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Autore: JovaDepp    08/05/2016    1 recensioni
Quella di Mary e Francis potrebbe essere una storia d'amore come le altre, se non fosse per il fatto che i due sono futuri re e regina di Francia e Scozia. Un amore tormentato e ricco di intrighi. Una storia bella come poche, che coinvolge leggendola e vedendola. Sono sicura che se conoscete la serie tv e ve ne siete innamorati, vi innamorerete ancora una volta di questa coppia che, tra difficoltà e tradimenti, ci ha mostrato cosa vuol dire "amare".
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Francis, Greer, Kenna, Mary Stuart, Sebastian 'Bash'
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II
 
 

“Mary, la regina di Scozia è in pericolo” disse mio padre, re Henry, rivolgendosi a me e mia madre, la regina Catherine de’ Medici.
“Pericolo? Quale pericolo?” rispose prontamente quest’ultima, con finto interesse.
“Hanno avvelenato il suo cibo, la sua assaggiatrice personale è morta dissanguata.” Mio padre sembrava più interessato alla nuova cameriera, appena entrata, che a quello che ci stava riferendo.
Eravamo nella sala grande, quella dove ci riunivamo per il pranzo. Poco illuminata, nonostante le finestre spalancate e le varie candele accese. Il tavolo a cui eravamo seduti era imbandito con ogni sorta di cibo, così abbondante da poter sfamare tutto il nostro popolo.
 
Distolto finalmente lo sguardo dalla gonna della giovane ragazza, il re si rivolse a me: “Francis, dimentica i tuoi momenti di giochi da ragazzo, presto sarai re e sposerai con o senza la tua volontà la regina di Scozia, Mary.”
Rimasi a bocca aperta nel sentirmi dire quelle parole. Sapevo che Mary e io un giorno ci saremo sposati, ma speravo in cuor mio, che quel giorno arrivasse quanto più tardi possibile o magari mai.
Richiamandomi dai miei pensieri, mio padre tornò a parlare. “La ragazza è già in viaggio e domani dovrebbe essere qui al nostro castello.”
Domani? Com’era possibile che la mia vita sarebbe cambiata solo con l’arrivo di una ragazza a palazzo e nella mia vita? Mary non era diversa dalle altre ragazze che erano entrate nella mia vita, eppure lei era sempre stata una costante. Fin da piccolo mi avevano insegnato a vivere in funzione della mia futura moglie e adesso, anche solo sentir pronunciare il suo nome mi procurava la nausea.
Avrei voluto scappare e invece mi limitai ad alzarmi dal tavolo dove i miei genitori erano ancora intenti a finire la loro preziosa cena e andai via, raggiungendo poco dopo le stanze di Natalia: l’unica donna con cui avrei voluto passare la notte, l’unica donna che mi avrebbe procurato un po’ di piacere.
Entrai senza bussare e la sentii sussultare nel letto, cercando di scorgere la sagoma che in quel momento era entrata nella sua stanza. Avendomi riconosciuto mi disse: “Francis, cosa ci fate qui? Non vi aspettavo”
Senza dirle nulla, senza riuscire a dirle nulla, mi fiondai sul suo letto e iniziai a baciarla, a farle scivolare la sottana dalle spalle, mentre lei provava a togliermi la giacca. Poco dopo fui nudo, di fronte a lei: niente amore, niente sentimenti. Solo piacere e desiderio.
 
Il mattino dopo fui svegliato dal dolce tocco di Natalia sul mio viso.
“Buongiorno, principe. Era ora che apriste questi occhi.”
“Natalia, smettila di fissarmi. Voglio dormire ancora un po’” le risposi con la bocca ancora impastata.
“Tra poco arriverà la vostra futura moglie, non volete divertirvi ancora un po’, prima di essere inchiodato ai vostri doveri?” Così dicendo, fece scivolare la sua mano destra sotto le lenzuola, verso la parte bassa del mio ventre. Quel tocco mi procurò non poco piacere, e i miei sensi si riaccesero in un baleno.
Le fermai la mano con la mia e dopo aver girato la testa verso di lei, la misi distesa di schiena sul letto, baciandola con foga. Le baciai il collo, scendendo sempre più giù fino ai suoi seni. La penetrai mentre sentivo il suo respiro farsi sempre più affannoso, cercando di seguire il mio, che ormai era incontrollato. 
Mentre stavamo per raggiungere il piacere sentii bussare alla porta. Non riuscivo a rispondere, ero intento a procurare e avere piacere. I rumori delle nocche dello sconosciuto contro la porta in legno diventavano sempre più forti, accompagnati da una voce, che ormai conoscevo fin troppo bene: era quella del mio annunciatore che mi chiedeva di uscire, mia madre – Catherine – mi stava cercando.
 
Riportato alla realtà, dopo quel meraviglioso risveglio, mi rivestii in fretta con gli abiti della scorsa notte e mi diressi verso una delle camere di mia madre.
Prima di arrivare in camera, incontrai però mio fratello Bash. Fratello solo da parte di mio padre: Bash era infatti il figlio di mio padre e Diane de Poitiers, la sua amante ufficiale, nonché la sua favorita. Il mio fratellastro era nato prima di me ed era il mio punto di riferimento; avevamo un meraviglioso rapporto, ma a volte odiavo quel bastardo fortunato, perché poteva fare qualsiasi cosa senza preoccuparsi delle conseguenze o di rovinare la sua reputazione. Era libero, libero di essere chiunque volesse, perché non sarebbe mai diventato re.
“Sebastian” lo salutai quando fummo abbastanza vicini da ascoltare quello che diceva l’altro.
“Francis” mi rispose, sempre in modo sarcastico, come se il mio nome fosse uno dei racconti più divertenti che avesse mai raccontato. “Ti hanno cercato ovunque, stavo per farlo anche io.”
“Ehm… ero a cavallo” cercai di risultare più tranquillo di quanto non fossi. Mi stavo ancora riaggiustando la camicia, che proprio non voleva saperne di stare a posto nei pantaloni.
“Davvero? Di chi?”
Distolsi lo sguardo lasciandomi sfuggire un ghigno divertito. Bash mi conosceva davvero meglio di chiunque altro nel castello, e per quanto provassi a nasconderlo, lui sapeva sempre tutto.
“Dunque Bash, com’è l’umore?” dissi mentre mi giravo, permettendogli di posizionarmi meglio la giacca sulle spalle.
“Di nostro padre o l’umore in generale?” Mi girai e lui prontamente rispose “Tesi entrambi. Preparano le nozze di tua sorella.”
Era vero, non solo sarebbe tornata Mary, ma c’era da preparare anche il matrimonio di mia sorella Elizabeth e gli animi erano in subbuglio. Potevo solo immaginare quanto mia madre fosse tesa, avevo quasi paura ad andare da lei.
“Tua madre è lì?” Chiesi quasi con timore a Bash. Diane non era amata da mia madre, e a ben ragione, ma in quel momento l’amante di mio padre mi faceva pena, speravo non si trovasse nella stessa stanza di mia madre o l’ira di Dio, in confronto, sarebbe stato niente.
“E’ permesso di entrare solo ai reali e ai loro attendenti. Comunque tua madre è in gran forma” proprio quello di cui temevo: ‘gran  forma’ era sinonimo di ‘ha tantissima voglia di ammazzare qualcuno, guai a chi intralcia il suo cammino’ e infatti ecco che il mio fratellastro aggiunse: “Dio ti salvi. Io vado, visto che sei qui.”
E con una mano sulla spalla si congedò. Ancora una volta se l’era scampata. Bastardo fortunato!
 
Entrai in camera da letto di mio padre. Una stanza enorme, la più grande del castello. Tempestata di oro, luminosa, con il letto del re perfettamente ordinato, così come il resto dei mobili. Alla mia destra c’erano due dame di compagnia di mia madre, sedute sui divanetti, intenti a fingere di non ascoltare, mentre ricamavano. Mio padre era a braccia aperte, mentre un sarto gli misurava l’ampiezza delle braccia, per permettere a una delle nuove giacche di essere cucita alla perfezione. Non uno errore, sia esso voluto o involontario. E poi eccola lì, mia madre. Andava avanti e indietro nel suo vestito color fango, mentre agitata diceva a suo marito: “Mary deve essere protetta, nascosta.”
Mio padre continuava a darle poche attenzioni, come ormai succedeva da anni, ma non mancava mai di risponderle, perché benché fosse il re non doveva permettersi di contraddirla. La sua risposta arrivò subito: “E avete atteso che crescesse in convento perché avesse una buona educazione, ma…” smisi di ascoltarlo, perché girandomi sulla sinistra vidi mia sorella, meravigliosa nel suo abito da sposa. Le sue dame le stavano ponendo il velo sulla testa. Era bella, come la mamma. Con i suoi capelli neri - come il colore di quelli di nostro padre, quando ancora la vecchiaia non aveva interferito – raccolti in uno chignon, e il sorriso sulle labbra. Assomigliava alla mamma, ma a differenza sua il suo viso era dolce e non segnato da anni e anni di lamentele, congiure e odio. Mi vide e sorrise, era emozionata per questo suo matrimonio. Aveva conosciuto Philip, il suo futuro marito, solo qualche mese prima, ma a prima vista se ne innamorò. Io non sono romantico, non credo nell’amore, ma se dovessi scegliere come vivere il mio matrimonio con Mary sceglierei sicuramente di viverlo come Elizabeth e Philip: nei loro occhi si vedeva perfettamente l’amore che provavano l’uno per l’altra.
 
Gli interlocutori alla mia destra stavano continuando a scambiarsi battute, mi girai proprio mentre mia madre diceva: “L’arrivo di Mary offusca il matrimonio di nostra figlia.” Eccola che pensava sempre e solo ai suoi interessi. Sua figlia doveva essere la protagonista e lei, essendo la madre della sposa doveva essere messa in luce tanto quanto mia sorella.
“E questa sarà l’occasione per mettere in mostra l’alleanza con la Scozia.” E invece eccolo mio padre, che non si interessava d’altro se non delle alleanze e della politica.
Mi diressi verso di loro, per poter prendere parte ai loro discorsi, quando notai Natalia e non potetti fare altro che sorriderle, facendole intuire quanto le fossi grato per il tempo passato insieme fino a pochi minuti prima.
Una volta avanti ai miei genitori mi inchinai, così come farebbe un buon figlio, ma soprattutto un buon suddito.
“Avevate bisogno di me? O devo solamente tornare il giorno del mio matrimonio?” Chiesi a mio padre forse un po’ troppo sfacciato. Ma non potevo non mostrare tutta la mia irritazione per la sera precedente. Ero stato zitto allora, ma non potevo permettere agli altri di far decidere del mio futuro, non più.
“Avete scelto la sposa, anche la data?”
“Ecco la data: quando lo dirò io o l’Inghilterra punterà la spada verso di noi.” Dopo una breve pausa, il re mi sorrise e mi riferì che ella stava arrivando.
“Mary Stuart volete dire?” gli risposi, e lui notando il mio poco entusiasmo mi ricordò quando giocavamo insieme. Era  vero, io e Mary abbiamo passato quasi tutta la nostra infanzia insieme. Abbiamo giocato per anni, esplorato tutti gli angoli dei giardini fuori dal castello. La servitù non aveva pace e con Mary ogni giorno era una sorpresa. Quei bei momenti però erano passati. Oggi non eravamo più quei bambini. Erano cambiate troppe cose: la Francia, i miei genitori, le situazioni… io!
“Aveva pochi denti, gambe molto magre e… convinzioni ferree.” Era proprio quello che odiavo della mia futura moglie: voleva avere sempre ragione. Quando litigavamo ero sempre io a dover chiedere scusa, e subito dopo tornava a mostrarmi i motivi per cui aveva ragione. Odiavo litigare con lei, ed ero sicuro che non era cambiata molto, nemmeno dopo anni di convento.
“I denti le sono cresciuti, immagino; e le convinzioni possono anche essere ignorate. Giusto Catherine?” disse rivolgendosi alla sua regina.
Mia madre non lo degnò nemmeno di uno sguardo, ma rivolgendosi a me disse: “Verranno anche le sue dame da compagnia: tre nobili, l’altra no, ma sfacciatamente ricca. Proprio il tuo tipo.” Questa volta non stava parlando con me, ma con mio padre che non a caso aveva sposato mia madre, che non era nobile, ma ‘sfacciatamente ricca’ e fu proprio lei ad aver aiutato la Francia per anni, grazie al denaro, con il loro matrimonio.
Fu proprio quando mio padre se ne andò, ricordandomi l’importanza di questo matrimonio, che mia madre mi ricordò il perché del loro, di matrimonio: “Sono nata senza corona, ma questo Paese si regge sul mio denaro. Lascialo parlare come un re.” Mi sorrise e io non potetti fare a meno di ricambiare. Meno male che c’era mia madre, sarà stata anche odiosa con tutti gli altri, ma sapevo che mi amava e che avrebbe fatto di tutto per proteggermi.
A confermare questa mia teoria furono le sue parole: “il matrimonio avverrà quando io lo deciderò, sono dalla vostra parte in ogni caso.”
“Lo so” e aspettai che andasse via.
 
Mary sarebbe arrivata a momenti e io non ero pronto, avrei voluto fermare il tempo e invece questo passava inesorabilmente. Pochi minuti dopo, infatti, mi informarono che la carrozza sarebbe arrivato a momenti. Mi sistemai meglio che potetti; lo specchio mi rivelava una figura che stavo per odiare. Un ragazzo biondo con i capelli fin troppo spettinati, non adatti a un principe. Gli abiti utilizzati due volte di seguito, sicuramente non adatto a un principe.
“Siete comunque bello, non c’è bisogno di specchiarsi tanto.” Era Natalia, entrata quasi di soppiatto in camera mia, che mi sussurrava questa parole all’orecchio, sentendo perfettamente il suo fiato che si faceva strada sul mio collo.
“Non voglio sembrare bello, mi accontento anche solo di essere ‘decente’”.
“Vi piace proprio Mary.”
“Oh, sta’ zitta Natalia, sai che l’arrivo di Mary non cambierà nulla, sarò sempre io, con i miei pregi – tanti pregi – i miei pochi difetti, e le mie innumerevoli voglie.” Mi girai prendendola tra le mie braccia e stampandole un lungo bacio sulle labbra.
Sentimmo dei cavalli fermarsi: “Sarà meglio che vada” e mi congedai con un ultimo bacio.
 
Quando mi avviai verso Mary, che era lì ferma all’entrata insieme alle sue bellissime dame da compagnia, non potei fare a meno di notare che anche tutti gli altri componenti della mia famiglia allargata avevano fatto la loro entrata in scena, compreso mio fratello Bash, che come al solito aveva conquistato gli sguardi di tutte e cinque le giovani donzelle.
Camminai quanto più veloce possibile, non sapevo perché andassi così veloce, forse perché ero curioso di vedere com’era diventata la mia compagna di giochi.
E infatti eccola lì, Mary. Nel vederla i miei occhi chiesero di non distogliere lo sguardo, volevano saziarsi ancora un po’ della sua bellezza.
Sì, Mary da piccola era una bellissima regina, ma adesso tutta quella bellezza infantile aveva lasciato il posto a una giovane donna affascinante. I suoi capelli neri erano mossi dal vento e le rendevano il viso pallido più dolce di quanto non lo fosse in tutti i ritratti mandati al castello fino a pochi mesi prima. Le labbra rosee facevano da contrasto con la carnagione chiara. Infine i suoi occhi: il sole poteva essere geloso di quegli occhi, avevano ancora quella luce intensa che caratterizzava Mary, quella luce che mi faceva sentire a casa ogni volta che mi perdevo a guardarla da piccolo.
Le dame di Mary si inchinarono, e lo stesso fece la loro regina. Anche se i miei occhi volevano godere ancora di quella bellezza, mi costrinsi ad inchinarmi, tornando di nuovo sul suo viso, sulle sue labbra che adesso si stavano aprendo in un caldo sorriso. Mi sorpresi nell’accorgermi che anche io stavo sorridendo.
“Non posso crederci!” Disse la regina con molto entusiasmo.
“Vostra Grazia.” La salutai con quanto più distacco possibile.
“No, chiamatemi Mary”
“Francis.” Ero imbarazzato. Non avrei dovuto fermarmi proprio qui, avanti a lei, avrei dovuto attendere insieme alla mia famiglia, aspettando che mio padre facesse gli onori di casa.
“Il castello sembra più grande. È possibile? E anche voi, ovviamente” Mary era molto più in imbarazzo di me.
“Siete tanto sorpresa?” Cercai di essere divertente, avrei dovuto metterla io a suo agio e non il contrario.
“No! In fondo anche da piccolo avevate le gambe più lunghe delle mie. Da piccola odiavo questa cosa, arrivavate sempre primo alle corse, ma ora…” si fermò, forse cercando le parole più adatte per non offendermi. Mi accorsi in quel momento che Mary non mi avrebbe offeso nemmeno volendo. “…questa cosa vi dona.”
Rimasi lì imbambolato, mentre lei aspettava una mia risposta, ma non riuscivo a dire nulla. Così la presi sotto braccio a la condussi verso la mia famiglia.
 
Nell’imbarazzo totale decisi di nascondermi per un po’ in un posto solo mio, dove nessuno avrebbe potuto darmi fastidio. Mi rifugiai nell’ala Est del castello, quella ormai abbandonata e mi dedicai alla mia ultima passione: la costruzione di spade. Mentre ero intento limare la lama della mia spada, sentii una presenza sullo stipite della porta, mi girai di scatto.
“Mary” la salutai, di nuovo.
“Francis, non sapevo che foste qui.” Sembrava a disagio, come se l’avessi colta con le mani nel sacco.
“E voi che ci fate qui?” Mi avvicinai un po’ più a lei per proteggere il mio habitat, nessuno doveva entrare lì.
“Sono in esplorazione. Queste sono le mie vecchie stanze, non ricordate?” Si guardò in torno, forse alla ricerca di qualcosa che ricordasse che quelle camere davvero erano state sue.
“Non lo sono più, non ci viene mai nessuno”
“Eccetto voi.” Pronunciò il ‘voi’ molto più lentamente, come se volesse insinuare qualcosa.
Pensi che io stia qui perché volevo ricordarmi di te? Pensi che avrei voluto essere più vicino a te, mentre non c’eri? No, Mary ti stai sbagliando, avevo dimenticato che queste stanze erano tue, avevo dimenticato tutti i giochi insieme e avevo dimenticato tutte le risate. Avevo dimenticato anche te.
Mi limitai a sorridere, non avrei potuto rivelarle quello che davvero pensavo. Lei, però, invece di andare via, come avrebbe fatto qualsiasi ragazza con cui avevo passato un po’ di tempo, si sporse oltre le mie spalle, per osservare quello che succedeva lì in quella stanza.
“Che state facendo?”
Entrò nella stanza, ormai non avevo più riservatezza, doveva sapere, come da piccoli. Era troppo curiosa e io odiavo questa cosa.
“Fabbrico coltelli e spade… o almeno cerco di impararlo”
Stava prendendo tra le mani uno dei miei coltelli, mentre li analizzava mi disse: “forgiatore di spade, ora deve fare anche questo un buon re?”
Sembrava che mi stesse prendendo in giro, e non potetti non mettermi sulla difensiva.
“Beh sembra una cosa ridicola se la dite così”
“No, no” si affrettò a dire “è una cosa fantastica. Avete fabbricato tutte queste…  Perché?”
Mi guardò con sincera curiosità e non potetti non rivelarle tutto quello che significava per me quell’attività.
“Non riesco a fare a meno di pensare che ogni uomo, persino un re, debba avere un talento.”
Restammo per qualche secondo in silenzio, poi lei riprese: “Ma un giorno sarete un grande sovrano, questo non basta?”
“Spero che basterà” sembrava non essere contenta della mia risposta, così ripresi: “ma vorrei un talento vero, che non ho avuto in eredità, che nessuno mi ha trasmesso e che nessuno può togliermi. Mio fratello, il mio fratellastro – mi corressi – Bash, ne ha infiniti. Può fare tutto, certo con la benedizione di mio padre, ma nessuno si preoccupa della sua morte così tanto da non lasciarlo vivere.”
Avevo detto troppo. Sicuramente ora mi avrebbe preso per un folle e avrebbe detto a mio padre che non avrebbe voluto sposare un principe insicuro e sciocco come me, invece la sua risposta mi sorprese.
“Io so mungere una capra… le suore, sapete” sorrise distogliendo lo sguardo. Ancora una volta mi persi in quel sorriso, non riuscivo a capire come quel semplice movimento delle labbra provocasse in me una simile reazione.
“Interessante” sorrisi a mia volta “se mai ci fosse un’insurrezione potrei fare il fabbro per sopravvivere.”
“Ma io vi salverei.” era sincera. Questa risposta, seppur dolce, mi suscitò fastidio. Ero pur sempre un uomo e non avrei potuto, nemmeno nei miei peggior incubi permettere che la mia futura moglie salvasse me, sarebbe dovuto essere il contrario.
“Andando in Scozia e regnando lì” riprese, dopo una pausa che sembrò durare delle ore.
“Un’offerta molto gentile, che spero di non dover mai accettare”
 
Quando Mary andò via, restai ancora un po’ nella camera a forgiare la spada, mentre nell’aria ancora volava il profumo della regina, lavanda e lillà: una miscela perfetta.
Tornai poi, più stanco del solito nella mia camera, mi girai e trovai la giovane rossa.
“Natalia” esclamai sorpreso “qualcuno ti ha vista entrare?”
“No, non mi vedono mai, non mi vedranno mai. Nulla è cambiato qui, nulla deve cambiare” e detto questo si avvicinò e senza che io potessi dirle qualcosa si spogliò, mostrando il suo corpo ormai conosciuto, ma sempre ricco di dettagli a me sconosciuti e desiderosi di mostrarsi.
 
Ancora una volta, mentre provavamo piacere sentii bussare la porta. Questa volta però non era il mio servo, il tocco era molto più leggero. Dovetti alzarmi per forza, perché il bussare era insistente.
Aprì e mi ritrovai di fronte la figura di Mary, che mi guardava raggiante. Dovetti evitare che la porta si aprisse più del dovuto, per non mostrare e Mary la ragazza che era nel mio letto.
“Mary, che cosa c’è?”
“Vi ho portato qualcosa con cui decorare le spade.” Ecco, non avrebbe mai dovuto vedere quello che facevo. Era lì nemmeno da qualche ora e già interferiva nella mia vita. Natalia aveva ragione, nulla doveva cambiare, e a non doverlo permettere ero io.
“Non è un buon momento.” Tagliai corto, sperando che la scozzese andasse via.
“Fatevi annunciare la prossima volta, il mio paggio è lì per una ragione” indicai con lo sguardo il garzone, che aveva per la prima volta conosciuto la sfacciataggine di Mary.
“Non capisco…”
“Non dovreste essere qui.”
“Perché sembrate così…” si fermò notando il mio fastidio “siete solo? Avete compagnia?”
“Semmai sarete regina di Francia, dovrete comprendere una cosa: i re non rendono conto alle loro mogli.” Senza nemmeno aspettare una sua risposta chiusi la porta, tornando da Natalia, che nel frattempo sghignazzava felice e soddisfatta per come avevo trattato la mia futura moglie.
 
Era arrivato il momento del matrimonio di mia sorella. Natalia era via da mia madre, per cercare di aiutare a calmare la mia sorellina, che poverina, anche se convinta del passo che stava per compiere, aveva iniziato a delirare e pregare mia madre di darle qualche altro giorno.
Io invece ero tranquillo, sapevo che quella sera a palazzo ci sarebbe stata una bella festa e non vedevo l’ora di osservare quali vestiti avrebbero indossato le dame, quale Mary. Mi piaceva notare i dettagli che indossavano le signore, l’ampiezza del vestito, se il colore donava ai loro occhi, le scollature… soprattutto le scollature.
Dopo la cerimonia, in cui gli sposi avevano finalmente detto “sì” e mia sorella si era calmata, andammo tutti a mangiare, ballare e divertirci. Era proprio come immaginavo, sarebbe stato tutto perfetto. Tutto secondo i piani.
Sì, secondo i piani, se solo non ci fosse stata Mary e la sua musica scozzese. All’improvviso infatti, sentiamo arrivare dal lato dove si trovavano i musicisti una melodia sconosciuta a molti, ma molto conosciuta a me, che con la scozzese ci avevo vissuto tanti anni. Mi girai verso il centro della sala e trovai Mary con le sue dame, scalze, che ballavano come bimbe, divertendosi.
Trovai quella situazione molto divertente e nel vedere Mary, quasi mi pentii di essermi rivolto in quel modo solo poche ore prima.
Mia madre non nascose il suo disappunto.
“Siamo circondati da scozzesi” disse infatti.
Non sapevo se ridere per Mary e il ballo con le sue dame, o per mia madre che avrebbe per sempre odiato Mary per aver mandato all’aria tutta la sua organizzazione per la festa perfetta.
Mary era allegra, spensierata come non l’avevo mai vista. Volteggiava felice, e le gote ormai rosse, si erano alzate, a causa del grande sorriso che quel ballo le provocava. C’erano tanti invitati a ballare, ma lei oscurava tutta la scena, nel suo vestito nero, che come una tenda si apriva quando la fanciulla volteggiava veloce su se stessa.
Al mio lato sinistro c’era mio fratello, che come me, la fissava e lei non potette non fermarsi e sorridergli. Tra quei due c’era un legame e nessuno poteva non farci caso.
All’improvviso, però, fui distratto da qualcosa che cadeva dal soffitto: piume.
Erano piume delicate, dolci, come quelle… come quelle che tanti anni fa io e Mary avevamo fatto uscire dai cuscini, quelli con cui stavamo lottando. So che anche Mary stava ricordando la stessa cosa, perché nello stesso attimo in cui la guardai, notai che lei stava guardando me. Era come se tutto, intorno a noi, era fermo. C’eravamo solo noi, le piume che ricadevano tra i nostri capelli, sul suo bel viso e a terra. C’eravamo solo noi e i nostri ricordi; quei ricordi che credevo di aver rimosso dalla mia mente, ma che erano lì e con forza cercavano di invadermi, per ricordare quanto il me bambino avesse amato in un modo tutto suo quella bimba testarda e bellissima.
 
Tutti gli invitati andarono nelle camere di mia sorella, dove avrebbero assistito alla prima consumazione tra i due sposi. Io non ci sarei andato, innanzitutto perché non mi era permesso, ma poi anche perché non avrei mai voluto vedere mia sorella nel suo momento più intimo. Rimasi nella sala vuota della cerimonia, insieme ad altri due nobili che parlavano di affari, affari, affari. Mentre ero lì ad ascoltare vedi entrare Mary, ancora con il vestito da cerimonia e con le guance ancora un po’ arrossate. Mi guardava, chiedendo con lo sguardo la mia attenzione. Mi avvicinai congedandomi dai miei amici e le chiesi di parlare; così, io e la mia dama, ci fermammo accanto ad una finestra del grande corridoio, pieno di lumi che illuminavano e rendevano quel luogo magico.
Cercai di scusarmi con Mary per come mi ero comportato quel pomeriggio, ma fui interrotto dalla fanciulla che disse: “Volevo dirvi…”
Mi interessava poco in quel momento cosa voleva dirmi, avevo il bisogno di scusarmi: “Scusate per oggi, c’erano altri modi per gestire la cosa.”
Era di fronte a me e chiese, quasi arrabbiata: “Gestire quale cosa, me? Vi rendete conto che un giorno ci sposeremo, vero?”
“Potete credermi, lo so.” Adesso anche io avevo alzato un po’ la voce, ma lei contraccambiò alzando la sua di mezzo tono.
“Avevate dei legami prima che io arrivassi…”
“Non è questo…”
Riprese, senza permettermi di continuare: “…e lo capisco, ma non lo dovremmo l’uno a l’altra. Alle nostre famiglie, ai nostri paesi. Dovremmo fare un tentativo.”
Era esasperata e anche se non lo ammettevo, anche io lo ero. Sentivo troppo la pressione da re e questo mi mandava in confusione. Prima che arrivasse Mary era tutto perfetto e ora, ora la mia vita stava chiedendo prepotentemente di prendermi le mie responsabilità e io non ero pronto.
“Non è così semplice…” cercai di giustificarmi.
“Semplice?! Che cosa non è semplice, se siamo promessi dall’età di sei anni.” La sua voce non era più ferma come prima, ma tremante, segno che era sull’orlo delle lacrime. “Quante volete dovrete incontrarmi prima di convincervi.”
“Non si tratta di voi. Voi siete bella e intelligente…” troppo intelligente pensai, ricordato ai tempi passati. “… e imprevedibile. Ma non ha importanza. Importa ciò che è giusto per il mio paese. La Francia non è forte e potente come pensate. Forse non vi interessa, ma a me si! Un giorno sarò re e sarò responsabile del mio popolo. Un’alleanza con la Scozia potrebbe annientare la Francia ora.”
Non potevo essere più dolce, la verità era venuta a galla e Mary, che era anche fin troppo intelligente capì subito il messaggio che le mie parole celavano.
“Voi non volete sposarmi.” Ecco, lo aveva capito. “Non lo volete affatto.”
“Tutto può cambiare” risposi io, nemmeno sicuro di quello che stavo dicendo. Il nostro battibecco stava prendendo una piega che non mi piaceva e che non avrei potuto sostenere. Volevo andare via, ma lei mi parlò prima che potessi anche solo girarmi.
“Non è vostra la decisione, ma di vostro padre.”
Alla sua sfacciataggine risposi con altrettanta sfacciataggine.
“Lo avete mai visto sollecitare le nozze? I fidanzamenti servono solo a mantenere le alleanze. Per lui può servirci la Scozia, per me troveremo più appoggi altrove. So che non è ciò che non volete sentire…”
“Non mi amerete mai.”
Mary era ancora una bambina, credeva davvero che l’amore era un sentimento che noi reali potevamo permetterci. Era un’illusa. No, non l’avrei mai amata, nemmeno il giorno che ci saremmo sposati.
“Se io rivelassi a tutta la corte che non avete intenzione di sposarmi? Le cose cambierebbero” disse, cogliendomi di sorpresa.
“Un… un giorno potrei sposarvi.” Dissi. Mi aveva messo alle strette. La corte non poteva sapere che non avevo nessuna intenzione di prendermi le mie responsabilità. Mio padre non avrebbe mai dovuto sapere cosa avevo detto a Mary poco prima.
“Se lo diceste a qualcuno non potremmo mai più sposarci, anche se le cose vanno come vogliamo che vadano.”
La vidi sorridere, un sorriso quasi impercettibile, ma di quelli che ti fanno capire che nel cuore dell’altro si è aperta una porta, quella della speranza.
Si avvicinò un po’ di più al mio viso, permettendomi di analizzare ogni piccolo dettaglio del suo viso.
“In quanto futuro re di Francia, se io fossi solo una fanciulla e non avessi un regno, lo vorreste questo?”
Non sapevo cosa risponderle, perché nemmeno io sapevo cosa volevo. Volevo davvero evitare di prendermi le responsabilità, o volevo sposare quella ragazza, che come un uragano era tornata nella mia vita? Lo volevo? Non lo sapevo.
 Sapevo solo che mi piaceva guardarla negli occhi. Quelle iridi castane, che al sole diventavano color oro. Mi piaceva guardarle e perdermi nel suo sguardo, tra i suoi pensieri e le sue emozioni.  Mi avvicinai ancora di più, non sapevo quello che stavo facendo, fino a quando i miei pensieri tornarono a funzionare e mi ricordavano che no, non potevo dare false speranze a Mary e no, non potevo sperare io in qualcosa che non sarebbe mai accaduto.
“Non posso, non voglio.” Dissi e senza neanche guardarla mi allontanai, cercando di tornare quanto più in fretta nelle mie camere. Non mi girai nemmeno una volta, non potevo mostrarmi vulnerabile a Mary, non era giusto. 

  
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