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Autore: Black Swallowtail    13/05/2016    1 recensioni
"Ogni giorno, ogni singola volta, la scatola attorno a me diveniva così densa ed impenetrabile da deformare il mondo esterno un po' di più, come attraverso un opaco strato di vetro che mi rimandava una distorta immagine di quel che mi circondava.
Non sono mai riuscita ad essere qualcuno, per qualcuno – come se il mio viso, il mio nome, la mia esistenza, non potessero rimanere impresse nelle loro menti."
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Azure Kuri è una studentessa incapace di formare legami con gli altri, incapace di rimanere impressa nelle loro menti. Condannata alla solitudine e ad essere una figura pallida e dimenticata, desidera ardentemente di non dover più provare nulla - nemmeno questo dolore.
L'incontro con uno strano gatto che sembra distorcere la realtà la condannerà per due anni a vivere una vita incolore e priva di emozioni, finché, un giorno, qualcuno non la chiama presso un'aula in disuso della scuola.
Questa persona che la attende le rivelerà una via d'uscita dal mondo incolore che la circonda e le mostrerà cosa c'è al di sotto della realtà, dove solo chi crede può vedere — un mondo sovrannaturale invisibile agli occhi del mondo.
Ma non a quelli di chi sceglie di credere.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scary Monsters and Nice Spirits'
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Nameless - The days when I was a fading no one

 

I

Be careful about what you desire.

Non sono mai spiccata tra gli altri per le mie qualità. Sono sempre stata una di quelle persone che vengono definite "mediocri", talmente nella media da sparire nella massa delle altre persone, un viso come gli altri in un mare di individui, nessuno uguale, nessuno davvero differente. Non ho mai avuto un talento particolare per lo studio, né capacità fuori dal comune nello sport o in generale in qualsiasi attività; i miei voti non erano né alti, né bassi, ma sempre collocati a metà dell'asticella, variando leggermente da materia in materia, come se perfino anche in semplici termini numerici fossi incolore come in ogni altra cosa – perfino nei tratti del mio viso, ordinari fino all'esasperazione. Nemmeno degna del grigiore che si vuole attribuire alle persone vuote, di nessun colore. I miei compagni di classe, in alcune occasioni, dimenticavano perfino il mio nome; non parlavo molto, rimanevo sempre, per la maggior parte, in silenzio e da sola, in un angolo della classe, con il mento poggiato sul palmo della mano e la mente che vagava lontana, senza fermarsi precisamente su alcun pensiero, se non quella domanda che mi tormentava in alcuni momenti di solitudine – è davvero così importante che io esista, alla fine? Senza nessuno ad aspettarmi, nemmeno a casa, senza alcun compagno di classe a parlarmi più del necessario, limitandosi a formali domande e scambi di cortesie, senza alcun vero desiderio di sottrarmi da questa situazione alla quale mi ero rassegnata, rimanendo in perfetto equilibrio senza mai tendere né da una parte né dall'altra, in bilico nello spazio senza colore infinito ed assoluto, potevo effettivamente dire che vi fosse qualcuno a cui importi di me? Erano pensieri che balenavano nella mia mente, vaghi ed indefiniti, tremolanti, che scomparivano nel momento in cui la mia mente prendeva una qualsiasi direzione, ricadendo in banalità come una lista della spesa che avrei dovuto fare quel giorno, o come sarebbe stato il prossimo test di inglese della settimana successiva. Ma, nonostante questo, non potevo sentire che una profonda malinconia divorarmi dall'interno di me stessa, quando mi accorgevo di essere immobile, come pietrificata, in una situazione che mi avrebbe un giorno soffocata, convinta che avrei passato la mia intera vita nel limbo indefinito del nulla, condannata dal rimanere, per sempre, nulla più che una banale e scolorita macchia tra le altre, senza poter davvero essere qualcuno.

La verità, è che provavo una potente, schiacciante paura al solo pensiero di fallire nel tentativo. In me, palpitava il terrore di avventurarmi in territori sconosciuti e fuori dalla mia portata, che ai miei occhi apparivano tanto meravigliosi quanto irraggiungibili, e questo silente, subdolo presagio mi convinceva sempre più che per me non vi fosse speranza, a rimanere nella mia posizione, in quel territorio in cui mi ero rassegnata a stare, nonostante il conflitto che mi corrodeva quando lasciavo i miei pensieri liberi di muoversi, senza tenere le loro briglie. Temevo che, fallendo, avrei scoperto di essere condannata come scherzo crudele del destino a rimanere per sempre incolore e monotona, ed in quel caso, mi dicevo, avrei preferito rimanere nel dubbio e sopportare piuttosto questa bassa e continua vaga tristezza e malinconia nel guardare le persone attorno a me, come separate da un muro invisibile attraverso il quale non potevo passare. Ai miei occhi, ognuno di loro, seppur nella mediocrità, possedeva qualcosa che lo differenziasse e non capivo come facessero ad aver ottenuto quel qualcosa che mi sfuggiva, come una scintilla di luce nei loro animi che era fuori dalla mia portata, lontana dalla mia presa. Ogni giorno, il muro cresceva più spesso e più opprimente. Era un fattore che ritenevo, ormai, parte integrante ed inevitabile della mia esistenza. Ogni giorno, ogni singola volta, la scatola attorno a me diveniva così densa ed impenetrabile da deformare il mondo esterno un po' di più, come attraverso un opaco strato di vetro che mi rimandava una distorta immagine di quel che mi circondava.

Non sono mai riuscita ad essere qualcuno, per qualcuno – come se il mio viso, il mio nome, la mia esistenza, non potessero rimanere impresse nelle loro menti. Non ho mai avuto un rapporto duraturo e profondo con una persona, a causa della mia timidezza e del mio carattere che sembrava allontanare le persone tutt'attorno, chiusa in me stessa e non so dire se questo sia la causa o la conseguenza della mia incapacità di rimanere nelle menti, nelle anime e nei cuori degli altri; non so nemmeno dire se questa sia dovuta al mio aspetto, o viceversa. O forse, alla fine, è solo una mescolanza di tutto questo – il mio carattere, il mio aspetto, la poca fiducia negli altri, la mia tendenza a perdermi in me stessa e a guardare al mondo con sospetto. Tutto questo, ha piantato in me il seme della malinconia cresciuto fino ad ora, della tristezza, della rassegnazione. Ho desiderato che tutto ciò cessasse, perché se avessi dovuto soffrire così per tutta la mia vita, avrei preferito non sentire nulla ed andare avanti senza dovermi soffermare su me stessa o sugli altri e sentire la pessima sensazione attraversare il mio corpo dall'inizio alla fine, come un brivido gelido.

Per due anni, questa solitudine divorante è andata crescendo, ho sofferto questa incapacità di guardare avanti e di avvicinarmi agli altri, avvolta dal velo incolore che mi era caduto sulle spalle, finendo perfino per sentirmi disperata ancor prima di tentare di rassegnarmi e di sotterrare tutto sotto il pesante macigno della convinzione che non vi fosse via d'uscita.

Ed era così che mi sentivo, lacerata, desiderosa solo di lasciarmi tutto alle spalle, quando lo incontrai per la prima volta. Era quell'ora che sta tra il crepuscolo e la notte, quando ancora le stelle brillano tenui sul cielo che sfuma dall'arancione e dal rosato del tramonto morente al violaceo e poi al profondo blu, al nero della notte. È un'ora particolare, che, come me, camminava esattamente tra gli estremi senza cadere in nessuno dei due, un'ora di incertezza, tremolante, che può cambiare in un unico, gentile soffio – un'ora che qualcuno definisce incline alla stregoneria, ai peggiori prodotti del sovrannaturale.

Se ne stava cautamente poggiato sulle quattro zampe sull'orlo del marciapiede, e la sua figura ricordava quella di un gatto ma era talmente evanescente ed incerta, come se il mondo fosse sfocato, incerto attorno a lui; quasi come se la realtà fosse stata un vecchio televisore rotto attraversato da scariche elettriche che lo rendono tremante ed indefinito, quasi in pezzi, scosso da interferenze e statiche. Il suo muso era l'unica parte del suo corpo, che era di una sfumatura color inchiostro, più profonda del cielo che ormai andava versando verso la notte, ad essere più chiaramente riconoscibile – seppur non avesse veri e propri tratti facciali distintivi al di fuori di una trasversale bocca bianca più simile ad uno squarcio brutalmente aperto con un coltello nella sua non esistente carne, e due fori biancastri, privi di ogni emozione, completamente vuoti. Inespressivi. Stava lì, a soli tre passi di distanza, immobile come una statua, senza accennare nemmeno un singolo movimento e, ai miei occhi, non poteva che essere una allucinazione – se la sua sola presenza non mi avesse mandato una sensazione di attanagliante, totalmente cieca sensazione di soffocare. Per la prima volta nella vita, provai una paura così dirompente e potente da ardermi fin nelle viscere, congelandomi sul posto, sgombrando la mia mente da ogni pensiero, semplicemente lasciandomi paralizzata lì, in piedi, con il cuore che minacciava di esplodere e il mio corpo scosso da un vago, ma sempre più crescente e violento tremore. Congelata. Incapace di muovermi. Nonostante non avesse dei veri occhi, attraverso quelle due voragini era come se mi stesse scrutando fin nel profondo, esplorando i recessi più reconditi del mio spirito, quasi fossi trasparente, scoperta davanti al suo sguardo invisibile ma che avvertivo chiaramente attraversarmi la pelle.

Ed in quel momento, un'ondata di malinconia, quasi pietà, si abbatté su di me, come se una diga posta attorno alle mie sensazioni fosse improvvisamente crollata, sommergendomi tutto d'un tratto, attraversando ogni parte del mio essere, da cima a fondo, in uno scorrere potente ed impetuoso. In quel momento, era come se avessi sentito, dopo così tanto tempo, dopo anni di solitudine, di schiacciante abbandono della comprensione, della consolazione – una pietà così carezzevole da aver confortato il mio cuore. Non proferii una sola parola, travolta da quell'improvvisa cascata di emozioni che si intrecciavano tra di loro, ma potei sentire chiaramente qualcosa spezzarsi con un sordo rumore che, tuttavia, esplose solo nella mia mente, un distinto infrangersi di qualcosa. A quel rumore, l'intero mondo davanti ai miei occhi fu come attraversato da un'onda, che lo increspò, lo fece tremolare come uno specchio d'acqua scosso da un sasso che affonda, e nell'istante seguente, il gatto che era comparso dal nulla, non era più lì. Rimasi sola, ancora paralizzata, a chiedermi se quel che era appena accaduto fosse reale, non un prodotto della mia immaginazione, ma qualcosa di realmente accaduto; un mio lungo, strano sogno, talmente realistico da apparire vero, ingannando la mia mente ed i miei sensi.

L'unica cosa di cui sono certa è che, quando mi svegliai il giorno seguente alle prime luci dell'alba che entra gentilmente attraverso la finestra lasciata aperta, filtrando per le tende e rifrangendosi di un caleidoscopio multicolore, non riuscivo a sentire nulla. Per quanto cercassi, mi sentivo vuota, priva di ogni preoccupazione, di ogni problema, di ogni pensiero – priva di sensazioni. In un modo che non riesco ancora a comprendere, quel giorno, persi la capacità di provare emozioni, come se in qualche modo un mio desiderio fosse stato esaudito e tutto quel che mi infliggeva dolore mi fosse stato strappato via, lasciando nient'altro che, al suo posto, un immenso e sconfinato nulla. Incapace di sentire qualunque cosa, vuota, non potevo nemmeno dispiacermi o rimpiangere quel che era accaduto. Da una parte, pensai che fosse meglio così, perché non avrei più sofferto. L'immagine del gatto e del suo sguardo rimasero impresse nella mia mente, insieme al rumore secco che avevo udito dopo quella tempesta improvvisa che aveva travolto la mia anima. Non sapevo cosa fosse accaduto, l'unica cosa che potei fare fu andare avanti con la mia vita. Il mondo sembrava un po' più grigio, quel giorno.

Un anno fa, ho incontrato in un sogno un'ombra indefinita, dalle vaghe sembianze di un gatto, senza occhi né bocca, senza corpo né forma.

Un anno fa, qualcosa mi è stato strappato via senza che riuscissi ad accorgermene.

Un anno fa—ho perso tutte le mie emozioni.

   
 
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