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Autore: Pinker    08/05/2016    1 recensioni
Dopo 10 anni dall'ultima missione di Blaze a Mobius, la gatta lilla ritorna per svelare un caso già iniziato dall'amica Amy, la quale a un certo punto scompare misteriosamente.
Anche Shadow e Rouge saranno coinvolti in questa avventura dal finale incerto.
Tra bugie e passato, sorprese più o meno piacevoli e lotte tra ragione e istinto, nascerà una storia d'amore...
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaze the Cat, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Una creatura dormiente riposava nella stanzetta, su un letto di lenzuola bianche tutte spiegazzate, coricata su un lato e la schiena curvata in posizione fetale.

Respirò profondamente per riprendere coscienza, e aprì gli occhi.

Le pupille da gatto si assottigliarono per adattarsi alla tenue luce della mattina che entrava dalla finestra alle sue spalle.

I suoi occhi scattarono da una parte all'altra di quella stanza che lei non aveva mai visto prima.

Era una piccola stanza di un giallo tenue, spento, come se non fosse stata riverniciata da anni.

Negli angoli del soffitto azzurro cielo si poteva vedere che la carta da parati si stava staccando, lasciando intravedere il precedente colore bianco.

La stanza era, inoltre, povera di arredi: c'erano solo lo stretto letto su cui era poggiata ed un comodino di legno, ormai rovinato, e sopra di esso ci stava un ventilatore spento, bianco e un po' arrugginito.

Nonostante Blaze non sapeva dove fosse, non si allarmò troppo: quel posto la calmava, le ispirava calore, tranquillità, e l'odore non le era nuovo.

Profumo di pino e whisky, come quello di... Shadow.

Lentamente si mise a sedere, cercando nonostante il mal di testa di ricordare cosa fosse successo.

La memoria l'avvolse poco a poco, sempre più velocemente finché si ricordò perfino del minimo dettaglio. Chiuse gli occhi.

Aveva davvero...ucciso tutta quella gente?

Sì, e ancora adesso non riusciva a sentire alcun rimorso.

Gardon ha ragione. Marine ha ragione.

Sono spietata.

Com'è potuto succedere?!

Non capiva com'era riuscita a perdere la calma così, in un soffio, rischiando di ferire degli innocenti o chi amava.

Non era la prima volta, e questo la spaventata. L'aveva sempre spaventata.

Da piccola si era sempre così impegnata a farsi amare ed accettare dai più scettici, quelli che seriamente vedevano i poteri della gatta come una maledizione, ma adesso la pazienza di Blaze e la sua calma stavano svanendo, come se stessero bruciando via nel suo stesso fuoco, e stava diventando un... mostro.

Si coprì il viso con le mani.

No no no no no no no...

L'ultima cosa che voleva era essere temuta di nuovo, restare sola ancora e per sempre.

Non è solo colpa mia... ansimò nella sua testa, cercando di calmarsi.

Io non voglio... sono gli altri che mi costringono...


Non cambierai mai, principessa. E' inutile quanto migliorerai, non cambierai ciò che sei.” ebbe il coraggio di dire il Capitano Metal, il robot re dei pirati.

Nonostante fosse legato ad un palo senza via d'uscita, non si trattenne dall'umiliare la principessa per un'ultima volta.

Non mi interessa quello che dici. Dopotutto, sul fondo dell'oceano non avrai tante occasioni per parlare.” sibilò tra i denti la ragazza, acida.

Eh già, il progetto iniziale di condanna per i robot pirata era semplicemente di richiuderli, inattivi, in una prigione sul fondale dell'oceano.

Il Capitano rise perfido, con quella sua voce metallica.

Sei un demone, Blaze the cat.” le disse Metal, con voce ferma, sorprendendo la gatta.

Stesso sangue di tuo padre! Maledetta strega dai poteri distruttrici!” continuò lui, come se fossero normali parole, alzando sempre più il tono della voce. La micia lilla strinse i pugni.

Sta' zitto...” sibilò lei nuovamente, agitando la coda nervosa.

Capo, cosa fa...?” chiese preoccupato un robot, uno dei sottomessi di Metal, anche lui legato al palo. Non capiva perché il suo capo stesse facendo di tutto per complicare la loro posizione.

Non sarai mai come tutti gli altri. Tu non sei la loro regina, sei la loro rovina!”

Sta' zitto! Tu cosa credi di essere stato per tutto questo tempo?!” gli rinfacciò la regina gatto, ma Metal non perse colpi.

Tu vieni dall'inferno mia cara! Sei una macchina da cui è meglio star lontano! E per quanto tu ti sia autoconvinta del contrario, sei pericolosa! Sei veleno! Tu esploderai... Tu. Sei. Un Mostro!” finì, urlandole quella parola che tanto le trafiggeva il cuore.

La ragazza si sentì morire a quelle gelide parole, e sudò freddo per un attimo. Ma poi, cambiò: esplose dentro, non riuscendo più a contenersi dalla rabbia. Si avvicinò pericolosamente al robot.

Visto che ti piace criticare così tanto le mie fiamme, Capitano Metal...” iniziò Blaze, sputando fuori veleno ad ogni parola e mostrando gli affilati denti nel processo.

BRUCIA!

Una semplice parola, e il palmo di Blaze si avvolse di potente, rabbioso fuoco.

Il secondo dopo, anche i robot furono avvolti da quelle fiamme, urlanti e chiedendo venia.

Tutti tranne Metal: mentre gli altri supplicavano la grazia, lui guardava la principessa coi suoi occhi metallici rossi, mostrando un ghigno cattivo.

Mentre il metallo cominciava a colargli via, accumulandosi in una massa deforme alla base del palo, Metal riuscì, sempre col suo ghigno, a dire le sue ultime parole:

Visto, principessa? Sei esplosa, e guarda che stai facendo... Rimedia al tuo caratterino, vostra altezza.”

Blaze lo guardò sorpresa, ma le sue parole non colpirono subito la sua mente: prima quel criminale doveva morire.

Ci si vede all'inferno, Blaze the cat!” urlò sghignazzando il robot, prima che il fuoco riuscisse a scioglierli la mandibola, e poi toccò al resto della testa, e infine ai circuiti interni.

La regina lo osservò con un sorriso soddisfatto, sollevata che alla fine quel dannato pirata se ne fosse andato per sempre.

Quella soddisfazione rimase sempre nel cuore della gatta, tuttavia il sorriso no: quando si fu calmata dalla sua vendetta, si mise a ragionare su quello che il Capitano le aveva detto, e non ci mise molto a capirne il significato.

Per un attimo temette che lui avesse ragione su tutto.

Sul fatto che fosse pericolosa, una strega, un mostro, e che da ciò non poteva scappare.

Ma poi si rese conto che, alla fine, lui era il suo spietato nemico, e probabilmente aveva goduto nel vederla così debole davanti a delle parole.

Non doveva credergli.

Lei poteva essere quello che voleva, indipendentemente da quello che gli altri pensavano.

Se ne andò dal molo dopo pochi minuti, quando si accorse che tutti i robot furono liquefatti.

Da lontano, Marine e Gardon la videro bruciare quei robot, con un sorriso contento, senza capire perché. E fu tutto quello che seppero.

Lei non raccontò mai come andò veramente, anzi, cercò di dimenticare quei dialoghi, e da lì la fama di sadica.


Blaze sospirò pesantemente.

La vita è stata ingiusta con lei.

Sarebbe stata più semplice se avesse avuto con lei anche i suoi amici Sonic e Amy, ma purtroppo non poteva disporre del loro prezioso aiuto morale, e mai l'avrebbe avuto:

lui si trovava chissà dove impegnato con la famiglia e a giocare al re, lei era ormai irreperibile.

Si sentì un nodo in gola quando si ricordò della povera Amy.

La gatta aprì gli occhi e si accorse che la sua vista si stava già offuscando dalle lacrime.

Si sentiva una vittima di una vita pesante, ma anche Amy lo era.

Non ci aveva mai pensato fin'ora: l'aveva sempre vista allegra, felice e spensierata, ma in quegli anni tutto si era stravolto, rendendo la personalità della riccia irriconoscibile.

Certo, dieci anni sono tanti. Le persone cambiano di continuo.

In un mondo che continua ad andare avanti, in un mondo in cui le persone continuano a cambiare, restano solo i nostalgici ricordi, ed è terribile quel sentimento. L'unica cosa che vuoi in quel momento è una macchina del tempo, o un qualcosa che lo fermi in eterno.

Ma niente è infinito, nulla è per sempre.

Blaze sospirò pesantemente, lasciando che una piccola lacrima le rigasse il volto.

La micia, se ci pensava bene, era fortunata: era ancora viva.

Le vite sua e di Amy erano come delle guerre, e Blaze era una reduce.

E quello che fanno meglio i reduci è ricordare chi non c'è più.

Blaze si ricordò di una frase in un libro delle guerre della Sol Dimension che aveva letto da bambina: “I Sopravvissuti hanno le cicatrici, le Vittime le tombe.”

Non si era mai resa conto di quanto fosse vero prima d'allora.

Si sfregò la guancia con la manica del suo bel completino rosso fuoco, e sbatté più volte le palpebre per far sparire la vista offuscata.

Di lì a breve, quell'assoluto silenzio fu interrotto dallo scattare del pomello della porta, la quale si aprì.

Sulla soglia, fiero e forte, stava Shadow.

Il riccio nero e rosso non disse niente, si limitò a guardarla da cima a fondo, ma non era arrabbiato o deluso come lei credeva, ma sembrò sollevato di vederla.

Sul volto di Shadow comparve il fantasma di un sorriso.

“Blaze.” disse alla fine, muovendosi verso di lei senza alcuna esitazione.

Le spalle irrigidite della gatta si ammorbidirono; vederlo avvicinarsi a lei con così tanta fiducia nonostante tutto quello che era successo significava buon sentimento.

Tuttavia Blaze aveva ancora paura che lui non l'avesse perdonata del tutto.

Ovviamente non rispose al richiamo del riccio, si limitò a tenere cautamente lo sguardo fisso su di lui per tutto il suo percorso dalla soglia della porta fino al letto, preoccupandosi dei suoi movimenti, della sua bocca, dalla quale poteva uscire qualsiasi parola, e del suo linguaggio del corpo.

Nonostante venisse così analizzato, il riccio non si sentì a disagio.

Lo notò eccome, ma volle far credere di non farci caso.

Si sedette a peso morto accanto a lei con un lieve tonfo, e incrociò le mani tra loro.

Blaze guardò il riccio, il quale era impegnato ad osservarsi le mani, cercando sicuramente qualcosa da dire. La gatta abbassò lo sguardo sulle proprie ginocchia.

Shadow, intanto, stava cercando le parole più adatte per iniziare a parlare.

Non voleva parole qualunque, per un discorso così delicato.

“Come stai?” disse all'improvviso.

Blaze, non aspettandosi quella domanda, lo guardò spaesata.

Credeva che le avesse voluto chiedere il perché; perché l'avesse fatto, perché gli avesse sempre mentito sin dall'inizio.

C'erano tante cose che, a dire il vero, poteva chiedere.

E invece ecco una domanda così semplice.

“Cosa?” chiese la ragazza, alzando lo sguardo dalle ginocchia e posandolo sul riccio.

Shadow ridacchiò.

“Il tuo udito ti sta lasciando, o non ti sei pulita le orecchie?” disse, ridacchiando senza cattiveria.

Blaze sorrise alle parole del riccio nero, ricordandosi di una simile frase, detta qualche tempo prima in un rude vagone di legno.

“Shadow...!” ridacchiò anche lei, con un filo di voce.

Il riccio alzò lo sguardo, con un leggero sorriso.

“Allora Blaze...come stai? Sei stata svenuta per due giorni.” riprese il riccio.

Blaze sgranò gli occhi, sorpresa.

“Due giorni??” mormorò, portandosi una mano alla testa, la quale aveva iniziato improvvisamente a farle un po' male.

“Già...” rispose lui, adocchiando il viso pallido della gatta. Aveva bisogno di nutrimento, ma prima dovevano risolvere una questione.

“Blaze... non voglio girarci troppo attorno.” disse alla fine, dopo una lunga riflessione.

“Voglio parlare di quello che è successo.”

Lei non sembrò stupita affatto, e in effetti non lo era. Prima o poi avrebbero dovuto toccare quell'argomento.

“Forse non ne vuoi parlare... ma sai che dobbiamo.” riprese lui dopo una breve pausa, stando attento alla reazione della micia, la quale annuì solamente.

“Ero arrabbiata Shadow.” iniziò lei con un filo di voce, giocando con le maniche del vestito.

“...Per Amy?” aggiunse il riccio.

La gatta rizzò le orecchie a sentire quelle parole così inaspettate, e alzò incredula lo sguardo, con occhi sgranati.

“Come lo sai?” chiese al riccio, guardandolo dritto negli occhi.

Il giorno prima, Rouge aveva fatto alcune ricerche e ispezioni a NMBC, e aveva scoperto che le ragazze, all'inizio vendute e fatte lavorare come serve, si erano poi pian piano adattate ad essere libere cittadine della città, ricoprendo varie cariche come le infermiere dell'ospedale.

Le raccontarono della paziente morta poco prima e della gatta che era venuta ed aveva riconosciuto il corpo.

Dopo essersi accertata che la deceduta fosse proprio Amy Rose, Rouge non ebbe più dubbi nel collegare la faccenda.

Inoltre si era incontrata anche con Mina, fuori dall'ospedale, che era ritornata con il suo manager e una grande, scura vettura per prelevare la riccia rosa.

Shadow prese un bel respiro.

“Rouge me l'ha detto. Mi ha anche detto che Mina l'ha recuperata. Oggi pomeriggio c'è il suo funerale, se te la senti.” le rispose il riccio nero.

La gatta distolse lo sguardo dal ragazzo e chiuse gli occhi.

Fu in quel momento che decise di lasciar andare tutto:

“Li odiavo. E li odio ancora.”

Queste dure parole le uscirono con una forza maggiore rispetto a quella che avrebbe voluto.

Shadow la guardò senza battere ciglio, lasciando che lei continuasse il suo sfogo.

“Perché proprio lei??” continuò la ragazza, indignata.

“Con tutta le persone orribili che ci sono al mondo, proprio a lei doveva toccare?? Perché??”

Al solo pensiero, le si spezzava il cuore e, di conseguenza, le parole.

“Se lo chiedono tutti.” intervenne Shadow, che capiva a pieno la rabbia e la disperazione di Blaze.

E' inutile dire che anche lui si sentiva così quando perse Maria. Si sentiva solo, abbandonato, e in qualche modo doveva vendicare la sua amica umana.

Ha passato anni a chiedersi perché l'avessero uccisa, proprio lei che non aveva fatto mai del male a nessuno, lei che era solo una dolce bambina.

Perché lei ieri, e non Eggman oggi? Forse la giustizia divina non esiste. Forse le cose succedono e basta. Forse è vero il detto “Tutti i migliori se ne vanno”.

Sì, ma non è giusto...

Shadow ha visto la vita della ragazza spezzarsi proprio davanti a sé, e lui non ha potuto fare nulla, era impotente...

“...Ed io non sono riuscita ad impedirlo.” continuò la gatta, ignorando l'intervento del riccio.

Queste parole lo colsero particolarmente. E sapeva già dove sarebbe andato a finire questo argomento...

“Sarei dovuta andare a salvarla sin da subito, quando ricevetti quella stramaledetta lettera!” continuò la gatta, diventando sempre più frustrata man mano che parlava.

Shadow notò che stringeva i pugni dalla rabbia e, nel processo, anche il lenzuolo sottostante.

“E invece ho aspettato troppo! Tutto quello che sono riuscita a fare è stato vederla morire sotto i miei occhi, senza che io avessi potuto più fare qualcosa!” continuò, alzando sempre di più la voce, fino quasi ad urlare.

Ed eccola. Shadow l'aveva previsto: si biasima per non essere riuscita a salvare l'insalvabile.

Era tutto troppo schifosamente uguale: la perdita di una persona cara, il desiderio di sangue, e infine la disperazione ed i sensi di colpa che ti mangiano vivo.

E poi c'era quel “avrei potuto”: l'aveva torturato per troppo tempo, e adesso stava toccando a Blaze.

Shadow suppose che fosse normale reagire così. L'anima di un defunto non va solo in cielo, ma ti entra anche negli occhi e ti rimane nella mente.

“Non è colpa tua.” intervenne subito il riccio, mentre alcune lacrime di frustrazione cominciarono ad apparire ai bordi degli occhi della gatta.

“Hai fatto tutto quello che potevi. E' inutile dire che potevi fare di più, se tu avresti davvero potuto l'avresti fatto.”

La gatta teneva lo sguardo fisso sul pavimento, silenziosa.

“Non è vero. Se fossi partita prima, ce l'avrei fatta. Ma ormai non si può tornare indietro...” sospirò calma la gatta, con una nota di tristezza.

“Esatto, non si può cambiare il passato, Blaze!” disse Shadow, prendendo il mento della ragazza e, alzandolo verso il suo viso, si assicurò che i suoi occhi dorati riflettessero nei suoi rossi.

“Non fare come me, per favore.” continuò, in un sussurro, stando attento a non rompere quel filo intimo che si era creato tra il suo e lo sguardo di Blaze. Con il pollice accarezzò teneramente la guancia della ragazza.

“Guarda avanti, verso il futuro; sarà solo quello che potrai ancora cambiare. Ricordati che il futuro diventerà presente, e il presente passato, e solo nel passato resterà il dolore.” continuò il riccio, con un lieve sorriso.

Blaze lo ascoltava senza dire niente, ma capiva tutto quello che le voleva dire.

“Pensa ad Amy: non avrebbe mai voluto vederti soffrire. Come ti avrebbe voluto vedere, Blaze?”

E fu lì che qualcosa scattò nella mente della gatta: un ricordo.

In apparenza così insignificante, ma adesso che ci pensava, la micia non capiva come avesse potuto dimenticarsene. Dimenticarsi delle ultime parole della sua cara amica.


...Promettimi di vivere felice, e di non dimenticarmi. Sii felice.


Sii felice.

Se l'era completamente scordato. Quella era l'ultima volontà che la sua amica aveva espresso sul letto di morte, e Blaze aveva totalmente ignorato quel caloroso consiglio.

Aveva solo pensato a vendicarla, quando lei non l'aveva mai chiesto.

Si è data alla rabbia, invece di mantenere la sua promessa.

Ad Amy non sarebbe piaciuto per niente, e se ne vergognava. Si sentiva come se l'avesse offesa.

Che stupida...

Blaze abbassò lo sguardo, voltando la testa dall'altra parte. Abbassò le orecchie in vergogna, mentre fissava i palmi delle sue mani ormai aperte davanti a sé, le stesse mani che avevano ucciso così tante persone in una maniera... mostruosa. Le si creò un groppo in gola al solo pensiero.

Che stupida!” sussurrò tra sé e sé, coprendosi il viso con le mani.

“Blaze!” chiamò Shadow, posandole una mano sulla spalla, e allo stesso tempo preoccupato di quello che stesse passando per la testa della micia lilla.

...E lei che si era lamentata di Shadow, prendendosela con lui perché aveva schiaffeggiato una riccia e perché si era coinvolto in quel tipo d'affari, mentre lei aveva fatto molto di peggio. Che ipocrita.

Scusami Amy.

Adesso cosa avrebbe potuto fare?

Seguire il suo consiglio. Perché no? Essere felice nonostante tutto. E se la felicità non fosse arrivata da sola, se la sarebbe cercata.

Come era solita fare Amy: trovare la felicità ed il buono in ogni cosa. Non darsi mai per vinti, uscirne vincitrici comunque.

“Va tutto bene, Blaze. Va tutto bene.” disse solamente il riccio nero, con la sua profonda voce, dando delle leggere pacche alle spalle della gatta.

Lentamente, la regina gatto tolse le mani dal viso realizzando una cosa:

“Shadow?” disse dopo un po', voltandosi leggermente per guardarlo in faccia.

“Sai come Amy avrebbe voluto vedermi?” gli chiese, intenzionata a rispondere alla domanda che il riccio le aveva posto poco prima.

“Felice. Semplicemente felice. E' tutto quello che ha chiesto.” rivelò alla fine, accorgendosi in quel momento di quanto effettivamente il suo umore stava migliorando.

Lui. Lui la rendeva felice.

Shadow era qualcuno che l'amava per com'era, pregi e difetti, un povero cristo con un doloroso passato e che era in grado di capirla. Lui era uno dei pochi che non l'avrebbe mai guardata come un mostro. Sapeva com'era essere chiamato con quella parola.

Come ha detto lui, il futuro è l'unica cosa che si può ancora scrivere, e lei intendeva renderlo felice. Sarebbe stato un futuro felice se lui ci fosse stato, e la gatta intendeva assolutamente tenerselo stretto.

Il riccio sorrise soddisfatto alla risposta della ragazza.

“Ne ero certo.” rispose solamente, avvolgendola in un caloroso abbraccio.

Blaze se ne approfittò per abbracciarlo a sua volta, affondando il viso nella sua pelliccia bianca.

Restarono così per minuti interi, assaporando il silenzio e il calore di quell'abbraccio.

“Blaze.” chiamò dopo un po' il ragazzo.

“Mh?”

“Cosa...cosa farai dopo?” chiese titubante. Sapeva che nella sua testa c'erano tante questioni ancora irrisolte, e ora che Blaze era tornata normale, sentiva il bisogno svelarle.

Lentamente, la gatta si slegò dall'abbraccio, per guardarlo dritto negli occhi. Shadow la lasciò fare, anche se avrebbe desiderato che non lo guardasse così seriamente, che gli avesse risposto con un semplice “starò con te”, senza staccarsi dalle sue braccia.

Sarebbe dovuta tornare a casa, ovviamente. Blaze non aveva altra scelta, e per quanto amasse Shadow, lei era una regina, anzi, L'Imperatrice, e come tale aveva il dovere di vegliare sui suoi sudditi e sul suo mondo.

Nonostante queste idee fossero ben chiare nella sua mente, Blaze non sapeva come dire cose del genere al riccio.

Sospirò pesantemente. Non c'era altra via.

“Dovrò tornare nel mio regno, Shadow.” annunciò la gatta a bassa voce, un po' dispiaciuta, e attese trattenendo il fiato la reazione del ragazzo.

Il riccio annuì ripetutamente, segno che avevo compreso e che lo stava accettato.

“Anche di questo ne ero certo.” disse dopo un po'.

La gatta lo guardava incerta e dispiaciuta. Posò la sua mano su quella del riccio, e lui la guardò negli occhi. Blaze adorava quegli occhi. Non erano più così freddi come all'inizio.

Con un sorriso, la micia lilla fece la sua proposta:

“Potresti venire con me, Shadow.” disse, e attese.

La morbida mano della gatta scaldava quella del riccio, facendolo giurare di non portare mai più i guanti per tutto il resto della sua vita. E inoltre gli scaldava anche il cuore.

Aveva già pensato di chiederle di poter venire con lei.

Ma qualcosa dentro di sé gli diceva di restare a Mobius. Ci aveva riflettuto molto, e nonostante gli dolesse ammetterlo, era raggiunto a una conclusione: lui non apparteneva alla dimensione della micia, e non c'aveva nulla a che fare.

Aveva pensato a tutti i pro e i contro, e per quanto volesse fra vincere i pro, i contro erano troppi.

Aveva ancora una miriade di questioni irrisolte da sciogliere, e persone che non poteva abbandonare così. Inoltre quell'incidente del treno avrebbe provocato un polverone in cui lui sarebbe stato coinvolto, e doveva dare risposte. Voleva vedere come sarebbe andata a finire per tutti gli altri.

Non poteva lasciare il suo mondo, la sua casa.

Alla fine, aveva deciso di non parlarne con Blaze. Purtroppo, è stata proprio lei a tirare fuori l'argomento. A Shadow si gelò il sangue nelle vene al solo pensiero che lei potesse prenderla male.

Mi capirà...giusto?

Dopotutto, anche lei era spinta dal dovere verso il proprio mondo.

Abbassò lo sguardo, perché proprio non poteva guardarla in quegli occhi speranzosi mentre le diceva della sua scelta.

“Non...posso, Blaze.” disse alla fine.

Lei rimase calma. O almeno in apparenza. Shadow si chiese cosa passasse nella testa della ragazza, dietro a quegli occhi confusi.

“Perché no, Shadow?” chiese di nuovo, insistente, portando la mano libero sulla guancia del ragazzo, costringendolo con il suo tocco delicato a rialzare lo sguardo.

“Cosa c'è ancora qui per te?”

Guardando in quegli occhi meravigliosi, Shadow stava per mandare tutti i suoi piani al vento.

C'era davvero qualcosa di così importante -più importante di lei- per cui restare? No, non c'era.

Ma doveva restare.

“Il mondo ha bisogno di me.” rispose alla fine il riccio, e baciò la mano della gatta, premendosela sulla guancia con la mano libera, quasi avesse paura di non sentire più il suo calore.

“...Anche io Shadow...” rispose Blaze, con un filo di voce. Shadow l'abbracciò di nuovo.

“Tu sei più forte del mondo, Blaze.”

La micia sorrise, e affondò di nuovo il muso nella pelliccia sul petto del ragazzo.

“Hai ragione.”

Shadow sorrise, contento della reazione della sua ragazza.

“Adesso andiamo a mangiare, che ne hai davvero bisogno. E poi ti voglio chiedere se riesci a stare da sola per qualche ora.”

“Certo. Dove vai?”

“Ho delle commissioni da fare.”

E' pronta?”


Rouge the bat era appena entrata nel gigantesco ospedale della città, l'Ospedale di NMBC.

L'odore di candeggina e disinfettante le era piombato nelle narici sin da quando aveva messo piede nella struttura.

Un passo dietro l'altro nel gigantesco e vuoto corridoio. Rouge poteva udire solo il rumore dei propri tacchi mentre percorreva la Emergency Hall, e si guardava in giro attentamente.

L'affascinante pipistrella era lì per vederci più chiaro: Shadow aveva detto che la gatta aveva farfugliato qualcosa sul fatto che fosse anche colpa sua... colpa di cosa?

Blaze aveva fatto la brava bambina fino alla sua scappatella... e poi era diventata un demone dell'inferno.

Magari l'ospedale non le avrebbe dato le informazioni che le servivano, ma dopotutto era un luogo dove la gente circola, e bene o male avrebbe sentito qualcosa.

Poco dopo, quando iniziò a chiedersi se ci fosse vita in quell'ospedale, ecco apparire alcune indaffaratissime infermiere, chi con con qualcosa in mano e chi meno, che circolavano per i corridoi senza sosta, sparendo nelle stanze o facendo capolino da queste ultime, prima di correre via da un altro paziente. Era incredibile il via vai che c'era, le infermiere zampettavano qua e là come formiche in un formicaio.

Rouge si avvicinò con passo sicuro e con il suo solito sorriso radioso e provocante, ed un'infermiera venne correndo dal corridoio incontro a lei.

Finalmente qualcuno che si sia accorto di me!

Pensò tra sé e sé l'affascinate donna, ed attese pazientemente che la ragazza si avvicinasse.

La pipistrella mise su il sorriso più rassicurante che potesse fare. Sulle labbra era ritornato il suo solito rossetto rosso carminio, e il make-up sgualcito aveva lasciato spazio all'ombretto azzurro luccicante e l'eye-lyner nero come la pece, che le risaltava particolarmente gli occhi verdi-acqua.

Buongiorno signora. Cosa posso fare per lei?” chiese cordialmente l'infermiera a Rouge, la quale squadrò la ragazza, soprattutto il cartellino con il suo nome.

Buongiorno signorina Butterfly.” salutò a sua volta Rouge, con la stessa cortesia.

La prego, mi chiami semplicemente Rochelle. Ha bisogno di qualcosa?” rispose l'infermiera, la quale cercava ovviamente di evitare tutta quella formalità non necessaria.

Oh, sì cara. Vedi, io cerco una persona. Un'amica.”

Oh.” esclamò sorpresa la ragazza “Pensavo che lei fosse qui per una visita medica...” disse Rochelle, guardando le ali completamente bendate della pipistrella.

Questo gesto portò Rouge a girare la testa per guardare in un'espressione di disagio le proprie ali: avevano preso una brutta bruciatura, e non poteva muoverle. Se provava ad agitarle, poteva ancora sentire le fiamme attaccarle le membra. Fortunatamente Shadow non era così male in campo medico.

Rouge cercò di tramutare l'espressione scocciata in un'espressione serena, e ritornò faccia a faccia con l'infermiera.

Non si preoccupi, le mie ali staranno benissimo in un batter di ciglia! Piuttosto, mi sa dire se ha visto recentemente una gatta lilla?”

Gli occhi di Rochelle si illuminarono, segno che stava portando a galla un ricordo e che Rouge aveva fatto centro.

Una gatta lilla, dice?” ripeté la ragazza, come per volersi accertare di aver capito bene.

Sì, una gatta lilla; occhi gialli, alta all'incirca così, e poi che altro... ah sì, un diadema rosso in mezzo alla fronte!” descrisse soddisfatta la pipistrella bianca.

Sì, è stata qui. Ha chiesto anche lei di una sua amica. E' questo quello che voleva sapere?”

Le orecchie dell'affascinante donna scattarono in aria.

Ha chiesto di qualcuno...?

Sì, la ringrazio. Immagino che lei l'abbia trovata, questa sua amica...?”

L'infermiera annuì. Rouge estese il suo sorriso, certa di essere arrivata alla sua meta.

E' stato tutto così facile!

Gioì orgogliosa dentro di sé.

Potrei farle altre domande?”


E in men che non si dica, si era trovata in un corridoio sotterraneo dalle pareti blu scuro, camminando verso l'obitorio con accanto Miss Rochelle Butterfly.

La gioia dentro di sé era sparita per lasciare spazio a un sentimento freddo, un vuoto glaciale.

Avrebbe desiderato sbagliarsi ancora.

Piuttosto avrebbe desiderato che in quell'ospedale non avesse trovato niente, nemmeno uno straccio di prova. Sarebbe stato comunque meglio che trovarsi davanti ad una situazione del genere.

Amy Rose è morta. La sua stessa voce ripeteva nella sua mente.

Amy Rose è morta e non tornerà mai più.

Rouge sentì come se immaginarsi la riccia rosa defunta fosse la cosa più impossibile da immaginare.

Non è facile associare una persona vitale come Amy ad una persona morta. E' per questo che la donna aveva richiesto di vedere la riccia.

Passo dopo passo, Rouge sperava che la meta fosse ancora molto lontana, mentre ripercorreva tutte le sue memorie di lei e Amy.

Tutte quelle volte che avevano litigato, collaborato, tutte quelle volte che si sono esplicitamente dette che non si sopportavano e tutte quelle volte che invece andavano d'accordo erano memorie lunghe, spesso divertenti o stressanti, che si ripetevano nella testa di Rouge, come se fosse lei stessa prossima a morire.

Fu interrotta solo quando Rochelle le rivolse la parola, dopo essersi fermata davanti a una porta di metallo.

Siamo arrivati.” disse semplicemente, ma bastò per far rabbrividire Rouge, la quale stava sudando freddo in anticipo. La ragazza aprì la porta.

Questo è il nostro obitorio.” disse di nuovo la graziosa voce dell'infermiera, mentre entrava nella stanza. La pipistrella le stava subito dietro.

L'obitorio non era proprio nulla di che: ben attrezzato, Rouge doveva ammetterlo, ma freddo e squallido. Fortunatamente, non c'erano corpi sui tavoli metallici da autopsia.

La ragazza si diressero verso una cella, mentre il cuore di Rouge pompava all'impazzata.

Non voleva così male ad Amy. Ci aveva pensato a lungo e no, questa fine proprio non doveva farla.

E' pronta?”

La donna pipistrello annuì lentamente.

Ottenuta l'approvazione, Rochelle aprì l'oculo ed estrasse la barella dove c'era sdraiata proprio Amy Rose.

Rouge trattenne un sussulto, e si sforzò di tenere gli occhi aperti. Esaminò la giovane riccia: non c'erano dubbi che fosse Amy, purtroppo.

La riccia rosa aveva gli aculei spettinati che le contornavano il viso pallido e alcune cicatrici sparse per il corpo.

I lividi sulle palpebre chiuse avevano già iniziato a perdere intensità.

Sembra che stia dormendo.

Pensò la donna, mentre già sentiva la gola secca e le lacrime iniziare ad offuscarle la vista.

Ci può lasciare un attimo da sole?” ebbe il fiato di chiedere, cercando di non andare in iperventilazione davanti all'infermiera, la quale annuì.

Certamente. Si prenda tutto il tempo necessario.” disse gentilmente, e lasciò l'obitorio.

Rouge fece un cenno del capo in gratitudine e la seguì con lo sguardo, finché fu fuori dalla porta, poi si voltò verso l'amica.

Amy.” sussurrò il suo nome gentilmente, sapendo che comunque la riccia non le avrebbe riposto.

La guardò con compassione, mentre le sfiorava la fredda guancia con le dita.

C-cosa posso dire? Da dove iniziare?” disse la pipistrella, dolcemente, rivolta ad Amy.

Mi dispiace per averti chiamata apertamente una fastidiosissima bimbetta.” cominciò con un sorriso triste. Si leccò le labbra già secche, fregandosi dell'orribile gusto del rossetto.

Mi dispiace di tutte quelle volte che ti ho disprezzato. La verità è che non eri affatto sprezzante. Avevi ottime capacità, ero io che ero...invidiosa. E gelosa. Non ti avrei mai permesso di diventare più brava di me.” ridacchiò triste la donna.

Eh, già! Ci sei riuscita! Hai fatto invidia a Rouge the bat! Questa te la concedo!” parlando così, alla ragazza alata rispuntò il radioso sorriso che l'aveva sempre caratterizzata, ma era sparito quando, finito di parlare, aveva fissato il viso pallido e senza vita di Amy Rose.

Stava parlando da sola per tutto quel tempo. Di nuovo.

Si sarebbe sentita stupida se, davanti a lei, non ci fosse proprio quella vecchia conoscenza.

Anche se Amy non la poteva sentire, Rouge si sentiva in dovere di dirle quelle cose, di confessarsi per l'ultima volta. Aveva bisogno di sfogarsi, di dire quello che pensava. Quindi arrivò al dunque.

...Mi dispiace che il tuo viaggio finisca qui.”

La sua frase fu incontrata da un previsto silenzio tombale. Rouge si schiarì la voce.

Non sai che putiferio ha tirato su Blaze per la tua morte.” continuò la donna, cercando di non maledire la gatta per aver quasi mandato a puttane le sue ali.

Le manchi. Ci manchi. Non dimenticartelo mai, freedom fighter.” le dita di Rouge erano ormai diventate fredde a furia di tenerle a contatto con la pelle della riccia.

Addio, Amy Rose.” disse grave, e con assoluto rispetto, stampando poi un caloroso bacio sulla fronte della riccia.

Amy restava fredda e immobile.

Rouge sorrise amara a sé stessa e a quello che stava facendo: prima parlava con le pietre, e adesso con i morti. Non riusciva proprio a trovare un interlocutore che la potesse ascoltare.

Ma comunque qualcosa cambiava dentro di sé, lo poteva sentire.

Solo il risultato rimaneva lo stesso.



L'atmosfera nel piccolo ufficio era cambiata, Rouge lo poteva sentire.

Dentro la stanzetta riuscivano finalmente ad entrare i raggi del sole che di solito erano bloccati dalle persiane costantemente abbassate.

Rouge sedeva sulla sua sedia, guardandosi attorno mentre la luce le sfiorava la pelle.

Ogni tanto posava il suo sguardo contento sullo schermo scuro del computer spento davanti a sé, felice che finalmente potesse riposare.

Aveva appena finito di raccogliere tutti i fascicoli sui loro precedenti lavori e ora questi pezzi di carta e cartoncino giallo erano tenuti in ordine sulla scrivania. Aveva svuotato scaffali, cassetti e aveva spulciato anche comodini e armadi di vario genere.

E' incredibile cosa si può ritrovare facendo le pulizie di primavera:

Questo dev'essere il numero di Knuckles.

Pensava la pipistrella, mentre osservava il pezzo di carta che era stato dimenticato in fondo al cassetto. Leggeva e rileggeva il numero che aveva tra le dita con indecisione, incerta se farne uso o meno.

Solo perché è sposato, non significa che non ci possa parlare. Pensò Rouge alla fine, alzando le spalle ed estendendo un sorriso contento.

Ma prima avrebbe aspettato che il compare fosse uscito e l'avrebbe lasciata sola.

Sapeva dove lui voleva andare ed è per questo che aveva riunito tutti i vecchi casi: avrebbero denunciato tutti i criminali che avevano aiutato in passato e, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbero anche aiutato ad acciuffarli con le proprie mani; ma prima, Shadow doveva risolvere una vecchia, delicata faccenda.

Rouge alzò lo sguardo sull'orologio da parete situato sopra la porta che conduceva alla cucina: 9.30 del mattino. Rouge già sentiva l'amico alzarsi dalla sedia della cucina, salutare la gatta e dirigersi verso l'ufficio dove stava la pipistrella.

Rouge si tolse i guanti di lattice che aveva utilizzato per raccogliere e pulire dalla polvere tutti quei documenti e si accorse solo in quel momento di avere un paio di calli alle dita e le unghie mezze rovinate.

Ugh.” fu tutto quello che uscì dalla sua bocca in una smorfia disgustata.

La maniglia scattò e la porta si aprì. La giovane donna ruotò la testa verso il collega, il quale entrò nell'ufficio richiudendosi la porta subito dietro di sé.

“Allora, come sta?” chiese Rouge “Meglio?”.

“Sì, ha solo bisogno di finire di mangiare e di riposarsi.”

“Bene.” pronunciò la donna, contenta di non dover preoccuparsi troppo della micia lilla.

Poi aprì un cassetto ed estrasse uno smalto color carminio e una lima per le unghie.

“Le hai già detto di oggi pomeriggio?” chiese con fare poco curante, mentre iniziava a limarsi le unghie. Doveva sembrare occupata in altro, e non sul fatto che ogni volta che menzionava il funerale di Amy le veniva un groppo in gola.

“Sì, e niente la convincerà a non andarci!” rispose il riccio.

“Che donna!” ridacchiò la bianca.

“Allora... vieni con me o preferisci oziare qui?” chiese alla fine il riccio, adocchiando l'indaffaratissima Rouge, la quale rispose fintamente offesa:

“Senti caro, sono in piedi dalle sei e mezza a mettere in ordine queste cartacce, e come vedi ho molto da fare.” disse, agitando le dita appena limate davanti al muso di Shadow.

“Vedo.” sbuffò divertito, ma poi decise di lasciare stare.

“Ci dai tu un'occhiata a Blaze di tanto in tanto?” disse lui sulla strada per uscire.

“Certo...di tanto in tanto...” rispose la ragazza bianca con tono da non curante, iniziando ad impreziosire le unghie con lo smalto.

“A dopo!” salutò Shadow, ed uscì senza aspettare risposta, chiudendo la porta con un tonfo secco.

Rouge smise di pitturarsi le unghie. Soffiò sulle uniche due dita che era riuscita a smaltare e afferrò il telefono in mano. Portò la cornetta all'orecchio mentre riprese tra le dita il foglietto con il numero dell'echidna rosso. Guardò verso la porta della cucina, sperando che la gatta non avesse bisogno di lei o che sbucasse fuori a caso.

Ma la porta della cucina rimaneva chiusa e non si sentiva volare una mosca.

Rouge non si stupì; dopotutto sapeva che Blaze era una ragazza molto silenziosa, e anzi, lo prese come un buon segno.

Compose in fretta il numero e attese.

Spero solo che il guardiano qui non abbia cambiato telefono!

Pensava Rouge mentre attendeva. Più l'attesa si prolungava, più Rouge si mordicchiava il labbro, nervosa.

Pronto?” si sentì dall'altra parte della cornetta. Rouge riconobbe subito quella voce: profonda, seria e matura...

“Knuckles!” esclamò felice la pipistrella.

Chi è?... R-Rouge?!” chiese stupito l'echidna. Rouge sorrise ancora di più: si ricordava di lei e riconosceva ancora la sua voce.

“Indovinato tesoro! E' da un po' che non ci si sente, come va?” disse in tutta risposta la donna, sorridendo ammaliante, nonostante il guardiano non potesse vederla al di là del telefono.

Vecchia canaglia! Dove sei stata tutto questo tempo?!” ridacchiò l'uomo dall'altra parte della cornetta.

“Ti sono mancata?” lo provocò Rouge.

Neanche un po'!” Rispose lui a tono, ridacchiando piano;

Come va la vita? Che hai fatto in tutti questi anni?”.

“Tu non ne hai idea!”




Shadow marciava con passo sicuro sul cemento dei marciapiedi della trafficata Mobius.

Gli sembrava così strano riprendere a camminare libero alla luce del sole e accanto alle persone sempre sorridenti della città. Aveva dimenticato il vento fresco della prima mattina che ti arriva in faccia, l'odore del cibo fritto delle bancarelle, le chiacchiere e le urla del giornalaio.

“EDIZIONE STRAORDINARIA!” urlavano i ragazzi, facendo svolazzare in aria una coppia di giornale.

“FINITO L'INCUBO DEI VENDITORI DI SCHIAVI!”

Come il riccio girava l'angolo, altri ragazzi avevano altre notizie, ma tutte erano aderenti al commercio di schiavi.

“MINA MONGOOSE: RAPITA DAI TRAFFICANTI ADESSO E' DI NUOVO LIBERA!”

“RIPORTATE A CASE LE VITTIME! PIU' DI 500 RAGAZZE!”

“RAGAZZE SALVATE DA DUE EROI EX-AGENTI!”

Da un'eroina.

Precisò Shadow nella sua testa, consapevole che il lavoro sporco non lo avevano fatto loro.

Anzi, loro non avevano fatto niente.

Chi aveva liberato Mina e le altre? Blaze.

Chi aveva bruciato i treni? Blaze.

Chi si era assicurata di dar voce alle vittime? Sempre Blaze.

Era Blaze l'unica che era riuscita ad alzarsi per le altre.

Tutto quello che Shadow e la sua collega avevano fatto era di riportarla in sé stessa.

I giornalisti e i loro articoli da strapazzo, valli a capire.

Mobius è stata salvata da un'eroina.

Anzi, aggiunse Shadow dopo un po',

Da due eroine.

Amy ha dato la vita per questa nobile causa. E, da una parte, ha aiutato Blaze nel suo intento, perfino nella morte è riuscita a dare, seppure involontariamente, forza alla gatta per finire quello che aveva iniziato. Le aveva dato più energia e motivazione. Negativa energia e oscura motivazione, ma pur sempre energia.

Ma i giornalisti sono stati troppo superficiali.

Non per non aver dato importanza a Blaze, dato che Shadow sapeva che -per il suo bene- doveva starsene nascosta agli occhi del pubblico, ma per non aver dato importanza alla coraggiosa poliziotta che è morta facendo il suo dovere.

Amy Rose di certo non sapeva la fine che avrebbe fatto, ma sapeva di rischiare. Amy sapeva che il suo futuro sarebbe stato incerto e traballante, ma ha continuato a fare quello che riteneva giusto.

La migliore poliziotta di sempre; dolce, gentile, coraggiosa, forte.

Tutti i migliori se ne vanno.


Shadow si fermò davanti ad un gigantesco palazzo di cemento bianco, appena fuori dalla periferia di Mobius.

Su questo grande edificio c'erano le note iniziali: G.U.N.

Era da un po' che non si presentava davanti a quell'imponente e spoglia struttura.

Respirò a fondo, prima di fare il passo che gli avrebbe cambiato di nuovo la vita.

Cautamente, ma senza mostrare paura o esitazione, entrò.

Valicato il gran portone, si ritrovò in un'immensa sala.

Il pavimento, con fantasia a scacchiera verde scuro e oro che Shadow non aveva mai apprezzato, era brillante e rifletteva l'elegante e luminoso lampadario appeso al centro della sala.

Si respirava odore di sterilizzato; non era un gran ché, ma sempre meglio della candeggina degli ospedali.

Shadow si guardò ben attorno: nulla era mutato, quell'agenzia era rimasta così come l'aveva lasciata. In nove anni l'arredo non era cambiato, solo il personale sembrava essere diverso: molte facce non erano note a Shadow, ma non c'era nulla da stupirsi.

Dopo lunghi istanti, decise di dirigersi finalmente verso la sua meta: l'ufficio del Comandante.

Al grande capo era sempre piaciuto essere collocato in alto. Se non si era spostato, il suo ufficio era situato all'ultimo piano.

Shadow si diresse verso i modernissimi ascensori, in fondo alla Hall, mentre sentiva addosso lo sguardo dei segretari, i quali lo stavano certamente guardando con cautela, come se temessero un attacco da parte sua. Per mascherare il tutto, facevano finta di essere occupati in altro, come rispondere al telefono o scrivere annotazioni o appuntamenti, ma stavano fallendo tutti miseramente.

Shadow fece finta di ignorare gli sguardi curiosi dei dipendenti, e premette il pulsante dell'ascensore. Attese pazientemente finché, con un suono di campanello, le porte si aprirono.

Una volta chiuso dentro, poté tirare un sospiro di sollievo.

Non sapeva sinceramente come sentirsi. Avrebbe rincontrato il suo vecchio capo, e non sapeva se esserne preoccupato o tranquillo.

Per la prima volta, nella calma atmosfera dell'ascensore, Shadow decidette che un piano psicologico non era proprio una cattiva idea.

Sarebbe rimasto impassibile a qualsiasi cosa sarebbe accaduta, a qualsiasi cosa avrebbe detto il suo vecchio capo, e poi gli avrebbe imposto le sue condizioni. D'altra parte, se una cosa del genere non l'avesse fatta Shadow, l'avrebbe fatta il comandante.

L'ascensore squillò, facendo ritornare il riccio nero in sé.

Uscì con passo sicuro, gli occhi puntati sulla solida porta di legno in fondo al corridoio, un solo pensiero in mente.

Ma a metà strada, si sentì chiamare da una voce femminile, da una donna.

“Shadow?!” esclamò stupita questa, alle spalle del riccio, il quale si fermò.

Si girò lentamente, e vide a pochi metri da lui una giovane umana coi capelli biondi a caschetto, occhi blu grandi e luminosi e una miriade di lentiggini sparse sulle gote.

Shadow dovette ammettere che non la riconobbe subito, ma poi la ragazza, estendendo un sorriso a trentadue denti, si buttò sul riccio nero e lo abbracciò forte.

“Shadow!” urlò lei, al settimo cielo.

“Sono così contenta di vederti! Ti ricordi di me? Sono Hope!”

Fu un attimo: Shadow spalancò gli occhi ed estese un debole sorriso, sbigottito.

“Hope...” sussurrò, senza parole, riconoscendo alla fine la ragazza.

Lei si slegò finalmente dall'abbraccio per guardarlo dritto negli occhi.

“Ne è passato di tempo...” continuò il riccio , guardandola con dolcezza.

Se la ricordava quando quel genietto era ancora una bambina, e vederla così cresciuta fu la vera freccia del tempo trascorso che lo colpì dritto al cuore. Erano passati troppi anni, non l'aveva vista nemmeno crescere!

“Ti trovo bene.” disse alla fine, commosso anche lui.

Chissà cosa Hope pensasse di lui.

Chissà cosa Hope avesse pensato di lui quando, alla bellezza di nove anni prima, le era stato detto che il suo team aveva tradito l'agenzia, se ne erano andati, erano diventati ricercati e, più avanti, anche criminali. Tutto a causa di quel riccio nero bastardo che, quasi un decennio dopo, si era finalmente ritrovata davanti.

Chissà se anche lei si fosse sentita tradita, e traditrice, nel caso fosse stata costretta a disattivare Omega.

Chi lo sa quante domande si fosse fatta, ma poi non avesse trovato risposta a nessuna di loro.

Chi s'immagina la sua tristezza, la sua frustrazione, la sua rabbia, il suo dolore.

Shadow poteva solo fare ipotesi, ma Hope si ricordava ancora di quanto aveva fatto male.

Sia chiaro, non lo odiava più (e forse mai lo aveva odiato), e anzi, era felicissima di rivederlo.

Tuttavia, nove anni prima, dopo aver ricevuto la notizia, il suo umore cambiò: non era mai felice, per quanto lo volesse. Alternava la tristezza con la rabbia tutto il giorno.

Durante la prima, aveva dei seri problemi di depressione, con conseguenti notti passate a piangere e largo uso di antidepressivi. Durante la seconda, passava il tempo a farsi monologhi interiori, facendosi domande di continuo e persino immaginandosi di avere lì Shadow e Rouge che rispondevano alla meglio alle sue inchieste. Ma naturalmente, quando le domande della giovane ragazza diventavano sempre più cruciali, essi non rispondevano. Perché lei non sapeva, e non si può mettere in bocca spiegazioni che non si sanno a due persone ormai immaginarie.

Il comandante non volle spiegarle nulla, e questo la frustrava ancora di più. Quindi iniziò a fare ipotesi e ricerche, ma si rese conto che il suo superiore aveva eliminato tutto. Non era rimasto niente negli archivi, e la maggior parte dei documenti non si poterono consultare.

Il capo aveva fatto di certo un bel lavoretto. Inoltre, consigliò calorosamente a tutti gli agenti dell'agenzia di dimenticarsi di Shadow the Hedgehog e Rouge the Bat non solo come parte di essa, ma anche come esseri viventi.

Quando il comandante ebbe annunciato questi “consigli” negli altoparlanti sparsi per l'edificio, Hope era lì, in mezzo al suo nuovo team, sbigottita, mentre osservava l'approvazione negli occhi e nelle espressioni dei suoi nuovi colleghi, come se non vedessero l'ora di dimenticarsi dei due ex-agenti.

Questo, il comandante non lo doveva fare. Non a lei.

Poteva ordinare di scordare Shadow e Rouge al resto del mondo, se gli pareva, ma non a lei.

Non erano stati semplici collaboratori, maledizione!

Cosa si aspettava?? Di continuare ad ignorare l'argomento??

Hope non era una ragazzina che teneva la bocca chiusa.


Presa dalla rabbia, si alzò dalla postazione di lavoro di scatto, spingendo via la sedia con violenza.

“Signorina Hope?” chiamò una signora sulla quarantina, la quale faceva parte del suo nuovo team.

Se volete scusarmi.” riuscì a biascicare tra i denti la bambina, e si diresse verso l'uscita del laboratorio.

La donna, la quale aveva chiesto più per educazione che per preoccupazione, alzò le spalle e ritornò al lavoro. Nulla di nuovo, ormai Hope se ne era abituata. Shadow, Rouge e Omega erano gli unici che riconoscessero il suo potenziale fregandosene dell'età, ma questi...

Ma questi erano umani. L'aveva squadrata sin da subito.

La prima volta che il Comandante ebbe presentato Hope ai suoi nuovi collaboratori, loro avevano guardato prima il capo, poi Hope, con espressione da “E' uno scherzo, vero?”.

Hope strinse i pugni, mentre si dirigeva verso l'ufficio del comandante senza esitazione.

Arrivata davanti alla possente porta, avrebbe voluto sradicarla. O almeno sbatterla senza pudore.

Ma la sua persona rispettosa ed educata emerse giusto qualche secondo prima che la ragazzina aprisse la porta senza ritegno.

Prese un bel respiro e, con energia, bussò alcuni colpi secchi alla porta.

Attese il permesso del capo, il quale si fece sentire subito da dietro la porta, ed entrò.

Il comandante stava esaminando alcuni fogli, ma quando la biondina fece capolino, lo sguardo dell'uomo si posò sulla sua dipendente. Per un attimo lei poté, con stupore, vedere...compassione?

“Hope.” salutò lui, pacato, posando i fogli sulla scrivania.

La guardò come un nonno guarda la sua amata nipotina che si rivolge a lui perché ha subito un'ingiustizia. Solo che, negli occhi dell'ormai anziano signore, c'era la consapevolezza che lui era la causa dell'ingiustizia, la quale gli si stava ritorcendo contro. Ma, inoltre, c'era anche la prontezza di prendersi quel colpo.

Lei non salutò, la rabbia le legava la bocca; molto peggio dei capricci di qualsiasi altro bambino.

Lo so perché sei qui.” avrebbe voluto dirle l'uomo, “Non ti va a genio la mia recente comunicazione, bambina.”, ma per evitare una situazione al limite del civile, lasciò che lei iniziasse il discorso. Dopotutto, come darle torto. Era troppo giovane per riuscire a gestire tutte quelle forti emozioni allo stesso tempo.

“Lei mi deve delle spiegazioni!” riuscì a dire la ragazzina una volta davanti alla grande scrivania del suo superiore, senza tralasciare tutta la rabbia rivolta verso di lui.

“Non è maturo da parte sua continuare ad evitare l'argomento!”

Ha ragione, sa dove colpire, la ragazza.” pensò il comandante, mentre annuiva in silenzio.

“Cosa. Li. Ha. Spinti. Ad. Andarsene?” pretese di sapere lei, chiedendo a denti stretti.

Lui non rispose subito. Si alzò dalla sua sedia e si diresse pensieroso verso la finestra.

L'uomo iniziò a guardare fuori, perso nel suo stesso silenzio, mentre volgeva la schiena alla giovane.

Questo, ovviamente, contribuì ad aumentare l'ira della ragazzina.

Ma prima che lei potesse gridargli in faccia nuovamente la domanda, lui rispose vago:

“La risposta non ti piacerà.”

Silenzio.

Non mi interessa.” avrebbe voluto rispondere Hope, la quale voleva solo conoscere la verità, ma allo stesso tempo aveva paura di saperla. Perché non le sarebbe piaciuta la risposta? C'era un motivo particolare?

La biondina sperava con tutto il cuore di non essere lei la causa.

Perché mai dovrebbe esserlo? Non lo sapeva. Ripercorse brevemente la sua memoria, cercando di trovare una prova che l'avrebbe condannata, ma per quanto cercasse, il risultato delle sue autoanalisi la reputava, ovviamente, innocente.

Prima di poter rispondere di voler sapere comunque la verità, il suo capo la interruppe un'altra volta:

“Non hai colpa né tu, né alcun agente.”

Il comandante si leccò nervosamente le labbra secche, gesto insolito, notò Hope. Stava cercando di dire qualcosa, ma questa volta fu la ragazzina ad interromperlo:

“E allora di chi è la colpa?”

Ancora silenzio. Per un attimo, Hope notò il tornado d'inquietudine che aleggiava sul volto dell'uomo, prima che quest'ultimo ritornasse impassibile. Il signore chiuse gli occhi. Poi li riaprì e si avvicino alla sua scrivania ed alla bambina.

“Ti dirò personalmente cos'è successo a tempo debito, signorina Hope.”

“Credo che tre mesi siano abbastanza.” ribatté lei. Si era calmata, tuttavia era ancora un po' acida.

Ma lui scosse la testa:

“No, non credo. Non credi che ci sia un motivo per cui non te lo dico, signorina Hope?”

“Forse sì, e vorrei saperlo. Shadow, Rouge e Omega non erano solo dei colleghi per me, ma anche la mia famiglia, tutto quello che avevo. Li amavo. Ma ora che se ne sono andati, sono di nuovo sola. Tutto quello che mi rimane è un robot disattivato giù in cantina!” esclamò la ragazza, ormai ai limiti della pazienza.

L'espressione dell'uomo prese tutt'altra piega. Hope lo guardò incuriosita, mentre la sua rabbia scemava poco a poco.

Sembrava amareggiato, notò la biondina. L'espressione scocciata della ragazzina mutò in preoccupazione

“Comand-”

E' colpa mia.”

Le parole uscirono forti, dure, ma poco fiere di essere pronunciate.

Hope rimase di sasso. Non le pareva di aver capito bene.

“Cos...?”

“E' stata colpa mia.” ammise il comandante per la seconda volta, emettendo un sospiro sollevato, come se si fosse tolto un grandissimo peso sullo stomaco.

“Ho detto qualcosa di troppo, signorina Hope. Qualcosa di crudele. Non ho tenuto conto dei sentimenti di Shadow.”

Si sedette pesantemente sulla sua sedia e si passò una mano sulla fronte, come se cercasse di riordinare le idee, e allo stesso tempo di asciugarsi il sudore dei suoi peccati.

“Shadow the hedgehog...” mormorò lentamente, scuotendo la testa amareggiato, prima di riprendere:

“Shadow non era stato creato per essere solo una macchina, dico bene? Prima non ne ero sicuro. Si è sempre comportato come tale, e mi sono dimenticato che anche lui prova emozioni. Ho cominciato a trattarlo come un robot, aspettandomi che eseguisse gli ordini e basta, come aveva sempre fatto. E invece... ha un cuore. Ha un cervello proprio. Ha una coscienza. Ecco, proprio quello che avevo perso: una morale. Se c'è un qualcosa che ho imparato da tutto questo, è di certo che avrei dovuto essere più umano. Mi sa tanto che qui la macchina sono io. Eh, non si smette mai d'imparare... Vorrei solo che l'avessi capito prima.”

Hope guardava impietrita il suo capo confessarsi col cuore aperto per la prima volta nella sua vita, e davanti a lei per giunta.

“Ma perché lei...?” bisbigliò lei, ma ancora una volta il comandante la interruppe nel mezzo della frase.

Ho sbagliato, Hope.” continuò l'uomo, pregandola con lo sguardo di perdonarlo.

“Sono un comune mortale, commetto degli errori anch'io; e provocare Shadow è stato uno di quelli.”

La biondina lo guardò stupita, sapendo quanto era difficile per quell'uomo confessare di essere in torto.

Hope tolse lo sguardo da quello del suo capo e si guardò le mani nervosamente intrecciate tra loro.

Ci fu silenzio per un po', poi il comandante riprese:

“Non mi aspetto che tu esegua l'ordine.” disse, riferendosi naturalmente all'ultima comunicazione.

“E non te lo voglio nemmeno chiedere. So quanto erano importanti per te. Ora, se non hai altro da aggiungere, gradirei che tornassi al lavoro.” continuò, aggiungendo poi un “per favore” alla fine.

Lei annuì e si alzò dalla sedia di fronte alla cattedra del suo capo, per poi dirigersi verso la porta.

Una volta sulla soglia, però, si fermò e si voltò verso il suo superiore.

“Comandante?” chiamò, e lui alzò gli occhi verso la ragazza, la quale sorrise solamente.

Io la perdono.” e se ne andò, lasciando l'uomo a sorridere rincuorato tra sé e sé.


“Ti trovo bene.”

“Anche io, Shadow.”

I due amici erano ancora lì in un semi-abbraccio quando una voce forte e autoritaria attirò la loro attenzione, soprattutto quella del riccio nero.

“Shadow the Hedgehog.” chiamò il comandante, a pochi metri dal riccio.

Shadow lo guardò attentamente: nove anni erano passati anche per il gran capo, notò.

Tuttavia, alcuni atteggiamenti non erano cambiati: postura rigida, petto in fuori, mani dietro la schiena come un degno colonnello, e soprattutto la serietà che l'ha sempre distinto. Aleggiava calma sul suo volto, nonostante avesse involontariamente iniziato una profonda lotta di sguardi tra lui e Shadow. Il riccio nero, anche se non capiva perché, si mise sull'attenti.

“Comandante.” salutò semplicemente, non togliendo nemmeno per un secondo lo sguardo dal vecchio uomo, il quale annuì al rispettoso riccio.

“Signorina Hope, gradirei che tornasse al lavoro. Shadow, mi segua.” ordinò il Comandante, con un tono cortese, ma che non accettava un rifiuto in risposta.

Dopo di ché, l'uomo si voltò e si diresse verso il suo ufficio, seguito dal riccio nero.

Hope li guardò finché non sparirono dietro la massiccia porta, poi, con un sorriso, ritornò nel suo laboratorio.


“Grazie per essere venuto, Shadow.”

Il riccio nero aveva appena chiuso la porta dietro di sé quando sentì le formali parole del comandante.

Il suo ex capo si sedette nella sua scrivania e invitò Shadow, con un cenno di mano, a prendere posto davanti a sé. Invito che il riccio accettò, e si sedette, sempre rimanendo in austero silenzio.

L'uomo lo guardò negli occhi, ma dopo intensi minuti di nulla, batté sonoramente le mani in un applauso.

Parliamo.” disse semplicemente, come se non ne vedesse l'ora. Forse, dopo tutti questi anni, quei due aveva davvero di che parlare per ore: le scuse da farsi, raccontarsi quel che avevano fatto in tutto quel tempo, la vita che avevano condotto...

Shadow sentì che erano quelli gli argomenti di cui il comandante voleva parlare, anche se non ne era mai stato il tipo; tuttavia, il riccio sapeva che certi orgogli umani non si sarebbero mai piegati in basso.

Scuse? Non esisteva quella parola nel vocabolario di certi individui, e Shadow sapeva che l'uomo davanti a sé faceva parte di quella fetta di popolazione.

Da parte sua, il riccio non era poi tanto da meno. Nemmeno lui si sarebbe sprecato, non ne aveva nessuna intenzione.

“Parlare? Parlare di cosa?” rispose con tono di sfida il riccio nero, curioso di come sarebbe continuata quella situazione un po' in bilico.

Il comandante spostò lo sguardo sulla superficie della sua scrivania, dove di solito le matricole poggiano i loro curriculum.

“Affari.” rispose, facendo un cenno col capo al suo ex-agente, il quale sbottò.

Ovvio, affari.

Su invito dell'uomo, pose sulla cattedra i fascicoli che, per accordo, aveva portato.

Quei pezzi di carta e cartoncino giallo non avevano fatto in tempo a depositarsi sulla superficie di legno che il comandante li aveva già presi in mano per esaminarli.

“I fascicoli di cui mi avevi detto al telefono, suppongo?”

“Sì.” confermò il mobiano “Tutti i casi che mi sono passati sotto mano in questi ultimi nove anni. Dal primo all'ultimo spacciatore e trafficante in nero. E molto altro. Tutti suoi. E io e la mia collega Rouge saremmo disposti ad aiutarvi a prenderli tutti.” concluse il riccio, poggiando la schiena allo schienale, più rilassato, ora che aveva detto quello che doveva dire. Tuttavia, rimaneva ancora il grosso del lavoro da fare.

Il comandante, dopo aver dato una lettura superficiale all'elenco antecedente a tutti i file dei criminali riportati da Shadow, decise di appoggiarli cautamente sul tavolo e si tolse gli occhiali da lettura.

“Così adesso hai deciso di fare squadra con noi di nuovo.” constatò, guardando il suo ex-agente dritto negli occhi.

Perché, Shadow? Cosa ti ha spinto a tornare? Cosa ti ha spinto a fare una scelta così radicale? Cosa ti spinge a cambiare ancora?”

Shadow non rispose subito. Bruscamente, girò la testa da un'altra parte, pur di rompere quel contatto visivo così penetrante. Pensò ad una risposta, mentre si mordeva la guancia dall'interno.

Cosa mi ha spinto a cambiare?

Dopo pochi secondi seppe cosa dire, e riportò il suo sguardo sull'uomo davanti a sé, che attendeva una risposta paziente. Ridacchiò piano.

“Mi è sembrato giusto farlo.” rispose solamente.

L'uomo lo guardò con un pizzico di incredulità, curiosità e soprattutto contentezza.

Il comandante, imitando Shadow, incrociò le braccia e si poggiò allo schienale.

“Ti è sembrato giusto farlo?” ripeté l'ex-capo del riccio, come se cercasse una conferma, e fissava Shadow pensieroso.

“Sì.” affermò il riccio “Ho capito che è giusto così.”

Il comandante mostrò uno dei suoi rari sorrisi, malizioso.

“E ci hai messo nove anni?” chiese, spinto dalla curiosità di capire a fondo come fosse successo, e con un tono più provocatorio che altro.

Anche Shadow sorrise.

“Avevo solo bisogno di una spinta.

“Una spinta, eh?” il comandante annuiva con la testa, come se stesse analizzando la risposta, mentre fissava i fascicoli con sguardo assente.

Sì, proprio una forte spinta, di colore lilla e avente nome con significato di fuoco, e che presto sarebbe sparita dalla faccia di quel povero mondo.

“Quindi Shadow...” cominciò il comandante “Sei pronto a rientrare nel Team Dark?”

Era definitivo. Il riccio sentiva ormai la vita in agenzia travolgerlo, mentre i lontani ricordi del suo passato lavoro ritornarono a galla. Il ventre gli bruciava: stava per iniziare tutto di nuovo...

Dover ritornare a fare missioni, a salvare il mondo, a sconfiggere i cattivi, avere di nuovo l'appartamentino che condivideva con Rouge, avere di nuovo una vita normale e completamente legale...

Shadow si sentì come se quei nove anni non fossero mai passati: non aveva mai lasciato l'agenzia, Hope, il suo team, il suo lavoro...

Tutte acide illusioni. Nove anni sono davvero parecchi anni, diverse stagioni, molti mesi, troppe settimane, un'infinità di giorni.

Ma lui si sentiva come se non avesse bisogno di tempo per integrarsi. Lui era già integrato.

Ma ora, non mettiamo il carro davanti ai buoi.

“Sì, ma ho delle condizioni!” disse Shadow, mettendo subito nero su bianco chi decideva.

D'altra parte, o lo faceva lui o lo faceva il comandante.

L'uomo lo guardò, stupito ma non troppo.

“Dimmi.” disse solamente, dando poi l'occasione a Shadow di imporre le sue condizioni.

“Io e Rouge saremo liberi di non ubbidire agli ordini se essi sono a danno altrui.” cominciò, ricordandosi di quella scura pagina di storia dell'agenzia. Il comandante capì a pieno quello che Shadow intendeva, ed annuì in approvazione.

“Poi,” continuò il riccio, passando alle altre condizioni. “Io e Rouge avremo di nuovo il nostro appartamento, e un maggiore stipendio. E anche alcuni giorni liberi. Inoltre, voglio che ritorniamo in squadra con Hope e che Omega venga riattivato.” e controllò di non aver tralasciato nulla, prima di proseguire:

“Da parte nostra, posso assicurare che lavoreremo meticolosamente e con impegno, e inoltre arresteremo quei criminali e ne troveremo altri. Contribuiremo alla giustizia.” e detto questo, attese una reazione dell'uomo, nuovamente il suo capo, il quale annuì. Sapeva che per guadagnarseli avrebbe dovuto concedere un bel po' di pregi, ma sarebbe stato disposto a sacrificare un po' di soldi e tempo per loro.

“D'accordo.” disse alla fine, con un sorriso, e mise tutto per iscritto su alcuni moduli.

Shadow li lesse e, dopo averli approvati, ci mise la sua firma.

“Questo foglio deve farlo avere alla sua collega.” spiegò poi il comandante, e diede una copia dello scritto al riccio nero “Anche lei deve firmarlo.”

“Ottimo.”

“Quando pensate di voler iniziare?” chiese l'uomo, prima che Shadow si alzasse per andarsene.

“Anche domani.”

“...Ottimo.”

I due si alzarono e si strinsero la mano con rispetto l'uno dell'altro.

“Salutami Rouge.”

“Senz'altro... capo.”

A Shadow faceva strano, a dire il vero, poter richiamare qualcuno con quella parola. Chiamare lui con quella parola.

Forse c'era qualcosa che nove anni avevano sbiadito, che non erano le regole o il rigido orario di lavoro: la fiducia verso il comandante e la sua autorità.



L'aria fresca del tardo pomeriggio faceva ondeggiare dolcemente i capelli delle ragazze e i loro vestitini neri.

Il sole splendeva caloroso senza trovare nuvole che lo ostacolassero, ma il vento provocava brividi quando si imbatteva negli spazi di pelle che i vestiti non coprivano.

Che bella giornata.

Perfetta per i bambini che giocano fuori casa, col pallone, in un campo di sabbia e sporco, ma comunque sono felici, anche se ritornano a casa con strati di polvere sui pantaloncini e le ginocchia sbucciate. E lo rifarebbero ancora e ancora.

Di certo, non era una giornata da funerale.

Eppure, su un'isolata collina in Green Hill, tra l'erba che cresceva alta e rigogliosa, alcune persone decorosamente scure piangevano silenziose e pregavano immobili.

Queste persone erano, ovviamente, Blaze, Shadow e Rouge. A loro, più tardi, si erano poi uniti Knuckles, Mina, Talis, Cream e sua madre e, inaspettatamente, anche il Team Chaotix al completo.

“Amy era una cara amica.” fu tutto quello che disse Espio, fissando la foto sulla lapide della riccia rosa. Vector e Charmy giurarono, sottovoce, di aver visto Espio piangere, prima.

Non era stato facile neanche per lui. Tra i tre, era quello che era rimasto più in contatto con la riccia nel corso del tempo. Ricevette un duro colpo quando apprese della morte della ragazza.

Cream, appena vide Blaze, le saltò al collo ed iniziò a farfugliare quanto era felice di vederla, soprattutto in un momento del genere, e di quanto avesse bisogno di una figura così forte e consolatrice, ma quelle parole si confondevano tra i singhiozzi e le lacrime.

Perdere Amy è stato come perdere la sua sorella maggiore.

Con la vecchia coniglia, la situazione non era migliore.

Vanilla, sull'orlo di un crollo emotivo, forzò un sorriso alla giovane gatta, mentre la guardava con gli occhi già arrossati, ad un passo dal piangere.

Con un filo di voce aveva salutato la gatta lilla dicendo un semplice e gentile “Ciao cara, piacere di rivederti” e poi non fu più capace di dire altro per il resto della giornata, nemmeno per consolare la figlioletta, cosa insolita per la calorosa madre.

Dopotutto, Vanilla era una figura materna per Amy. Per la madre di Cream è stato uno shock ricevere la notizia, ed un dolore immenso assimilarla. Era come se le fosse morta una figlia, tanto la conosceva e tanto se ne era presa cura.

Prima di essere in grado di consolare la coniglietta, doveva cercare di consolare sé stessa, ma le era troppo difficile. Fortunatamente, Cream capiva la sua vecchia, ed è per questo che era subito saltata in braccio a Blaze, in cerca di conforto. Qualcuno doveva pur darlo.

La piccola coniglia si era alzata parecchio, notò la gatta. I suoi graziosi ciuffetti si erano allungati e arricciati adorabilmente. I suoi enormi occhi nocciola erano rimasti vivi e dolci, nonostante le lacrime.

Anche Mina abbracciò forte la giovane gatta appena la vide.

“Blaze...” l'aveva salutata, con la voce rotta, tirando sul col naso.

Tails, dietro la sua ragazza, aveva salutato la regina gatto con un accenno di mano ed un debole sorriso.

“Avrei voluto rincontrarti in un momento migliore.” confessò il volpino alla gatta “Noi quattro; Sonic, io, te e Marine, possibilmente, a ridere davanti ad un aperitivo.”

A proposito del riccio blu, Shadow e Rouge si erano preoccupati di spedire un biglietto al re Sonic e alla consorte Sally, ma nessuno si presentò.

Tails spiegò a Blaze che la famiglia reale era all'estero per affari burocratici, e che le lettere di vario genere venivano controllate dai segretari e probabilmente quel poco gioioso invito era già stato buttato via a priori. Peccato.

La signora di Knuckles, Julie-Su, era partita con l'amica Sally, per questo l'echidna rosso era arrivato da solo.

E così, erano tutti attorno alla tomba della povera Amy Rose, mentre il prete finiva la benedizione e il coro intonava i canti funebri.

Ogni tanto, Rouge si asciugava gli occhi col fazzoletto di seta bianco che stringeva in pugno, mentre Knuckles, in un gesto premuroso e consolatorio, le circondava le spalle col suo possente braccio, protettivo.

Shadow, ogni tanto, lanciava occhiate alla sua ragazza, accanto a lui, e osservava ogni minimo cambiamento d'umore. Però, l'espressione della giovane donna rimase immutabile: triste, fredda, distaccata. Il riccio ammirava il suo autocontrollo, quando questo non esplodeva in un omicidio di massa.

Alla fine della cerimonia, il prete si congedò insieme al coro, facendo le sue condoglianze.

Era il tempo per gli addii.

Vector, che rappresentava il Team Chaotix, e Shadow, che rappresentava il Team Dark e Blaze, si avvicinarono per posare accanto alla tomba i fiori per Amy, delle bellissime rose rosse da una parte, e delle profumatissime primule dall'altra. Cream volle metterci anche una ghirlanda di margherite, come quelle che faceva una volta con la riccia rosa, mentre Vanilla aveva preparato un bouquet di mimose. Anche Knuckles, vicino a tutti quelli degli altri, aveva posato un mazzetto di stupendi tulipani rossi e gialli; alcuni erano già sbocciati, altri erano ancora raccolti in un adorabile bocciolo.

Tails non aveva portato fiori, ma si era scritto un memoriale da recitare. Una volta ottenuta l'attenzione dei presenti, iniziò:

“Oggi siamo qui per salutare Amy Rose, e per cui abbiamo molto da ringraziare.

Non solo per il suo eccellente lavoro, non solo per quello che ha dato come poliziotta, ma soprattutto quello che ci ha dato come persona, come amica.

Amy era una ragazza gioiosa, positiva, e testarda.”

Ogni tanto, Tails si fermava e sorrideva al pensiero della cara amica.

“Era molto amorevole. Amava chi le stava intorno e tutti amavano lei. E credo che sia questo che la contraddistingueva: l'amore. Dava calore a chi glielo chiedeva e non.

Quello che voglio dire è : grazie per essere qui, a darle tutto questo calore, perché questa è una prova d'amore. E voglio anche ringraziare Amy per la bellissima avventura.

Non so se là sopra ci sia davvero un paradiso, non so se Amy ci credesse, ma se un Padre Eterno esistesse davvero, se un cielo eterno esistesse sul serio, sono sicuro che lei sarebbe lì, e le lo auguro con tutto il cuore, perché se lo merita davvero.

Grazie per l'ascolto.”

“Amen.” risposero tutti, prima di applaudire pacatamente.

E stettero lì per quasi tutto il pomeriggio, a intessere preghiere mentre la voce di Mina accompagnava la melodia del vento.


Quando una stella muore,

che brucia ma non vuole,

un bacio e se ne va,

l'Universo se ne accorgerà.”



Si sentì un fischio lontano: il treno per Blaze stava arrivando.

La gatta inspirò a fondo e chiuse gli occhi, godendosi quella fresca brezza e tiepido sole del tardo pomeriggio che dolcemente le passavano sul viso. Aprì le braccia, come se volesse afferrare più vento possibile.

Entro pochi minuti sarebbe tornata a fare la passeggera su uno scuro vagone di legno e, sinceramente, voleva godersi l'aria aperta finché poteva.

Lei sorrideva serena e non diceva niente. Shadow la guardava nervoso, a braccia conserte, anche lui senza dire una parola. Al contrario della micia, non era per niente in pace con sé stesso.

L'unica cosa che lo calmava era l'angelica vista della sua ragazza mentre si abbandonava al vento.

Il suo sorriso raro e splendente, il suo pelo che ondulava armonioso, i suoi capelli vaporosi...

Piccoli particolari di un'immagine che somigliava ad un'opera d'arte, purtroppo destinata presto a finire.

Lei lo tranquillizzava, mentre dentro di sé si continuava a chiedere perché non potesse andare con lei.

Cosa lo fermava dal saltare sul suo stesso treno, destinazione: paradiso?

Cosa c'era di più importante di lei, per dover restare? Forse nulla, anzi, probabilmente nulla.

Ma doveva restare.

Finalmente Blaze aprì gli occhi e guardò il suo ragazzo: in quel momento, si accorse dello sguardo tormentato del riccio.

Si avvicinò a lui.

“Shadow?” chiamò, e lui la guardò negli occhi dorati.

Lui aprì la bocca più volte, cercando di dire qualcosa, ma alla fine si arrese. In risposta, le prese la mano e la baciò.

“Non voglio che tu te ne vada.” le confessò alla fine. La gatta, percependo la pura tristezza nella voce del riccio, estese il suo sorriso, dolcissimo.

Con un palmo gli prese la guancia.

“Questo non è un addio, Shadow.” disse lei, cercando di rasserenarlo. E di fatto, non era una bugia.

“E soprattutto, non è la fine. Guardalo come un nuovo inizio.” ed avvicinò le sua labbra a quelle del riccio, ma non le toccò; si fermò a qualche millimetro.

“La nostra storia continuerà, se lo vogliamo. Ti danno fastidio le distanze, Shadow?” continuò la gatta, sussurrando al riccio, il quale sorrise.

“Mi danno fastidio questi centimetri, figuriamoci due mondi.” rispose lui, sempre in un sussurro, e chiuse lo spazio tra le sue e le labbra della micia lilla. Blaze si staccò ridacchiando dopo alcuni secondi.

Rizzò le orecchie in direzione delle rotaie: il suo treno si stava avvicinando, lo sentiva. E nemmeno Shadow era sordo.

“Quello che ti voglio dire è che... ti amo, Blaze the cat.” disse lui, riconoscendo ormai che il tempo era agli sgoccioli.

“Anche io, Shadow the hedgehog!” e detto questo, i due si unirono in un appassionato, bacio finale.

Pochi metri più in là, Rouge guardava intenerita e commossa la scena dei due amanti, mentre si stringevano tra le verdi colline, con il vento che soffiava tra i loro corpi e che faceva ondulare vestiti e capelli.

N.A: Ci ho messo trecento anni per 'sta roba MAMMA MIA!

Eh, già. Sono tornata! Sono viva!

La storia si sta volgendo al termine, anzi, è già finita.
Tuttavia, c'è ancora un ultimo capitolo che mi piace chiamare BONUS.
Non vi spoilero niente, alla prossima! (sperando che non ci metta troppo)
P.S: le ultime quattro righe della parte del funerale fanno parte della canzone di Giorgia, "Quando una stella muore" (scusa Gab, citazione necessaria ;) )
   
 
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