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Autore: Vago    13/05/2016    2 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Il gruppo era radunato intorno alla fiamma scoppiettante circondata da un circolo di pietre. Sopra a dei bastoni piantati nel terreno rosolavano i cinque pesci che avevano abboccato quel pomeriggio, poco più in là, verso la foresta, erano state lasciate abbandonate le borracce vuote, una addossata all’altra.
Una volta finita l’acqua potabile, l’unica fonte di acqua sicura era rimasta Mea, che riusciva a filtrare quella marina eliminando il sale in eccesso. Quello che ne rimaneva era un’acqua potabile dal sapore orrendo.
Con quello erano passati quattro giorni da quando avevano lasciato il messaggio in balia della magia, confidando che il reggente dei draghi lo leggesse.
Non si potevano vedere né luna, né stelle e un brontolio lontano di tuoni faceva presagire un temporale in avvicinamento.
Hile estrasse il coltello che gli aveva donato Renèz, ammirando i bagliori rossastri del fuoco sulla lama.
Alla sua sinistra Jasno guardava il cielo scuro con il largo cappuccio che gli ricadeva floscio sulla schiena, ora che il sole non poteva toccarlo.
Alla destra del Lupo, invece, Keria era intenta a far ruotare un pesce che aveva cominciato a produrre un fumo per niente accattivante.
- Quattro giorni ci avevamo impiegato per arrivare fin qui, vero?- chiese Nirghe sdraiato al di là del fuoco.
Quella era diventata quasi una domanda rituale. Ogni sera qualcuno la riproponeva cercando conforto nella risposta.
- Si, quattro giorni.- ripose Mea dalla spiaggia sabbiosa.

Che c’è? Perché mi guardate così di storto?
Credevate che avrei fatto quello che mi ha ordinato quello zotico di un re rettile?
Con lui potevo tirare fuori una mela dal cappello e fargliela passare per un sasso raccolto sui grandi monti mangerecci delle terre del sud. Non conosceva un’acca di magia, non penso abbia mai visto un incantesimo in vita sua, fatta forse eccezione per quella roba malfatta che praticano i suoi guaritori.
Se mi facessi vedere dalla maga mi scoprirebbe in mezzo secondo.
Comunque ha detto che sarebbe venuto, no? E, allora, di cosa vi preoccupate?


- Se comincia a piovere, non farti problemi per il fuoco, lo riaccendiamo non appena ricomincia a fare bello. Tu mettiti al riparo. – disse la mezzelfa in direzione del Gatto, rimasto seduto accanto alla fiamma una volta finita cena.
- Si… -
Cercavano di mantenere il fuoco acceso il più possibile, in modo che, se il re dei draghi fosse passato sopra di loro di notte potesse vedere quella luce.
Hile rimase sdraiato a fissare il soffitto curvo ghiacciato per quella che gli parve un’eternità. Quando il respiro di Jasno al suo fianco si fece regolare, l’ombra comparve al suo fianco, di profilo, con il volto rivolto al cielo e una cascata di quelli che apparivano capelli che le ricadevano sulle spalle.
Stettero lì, in silenzio, finché il Lupo non resistette più al richiamo del sonno e si addormentò placidamente.
L’ombra scomparve poco dopo.

La sabbia vorticava violenta contro le pareti esterne delle cupole.
Le acque si fecero mosse.
Il lanciatore di coltelli e l’Aquila si svegliarono di colpo in mezzo a quel trambusto. Attraverso le pareti opache della struttura riuscirono a scorgere un enorme essere scuro che si muoveva dinoccolato.
Un Nirghe ricoperto di sabbia bagnata si fiondò al coperto poco prima che una nuova sferzata colpisse le pareti di ghiaccio, investendo il Lupo e buttandosi con la schiena contro il muro interno. Il suo torace si alzava e abbassava violentemente, mentre il Gatto cercava di regolarizzare la respirazione accarezzando il fodero della spada di sinistra.
- Cosa diavolo sta succedendo là fuori? – urlò Jasno per superare il frastuono del vento.
- Credo siano arrivati tre draghi! – rispose lo spadaccino a tono.
- Cosa vuol dire credo? – gli disse attaccato all’orecchio Hile mentre si spostava in una posizione più comoda di quella in cui era finito.
- Lupastro, se vuoi uscire tu a controllare cosa sono fai pure! Io ho visto delle cose enormi e nere che scendevano dal cielo verso di me. Va bene? Voglio sperare siano i draghi, perché, altrimenti, abbiamo dei grossi problemi.-

Classico.
Una banda di zotici, cosa vi avevo detto? Sono proprio caduti in basso…

Quando la furia dei venti si fu placata, Hile osò sporgere la testa fuori dall’ingresso della cupola, con un coltello in mano, mai ci fosse stato bisogno di difendersi da qualcosa.
Del fuoco non ne rimanevano nemmeno le braci per rischiarare l’ambiente.
Una massa ancora più scura del cielo si muoveva scomposta sulla spiaggia, ingrandendosi e rimpicciolendosi a intervalli quasi regolari.
Poi, d’un tratto, la figura si ridusse fino a raggiungere poco meno di due metri d’altezza.
Il globo lattescente di Mea comparve sull’ingresso dell’altra cupola, fluttuando sempre più in alto per riuscire a spargere la sua luce su tutta la spiaggia.
La sagoma scura si rivelò essere il frutto della sovrapposizione delle tre figure degli uomini che ora guardavano circospetti la sfera luminosa.
- Siete voi gli individui che hanno avuto l’onore di parlare con il re Réalta?-

Non è venuto nemmeno di persona quel maledetto.
Credo che, non appena sarò libero da quel contratto, metterò mano al governo dragonesco. Non posso permettere che una razza promettente come la loro sia guidata da un totale incapace di quella portata.
Che peccato che l’intelligenza non sia tra quelle qualità che si ereditano.

- Si, siamo noi.- Gli rispose Mea uscendo lentamente dalla sua cupola, pronta a rispondere a qualunque azione i draghi avrebbero intrapreso.
- Il nostro signore ci ha ordinato di scortarvi fino alle coste delle Terre. –
- Volete partire immediatamente? – chiese scettica Keria uscendo a sua volta sulla sabbia. – o preferite riprendervi dal vostro ultimo viaggio, prima di ricominciare a viaggiare?-
- I nostri bisogni vengono dopo gli ordini del sovrano. Partiamo ora. – continuò l’uomo facendo un passo avanti in direzione delle assassine.

Le cupole si dissolsero in una nuvola di vapore che sbrilluccicava alla luce del globo, senza lasciare traccia della loro esistenza. Le borracce si riempirono di acqua al sapore di pesce e le bisacce vennero appesantite un poco dai pochi viveri che i draghi avevano portato per le persone che avevano incontrato Réalta.
Partirono di lì a poco puntando verso est. Da qualche parte, davanti a loro, si doveva stendere la Piana Umana, seguita dalla catena dei Monti Muraglia e, ancora oltre, dal deserto.
Piovve.
Piovve per due giorni consecutivi.
Alla fine della seconda notte di viaggio Mea si era arresa, esausta, nel cercare di proteggere i suoi compagni dalla mole d’acqua che dal cielo precipitava nel mare passando, durante il tragitto, lungo i volti e negli abiti oramai zuppi.
Le squame di drago su cui sedevano risplendevano ogni volta che il cielo cupo veniva squarciato da un lampo e il mondo tremava a ogni tuono fragoroso che riempiva l’aria.
Hile dovette aggrapparsi con più forza alla spina cervicale del drago violetto su cui era seduto per non cadere quando Jasno, alle sue spalle, cercò una posizione più comoda su quel dorso duro, squamoso e viscido.
Davanti a lui, in testa, si apriva la strada tra le correnti un drago dalle squame rosse come il fuoco vivo.

Il sole sorse solo quando, finalmente, le coste delle Terre divennero visibili e i campi dorati da mietere parvero risplendere come un suo riflesso sulla Piana Umana.
I draghi atterrarono bruscamente, facendo urlare di dolore le escoriazioni che tappezzavano le cosce e i polpacci degli assassini, che appoggiarono incerti i piedi a terra.
I draghi si scrollarono di dosso le ultime gocce che si erano infilato tra le squame, per poi riprendere forma umana.
Tornò a parlare l’uomo della prima notte. Alla luce del sole il suo portamento risultava fiero, il mento puntava al cielo, lasciando bene in vista la gola, e lo sguardo passava da un ragazzo all’altro freddo e distante.
- Il nostro signore vi manda anche i suoi auguri per la riuscita della vostra impresa.-
- Ha lasciato detto altro per noi?- chiese la maga con voce dura.
- No. Con il vostro permesso, noi abbiamo terminato il nostro compito e il viaggio di ritorno non è breve.-
Un drago rosso e uno viola spiegarono le loro immense ali e, sollevando la sabbia dal terreno in vortici, si alzarono in volo puntando il muso verso nord.
Sulla spiaggia i sei assassini rimasero soli con un giovane. Non dimostrava più di vent’anni, in quella forma.
- Dovete perdonare mio fratello. Lui è a capo del movimento che vuole impedire una nuova collaborazione tra la nostra razza e la vostra. È convinto che il morbo della squama grigia sia stato un complotto da parte di umani ed elfi per sterminare la mia specie. Come avrete capito, io, invece, non sono così complottista… - le labbra del drago si incresparono in un sorriso. – Perdonate la mia scortesia. Non mi sono ancora presentato. Il mio nome è Vanenir II, quartogenito della casata reale. Prima avete conosciuto mio fratello Salema, il secondogenito. Réalta lo avete già conosciuto. Per quanto riguarda il terzogenito della nostra famiglia… il morbo ce lo ha portato via oramai quindici anni fa…-
- Quindi tu saresti uno dei nipoti di Erdost e Fariuna?- chiese Hile guardando con nuovi occhi il giovane sorridente che stava in piedi di fronte a lui.
- Precisamente.-
- E potresti diventare anche il re dei draghi?- chiese Seila in un impeto di curiosità.
Un silenzio pesante cadde come un masso.
- Diciamo che c’è una recondita possibilità. – le rispose il drago con il sorriso sbiadito. – Ovviamente prima di me, in linea successione, c’è, ovviamente, Réalta e, se mai ne avrà, i suoi eredi. Poi sarebbe il turno di Salema. Ed infine ci sarei io. Diciamo che, perché io arrivi a quel trono, ci dovrebbe essere uno sterminio nella mia famiglia… oppure avrei bisogno di forti sostenitori dalla mia parte.- ora il suo sorriso si era fatto amare e gli occhi si erano velati.
- Grazie di tutto, Vanenir II. – gli disse Mea incrociando gli avambracci davanti al petto e inchinandosi in segno di rispetto.
- Per gli amici dei miei nonni, solo Vanenir. È stato un onore conoscervi, spero che i nostri destini si incrocino di nuovo, in futuro. Che il vento soffi sempre verso la vostra meta. –
Un drago dalle squame gialle come il sole si alzò in volo e si diresse verso le due lontane figure nere che si stagliavano nel cielo.
- Allora qualche drago in gamba esiste. Ce ne fossero di più come lui…- disse Nirghe voltando le spalle al mare e scrutando la pianura davanti a sé.

Ce ne fossero di più come lui, dici…

- Ora però abbiamo un problema più grande… disse Hile facendo qualche passo incerto verso l’entroterra. – Dove andiamo?-
- Non stai accelerando leggermente i tempi? – gli chiese Keria avvicinandosi zoppicante.
- In che senso?- chiese il Lupo voltandosi verso l’arciere.
- Guardati le gambe.-
I pantaloni da cittadino era strappati in più punti sull’interno, il tessuto era intriso d’acqua e aveva assunto una tinta rossastra. Sotto gli strappi si potevano vedere chiaramente lembi di pelle arrossata che non riusciva più a coprire tutta la carne viva dell’interno coscia.
- Perché non sento male? – chiese incredulo il lanciatore di coltelli sedendosi sul terreno con le gambe distese di fronte a sé per poter guardare meglio il macello mal coperto dal pantalone.
- Ringrazia il freddo delle quote che abbiamo raggiunto. – gli rispose la mezzelfa tranquilla. – Non appena comincerai a scaldarti vorrai morire.-
- Io proporrei…- Jasno smise un attimo di parlare quando gli sguardi dei suoi compagni di viaggio si voltarono all’unisono in direzione del suo cappuccio – Io proporrei di accamparci qui finché Mea e Seila… se possono… finiscano di curare le nostre ferite… poi potremo ripartire, no?-
- Certo.- gli ripose risoluta la maga.

Vabbè, mentre la maghetta tira di nuovo su le cupole io vi intrattengo con i profondi pensieri filosofici che ho partorito durante questo fantastico viaggio appena fatto.
L’acqua è maledettamente bagnata.
No, davvero. Non sto scherzando. Ero un sasso nella borsa di Mea e sentivo l’umidità infiltrarsi nelle mie ossa.
E ripeto, ero un maledetto sasso.
Meno male che hanno avuto il buon senso di chiudere le mappe in una bottiglia di vetro, altrimenti ne sarebbe rimasta una melma schifosa.
Oh, guarda! Hanno già finito con il campo! Come passa veloce il tempo quando si parla della pioggia!
Eh… quella fanghiglia in mano a Seila non mi ispira per niente, spero per loro che non sia da mangiare, altrimenti non ci sarà bisogno del demone per farli fuori.

Hile si mosse appena all’interno della cupola. Mea aveva maledettamente ragione. Le sue gambe, ora pulsavano e gridavano di dolore come se qualcuno le avesse gettate nel fuoco.
La maga aveva fornito una specie di primo soccorso, chiudendo i tagli più profondi e sistemando le infezioni più gravi, poi Seila si era messa a impastare alcune erbe, dicendo che conosceva la ricetta per un unguento che avrebbe accelerato notevolmente il processo di guarigione.
Ora stavano facendo una specie di processione per ricevere la propria dose di pomata.
L’aria si riempì di un urlo mal soppresso di Nirghe.
Il Lupo cominciò a sudare freddo. L’ultima volta che aveva gridato di dolore nemmeno se la ricordava, li avevano addestrati a sopportare qualunque cosa e un urlo non poteva voler dire nulla di buono.
Il Gatto rientrò nella cupola con le gambe larghe e gli occhi lucidi di lacrime. Nirghe si lasciò cadere faccia avanti sulla coperta stesa a terra, gemendo quando le cosce toccarono la lana ruvida.

È in questi momenti che ringrazio di poter non avere un corpo fisico.
Voi avete mai visto uno sbuffo di fumo arrancare per il male alle gambe? Si? Diavolo, fatemela conoscere, che se la rivendo mi metto a posto per la vita con i soldi… se avessi bisogno di soldi.

Hile diede uno sguardo in direzione di Jasno, che non accennò a volersi alzare. Il ragazzo prese un respiro profondo e si portò in piedi, arrancando faticosamente prima sull’uscio del riparo in ghiaccio, poi dall’erborista, che gli mise in mano un pugno di una sostanza melmosa dall’odore nauseabondo.
- Spalma questa ovunque ci siano delle ferite. Per dopodomani anche le più gravi dovrebbero essersi rimarginate. –
Il Lupo fece come gli era stato detto, sperando che quella pomata nauseabonda dal colorito marrone scuro non peggiorasse la condizione delle sue gambe martoriate.
Il balsamo era freddo, quasi piacevole sulle slabbrature della carne che pulsava a ogni battito del cuore. Per un momento ad Hile parve di essere ritornato in piena salute, non sentiva più né dolore né intorpidimento, poi la pomata cominciò a reagire al contatto con la carne viva.
In un attimo il lanciatore di coltelli capì cosa aveva spinto Nirghe a urlare. Gli parve che una colonia di scorpioni gli fosse stata gettata sulle ferite, e che questi avessero cominciato a colpire ripetutamente le zone già rovinate con chele e pungiglioni.
Il dolore pizzicante divenne quindi bruciante, come se quella colonia avesse improvvisamente deciso di prendere fuoco e lasciarsi divorare dalle fiamme in quelle spaccature delle cosce.
All’assassino salirono le lacrime agli occhi, mentre ogni muscolo si irrigidiva in tensione, come la corda di un arco giunta al suo limite.
Ci vollero diversi minuti, prima che il dolore si placasse. Solo allora Hile si alzò piano da terra e, adagio, provò a raggiungere la cupola che lo avrebbe ospitato per la notte.

Voi mi conoscete, no? Normalmente sono particolarmente curioso riguardo alle cose che mi circondano. Beh, credo che per questa volta farò un’eccezione, non credo di voler davvero sapere cosa c’è dentro quella fanghiglia. Sarà miracolosa finché vuoi, ma gradirei farne a meno, grazie.

Cosa?
Non volete venire a conoscenza delle incredibili cose accadute nei due giorni in cui questi ragazzini hanno camminato a gambe larghe?
Vabbè, come preferite. Allora ve lo riassumo brevemente.
Non è successo nulla.
Direi che sono stato sufficientemente breve.
Per lo meno quella mistura ha funzionato, non sono ancora come nuove, ma almeno non ci sono tagli profondi due dita dentro la carne della coscia.

Era arrivato il momento di decidere cosa si sarebbe fatto da lì in avanti. Hile guardò i pantaloni che portava indosso, sotto gli strappi del tessuto si poteva ancora vedere la pelle arrossata là dove prima era stata scorticata.
- Io vi ho già detto cosa penso.- disse secco Nirghe – Dovessimo muoverci assieme impiegheremmo dei mesi per raggiungere tutte le posizioni. E, poi, se sono delle prove quelle che ci attendono, sarebbe stupido andare tutti insieme per dimostrare il nostro valore come assassino. No?-
Il silenzio calò sui sei ragazzi in cerchio. Nemmeno Mea osò dire qualcosa.
- Ma… - cominciò a dire Seila – Come facciamo a sapere dove andare?-
Il pugno di Nirghe si strinse impercettibilmente, mentre i suoi muscoli si irrigidivano. Avrebbe voluto saltare alla gola dell’erborista, dopo quella domanda. Come potevano sapere, loro, cosa fare?

La comincio a trovare pesante. Davvero.
Normalmente cerco di farmi piacere tutti, ma lei è insopportabile, dai.
Potrei paragonarla a un riccio di castagna che ti si infila nello scarpone e, a ogni passo, ti ricorda di essere lì per darti fastidio.
Insopportabile.

- Io avrei un idea… - disse l’arciere con un filo di voce, abbozzando un sorriso incerto. – Però se non vi convince il mio ragionamento fermatemi. Noi siamo destinati ad arrivare alla nostra prova, quindi se prendessimo la mappa, la dividessimo in sei parti e ognuno ne prendesse uno, il Fato ci metterebbe in mano la nostra meta, no? –
Hile si stupì di quanto quel ragionamento, per quanto fosse privo di fondamento, filasse. Poi un dubbio gli attraversò la mente. – Mea, se strappassimo la mappa, l’incantesimo svanirebbe?-
La maga prese in mano la cartina, studiandola con occhio attento per una manciata di secondi.
- Questa è stata incantata con la prima forma di magia, quindi non c’è il rischio di cancellare o rompere la runa strappandola. Se è stata fatta bene non dovrebbero esserci problemi se la dovessimo rompere.
Con il passare dei minuti l’idea di Keria prese sempre più piede, alla fine sei pezzi di carta ingiallita caddero a terra.
Ognuno ne prese uno, in silenzio, senza guardare quale meta fosse presente sul quello stralcio di cartina.
Solo quando tutti ebbero in mano il loro pezzo le direzioni vennero rivelate.
A Hile era capitata la macchia sui Muraglia, poco a nord rispetto al passo del messaggero che collegava le terre orientali a quelle occidentali.
- No! Non mi piace! Non è giusto! La mia è la più lontana! – si mise a piagnucolare Seila – Non ci arriverò mai! –
Mea si spazientì, facendo un passo avanti.
Il Lupo si preparò a fermare la maga, temendo che volesse colpire Seila. Per fortuna non successe nessuno degli scenari che Hile si era immaginato. La maga strappò dalle mani dell’erborista il suo pezzo di mappa, lasciandole il suo con un moto d’ira repressa.
Il lanciatore di coltelli diede un altro sguardo alla sua meta, sospirando.
“Non ci resta che confidare nel Fato…” fu il suo unico pensiero.

Ti dirò un piccolo segreto. Non è mai una buona idea confidare nel Fato, è una carogna. Guarda dove sono finito io a fidarmi di lui. 

   
 
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