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Autore: fannyswriting    10/05/2016    2 recensioni
La notte, con le sue luci, era sempre appartenuta a loro. Attraverso l'innocenza dell'infanzia, il vortice devastante delle dipendenze e l'equilibrio al di fuori di esso.
[Gerard e Mikey Way.]
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gerard Way, Mikey Way
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Luci Notturne



« Will you drive me back? Can you take me home?

The lights we chase, the nights we steal. »

Brother, Gerard Way



« These bright lights have always blinded me
These bright lights have always blinded me; I say,
I see you lying next to me, with words I thought I’d never speak
Awake and unafraid. »

Famous Last Words, My Chemical Romance



« Hey, lately I could see you in the bright lights

Hey, maybe I could catch you on the right night

All my life, because I know where you come from. »

Lately, Electric Century {Mikey Way}

 

 

Quando Mikey aveva cinque anni faticava spesso a dormire.
Ci provava, eh, eccome se ci provava — si accucciava con convinzione nella metà inferiore del loro letto a castello, completamente raggomitolato tra le coperte, e iniziava diligentemente a contare le pecorelle, mentre Gerard già riposava.
Poi però le ore passavano e lui si stufava e allora si metteva seduto, guardava fuori dalla finestra e contava le stelle. Non che lo aiutassero a dormire, ma di certo erano più belle delle pecore immaginarie. E poi, a Mikey le pecore immaginarie in fondo non piacevano proprio, perché ecco, Mikey non aveva neanche l’amico immaginario, quello che i bambini hanno sempre.
A che gli serviva inventarsi qualcuno con cui parlare? Lui aveva Gerard. Così di notte invece di contare animali inesistenti contava le stelle e si sforzava di non perdere mai il filo e quando le aveva contate tutte saliva la scala di legno, piano piano, fino al letto superiore e scuoteva suo fratello per le spalle.
A detta di Gerard - « Tuo zio mi ha fatto venire un infarto! », raccontava a Bandit, ogni singolo Natale -, la prima volta si era spaventato a morte. 

Era scattato a sedere, bisbigliando terrorizzato « Mikes? Stai bene? E’ tardissimo! ». 

Poi si era abituato. Stava all’erta, anche nel sonno, aspettando il tocco lieve della manina di Mikey, e quando lo ritrovava di fianco a sè gli faceva posto nelle copertine e gli chiedeva quante stelle ci fossero quella notte.
« Centocinque. »
« Centocinque? Erano centosei, ieri. »
« Sì, ma una è scappata via. »
« E dove? »
« Su un altro pianeta. »
« Pianeti e stelle sono la stessa cosa, Mikey. »
« No. »
« No? »
« No! I pianeti e le stelle sono fratelli. Come noi. »
« E tu come lo sei? »
« Me l’ha detto la stella che è scappata via. Perché le mancava suo fratello. »
Così le notti divennero i loro momenti, rubati al mondo, illuminati dalla fioca luce di astri lontani.



La notte rimase loro, loro soltanto, in tutti gli anni a venire.
Anche le notti peggiori rimasero un loro ricordo, un loro istante condiviso. Quando Gerard compose Famous Last Words, era notte fonda.
L’orologio segnava le quattro del mattino e Mikey si era addormentato crollando a terra dopo aver rimesso l’anima per ore - il solito effetto del solito alcool, nulla di nuovo e nulla di strano. Gerard, dal canto suo, non era l’emblema della lucidità, affatto; aveva gli occhi rossi e stanchi e vuoti. A tratti aveva l’impressione di essere in qualche modo già morto, ucciso per pietà da qualche buon’anima, e di osservare il suo corpo da fuori, come un fantasma oltre il velo o un uomo imbambolato davanti a uno schermo al plasma.
Si muoveva per inerzia, dormiva per inerzia, esisteva per inerzia, beveva per inerzia; paradossalmente, non scriveva mai per inerzia. Lo faceva per sentirsi, forse, più reale, e concludeva i brani sentendosi più spento, fragile, trasparente.
Quella notte non faceva differenza. Fissava il vuoto, incapace di chiudere occhio, e fissava suo fratello steso sul pavimento. Era convinto che se fosse rimasto un singolo briciolo di se stesso in lui, prima del più totale annientamento, sarebbe stato puro istinto di protezione verso Mikey.
Così stava lì, a sedere su un divano mezzo rotto, nel vuoto della stanza e nel vuoto della sua mente, convinto di questa assoluta certezza, come una legge stabilita dall’alto. Stava lì, a perdersi nei fili dei suoi pensieri, corrotti da fango e catrame.
Poi - come fossero di nuovo bambini - fu Mikey a svegliarlo da quel torpore.
« Gee », biascicò, svegliatosi di colpo e sudato da un qualche incubo.
Gerard scese dal divano e si inginocchiò al suo fianco. « Mikes. Mikes, è tutto okay. »
« Gee, non ne posso più di tutto questo. » Gerard impallidì. Non era la prima volta che sentiva quelle parole e solitamente erano seguite da « lasciami morire e basta ».
« Mikes — », iniziò, con la voce roca e il cuore in gola.
Suo fratello lo interruppe. « Non ne posso più. Voglio stare meglio. Voglio stare meglio. »
Non c’erano stelle quella notte, l’unica luce era il neon di una lampada rotta, funzionante a intermittenza. Gerard le vide lo stesso, però. 

Tutte e centosei, accecanti, negli occhi di Mikey.



« Oggi è un anno. »
Gerard si voltò. « Cosa? »
Era notte, e i My Chemical Romance erano svaniti da quasi tre anni. Mikey era a casa di Gerard da ore; aveva passato la serata con Lynz e la bambina, aveva aiutato in cucina e aveva fatto divertire Bandit. Poi le ragazze di casa erano andate a dormire, le stelle erano comparse in cielo, l’aria fresca d’autunno aveva avvolto il balcone e Gee e Mikey erano rimasti seduti lì, su sedie nere di metallo, a fissare il cielo e parlare di arte, di musica, di fumetti, di progetti - di vita.
« Oggi è un anno che non tocco una singola goccia. »
Lo sapeva, ovviamente. Contava i giorni. Ne aveva anche parlato al suo psicologo, preoccupato che fosse forse un po’ troppo ossessivo tenere il conto sul calendario.
Lui, però, aveva sorriso. Stavano parlando del fatto che la sua terapia farmacologica funzionasse grandiosamente nel mantenerlo stabile, in verità, ma Gerard aveva parte della testa sempre da un’altra parte, e se ne usciva con domande completamente incoerenti col contesto. Il terapeuta ci era ben abituato.
« Ci tiene tanto a lui », aveva osservato.
Gerard aveva annuito, con uno sguardo fiero. Tutto l’orgoglio del mondo.
Quella notte, si voltò verso suo fratello con la stessa luce negli occhi. L’avevano inseguita a lungo, quella luce. Entrambi, per troppi anni. Così tanti anni da sentirsi dire che forse non nascere e basta sarebbe stato meglio, così tanti anni da dubitare che esistesse un equilibrio al di fuori di quel vortice.
Gerard non si rese neppure conto di stare piangendo dalla gioia, ma da qualche parte nella notte le stelle lo videro.
« Sei grande, Kobra Kid ».



Note:
I My Chemical Romance non mi appartengono. Gerard e Mikey Way non mi appartengono, moglie e figlia di Gerard Way non mi appartengono, nessuno in questa storia mi appartiene, niente è a scopo di lucro, i pezzettini di cuore che avevo prima non mi appartengono, e via dicendo.
Null’altro da aggiungere, se non che voglio essere come i Way un giorno. 

   
 
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