se
ha cansado y ahora nos da la espalda.
¿Dónde está el amor del que tanto
hablan?
¿Por qué no nos sorprende y rompe nuestra
calma?
Derek aveva messo in
chiaro fin da subito
che non sarebbe andato a prenderlo, non avrebbe parlato con suo padre
promettendogli di riportarlo a casa entro mezzanotte, e di certo non
gli
avrebbe pagato la
cena.
Certo, lo aveva messo in chiaro ma quando gli arrivò un
messaggio da Stiles che
gli diceva che la Jeep non ne voleva proprio sapere di partire, Derek
aveva
alzato gli occhi al cielo, aveva sbuffato una o due volte, ma una volta
salito
in macchina aveva preso la strada per casa
Stilinski.
Stiles era in ritardo di venti minuti e lui era ancora deciso a non
bussare
alla porta di casa per farlo scendere: non voleva un appuntamento
sdolcinato e
non lo avrebbe avuto.
Dopo altri dieci minuti passati a imprecare contro Stiles e se stesso,
quasi
non gli prese un infarto quando si sentì toccare una spalla.
Era lo Sceriffo
che, insospettito dalla macchina parcheggiata sul suo vialetto da
più di
mezz’ora, era sceso a
controllare.
«Hale, cosa ci fai
qui?».
«Stiles… Passavo a controllare che fosse in
casa?». Più che un’affermazione
sembrò una domanda.
«È passato Scott a prenderlo per giocare ai
videogames».
«Ok».
Se ne era andato senza aggiungere altro, imbarazzato come poche altre
volte e
arrabbiato quanto mai con Stiles.
Gli mandò un messaggio chiedendogli dove diavolo fosse
finito.
Pochi secondi dopo il suo cellulare prese a vibrare.
“Stiles”, ringhiò. Anche tramite il
telefono lo sentì deglutire pesantemente e
se lo immagino passarsi una mano tra i capelli, spaventato a
morte.
“Al
pub?”.
“Idiota”.
“Ehi, guarda che quello arrabbiato dovrei essere io! Sei in
ritardo di ben
quaranta
minuti”.
Idiota.
Questa volta lo pensò
soltanto.
“Arrivo subito”.
Quando arrivò al luogo dell’appuntamento vi
trovò Stiles già un po’ brillo,
doveva aver bevuto almeno due birre, e che parlava a vanvera molto
più del
solito.
Lasciò Stiles al tavolo e andò al bar del
ristorante per chiedere un caffè e
vedere pure la testa calda che aveva pensato di dare da bere ad un
minorenne.
Dopo aver bevuto la bevanda ed essersi ripreso, il resto della serata
trascorse
tranquillamente, anche se l’imbarazzo era palpabile da
entrambe le
parti.
Parlarono del più e del meno, e quando il silenzio divenne
insostenibile, Derek
si mise a parlare del tempo. Lui, lo stesso Derek Hale che odiava le
discussioni inutili quanto i gatti
l’acqua.
«Devo andare al
bagno».
Aveva capito subito che qualcosa non andava, il cuore di Stiles aveva
accelerato i propri battiti, e aveva sentito il suo cellulare vibrare
ben
cinque volte da quando si erano seduti, probabilmente prima di arrivare
Stiles
aveva mandato un messaggio a Scott, il quale adesso insisteva per
sapere come
stava procedendo la
serata.
Passarono dieci minuti e Stiles non era ancora ritornato. Non sentiva
nemmeno
il suo odore perciò, certo che se ne fosse andato, Derek si
fece portare il
conto e uscì dal
locale.
Non fece che pochi passi prima che una folata di vento gli consentisse
di
sentire l’odore di Stiles mischiato a quello del Jack
Daniel’s. Aveva fatto il
giro del locale fino ad arrivare in corrispondenza della piccola
finestra del
bagno.
«Stiles, cosa ci fai lì?». Aveva paura
della risposta.
Quello che sarebbe diventato il suo ragazzo – se glielo
avessero detto in quel
momento Derek non ci avrebbe mai creduto – si trovava con il
busto fuori dalla
finestra, in una mano la bottiglia d’alcol,
nell’altra il
telefono.
«Ero in ansia… E Scott ha pensato che mi avrebbe
fatto bene». Arrossì, non per
l’imbarazzo – era troppo ubriaco per sentirlo
– ma per il conato di vomito che
a malapena riuscì a
trattenere.
«Meriteresti che ti lasciassi qui», disse Derek
pacato una volta passato lo
shock. «Ma per dimostrarti che non sono un mostro, ti
aiuterò. A casa però ci
torni sulle tue
gambe».
Derek era molto bravo con le parole, con i fatti un po’
meno.
Stiles gli faceva troppa pena, dopotutto pure lui era in ansia per
quell’appuntamento, perciò si era fatto convincere
a portare Stiles da
Scott.
Lo scaricò in camera del suo migliore amico e se ne
ritornò a casa, chiedendosi
cosa avesse fatto di male per innamorarsi di uno come Stiles.
Strappò un
filo d’erba e se lo girò tra le
dita a lungo, stringendolo e lisciandolo di
continuo.
Avrebbe dovuto aspettarsi che la loro storia non avrebbe avuto un lieto
fine.
Loro erano sbagliati. Lui non era ciò di cui Stiles aveva
bisogno, non lo era
stato in passato e di certo non lo era ora che gli sembrava una
vittoria
passare una notte senza
vomitare.
Un giorno si era svegliato e non aveva più sentito il
familiare rumore del
cuore di Stiles, ma non gli aveva dato importanza. Il giorno dopo aveva
avuto
difficoltà ad aprire un barattolo di sottaceti, ma, ancora
una volta, non gli
aveva dato peso. Quando però durante uno scontro non era
riuscito a tirare
fuori gli artigli, allora aveva capito che qualcosa non andava. Era
andato da
Deaton, ma il veterinario aveva detto di non essere in grado di
aiutarlo. Gli
aveva fatto il nome dei Nahual e Derek per un po’ prese in
considerazione
l’idea di partire alla loro ricerca e farsi dire cosa gli
stava succedendo. Poi
aveva visto Stiles, il suo sguardo preoccupato e il suo cuore che
batteva
sempre più velocemente quando era nei paraggi, e aveva
deciso di fingere che
tutto andava bene. Erano passati tre mesi da allora, e quando Derek
aveva
capito che stava peggiorando sempre di più ormai era troppo
tardi.
Era abituato a
soffrire ma non per questo
faceva meno male. Aveva ucciso il suo primo amore, l’unica
ragazza che l’avesse
mai amato veramente e che l’aveva accettato senza se e senza
ma. Peccato che
all’epoca fosse solo un ragazzino innamorato, spaventato
dall’idea di perdere
la cosa migliore che gli fosse capitata fino ad allora, e facilmente
influenzabile dallo zio psicopatico.
Poi Kate era arrivata
nella sua vita e
Derek era ritornato a respirare. Kate sarebbe rimasta per sempre il suo
rimorso
più grande. Ancora una volta era stato stupido, ancora una
volta non aveva
visto al di là del suo naso, e se la prima volta questo
aveva portato alla
morte della sua ragazza, la seconda volta aveva ucciso tutta la sua
famiglia.
Fece scivolare tra le dita il filo d’erba e lo
guardò svolazzare nell’aria fino
a quando questo non toccò terra, mimetizzandosi tra tanti
altri. Dopo qualche
altro secondo si alzò, e insieme a lui anche la felpa,
lasciando scoperta
un’ampia porzione di pelle. Era dimagrito così
tanto che adesso sembrava il fantasma
di quello che era stato. Ignorando la sensazione di spossatezza Derek
si tolse
le scarpe e corse finché anche l’ultima lacrima
non venne asciugata dallo
spostamento d’aria che la sua corsa produceva. Sentiva ogni
filo d’erba, ogni
ramoscello e ogni pietra contro la pianta nuda del piede e anche quando
sentì
di non farcela più, Derek continuò a correre. Il
dolore lo aiutava a rimanere
lucido e a non perdere del tutto la poca sanità mentale che
gli rimaneva.
∞∞∞
Dopo settimane di
ricerche estenuanti e di notti insonni, Stiles e Cora non
erano riusciti a raccogliere nemmeno la minima informazione
dell’esistenza dei
Nahual, figuriamoci circa la loro postazione. Deaton aveva esaurito la
lista di
persone che gli dovevano favori e ne aveva fatta un’altra
verso cui il debitore
era lui, ma nemmeno questo aveva aiutato i due ragazzi. In tre
settimane non
avevano parlato con nessuno di Beacon Hills, tranne che qualche volta
– e solo
per pochi minuti – con il druido per aggiornarsi sulla
situazione. Stiles non
aveva chiesto nemmeno una volta di Derek né Deaton
l’aveva mai accennato. Aveva
però sentito Cora chiedere se le condizioni del fratello
fossero peggiorate.
Non conosceva la risposta perché Cora non gli aveva detto
niente, ma immaginava
che se Derek fosse un passo più vicino alla morte lei gliene
avrebbe
parlato.
L’ultimo indizio li aveva portati nel deserto di Chihuahua,
al confine tra
Stati Uniti e Messico e per un momento avevano pensato di aver
finalmente
trovato quello che cercavano. Avevano camminato per chilometri e con
solo la
sciarpa di Cora avvolta intorno alla testa a ripararli dal caldo. La
ragazza
aveva continuato a ululare finché non era rimasta senza voce
per rivelare la
propria posizione; infatti, stando a quello che Deaton aveva detto
loro, i
Nahual si sarebbero sicuramenti avvicinati al sentire il richiamo di un
lupo
mannaro. Dopo giorni passati a dormire nelle grotte e a mangiare cibo
in
scatola avevano intravisto un barlume di
speranza.
A causa della stanchezza, del cibo che scarseggiava sempre di
più e dei sensi
di colpa che non le davano pace, Cora non sentì
né i battiti né i passi cauti
di due persone se non quando la loro massiccia presenza invase il suo
campo
visivo. D’istinto si mise davanti a Stiles per proteggerlo,
fece brillare gli
occhi e a stento trattenne un ringhio. Erano in netto svantaggio, i due
– ora
Cora li vedeva bene – erano ben allenati e sicuri di loro
stessi. Lei era sola,
probabilmente non avrebbe resistito per molto, e Stiles era…
Stiles – e non
aveva nemmeno la sua mazza da baseball. Non si sarebbe tirata indietro
però,
era una Hale e non avrebbe permesso a quei due di impedirle di salvare
la vita
a suo fratello.
I due uomini
imitarono il suo comportamento, lasciando che gli occhi da
mannaro prendessero il posto di quelli umani, e si misero in posizione
d’attacco. E probabilmente sarebbe scoppiato uno scontro se
una quinta persona
non fosse intervenuta giusto in tempo per
evitarlo.
«Che cosa volete?». Da dietro la parete rocciosa
fece la sua comparsa un
ragazzo poco più grande di loro ma gracile come lo Stiles
sedicenne e per
niente intimidatorio. Il suo inglese maccheronico poi, non aiutava di
certo. A
Cora però era stato insegnato che le apparenze potevano
ingannare e che
sottovalutare il tuo avversario poteva portarti alla
sconfitta.
Le sue iridi da marrone scuro diventarono rosse e quando
parlò, con il timbro
da Alpha, i due colossi fecero un passo
indietro.
Cora avvertì il pericolo maggiore e spinse Stiles per terra
in modo da fargli
da scudo. Questi si lamentò per il lungo e profondo graffio
che la caduta gli
aveva
causato.
«Menomale che non siete vampiri!»,
esclamò.
Cora alzò gli occhi al cielo e gli ringhiò
contro; aveva sentito l’odore del
sangue, ma non si era girata per controllare. Un solo secondo di
distrazione e
sarebbero stati
spacciati.
«Che c’è? Sono sessantasei chili di
pelle chiara e ossa fragili, il sarcasmo è
la mia unica difesa».
Fece perno sulle gambe per alzarsi, e strinse la mano di Cora nella
propria per
farle ritirare gli artigli. Il sangue gli colava lungo il braccio,
creando una
piccola pozzanghera ai loro piedi. Cora si rilassò un poco e
assorbì il dolore
di Stiles.
«Non siete un pericolo,» affermò
l’Alpha con il sorriso sulle labbra, «ma siete
nel nostro territorio e non ci avete ancora dato una spiegazione
valida».
Fu Cora a prendere la parola.
«Stiamo cercando i
Nahual».
Il ragazzo la guardò
confuso, e
Cora e Stiles capirono di aver fallito
ancora.
«Non ho la minima idea di cosa stiate parlando, ma forse
qualcuno del mio
branco saprà aiutarvi». Cora era ancora dubbiosa.
Non avvertiva ostilità né dal
ragazzo né dai sue due beta, ma seguirli era come andare
nella tana del
lupo, letteralmente.
Stava ancora valutando le loro opzioni quando
sentì la presa di Stiles
diventare sempre più debole e fioca. Il ragazzo cadde
all’indietro e, se lei
non fosse stata un licantropo e non lo avesse preso al volo,
probabilmente si
sarebbe procurato una commozione
cerebrale.
Sospirò mentre guardava Stiles che, più pallido
del solito, si appoggiava alla
parete dietro di loro.
«Il tuo amico ha bisogno di pulire quella ferita e di
riposare». Il battito
dell’Alpha era leggermente più veloce del normale
per la preoccupazione. Non
che gli importasse poi così tanto di Stiles, ma non voleva
problemi nel suo
territorio e il ragazzo sembrava aver esaurito anche l’ultimo
grammo di
energia. E poi, quanto mai potevano essere pericolosi un licantropo
femmina e
un umano ferito?
«Va bene», acconsentì dopo aver gettato
un’ultima occhiata a
Stiles.
«Vi aspettiamo in macchina», disse
l’Alpha uscendo dalla caverna e facendo
segno ai beta di
seguirlo.
«Stiles». Cora si inginocchiò per
mettersi all’altezza di Stiles che era
scivolato lungo la parete rocciosa e ora si stava tenendo il braccio
ferito nel
grembo.
Gli prese la mano e assorbì un altro poco del suo
dolore.
«Ce la fai a camminare?». Pur essendo poco
cosciente Stiles annuì e, con
l’aiuto di Cora, riuscì ad
alzarsi.
Si odiava per la sua debolezza e sapeva che Cora aveva accettato il
rischio
solo perché lui aveva bisogno di un pasto completo e un
letto comodo.
Non disse tuttavia niente e si fece trascinare dalla ragazza verso il
furgoncino a sei posti dei mannari. Uno dei beta, dietro ordine del suo
Alpha,
andò verso Cora per aiutarla, caricandosi Stiles in spalla e
poggiandolo
abbastanza delicatamente sui sedili posteriori. Cora si sedette accanto
al
ragazzo e gli fece posare la testa sul suo petto, assorbendogli ancora
un po’
di dolore. Aveva coperto la ferita di Stiles con la sciarpa che usavano
per
ripararsi dal caldo, ma ora che aveva il suo braccio così
vicino, proprio sotto
al naso, oltre al sangue e al tipico odore di Stiles ne colse anche un
altro:
veleno.
L’Alpha si
sedette accanto a Cora e quando uno dei beta mise in moto,
cercando di mantenere il contegno e a non farsi vedere troppo
spaventata,
espose a voce alta il suo dubbio.
Il ragazzo si piegò in avanti per annusare meglio e
arrivò alla stessa
conclusione della mora. Sentendo l’aria densa di
preoccupazione, la
tranquillizzò dicendole che tra di loro vi era anche un
medico e che non avrebbero
avuto problemi a curare il
ragazzo.
«Probabilmente nella colluttazione è venuto a
contatto con il muschio e vista
la ferita aperta si è infettata». Se a Stiles
fosse successo qualcosa mentre
era sotto la sua protezione, Derek non l’avrebbe mai
perdonata.
«Cora».
«Cosa?».
«Il mio nome. È Cora. Lui invece è
Stiles». Stiles alzò due dita in segno di
saluto.
«Io sono Jorge, loro sono invece Santos,»
indicò l’uomo alla guida, «e
l’altro
è mio fratello Miguel». Un sorriso malinconico
comparì sulle labbra di Stiles
al sentire quel nome.
«Quindi,» cominciò Cora ancora un poco
dubbiosa, «cosa volete in cambio
dell’aiuto che ci offrite?». Era solo un modo per
sondare il terreno dato che
non avevano niente di valore da scambiare.
«Abbiamo la stessa età, ti sembro per caso uno
legato a queste
cose?».
«Sei un Alpha», rispose Cora.
«Un Alpha di ventidue anni». C’erano cose
non dette ma Jorge non aggiunse altro
e Cora preferì non indagare: tutti avevano dei segreti e non
pretendeva che li
rivelasse a lei, una perfetta sconosciuta.
La sede del branco era una grandissima villa a tre piani, un
po’ deteriorata
all’esterno ma piena di vita all’interno.
C’erano bambini a piedi nudi che
correvano dentro e fuori casa, due ragazzine che parlavano al telefono
e un
altro gruppetto misto che giocava ai videogiochi. A Cora
sembrò di essere di
nuovo a casa, quasi si aspettava di vedere comparire sua madre dalla
cucina che
la sgridava per essersi sporcata i vestiti anche quel giorno. Santos e
Miguel
adagiarono Stiles sul divano e lei ritornò alla
realtà.
«Que pasó?», una delle ragazze li
raggiunse
immediatamente.
«Llama
Juan».
Jorge saltò il modo in cui si erano conosciuti e
andò dritto al
punto.
Juan era un uomo sui cinquant’anni ma ancora in forma e dallo
sguardo
giovanile. L’uomo tolse la sciarpa imbevuta di sangue ed
esaminò la ferita di
Stiles
«La ferita è infetta, ma non niente che non si
possa curare. Per la cicatrice,
invece, non credo di poter fare granché
».
«Necesita un poco de comida y mucho decanso, nada
más». Cora guardò l’uomo
interrogativa, non avendo capito nemmeno mezza
parola.
«Ha solo bisogno di mangiare e riposare», tradusse
uno del gruppetto di ragazzi
che giocavano ai
videogiochi.
Una donna sui quarant’anni aprì furiosa la porta
che dava sul retro della casa,
inveendo contro qualcuno che Cora ancora non riusciva a
vedere.
«Mamá», Jorge alzò la voce di
qualche ottava. In quel momento niente di lui
faceva pensare ad un Alpha, capo di un branco così
numeroso.
«Que pasa, mi amor? ». La donna, che Cora aveva
capito fosse la madre di Jorge,
dava ancora loro le
spalle.
Quando vide Stiles steso alla bell’e meglio sul divano e la
ferita che gli
attraversava il braccio dal gomito si inginocchiò per terra
per esaminarlo più
da vicino.
«Que le pasó a este muchacho? Es tan
pálido, perdió mucha sangre, nececita una transfusión ahora
mismo».
«Pero Juan dijo que no tiene
nada».
Cora seguiva il discorso tra i due guardando prima l’uno poi
l’altro senza però
capirci niente. Dopo qualche altra battuta, Jorge le disse che secondo
sua
madre Stiles aveva bisogno di una trasfusione.
«Dobbiamo portarlo in ospedale?». Storse il naso
alla sola idea del
disinfettante, ma se Stiles ne aveva bisogno qualche ora in ospedale
era il
minimo che potesse fare, visto che si dava la colpa.
«Possiamo fare tutto qui. Il nostro è un branco
numeroso e ci capita spesso di
aver bisogno più o meno urgentemente di cure mediche,
perciò nel seminterrato
abbiamo una specie di ambulatorio con tutto il necessario. Juan e mia
madre
lavorano all’ospedale, perciò per loro non
sarà difficile sottrarre qualche
sacca di sangue». Vedendola poco convinta, l’Alpha
continuò, «Juan può capire
il suo gruppo sanguigno con l’olfatto, non devi preoccuparti
per lui. Finché
rimarrete in questa casa sarete al sicuro, lo juro». Cora
sorrise un po’ più
tranquilla e annuì.
Dopo la trasfusione passò le successive tre ore al capezzale
di Stiles,
cercando di fiutare ogni sua emozione e di assorbire il suo dolore.
Finalmente poté tirare un sospiro di sollievo quando Stiles
si addormentò; la
confusione di quella casa piena di persone non sembrava infastidirlo,
anzi lo
divertiva guardare i bambini giocare ad
acchiapparello.
«Perché non vieni di là così
vediamo se qualcuno può aiutarvi?», le propose
Jorge gentile.
«Abbiamo anche il caffè»,
aggiunse.
Era riluttante a lasciare Stiles ma quello che aveva visto Cora non era
solo un
branco: era una famiglia e, certa del fatto che sarebbe stato al
sicuro,
accettò la proposta dell’Alpha.
Purtroppo nessuno aveva saputo aiutarli in alcun modo, nemmeno Juan che
era il
più anziano aveva mai sentito qualcosa dei Nahual. A Cora
non rimase che
accettare l’ennesimo
fallimento.
Rimasero con il branco per i due giorni necessari alla guarigione di
Stiles.
Avevano stretto amicizia con tutti e avevano promesso a Jorge che, una
volta
risolti i loro problemi, sarebbero venuti a trovarli con il proprio
branco.
Avevano parlato loro di Derek e di come all’improvviso, e
senza alcuna
spiegazione, avesse cominciato a sentirsi male e a perdere
progressivamente i
suoi poteri.
Si rimisero in
viaggio con un poco più di
rammarico – in quei due giorni si erano ricordati cosa
volesse dire avere una
famiglia e degli amici sui cui contare – ma ancora
più decisi a salvare la vita
di Derek.
Dopo una ventina di
giorni la ferita di
Stiles si era cicatrizzata completamente e il ragazzo riuscì
finalmente a dire
addio alle garze e alle creme antibiotiche. Una lunga cicatrice gli
ricopriva
il braccio dal gomito al polso e Stiles cercava di nasconderla il
più possibile
alla vista di Cora che si sentiva in colpa. Aveva cercato di farle
capire che
non aveva fatto altro che cercare di proteggerlo da quello che
pensavano fosse
il pericolo, ma la ragazza era una Hale ed era cocciuta quasi quanto il
fratello. Stiles si chiese se anche Laura avesse avuto lo stesso
temperamento dei
due o forse, essendo la maggiore e gravando su di lei il peso
dell’eredità
degli Hale, fosse più tranquilla e riflessiva.
Però, visti i membri che aveva
conosciuto, gli era difficile immaginarsi Laura come pacata e
ponderata.
«Ho parlato con mio padre mentre eri a fare
benzina», annunciò quando la
ragazza riprese il proprio posto alla guida. Gli fece segno di star
ascoltando
e mise in moto. La loro destinazione era lontana e, visto che i soldi
stavano
diventando un problema non indifferente, si erano ritrovati a dormire
in
macchina molte più notti del previsto. Durante quel viaggio
avevano imparato a
conoscersi e a capire con una rapida occhiata l’umore
dell’altro. Perciò,
quando Cora vide lo sguardo abbattuto di Stiles, capì che
qualcosa di brutto
era successo.
Aspettò che l’altra mettesse la freccia e
superasse la Chevrolet rossa prima di
riprendere a parlare.
«Ha visto Derek», prese un lungo respiro, incapace
di terminare la frase con la
voce ferma. Cora sentì il suo cuore mancare un battito e
nello stesso momento
l’aria dell’abitacolo si riempì di
tristezza, rabbia e
gelosia.
«Con una ragazza», continuò guardando
attraverso il finestrino il paesaggio che
scorreva veloce sotto i suoi occhi. Non provò a rincuorarlo
in alcun modo. Se
Stiles avesse avuto bisogno di parole di conforto glielo avrebbe
detto.
«Fermati», sussurrò dopo qualche
centinaio di
metri.
Cora fece come le era stato detto, accostando sul ciglio della strada.
Alcune
macchine le suonarono il clacson per la brusca
frenata.
«Ho… bisogno di stare da solo per un
po’». Cora aprì la portiera dalla sua
parte e, con le chiavi della macchina in mano, prese a camminare verso
il pub
che avevano da poco
superato.
Ora che era rimasto solo Stiles non sapeva come reagire. Non aveva la
forza né
di piangere né di prendere a pugni qualcosa come faceva
solitamente. Si sentiva
esausto per non aver trovato niente in due mesi di ricerca, arrabbiato
con se
stesso per non essere accanto a Derek in quelli che sarebbero potuti
essere i
suoi ultimi istanti, e invidioso di quella ragazza che era
riuscita a fare
ciò in cui lui aveva fallito: dare a Derek speranza e voglia
di
vivere.
Suo padre gli aveva detto che dalla sua partenza Derek si era
estraniato del tutto
dal branco, rifiutandosi di parlare con loro e trattando male chiunque
cercasse
di avvicinarglisi.
Lo Sceriffo non aveva saputo dirgli niente sulle sue condizioni di
salute, ma
lo aveva visto meno pallido e con qualche chilo in
più.
Cora
ritornò dopo qualche ora con qualche busta della spesa tra
le
braccia.
«Ho pensato che avessi fame», si scusò
quando Stiles, vedendola, alzò il
sopracciglio sarcastico. Facendo finta di non vedere gli occhi
arrossati o di
sentire l’odore delle lacrime sulla maglietta del ragazzo,
mise le buste nel
portabagagli e si rimise al voltante.
«Abbiamo a disposizione solo altri dieci giorni».
Stiles
annuì.
Era una delle condizioni poste da suo padre per farlo partire:
ritornare quando
la scuola sarebbe
ricominciata.
Stavano mangiando i resti del giorno prima – si erano fermati
per qualche
giorno in uno squallido motel a Michoacán – quando
il telefono di Cora prese a
squillare.
Visto che la ragazza aveva le mani sporche di sugo di pomodoro fu
Stiles ad
alzarsi per recuperare il telefono. Il nome di Derek troneggiava sullo
schermo,
prendendosi gioco del povero cuore di Stiles che aveva triplicato il
suo
normale ritmo. Cora lo percepì e, preoccupata, raggiunse il
ragazzo in un
balzo.
«Stiles…».
Anche lei aveva letto il nome e non sapeva come procedere. Voleva
parlare con
suo fratello, ma in quelle settimane che avevano passato a stretto
contatto si
era affezionata così tanto a Stiles da sentirlo parte della
propria
famiglia.
«Rispondi. E metti il vivavoce».
“Stupida ragazzina, cosa pensavi di fare,
eh?”.
Stiles si accorse di aver trattenuto il respiro solo quando
sentì la voce di
Derek riempire il silenzio della camera.
“Derek”.
“Sei una stupida! Un’incosciente! Cosa ti
è saltato in mente, eh?”. Cora guardò
Stiles spaventata senza sapere che cosa fare. Si morse il labbro e, con
le mani
nei capelli, sbuffò. Il ragazzo si portò
l’indice alle labbra e Cora capì di dover
stare zitta.
“Derek, lasciami
spiegare”.
“Spiegare che cosa? Che hai preso e sei partita senza dirmi
niente per cosa?
Salvarmi la vita? Pensi che Deaton non mi avesse già parlato
di questa
possibilità? Sono io ad averla rifiutata. Io! Chi sei tu per
prendere queste
decisioni al posto mio?”. Stiles afferrò con forza
il bordo del mobile a cui si
era appoggiato. Faceva fatica a respirare e il suo cuore assordava Cora
ma
oltre a questo era felice: Derek sembrava stare
meglio.
“Tua sorella, cazzo! Sei l’unica cosa che mi sia
rimasta quindi non osare fare
questi giochetti con me, Hale! Ho passato mesi con la paura di
rispondere al
telefono perché temevo potessero dirmi che sei morto! Quando
mi hanno detto che
forse qualcuno sapeva cosa ti stava succedendo non ho esitato
perché stavi
morendo Derek, stai morendo!”. Stiles immaginò
Derek prendere un lungo respiro
e sedersi sul divano del
loft.
“Avevo bisogno di te”, lo sentirono sospirare dopo
qualche secondo di silenzio
durante il quale tutti e tre avevano provato a calmarsi. Cora
allungò la mano
verso Stiles e gliela afferrò con forza, cercando di
trasmettergli tutto quel
che, al momento, non riusciva a dirgli a
parole.
“Ma ora sto meglio”, Stiles si portò una
mano al cuore e si lasciò cadere
all’indietro, atterrando sulla squallida poltrona della
camera.
Derek fece una pausa per dare a sua sorella il tempo di metabolizzare
la
notizia; e Cora lasciò andare la mano di
Stiles.
“Riesco a trasformarmi di nuovo”. Dopo mesi di
inquietudine e incertezza Stiles
si sentì finalmente più leggero e poté
tirare un sospiro di sollievo,
racchiudendo in esso tutti i timori e le paure che non lo avevano
abbandonato
neanche per un istante. Cora incatenò gli occhi ai suoi,
già umidi e brillanti
per la
felicità.
“In un paio di giorni saremo di nuovo a Beacon
Hills”. Chiuse la chiamata e
abbracciò Stiles di slancio, inciampando nel tappeto e
finendo sulla poltrona
addosso al ragazzo. Suo fratello stava bene e Cora non riusciva a
pensare a
niente che la rendesse più felice. Non gli aveva chiesto
altri dettagli perché
aveva sentito l’aria impregnarsi di felicità ma
anche senso di colpa e
rassegnazione: Stiles era convinto che Derek non lo avrebbe mai
perdonato.
Derek rimase immobile per qualche istante a fissare il telefono che
teneva
nella mano destra, rimuginando su quel “noi” con il
quale Cora aveva interrotto
la chiamata. Da quando Stiles lo aveva lasciato, si era rifiutato di
parlare
con chiunque del branco e anche quando i suoi poteri erano ritornati
aveva
cercato di evitare il più possibile i luoghi che sapeva
frequentassero
maggiormente.
Aveva pensato di ritornare a New York, si portava sempre appresso le
chiavi
dell’appartamento che aveva condiviso con Laura, ma infine
aveva deciso che se
proprio doveva morire preferiva morire a casa, a Beacon Hills,
nell’ultimo
posto dove si era sentito nuovamente amato e
felice.
Ripensò alle braccia di Stiles che lo stringevano a
sé, alle sue mani che gli
asciugavano la fronte madida di sudore e ai baci che gli lasciava su
ogni lembo
di pelle quando facevano l’amore. Il ricordo di Stiles era
ancora vivido nella
sua mente e nonostante i due mesi passati, il dolore non era scemato
neanche un
po’. Derek avrebbe dato tutto per non sentire più
quella costante stretta al
cuore che diventava sempre più fastidiosa ogni volta che
vedeva o sentiva
qualcosa che gli ricordava il suo ex ragazzo.
Quando aveva toccato il fondo e aveva pensato che avrebbe fatto meglio
a farla
finita piuttosto che aspettare la morte, i suoi poteri erano ritornati.
In uno
scatto di rabbia, quando l’assenza di Stiles divenne
insostenibile, aveva
sentito le dita prudere e gli artigli che premevano per uscire. Ci era
andato
di mezzo un mobile della cucina, sul quale erano ancora evidenti cinque
solchi
paralleli, ma ne era valsa la pena. Giorno dopo giorno aveva recuperato
la sua
forza, acquisendo persino la capacità di trasformarsi
completamente in lupo
come sua madre. Durante le sporadiche chiamate con sua sorella non
aveva mai
accennato alla sua guarigione perché non voleva illuderla
inutilmente. Era
andato da Deaton perché sentiva il bisogno di rendere
qualcuno partecipe del
suo miracoloso miglioramento, ma la sorpresa l’aveva fatta il
veterinario a
lui, rivelandogli che sua sorella era in giro per il Messico a
racimolare
informazioni sui Nahual. Fu questo a spingerlo a non rimandare oltre e
a
chiamare Cora per avvisarla.
Anche se con il cuore
più leggero, i due ragazzi passarono il viaggio di
ritorno pressoché in silenzio. Inizialmente Cora aveva
cercato di incoraggiare
Stiles, cercando di convincerlo che prima o poi suo fratello lo avrebbe
capito
e perdonato, Stiles però sapeva quanto a Derek fosse costato
buttarsi
nuovamente in una relazione e quanto si fosse sentito abbandonato
quando lo
aveva lasciato. Non rimpiangeva la sua decisione, aveva scelto nella
piena
consapevolezza di quale sarebbero state le conseguenze, ma non per
questo
faceva meno male.
Il cuore di Stiles
saltò un battito quando, dopo essersi svegliato e aver
preso coscienza di ciò che lo circondava, riconobbe il
supermercato in cui lui
e suo padre facevano la spesa
solitamente.
Era ritornato a
casa.
Se da un lato si sentiva felice perché da lì a
poco avrebbe rivisto suo padre e
i suoi amici, dall’altro temeva quel momento. Sapeva che,
superati gli abbracci
e i saluti, tutti gli avrebbero fatto il terzo grado, chiedendogli il
motivo
che lo aveva spinto a partire e che cosa aveva scoperto. Cosa avrebbe
risposto
loro? Che in quasi tre mesi non aveva fatto altro che vagare per
l’America
latina senza trovare le risposte che cercava? Che come uno stupido si
era
avvelenato da solo e che aveva passato giorni a bere infusi di erbe
medicinali disgustose?
Abbassò gli occhi verso la cicatrice, parzialmente scoperta
dalla camicia rossa
a quadri che indossava quel giorno. Passò più
volte le dita sulla pelle
raggrinzita, un gesto inconsapevole ma che faceva sempre più
spesso quando si
perdeva nei propri pensieri. Si chiese quante cicatrici avrebbe avuto
Derek se
non fosse stato un lupo mannaro e non fosse guarito ogni volta. Quante
volte
era stato vicino alla morte? Quante per salvargli la vita? No, Stiles
non si
pentiva della sua decisione. E sarebbe ripartito anche immediatamente
se così
facendo Derek avrebbe avuto salva la
vita.
Cora aveva odorato la sua paura ma, temendo lei stessa
l’imminente incontro con
il fratello, preferì non dire
nulla.
Non sapeva quanto Derek si era fatto dire da Deaton e, soprattutto, non
sapeva
se suo fratello era a conoscenza che era Stiles ad aver organizzato la
loro
“gita” – era così che parlando
tra di loro la chiamavano – ma sperava di non
essere lei a dovergli dare la notizia. Avrebbe urlato e sbraitato per
ore,
fingendo di non capire il motivo che aveva spinto Stiles a fare certe
scelte.
Sì, fingendo. Era certa che se la situazione fosse stata
capovolta, se fosse
stato Stiles a rischiare la vita, non ci avrebbe pensato due volte
prima di
salire in macchina alla ricerca dei Nahual o di qualsiasi altra
creatura ancora
più pericolosa, se avesse aiutato a farlo sentire
meglio.
«Mi sbranerà vivo», sputò
fuori Stiles con difficoltà. Sentiva un groppo in
gola che a malapena gli permetteva di respirare, figuriamoci di
parlare.
Tuttavia sentiva il bisogno di sfogarsi e di essere in qualche modo
rassicurato.
«Menti se devi», aggiunse
poi.
Corsa sorrise intenerita e comprensiva.
«Lo farà,» Stiles emise un lungo
sospiro, cercando di buttare fuori oltre
all’aria anche la sua ansia e le sue paure, «ma
prima o poi capirà». Derek
sarebbe andato fuori di testa e lei glielo avrebbe concesso, ne aveva
tutto il
diritto, ma non gli avrebbe permesso di continuare a lungo con la
teatralità e
il melodramma che lo caratterizzava. Lei e Stiles si erano avvicinati
molto,
tanto che più di una volta si era ritrovata con la testa di
Stiles in grembo,
cercando di tranquillizzarlo nel cuore della notte a causa degli incubi
che non
gli davano
pace. Non
sarebbe rimasta a
guardare suo fratello buttare all’aria la sua relazione solo
per orgoglio. Non
era un amore sano il loro, ma del resto quale relazione tra un
licantropo e un
umano iperattivo sarebbe stata
sana?
Qualche isolato prima della loro destinazione rallentò per
dare a entrambi il
tempo di realizzare cosa sarebbe avvenuto da lì a poco;
conoscendo i loro amici
sarebbero stati tutti a casa dello Sceriffo. E anche se si sentivano
stanchi e
sfiniti, non potevano biasimarli perché molto probabilmente
anche loro due si
sarebbero comportati allo stesso identico modo.
«Vuoi che entri con te?», gli chiese dopo aver
parcheggiato la macchina nel
vialetto di casa
Stilinski.
Stiles annuì.
Non appena aprì la portiera della macchina, lasciando che
l’aria di Beacon
Hills entrasse nel veicolo, Cora sentì un odore
familiare, troppo
familiare, penetrarle nelle narici. Prese una mano di Stiles
e la strinse
leggermente per incoraggiare lui ma anche se stessa.
Non fecero nemmeno in tempo ad alzare la mano per bussare che Scott
aveva già
aperto la porta, impaziente di rivedere il proprio miglior amico, e gli
si era
buttato addosso. Se non fosse stato per la mano salda di Cora, i due
ragazzi si
sarebbero trovati per terra, con il sedere dolorante e con qualche
livido,
tanto era l’entusiasmo di Scott.
«Amico mi soff- mi soffochi», riuscì a
dire dopo qualche secondo di apnea. Se
solo non avvertisse la tensione proveniente dal soggiorno, Cora avrebbe
riso
divertita.
«Scusa». Scott sorrise imbarazzato e, facendo segno
ai due di seguirlo, diede
loro le spalle.
Cora rafforzò la presa e Stiles, di conseguenza, la strinse
a sua
volta.
«Stammi vicino», sussurrò
Cora.
Stiles la guardò interrogativo, ma vedendo la fermezza del
suo sguardo, annuì
improvvisamente a disagio. Con la mano libera tirò la manica
di Stiles per
coprire la cicatrice.
Non appena voltarono l’angolo cinque paia di occhi si
posarono su di loro:
l’aria si riempì improvvisamente di tensione e il
cuore di Stiles prese a battere
così violentemente che Cora gli tirò leggermente
il braccio all’ingiù per
suggerirgli di darsi una
calmata.
Ma Stiles nemmeno se ne accorse, preso com’era a ricordarsi
come fare a
respirare.
Davanti a lui, in tutto il suo splendore, c’era Derek Hale.
Più di ogni altra
cosa avrebbe voluto stringerlo forte a sé e riempirsi i
polmoni del suo odore.
Derek lo guardava serio con le braccia incrociate all’altezza
del petto:
sembrava una statua greca e Stiles non poté fare a meno di
sentirsi intimidito.
Fu Lydia a sbloccare la situazione, buttandosi al collo di Stiles,
stringendolo
in un abbraccio
stritola-ossa.
«Mi sei mancato», gli disse dopo essersi staccata.
Sulle labbra di entrambi si
dipinse un sorriso timido, e quello di Lydia sembrava dire
“Ce la farai” e “Ti
starò
accanto”.
Dopo avergli schioccato un bacio sulla guancia – lasciando
l’impronta del
rossetto – la ragazza fece un passo indietro per permettere
allo Sceriffo di
farsi avanti e riabbracciare suo figlio dopo mesi in cui si erano
sentiti solo
attraverso qualche messaggio e qualche veloce
chiamata. Nel frattempo Cora si era allontanata per
dare a Stiles i
suoi spazi, e si era avvicinato al fratello. Mosse leggermente la testa
e uscì
dalla casa con suo fratello al seguito. Stiles, che con la coda degli
occhi
aveva guardato Derek tutto il tempo, se ne accorse ma al momento stava
abbracciando Melissa e non poteva abbandonare la sua famiglia per
rincorrere
Derek; inoltre era sicuro che Cora avrebbe impedito al fratello di
andarsene
prima di dare loro la possibilità, se non di chiarirsi,
almeno di
parlarsi.
Cora sentì il rumore della porta che si chiudeva e i passi
pesanti di Derek.
«Non ti chiederò scusa». Derek
sospirò esausto. Da sua sorella non si aspettava
una risposta diversa, perciò alzò gli occhi al
cielo mentre con un ringhio
basso tradusse la sua frustrazione.
Cora finalmente si girò. Non si pentiva di avergli tenuto
nascoste le sue
intenzioni e se Derek voleva litigare, chi era lei per non
accontentarlo?
«Potevate morire, voi stupidi incoscienti». Cora
fece brillare i suoi occhi di
giallo per ricordare a sua fratello che anche lei era un lupo mannaro e
che
poteva offrire a Stiles
protezione.
«Tu stavi morendo». Fu la sua risposta
secca.
«Ascoltami bene, ragazzina» si avvicinò
a Cora in un balzo e le afferrò con
forza il polso di una mano – se non fosse stata un licantropo
si sarebbe già
formato un livido.
«Che tu te la possa cavare o no, non toglie che io mi possa
preoccupare per te,
chiaro?». Lasciò la presa e Cora si
massaggiò il polso più per fare scena che
per reale dolore.
«Non ho nessun altro oltre te», aggiunse in un
sussurro talmente basso da non
essere udibile da orecchie
umane.
«No, Derek» fece un passo avanti e con le mani
accarezzò le braccia del
fratello fino ad arrivare ai polsi che strinse leggermente nelle sue
esili
mani, «hai un intero branco che si preoccupa per te, un
ragazzo che ti ama con
tutto se stesso…». Non riuscì a finire
la frase perché Derek si scrollò le mani
di sua sorella di dosso, guardandola intensamente come solo un Hale
sapeva
fare. Quello sguardo, se a Cora non fosse bastato annusare
l’aria intorno a sé
per capire gli elevati livelli di rabbia di suo fratello, sarebbe
bastato a far
tremare qualsiasi umano o animale lo avesse
incrociato.
Cora non era da meno e, imitando la posa melodrammatica del fratello,
lo sfidò
a tenerle testa. Cocciuti come erano, entrambi avrebbero continuato a
lungo se
Derek non si fosse distratto a causa dell’odore di Stiles. Il
ragazzo, infatti,
si era appena chiuso la porta alla spalle e, con passo spedito, si
avvicinò ai
due. Superò Derek e si accostò vicino a Cora.
Derek seguì i suoi movimenti come
se fosse incantato. Quando tutti gli erano addosso aveva avuto il tempo
di
notare quei piccoli, impercettibili cambiamenti che tuttavia lo
rendevano una
persona diversa. Non erano passati che poco più di due mesi
e, anche se i
capelli più lunghi gli davano un’aria sbarazzina e
i vestiti larghi lo
rendevano ancora più magrolino, aveva perso qualcosa che
ancora non riusciva a
identificare. Il suo sguardo era più cupo, le sue spalle
più ricurve e il suo
sorriso non raggiungeva gli
occhi.
«Cora…». Sua sorella baciò la
guancia a Stiles e, scostandosi i capelli come
una prima donna, andò verso la sua macchina. Non prima,
però, di lasciare
un’ultima occhiata ammonitrice al
fratello.
Erano l’uno davanti all’altro, senza nessuno che li
disturbasse, li guardasse o
giudicasse. Stiles fece un passo in avanti, allungò la mano
e afferrò la felpa
di Derek. Il suo cuore batteva tanto velocemente da infastidire
chiunque.
Chiunque tranne Derek. Stiles gli era mancato come l’aria, e
ritrovarselo
nuovamente vicino significava ritornare a respirare.
«Mi sei mancato». Lo disse talmente a
bassa voce che se Derek non avesse
recuperato i suoi poteri non lo avrebbe mai sentito.
Quelle parole fecero indietreggiare Derek come avrebbe fatto un pugno
in pieno
petto.
E, dopotutto, non era poi così lontano dalla
verità. Strinse i pugni con forza,
fino a conficcarsi gli artigli nei palmi.
Stiles, che conosceva Derek più di quanto conoscesse se
stesso, gli si avvicinò
ulteriormente e lo costrinse ad aprire i pugni. Gli artigli erano pieni
di
sangue, così come gli spazi tra un dito e un altro. Fece un
altro passo verso
Derek che, questa volta, non si ritrasse. Stiles gli portò i
palmi sui suoi
fianchi per farsi abbracciare. La parte animale di Derek, ferita,
lottava
contro quella razionale che, infine, perse. Gli artigli scattarono
nuovamente,
strappando la felpa di Stiles e disegnandogli dieci sottili linee rosse
sulla
pelle.
«Sei un idiota». Portò la mano destra
sulla nuca del minore, facendoci
pressione per fargli appoggiare la testa sul suo petto. Il suo cuore
batteva
tre volte la velocità
normale.
«Derek…».
«Zitto».
Rimasero in quella posizione sino a quando Stiles non riuscì
più a tenersi in
piedi a causa della stanchezza e dell’eccessivo sforzo
muscolare.
Cadde in
ginocchio.
«Anche io ti ho amato.
Tanto».
Se ne andò.
Tutto ricordava quella sera di due mesi prima quando qualcosa tra loro
si era
spezzato, quando la fiducia di Derek si era dissolta come il rumore del
motore
della Camaro nella testa di
Stiles.
Lo lasciò lì. Da
solo.
Stiles questa volta non ebbe la forza nemmeno di urlare il nome di
Derek.
Venti minuti dopo mandò un messaggio di SOS a Cora che lo
trovò ancora in
ginocchio, con le nocche piene di sangue e il volto rigato di
lacrime.
«Stiles». Si inginocchiò a sua volta per
guardarlo negli occhi rossi e gonfi a
causa del pianto.
«Stiles».
Ripeté.
La strada per il momento era deserta, ma non lo sarebbe rimasta per
molto,
perciò Cora chiamò Scott per farsi aiutare a
portare via
Stiles.
«È finita», disse quando Cora rimise il
telefono in tasca. «Non mi ama
più».
∞∞∞
«Tu! Razza
di idiota, stupido e cretino che non sei altro! Tu, Derek Hale,
sei un uomo morto». Cora gli si scagliò addosso
con forza, con tutta
l’intenzione di fargli male sul serio.
«Hai idea di cosa gli hai fatto? È
devastato».
E Derek, a quelle parole, non ci vide
più.
«E io? Come pensi che mi sia sentito io quando mi ha
lasciato? Quando mi ha
detto che non mi ama
più?».
Cora prese un respiro profondo, nel vanto tentativo di calmarsi e
riportare il
tono di voce a un timbro
normale.
«È di questo che si tratta, Derek? Di una fottuta
vendetta?».
«Non c’eri, Cora. Lui ha lasciato me. Mi ha
ucciso». Il dolore delle sue parole
fu evidente persino a Cora che era accecata dalla rabbia. Si
lasciò cadere a
peso morto sul divano, già sfinita da quella breve ma
intensa
conversazione.
«E invece c’ero, maledizione! C’ero
quando lui aveva gli incubi la notte perché
sognava che eri morto, c’ero quando lo dovevo consolare per
evitargli un
attacco di panico, c’ero quando gli ho fasciato le nocche
piene di sangue
perché, per la rabbia causata dall’ennesimo buco
nell’acqua, ha preso a pugni
un fottuto albero. Io c’ero, Derek. Eri tu a non esserci. Tu
eri già morto; eri
morto dentro perché hai rinunciato a vivere e lui non ci
stava. E ha lottato.
Non dargli la colpa per i tuoi sbagli,
fratellone».
«No, Cora! Tu non capisci. Io non vi ho chiesto niente di
tutto quello che
avete fatto. Io non lo volevo. Voi avete deciso, e voi ve ne dovete
prendere la
responsabilità. Tutto ciò che io volevo era che
Stiles mi stesse vicino. S-se
mi avesse veramente amato non mi avrebbe fatto
questo».
L’uomo si girò verso la vetrata impolverata,
guardando la luna quasi piena e
sancendo così la fine della loro discussione.
«La verità, Derek, è che ti ha amato
troppo. Anche più di quanto tu ami
lui».
Si girò di scatto, gli occhi blu da
licantropo.
«Cora»,ringhiò.
«Credi quello che vuoi, ma sappi che quando accetterai la
verità potrà essere
troppo tardi. Non toglierti la possibilità di essere
felice». Aprì la porta del
loft. «E non toglierla neppure a lui», disse prima
di chiudersela alle spalle,
lasciando il fratello a
riflettere.
Inutile dire che quella notte né Stiles né Derek
dormirono.
Vedere il figlio in quelle condizioni per lo Sceriffo fu difficile, gli
si
spezzava il cuore a vederlo soffrire e non poter fare niente per
aiutarlo.
Scott lo aveva riportato a casa in condizioni pietose: non rispondeva
agli
stimoli esterni e continuava a piangere lacrime
silenziose.
Melissa lo spogliò della felpa per potergli pulire e
disinfettare le escoriazioni
delle nocche e, soprattutto, i lunghi graffi sui
fianchi.
Fu allora che vide la lunga cicatrice che gli attraversava
l’intero braccio,
dal gomito al polso.
Fece tuttavia finta di niente, chiedendo al figlio di andare
immediatamente in
camera di Stiles e prendergli dei vestiti di ricambio, approfittando
del fatto
che lo Sceriffo fosse in cucina a bersi il secondo bicchiere di whisky
della
serata. Sapeva di non potersi immischiare, Stiles aveva fatto le sue
scelte e
ora doveva convivere con le conseguenze, ma quello era suo figlio. Ed
era
ferito.
∞∞∞
L’alba era arrivata.
Stiles bene o male si era ripreso, mentre Derek aveva deciso che non
poteva
ancora perdonarlo. Sì, deciso perché in fondo
– molto in fondo, sepolto da
interi strati di rabbia, orgoglio e desiderio di vendetta –
sapeva che Cora
aveva ragione.
Sua sorella era ritornata solo nel tardo pomeriggio, e solo per il
tempo
necessario a farsi una doccia.
«Vado da
Stiles».
«E io esco con Breaden». Lo aveva detto solo per
ripicca, infatti Breaden era
partita due giorni prima, alla ricerca dell’ennesima creatura
sovrannaturale da
catturare. Era tornata a Beacon Hills solo perché le erano
giunte voci della
sua miracolosa guarigione e voleva saperne di più al
riguardo.
Erano usciti a bere qualcosa, e dopo la quinta birra aveva cominciato a
toccargli la coscia con fare lascivo. In un primo momento aveva pensato
di
mandare tutto al diavolo e di rispondere alle carezze della donna,
vendicandosi
del male che Stiles gli aveva procurato. Poi, però, la sua
testa aveva
riprodotto l’immagine degli occhi di Stiles, delusi e pieni
di dolore a causa
del suo gesto. Si era alzato tanto velocemente da rischiare di far
rovesciare
il tavolo e tutto ciò che vi era sopra addosso alla
cacciatrice.
Si odiava per essere così debole; e odiava Stiles per averlo
ridotto a
ciò.
Cora uscì di casa sbattendo la porta del loft
così tanto da farla tremare. Lei
non era dalla parte di Stiles come suo fratello, erroneamente, pensava.
Tutto
ciò che voleva era che quei due testoni smettessero di
essere tali e
ritornassero a essere felici.
Suo fratello, inoltre, oltre ad essere un cretino doveva essere anche
particolarmente ingenuo se credeva che non si fosse accorta della
bugia.
Ritornò da Stiles il quale, dopo aver passato la notte nel
più totale
sconforto, adesso dava ragione a Derek. Per tutta la mattinata aveva
blaterato
su quanto ciò che aveva fatto fosse imperdonabile e su
quanto Derek facesse
bene a non volerlo più vedere.
Lydia era in camera sua e cercava di farlo rinsavire, mentre il suo
migliore
amico dormiva spaparanzato sul divano con dei tappi nelle
orecchie.
«Scott, sveglia». Lo scrollò rudemente e
quello, spaventato, cadde per terra.
Preso alla sprovvista si mise in posizione d’attacco,
lasciando persino gli
occhi illuminarsi di rosso.
«Dio, Cora, potevo
ucciderti».
«Dio, Scott», cominciò prendendolo in
giro, «non essere così sicuro di
te».
«Che ci fai tu
qui?».
La ragazza alzò un sopracciglio, ma Scott era ancora un
dilettante nel capire i
fratelli Hale dal movimento delle loro sopracciglia, perciò
la ragazza dovette
spiegarsi anche a
parole.
«Io, te e Lydia dobbiamo trovare un modo per far rimettere
insieme quei
due idioti. Prima mio fratello fa
l’offeso, poi quest’idiota gli dà
ragione. È evidente che non sappiano cosa sia meglio per
loro».
«E come facciamo, sentiamo?». Alzò le
mani sopra la testa, stiracchiandosi e
facendo sgranocchiare ogni giuntura del suo
corpo.
«E che ne so. Tu piuttosto, mi spieghi che ci facevi a
dormire sul divano? E
pure con queste cose nelle orecchie». Prese i tappi che Scott
aveva
precedentemente posato sul tavolo e se li rigirò tra le mani
prima di buttarli
fuori dalla
finestra.
«Ma sei
pazza?».
«E non farla tanto lunga, Scott. Forza, va’ su e
di’ a Lydia che devo parlare
con lei. Tu invece rimani con Stiles, qui mi sei
inutile».
«Cora…».
«Scott, vuoi che il tuo migliore amico, tuo fratello, sia
felice?».
«Ma sì, certo… Però
no-».
«Niente però, tu ora fai come ti dico io,
chiaro?».
Annuì alzando gli occhi al cielo, senza tuttavia farsi
vedere. Era sì un True
Alpha, ma ancora non si sentiva pronto a mettersi contro una Hale
arrabbiata.
Aprì la porta lentamente per evitare di svegliare Stiles
– lo aveva sentito
russare da metà scale – e con l’indice
fece segno a Lydia di seguirlo di
sotto.
Facendo estrema attenzione si tolse la testa di Stiles dal grembo, ora
che
finalmente si era addormentato aveva potuto mandare un messaggio allo
Sceriffo,
informandolo delle condizioni del figlio. Quando Scott
l’aveva chiamata nel
mezzo della notte non si aspettava di trovare Stiles così
distrutto. Aveva
passato l’intera notte a guardarlo piangere, incapace di fare
qualsiasi cosa
per alleviargli la
sofferenza.
Scott era arrivato con una bottiglia di Jack Daniel’s, ma
l’aveva mandato via
minacciando di spaccare la bottiglia a suon di urla.
Verso le cinque del mattino Stiles sembrava stare meglio, almeno aveva
smesso
di piangere e di dondolarsi. Qualche ora più tardi aveva
cominciato a dire che
Derek aveva ragione a non volerlo perdonare e a non amarlo
più.
Al piano di sotto vi aveva trovato Cora e Scott che bisticciavano. Non
avevano
dato segni di averla notata, anche se immaginava che avessero percepito
ogni
suo passo, respiro e battito del
cuore.
«Ehi». Era stanca e non aveva la voglia
né la forza per fare da arbitro o
giudice tra i due. «O state calmi e vi zittite o vi faccio
sanguinare le
orecchie».
Entrambi si ammutolirono di colpo, spaventati dal tono serio della
Banshee.
«Allora, Cora, cos’hai in
mente?».
«Come hai
capito?».
«Scott, sono una ragazza e sono più intelligente
di voi due messi insieme.
Inoltre vi ho sentito parlare mentre scendevo le
scale».
«Dobbiamo farli rimettere
insieme».
«E fin qui ci sono». Lydia si sedette sul divano
accanto a Cora, abbandonando
la testa sulla sua spalla. Si tolse i tacchi e stese anche le gambe,
leggermente alzate sul bracciolo per favorire la
circolazione.
«E che cosa proponi? Chiudergli in una stanza per vedere se
si baciano o si
strozzano?». Scott l’aveva buttata sul ridere, non
immaginando che le due
l’avrebbero preso
seriamente.
«Perché no? Tanto non abbiamo nulla da
perdere». Cora ne era entusiasta, e dal
brillo nei suoi occhi l’Alpha capì che
c’era ben poco che potesse fare se non
seguire alla lettera i suoi
ordini.
«Non lo so… E se fosse troppo presto? Diamo loro
almeno il tempo di riprendersi.
Siete ritornati solo ieri e Stiles non ha nemmeno avuto il tempo di
farsi una
doccia».
«Aspettare che cosa? Che mio fratello si comporti come suo
solito e scappi? O
che Stiles si convinca che l’idiota ha ragione a trattarlo
male e a non volerlo
perdonare?». Ciò che la spingeva ad essere
così testarda e a provare di tutto
per fare rimettere insieme i due non era solo l’amore per
Stiles e suo
fratello, ma anche senso di colpa. Un senso di colpa che ritornava a
farsi vivo
ogni volta che rivedeva il volto addolorato di suo fratello, ogni volta
che
ricordava le notti insonni passate a tranquillizzare Stiles.
Razionalmente
sapeva di non avere alcuna responsabilità, sapeva che Stiles
sarebbe partito
con o senza di lei, e forse senza il suo aiuto non sarebbe ritornato
vivo, ma
continuava a pensare a come le cose sarebbero andate diversamente se
solo
avesse detto sin dall’inizio la verità a suo
fratello.
«E come hai intenzione di convincerli?». Scott era
rimasto completamente fuori
dalla discussione. Aveva provato due o tre volte a dire la sua, ma le
due
parlavano talmente velocemente da non averne avuto il
tempo.
«A Derek ci penso io. Voi trovate un modo per convincere
Stiles».
Scott approfittò del secondo di silenzio per
parlare.
«E dove li chiudiamo? Derek è un licantropo e
può scappare da qualsiasi posto
abbia una finestra, inoltre non è nemmeno detto che Stiles
si lasci convincere
senza fare storie. Dobbiamo trovare un posto dal quale nessuno dei due
possa
andarsene».
«In macchina? Possiamo far circondare la macchina di
sorbo».
«Uno dei due romperebbe il finestrino».
«Al loft? Possiamo sbarrare le uscite e metterci del
sorbo».
«Tu e il tuo sorbo! E comunque no, è troppo
complicato. Dovremo mandare via mio
fratello, portarci Stiles e poi riportarci
Derek».
«Un gabbia?». La rossa si stava guardando le
unghie, fingendo nonchalance e
cercando di non irrigidirsi al vedere gli occhi gialli di
Cora.
«Siamo licantropi, non
cani».
«Ho trovato!», esultò Scott. Le due lo
guardarono interrogativo ma non troppo
fiduciose.
«La cripta dei Hale. Possiamo bloccare le due entrate
così da impedirli di
uscire».
«E bravo il nostro Scott, alla fine non sei poi
così inutile».
Passarono il pomeriggio a mettere a punto il loro piano. Scott, pur
essendo
venuto con l’idea, era abbastanza
scettico e non del tutto
d’accordo, ma le ragazze erano talmente entusiaste che aveva
paura di opporsi.
Una Hale e una Martin, ne era certo, era una combinazione contro cui
non voleva
opporsi.
Stiles aveva dormito fino al rientro dello Sceriffo, esausto per le
notti
passate in macchina e in squallidi motel. Era stato un viaggio faticoso
che,
alla fine, si era rivelato inutile. Derek stava bene, e di certo non
grazie a
lui.
«Scott, non pensate sia il caso di andare a casa vostra? Vi
sono eternamente
grato per tutto quello che avete fatto per Stiles, ma vorrei passare
del tempo
con mio figlio».
Dopo essere stati quasi buttati fuori, i tre raggiunsero ognuno la
propria
casa.
Al suo ritorno Cora ritrovò Derek nella stessa posizione in
cui lo aveva
lasciato, come se non si fosse mosso neppure di un millimetro. Le venne
in
mente Stiles che anche in situazioni critiche, come quella volta in cui
un boa
lo stava per attaccare, non riusciva proprio a stare fermo o
zitto.
«Derek». L’aveva sentita
arrivare, non poteva essere diversamente, ma
aveva preferito ignorarla.
«È inutile fare finta di niente,
continuerò a parlare fino a portarti allo
sfinimento, ho imparato dal tuo ragazzo. Che, a proposito, ha smesso di
piangere». L’unico muscolo che tradì
Derek fu il cuore e i battiti
accelerati.
«Ti dà ragione. È buffo
perché persino tu sai di non avere ragione, ma siete
talmente imbecilli da non capire che non tutti sono stati fortunati
come voi,
altri avrebbero fatto carte false per incontrare l’amore
della propria vita ed
essere ricambiato. Ma tu, finché non soffri, non sei felice,
giusto?».
Il telefono del ragazzo interruppe Cora che, per niente indispettita,
lo intimò
a
rispondere.
«È Stiles». Allungò la mano
verso la sorella, passandogli l’apparecchio.
«Rispondigli tu, non voglio
parlargli».
Che i giochi abbiano inizio, pensò
prima di prendere il cellulare e
rispondere.
“Stiles è sparito”. Era
Scott.
Derek si avvicinò per sentire meglio. Un gesto puramente
istintivo e inutile,
visto il suo udito da
licantropo.
“Cosa stai dicendo, Scott?”. Anni e anni di corsi
di recitazione le ritornarono
finalmente utili e perciò Derek non sospetto minimamente
circa la falsità della
sua
preoccupazione.
“Non è in camera sua e lo Sceriffo non ha la
minima idea di dove si trovi. Ha
sentito un tonfo e quando è entrato a controllare lui non
c’era”. Le doti recitative
di Scott non arrivavano ai livelli di Cora, ma risultarono abbastanza
convincenti per Derek che le strappò il telefono di
mano.
«Scott», ringhiò. Gli occhi blu e gli
artigli fecero pensare a Cora che forse,
giusto un pochino, stavano esagerando.
«Stiamo arrivando. Non muovetevi. Non toccate
niente».
Il licantropo
accelerò tanto quanto la Camaro glielo permise, sfrecciando
per le vie di Beacon Hills e evitando macchine e passanti grazie ai
suoi
riflessi da lupo.
“Stiles è nella cripta.” _Malia
Percorsero i dieci chilometri che separavano il loft da casa Stilinski
in
pochissimi minuti. Una volta arrivati Derek sembrò essersi
dimenticato
dell’esistenza delle porte, e con un balzo fu subito sulla
grondaia difronte
alla finestra di Stiles.
Scott e Lydia li stavano aspettando.
«Se dovesse succedere qualcosa a Stiles sarà colpa
tua, Hale». Abbassò lo
sguardo, colpito dalle parole della
rossa.
Cora entrò giusto in tempo per vedere suo fratello crollare
a terra.
Distrutto.
Nel vederlo tanto ferito Lydia si pentì di ciò
che aveva detto. Provava gusto
nel vederlo soffrire, voleva che pagasse per ciò che aveva
fatto patire a
Stiles, ma si era spinta oltre, andando a toccare tasti che non
dovevano essere
toccati. Le sembrava di rivedere Stiles tre mesi prima, quando si era
presentato a casa sua grondante di acqua – aveva camminato
per diversi minuti
sotto la pioggia – e le aveva detto con la voce rotta dal
dolore di non farcela
più.
Scott percepì lo stato d’animo di Derek e
intervenne per mobilitare la
situazione e farlo soffrire il minor tempo
possibile.
«Lo Sceriffo è andato alla centrale per dirigere
l’operazione di ricerca della
polizia». Lo avevano avvertito solo dopo aver fatto prendere
Stiles, ma si era
dimostrato molto più favorevole di quanto si aspettassero e
non si era opposto
in alcun modo quando gli avevano chiesto di andarsene di casa per non
farsi
scoprire da Derek. Meno persone erano presente e più facile
era
ingannarlo.
Di Stiles si era occupata Malia, e nessuno dei tre sapeva come ma,
doveva aver
fatto un buon lavoro dato che nella stanza ancora si sentiva
l’odore dello
spavento e della confusione del loro amico. L’infuso che
Deaton le aveva dato
era riuscito perfettamente a nascondere il suo odore, tanto che non
c’era
nemmeno la minima traccia della sua presenza nella stanza di Stiles.
Conscendo
il soggetto già si immaginavano uno Stiles legato e
imbavagliato che veniva
portato via di
peso.
«Derek». Cora si inginocchiò in modo da
essere alla stessa altezza di suo
fratello. Con l’indice e il medio gli alzò il
mento e gli sorrise.
«Dobbiamo salvarlo, non piangerci addosso».
Annuì.
«Io cercherò di seguire il suo odore. Lydia, tu
resta qui nel caso ritorni». La
rossa si sedette sul letto e tirò fuori il cellulare
.
«Appena so qualcosa vi
chiamo».
«Cora, tu e Scott andate da Deaton e chiedetegli se qualche
creatura sovraumana
si è avvicinata nell’ultimo periodo al perimetro
di Beacon
Hills».
«Derek, so che prima mi sono allarmata, ma potrebbe
semplicemente essere uscito
per una passeggiata. Prova a calmarti, ti prego». Sia lei che
Scott erano
sopraffatti dal misto di emozioni che suo fratello emanava. Avevano
paura che,
visto che non mancavano che pochi giorni alla luna piena, non potesse
controllarsi. Quando si trattava di Stiles, smetteva di essere
razionale e
questo, in quel momento, poteva rappresentare un pericolo per tutti.
Derek si
era ripreso da poco, non aveva ancora affrontato una luna piena, e non
sapevano
quali nuovi effetti avesse su di lui. Cora avrebbe voluto parlarne con
Deaton
quando ci era andata per implicarlo nel loro piano, ma a causa del poco
tempo a
loro disposizione si era trovata costretta a
rimandare.
«Lo troverò, te lo prometto». Detto
questo uscì dalla stessa finestra da cui
era entrato, annusando l’aria intorno e dirigendosi verso
nord.
«Lo troverà?». Chiese
Cora.
«Sì, ho già verificato il percorso,
l’odore di Stiles lo porterà dritto al
liceo. Da lì non dovrebbe essere difficile per lui capire di
dover scendere
nella
cripta».
«Ora non ci resta che aspettare qualche minuto e poi chiamare
Deaton per il
sorbo».
«A proposito, come hai fatto a
convincerlo?».
«Ho i miei metodi», rispose la
mora.
Seguire
l’odore di Stiles fu facile, fin troppo facile. Derek si
aspettava
di essere attaccato da un momento all’altro, ma si trattava
di Stiles e non
poteva permettersi di aspettare
rinforzi.
Era arrivato sino al liceo di Beacon Hills e lì
l’odore spariva. Aveva
controllato ogni singola entrata, ma nessuna sembrava essere stata
forzata, i
lucchetti erano intatti, le catene pure. Era entrato per un breve giro
esplorativo, ma non c’era alcuna traccia di
Stiles.
Uscì nuovamente fuori, si guardò intorno,
annusò l’aria. Niente. Stiles
sembrava essere stato inghiottito dal
nulla.
La cripta!
Si diede dello stupido per non averci pensato prima e per aver perso
tempo
inutilmente.
Fece scattare gli artigli ed entrò.
Scese guardingo, cercando di non fare rumore ed evitando addirittura di
respirare per non rivelare la propria presenza. Un unico grosso respiro
gli
permise di capire dove si trovasse Stiles.
Quando si avvicinò abbastanza da sentirne il battito del
cuore riprese a
respirare normalmente, non prima, però, di un lungo sospiro
di
sollievo.
Stiles era in un angolo, legato sia alle mani che ai piedi, che si
dimenava nel
tentativo di liberarsi. Si inginocchiò davanti al ragazzo e,
con un solo artiglio,
tagliò il nastro adesivo che gli impediva di
parlare.
«Stai bene?». Dopo averlo liberato del tutto Derek
lo esaminò velocemente, ma
non sembrava avere ferite recenti, solo quello che gli aveva provocato
lui il
giorno prima.
«Sto bene. È stata Malia a portarmi qua. E ora
credo di capire anche
perché».
«Usciamo di qui». Non si vedeva ad un palmo dal
naso perciò Derek, conoscendo
la sbadataggine di Stiles, lo prese per mano in modo da guidarlo e non
farlo
andare a sbattere contro qualche parete. Per istinto, o forse
perché anelava un
qualsiasi contatto con il licantropo, Stiles fece intrecciare le loro
dita.
Derek non disse niente, e finse di non essersene
accorto.
Sciolse la presa quando si trovò davanti al gigantesco
simbolo della triskele
dipinto su una parete. Ancora una volta fece scattare gli artigli, ma
questa
volta quando avvicinò la mano verso la complicata serratura,
fu respinto da una
forza
invisibile.
«Che
succede?».
«Sorbo».
Lo avevano preso in giro, e lui ci era cascato con tutte e due le
scarpe.
Prese il telefono dalla tasca posteriore dei jeans e compose il numero
di sua
sorella.
Ripose dopo un solo squillo, aspettandosi la chiamata del
fratello.
«Ti uccido».
«Derek, non farla tanto tragica su, tra poco mi
ringrazierai».
«Abbiamo fatto una cazzata, ci
ucciderà», sussurrò Scott inutilmente,
tanto
Derek lo aveva sentito ugualmente.
Lydia gli mise una mano davanti alla bocca per farlo stare
zitto.
«Cora, fateci uscire di qui.
Ora!».
«Ciao ciao, fratellone, ti chiamo fra
un’oretta».
«Non osare staccare, vi ammazzo tu-». Troppo tardi,
aveva già interrotto la
chiamata.
Stiles nel frattempo si era lasciato scivolare lungo una parete,
raccogliendosi
le ginocchia al petto e posandovi la fronte. Aveva promesso a se stesso
che non
si sarebbe più mostrato debole, che avrebbe accettato le
conseguenze delle
proprie azioni senza farle pesare sui suoi amici o su
Derek.
Perciò si conficcò le unghie nei palmi delle mani
per non piangere, peccato che
questa volta i tentativi di nascondere i suoi
sentimenti fallirono
miseramente.
«Puzzi di
tristezza».
Sospirò, incapace di fare altro se non di guardare Derek,
gli occhi lucidi e le
labbra serrate. Aprì e richiuse un paio di volte i pugni ora
indolenziti e
finalmente, rompendo il silenzio, si decise a parlare.
«Scusami». Una parola sola, sussurrata, ma che
risuonò come urlata nelle
orecchie del licantropo.
«No, Stiles, non ti scuso. Mi hai lasciato, mi hai fatto
pensare di non avermi
mai amato, mi hai tolto ogni briciolo di
vita».
Si era alzato in piedi, incapace di stare seduto e sputare fuori tutte
le cose
che avrebbe voluto dirgli sin da quanto lo aveva
rivisto.
«E io, Derek? Non pensi quanto sia stato difficile per me
vederti morire ogni
giorno un po’ di più? Ti sei arreso. E io ti
amavo, maledizione. Ti amo e se ce
ne fosse bisogno me ne andrei di nuovo anche ora, se avessi anche la
più piccola
possibilità di sapere che diamine ti stesse
succedendo».
«Stiles…».
«No, niente Stiles. Lo so che dovrei darti tempo, che hai
tutte le ragioni del
mondo ad essere arrabbiato, ma dimmi una cosa, Derek. Se ci fossi stato
io, se
fossi io a vomitare bile giorno e notte, se non dormissi, se dimagrissi
così
tanto da diventare solo il fantasma di ciò che
ero… cosa avresti fatto?». Si
era alzato in piedi anche lui per
fronteggiarlo. Occhi negli occhi.
Petto contro petto.
Déjame que vuelva a acariciar
tu pelo
déjame que funda tu pecho en mi pecho
volveré a pintar de colores el cielo
haré que olvides de una vez el mundo entero
Déjame tan solo que hoy roce tu boca
déjame que voy a detener las horas
volveré a pintar de azul el universo
haré que todo esto sólo sea un
sueño
«È diverso».
«Davvero? Noi ci salviamo, Derek. Lo abbiamo sempre
fatto…».
«Potevi morire». Il suo respiro fece accapponare la
pelle di Stiles, il quale
non riuscì a trattenere un brivido di
eccitazione.
«Tu eri morto». Un solo passo li separava, ma
Stiles sapeva che se fosse stato
lui a farlo, Derek si sarebbe allontanato.
«Baciami».
Nonostante i mesi in cui non si erano visti o toccati, in cui non si
erano
nemmeno parlati, il bacio fu dolce, lento. Si presero tutto il tempo
per
assaporarsi, per ritrovare la familiarità
perduta.
Le mani di Derek scivolarono lungo le braccia di Stiles, soffermandosi
sulla
pelle nuda dei fianchi. Sotto le proprie dita sentì la
crosta dei graffi che
lui stesso gli aveva provocato, dieci lunghi graffi.
«Mi dispiace». Lo disse tenendo la testa di Stiles
tra le mani, accarezzandogli
con le dita gli zigomi pronunciati.
«Mi hai fatto di peggio. Tipo sbattermi la testa contro il
volante, o sbattermi
al muro, o minacciarmi di strapparmi la gola con i tuoi
denti». Rise,
finalmente rise. Dopo mesi di agonia in cui si era sentito prima
inutile e poi
tradito, Derek rise.
«Intendevo per come mi sono comportato prima che tu mi
lasciassi».
«Mi dispiace per averti
lasciato».
«Mi hai fato di peggio. Tipo farmi affogare in una piscina
con un kanima che ci
stava attaccando».
Rimasero a parlare al buio per ore intere, ignorando le chiamate del
branco e
raccontandosi tutto ciò che in quei mesi di separazione si
erano persi l’uno
dell’altro.
Stiles gli aveva parlato di Jorge, di come si fosse ferito da solo, e
di quanto
fosse stato fortunato ad aver incontrato lui e non qualche altra
creatura che
avrebbe potuto ucciderli. Al sentire che Stiles non solo si era ferito
ma si era
anche avvelenato, Derek si irrigidì di colpo. Uno dei motivi
per i quali si era
arrabbiato con Stiles non era il puro desiderio di vendetta come Cora
credeva,
ma i sensi di colpa. Se fosse morto, Derek sarebbe morto con lui. E,
ironia
della sorte, era proprio questa consapevolezza ad averlo spinto a
perdonarlo.
Certo, far ritornare le cose come un tempo non sarebbe stato facile, ma
Derek
capiva cosa avesse spinto Stiles a compiere certe scelte. Le capiva e,
doveva
ammetterlo suo malgrado, le condivideva.
Aveva sentito il cuore di Stiles battere furioso quando i loro occhi si
erano
incrociati, aveva sentito il dolore inumano che aveva provato quando lo
aveva
lasciato da solo in mezzo alla strada. Si odiava per averlo fatto
soffrire non
solo in quei due giorni ma, soprattutto, nel periodo prima della sua
partenza.
«I-Io… Sei andato a letto con qualcuno in questi
mesi?». La domanda da un
milione di dollari. Stiles sapeva che Derek lo amava, sapeva che in
quel
periodo non stavano insieme, ma non sarebbe mai riuscito a perdonargli
un
tradimento, non del
tutto.
«Cosa? Ma che ti salta in mente?».
L’odore salato delle lacrime di Stiles lo
spinse a prendergli il volto tra le mani e a schioccargli un lungo
bacio a
stampo sulle labbra. Proseguì su per il mento, baciandogli
il contorno del viso
fino ad arrivare alla tempia. Si sposto leggermente a destra, in
prossimità
dell’orecchio.
«Dimmelo».
«No, Stiles, non sono andato a letto con
nessuno». Stiles
rabbrividì. Alzò le braccia per
racchiudere Derek in un abbraccio soffocante. Lo stringeva con forza
per le
spalle, ora nuovamente muscolose, mentre con le gambe gli
circondò la
vita.
«Me lo giuri? ». Stiles si era chinato leggermente
in avanti, mordicchiando
l’orecchio di Derek mentre le sue mani vagavano libere nei
capelli un po’
lunghi del licantropo.
«Te lo giuro». Con un colpo di reni Derek capovolse
la situazione, facendo
stendere Stiles sotto di sé sul terreno umidiccio. Gli
racchiuse i polsi nella
mano destra, portandoli sopra alla testa, e si buttò sul suo
collo nudo,
costellato da quei nei tanto familiari. Li baciò uno a uno
fino a quando arrivò
proprio sopra la giugulare, dove lo morse con un accenno di zanne.
Stiless
rabbrividì sotto il suo tocco e Derek, vedendolo tanto
malleabile nelle sue
mani, leccò e succhiò quella parte di pelle che
prima aveva morso fino rompere
i capillari sottostanti, marchiandolo come
suo.
«Mi sei mancato». Le mani di Stiles vagavano
furiose sul petto e sulle spalle
di Derek, graffiando la pelle solo per il gusto di vederla rigenerarsi
immediatamente
dopo.
«Anche tu». Le loro labbra si staccarono solo per
il tempo necessario a
togliersi uno la maglietta e l’altro la felpa. Dopo
l’ennesimo bacio, quando le
labbra di entrambi erano ormai rosse e gonfie, Stiles prese il volto di
Derek
tra le mani, godendo della sensazione della barba incolta del suo
ragazzo
contro i polpastrelli.
Gli occhi blu di Derek si specchiarono in quelli color ambra di Stiles,
leggendovi lo stesso amore e devozione che, ne era sicuro,
c’era anche nei
propri.
Si sentivano come in una bolla di sapone, estranei a tutto
ciò che non
riguardava loro due. Stiles non
sentiva né la terra che gli si
appiccicava alla schiena né i pezzettini di pietra che gli
si erano conficcati
nella pelle. Derek, d’altro canto, non sentiva altro che non
fossero i gemiti
di Stiles o i loro cuori che battevano furiosamente contro il
petto.
Quasi senza nemmeno accorgersene Derek prese ad accarezzare la
cicatrice di
Stiles, dapprima con le dita, poi sostituendole con le labbra e con la
lingua.
Si sentiva in colpa, Derek. Stiles l’aveva capito e
portò la testa del
licantropo sul suo petto, cullandolo e permettendogli di sentire il
rumore sordo
del suo cuore che sembrava voler uscire dalla gabbia
toracica.
Poi i baci diventarono via via sempre più lenti,
più dolci e umidi.
Abbandonarono la passione a la libido, assaporando il calore
dell’altro accanto
a sé. Stiles gli circondò i fianchi con le gambe,
portandoselo nuovamente sopra
per sentire ogni porzione di pelle a contatto con la sua. E Derek non
pensò di
lamentarsene nemmeno per un istante. Si baciarono per tutto il tempo,
soffocando i gemiti dell’altro con la propria
bocca.
Fecero l’amore non una ma due, tre volte. Fino a quando si
sentirono nuovamente
completi e a casa. E anche allora, madidi di sudore, rimasero
abbracciati per
ore, sussurrandosi parole dolci e baciandosi di tanto in tanto, quando
il
bisogno l’uno dell’altra diventava
insostenibile.
«Ti amo».
«Ti amo anche io,
Sourwolf».
Solo quando la luna era alta nel cielo – Derek sentiva il suo
effetto su di sé
– i due decisero che era il momento di abbandonare il loro
nido d’amore e di
uscire allo scoperto, certi di aver fatto prendere un infarto ai propri
amici.
Dopotutto meritavano questo e altro per averli tratto in inganno, ma
non
riuscivano a essere troppo arrabbiati, consapevoli che se non si
fossero
impicciati li ci sarebbe voluto molto più di qualche ora per
riappacificarsi.
«Permetti?». Con la testa indicò il
cellulare che Derek aveva in
mano.
Compose il numero di Cora e mise il vivavoce. La ragazza rispose
subito,
probabilmente aveva passato le ore precedenti con il telefono in mano,
aspettando
ansiosa la chiamata del
fratello.
«Dimmi che non l’hai
ucciso».
«Sono vivo e vegeto». Stiles avrebbe voluto farle
uno scherzo, ma dopo averla
sentita tanto preoccupata aveva deciso di lasciar perdere qualsiasi
piano di
vendetta.
«Potete anche rompere il cerchio di sorbo ora», si
intromise Derek nella
discussione.
«No», sentirono la voce un po’ ovattata
di Lydia, segno che anche Cora aveva il
vivavoce.
«Come no?», rise Stiles, non aspettandosi la
risposta dell’amica.
«Ci avete fatto stare in pensiero, e vi meritate questa
punizione. Domani
mattina, forse, vi
libereremo».
«Lydia». Derek avrebbe voluto sembrare arrabbiato,
ma era troppo felice per
suonare minaccioso. E il sorriso dipinto sulle labbra gli rendeva
difficile
fare la voce grossa.
«Non siate stronzi, se non torno a casa papà si
incazza».
Sentirono delle risate smorzate e poi un fruscio fastidioso, come se
qualcuno
stesse appallottolando della carta proprio davanti al
microfono.
«Sei in punizione, figliolo. Niente Scott, videogiochi o
Derek per una
settimana».
«Papà». Lo Sceriffo interruppe la
conversazione, consapevole che i due avessero
bisogno di ancora un po’ di tempo per chiarirsi del tutto.
Note finali: Penso di non aver mai scritto
in vita mia delle note
sia all’inizio che alla fine di una storia, ma
c’è sempre una prima
volta…
Prima di proseguire con qualunque spiegazione vi lascio la traduzione
dei
dialoghi in spagnolo.
*«Che
è successo?».
«Chiamo
Juan». .
«Ha solo bisogno di mangiare un poco e di riposare molto,
niente
d’altro».
«Che è successo, amore mio?»
.
«Che è successo a questo ragazzo? È
così pallido, e sembra aver perso molto
sangue; ha bisogno immediatamente di una
trasfusione».
«Però Juan ha detto che non ha
niente».
Ho cercato di fare una traduzione il più letteraria
possibile, ma un po’ mi
sono trovata costretta a riadattarla.
Passiamo ora
ai Nahual. Non sono di mia invenzione, ma
ho fatto
qualche ricerchina e alla fine è l’unica cosa che
ho trovato che mi sembrasse
abbastanza plausibile e adatta alla storia. Le mie informazioni le ho
tratte
per lo più dalla pagina in Wikipedia in spagnolo e da un
sito, sempre in
spagnolo, di cui tuttavia non ricordo
l’indirizzo.
Ho trovato in particolar modo due teorie che mi hanno affascinato e che
io ho
poi deciso di
“mischiare”.
La prima dice che i Nahual sono degli spiriti buoni,
capaci di
assumere la forma di un animale (un po’ come i patronus di
Harry Potter) e
incaricati di proteggere la persona a loro affidata fino al momento
della sua
morte.
La seconda teoria dipinge i Nahual come delle creature sovrannaturali,
dei
maghi capaci di fare proprie alcune caratteristiche degli animali (la
forza di
un orso, la vista di un' aquila e così via) e di usarle nel
combattimento.
Stando a questa secondo teoria sono delle creatura sanguinolente che
usano i
loro poter per lo più per rubare lo spirito vitale degli
umani.
Traduzione canzone
“Donde Está El Amor”
Non c'è
bisogno che tu distolga lo sguardo
perché capisca che non resta più niente
Quella Luna che prima ci faceva ballare
si è stancata e ora ci da le spalle
Dov'è l'amore di cui tanto parlano?
Perché non ci sorprende e rompe la nostra calma?
Lasciami accarezzare di nuovo i tuoi capelli
Lasciami che fonda il tuo petto nel mio petto
Tornerò a dipingere di colori il cielo
Farò in modo che dimentichi una volta per tutte il mondo
intero
Lascia solo che oggi io sfiori la tua bocca
Lasciami che fermerò le ore
Tornerò a dipingere di azzurro l'universo
Farò in modo che tutto questo sia solo un sogno
Ho contato tutti i baci che ci siamo dati
E tu fuggiasca, vai persa da un'altra parte
Io non voglio carezze da altre labbra
Non voglio le tue mani in altri mani
Perché io voglio che ci riproviamo
Dov'è l'amore di cui tanto parlano?
Perché non ci sorprende e rompe la nostra calma?
Lasciami accarezzare di nuovo i tuoi capelli
Lasciami che fonda il tuo petto nel mio petto
Tornerò a dipingere di colori il cielo
Farò in modo che dimentichi una volta per tutte il mondo
intero
Lascia solo che oggi io sfiori la tua bocca
Lasciami che fermerò le ore
Tornerò a dipingere di azzurro l'universo
Farò in modo che tutto questo sia solo un sogno
Dov'è l'amore?
Lasciami accarezzare di nuovo i tuoi capelli
Lasciami che fonda il tuo petto nel mio petto
Tornerò a dipingere di colori il cielo
Farò in modo che dimentichi una volta per tutte il mondo
intero
Lascia solo che oggi io sfiori la tua bocca
Lasciami che fermerò le ore
Tornerò a dipingere di azzurro l'universo
Farò in modo che tutto questo sia solo un sogno
Grazie a tutti per
aver letto!
Un
bacio,
Alina_95