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Autore: Lory221B    14/05/2016    5 recensioni
Sherlock preferirebbe sprofondare in una realtà fittizzia o lasciare Londra, piuttosto che vivere una vita in cui John non è sempre al suo fianco. Ma deve finire proprio così?
[Johnlock]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di sir A.C.Doyle, Moffatt, Gatiss BBC ecc.; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento



Sepolto nel palazzo mentale



Cap. 1 - Mad World


John era seduto sul divano, intento a risolvere uno stupidissimo cruciverba mentre la moglie si occupava della cena.

Era terribilmente annoiato, da quando lui e Sherlock avevano risolto il mistero del ritorno di Moriarty,  non c’erano più stati casi degni di nota. A dir la verità, cominciava a pensare che fosse Sherlock a non chiamarlo più e a non volerlo sulle scene del crimine, perché era davvero strano che non accadesse nulla da settimane.

Ma non era possibile che il detective non lo volesse vedere, più volte John gli aveva detto che le cose non erano cambiate dopo la nascita di Elisabeth, che era sempre il suo blogger.


Era successo che qualche volta era mancato ad alcuni appuntamenti col detective, non era facile programmare la vita tra la clinica, la figlia e tutto quello che ne conseguiva e forse Sherlock non lo capiva del tutto, abituato a una vita fatta di casi e null'altro.

Il trillo improvviso del telefono, lo scosse dalla propria apatia; era un messaggio di Greg Lestrade, seguito dalla telefonata alquanto agitata della signora Hudson.

Per un attimo la mano di John tremò, sotto il peso di quello che gli era stato comunicato: Sherlock era stato trovato sul pavimento del soggiorno di Baker Street, in overdose.

Senza rendersi conto, era già in auto e stava guidando verso l’ospedale, con la voce di Mary che gli chiedeva dove stesse correndo, che ancora gli rimbombava nelle orecchie.

Quello o anzi chi trovò in sala d’aspetto, non fu affatto di conforto. Mycroft e Lestrade erano seduti sulle scomode poltroncine rosse dell’ospedale, mentre la signora Hudson, visibilmente in stato di choc, passeggiava avanti e indietro sorseggiando un pessimo tè delle macchinette automatiche.

Gli sguardi non erano incoraggianti.

John non sapeva se prendersela con Mycroft che non lo aveva tenuto d’occhio o con la signora Hudson per non essersi accorta dello stato del detective. Ma la verità era che si sentiva in colpa, non si era fatto vivo per giorni e aveva evidentemente sottovalutato la dipendenza dell’amico.

Del resto non si era nemmeno accorto che era strafatto quando si erano salutati sulla pista dell’aeroporto mesi prima.

Solo dopo qualche ora di attesa snervante, di parole non dette e chiarimenti non richiesti, uno dei medici si affacciò nella sala d'aspetto per comunicare che il peggio era passato e che Sherlock era fuori pericolo. Ancora incosciente ma fuori pericolo.

John fece per alzarsi e andare a vedere come stava ma Mycroft lo freddò sul posto - Entreranno solo i parenti, nella fattispecie io -

John lo guardò stranito, Mycroft aveva spesso comportamenti che John non capiva ma quello era completamente insensato. – Mycroft, puoi spiegarmi? -  sbottò con tono perentorio e quasi minaccioso.

- No, John, potrai vederlo domani, quando si sarà ripreso; per adesso mi occuperò io di lui -

E si diresse verso la camera di Sherlock. Naturalmente John non si fece mettere in un angolo da Mycroft,  per cui lo seguì pestando i piedi, finché non si voltò - Dottor Watson, non vorrei essere costretto a chiamare la sicurezza –

- Mycroft, sei impazzito? -

Il maggiore degli Holmes immaginava che non sarebbe riuscito a far desistere John così facilmente, per cui optò per un compromesso. – D’accordo, ma non scodinzolargli attorno come un cucciolo, non è quello di cui ha bisogno –

- Lo so – ribatté John – Ha bisogno che qualcuno gli dica che è un idiota –

Mycroft sospirò ma non disse niente.

Le ore trascorsero senza novità rilevanti, Sherlock non aveva ripreso conoscenza, era disteso a letto, visibilmente dimagrito, bianco come le lenzuola dell’ospedale e con solo il battito sul monitor a testimonianza che fosse ancora vivo.

Sia Mycroft che John si erano arrangiati a dormire su una sedia per ciascuno, senza rivolgersi la parola, come se ognuno desse la colpa all’altro.

La mattina finalmente il detective aprì stancamente gli occhi. Ci mise qualche secondo per capire dov’era e cos’era successo.

Vide John addormentato sulla sedia e per un attimo si trovò a sorridere al pensiero che aveva trascorso tutta la notte lì, solo per lui. Poi notò anche la presenza del fratello e non poté trattenere un sospiro di insoddisfazione.

Proprio Mycroft fu il primo a svegliarsi e a notare che il fratellino era vigile. Gli lanciò uno sguardo stanco e scosse la testa.

Sherlock si limitò ad alzare le sopracciglia, come a dire che non era niente di nuovo e doveva aspettarselo. Mycroft fece per aprire bocca ma un rumore provenire dalla sedia di John, gli fece capire che anche il dottore si era svegliato.

John si stropicciò gli occhi e cercò subito l'amico con lo sguardo; sorrise, vedendolo sveglio, per poi assumere un'espressione contrariata, appena fatta mente locale sul perché si trovassero tutti lì.

Si alzò e si sedette sul letto - Sherlock, di nuovo. Avevi giurato di aver smesso, avevi... -

- John, risparmiami il solito discorso. - gli rispose, minimizzando la situazione ma senza il coraggio di guardarlo negli occhi.

- Certo, sei il grande Sherlock Holmes e fai quello che ti pare, che ti frega se intanto gli altri soffrono - sbottò. Sembrava esasperato.

Sherlock cercò qualcosa da dire per replicare, ma era abbastanza stanco per una risposta sagace e forse anche stufo di fingere di essere la macchina che tutti si aspettavano che lui fosse.

Mycroft, che aveva osservato la scena senza dire niente, imponendosi di non sottolineare la conversazione con battutine sprezzanti, mise fine al silenzio, in modo da poter restare solo con suo fratello.

- John, come ti dicevo vorrei parlare con mio fratello in privato. Tu, intanto, vai a prendere un tè e calmati, magari chiama tua moglie -

John lanciò uno sguardo velenoso, Mycroft era l’ultima persona che poteva ricordagli i doveri coniugali. Ma sul calmarsi aveva ragione, uscì dalla stanza, prima di assestare un pugno in faccia all’amico.

Appena la porta si chiuse, Mycroft si avvicinò al letto del fratello.

- E siamo di nuovo qui, Sherlock -

- È solo un overdose, capita -

- Era un overdose o un tentativo passivo di suicidio? -

- Non essere ridicolo -

- Non sto ridendo, Sherlock. Lo sappiamo benissimo perché siamo qui. Non credevo che un giorno avrei odiato il dottor Watson e invece eccoci qui. La rovina definitiva. -

Sherlock sollevò lo sguardo verso il fratello, tanta franchezza non se la sarebbe aspettata - Cosa stai dicendo? -

- Oh, Sherlock, per cosa pensi ti abbia sempre ripetuto di non farti coinvolgere, di non dare importanza ai sentimenti. Guarda dove ti hanno portato -

- Stai per ricominciare con il discorso Magnussen - affermò annoiato.

- Hai sparato ad un uomo, a sangue freddo. Non puoi far finta di niente, nemmeno tu. -

- Irrilevante - rispose facendo un cenno con la mano, come a scacciare un'immaginaria mosca. Ma il braccio gli ricadde pesantemente sul letto, era davvero debilitato.

- Ti stai autodistruggendo perché non sei in grado di gestire i sentimenti - commentò Mycroft - Forse dovrei sentirmi in colpa, avrei dovuto guidarti meglio? Insegnarti che anche la sofferenza serve? A gestirla in un modo che non comprendesse la cocaina? -

- Non lo faccio per sofferenza ma per noia - rispose, mentendo palesemente a Mycroft e a stesso.

- Non è vero, non più. Sei salito strafatto sull’aereo perché stavi dicendo addio a John Watson e a tutta la tua vita e ora continui perché non riavrai più la vita che volevi -

- Sciocchezze - rispose ancora il detective, certo che non avrebbe mai ammesso niente davanti al fratello.

- Sai, ho sperato tante volte che ti rendessi conto che John è solo un essere ordinario - sminuì Mycroft - Un pesce rosso, che di straordinario ha solo l'averti sopportato per tanto tempo - continuò, un po' per provocarlo, un po' perché davvero voleva che passasse oltre e dimenticasse John.

Sherlock sussultò, come poteva definire John ordinario?  
- John è...Bah non so neanche perché mi sforzo di risponderti. Sono debilitato Mycroft, lasciami stare. -

- Ho un’idea, pensaci su - fece il fratello guardandosi le scarpe.

- Europa dell’est? - Sogghignò.

- No, America, anche a Boston capitano omicidi e casi da risolvere. Ho dei contatti nella polizia e sarebbero ben felici di avere il tuo aiuto -

- Perché dovrei andare via da Londra? -

- Perché sarà sempre fonte di sofferenza. Ogni volta che John non risponderà alle tue chiamate, che non ti raggiungerà subito, quando gli manderai un sms per un nuovo caso, ogni volta che verrai raggiunto da tutta la famiglia Watson. Riceverai solo attese e lui ti darà solo briciole di tempo. Davvero ti basta? -

La domanda rimase in sospeso perché Sherlock non aveva alcuna intenzione di rispondere. Aveva ragione, altrimenti non sarebbe stato li. Da quando era nata la piccola Watson, le cose erano ulteriormente peggiorare. John era padre, marito e lui era soltanto il suo amico, fonte di distrazione quando John si sentiva  travolto dalla vita domestica.

Era quasi ironico, in effetti; nel periodo in cui avevano vissuto assieme, c’erano stati molti momenti domestici e John non se ne era mai lamentato, anzi a volte aveva lasciato che Sherlock andasse a fiocinare un maiale da solo, per restare a leggere il giornale o guardare la tv con la signora Hudson.

L'immagine di John seduto sulla sua poltrona rossa, mentre lui se ne stava chino sul microscopio, lo colpì dritto nello stomaco. Anche la mancanza del ticchettare dei tasti del portatile di John era qualcosa di fastidioso. La mancanza di quel suono era come sentire la mancanza di una routine consolidata e rassicurante.

"Rassicurante", era una parola strana per Sherlock, ma c'erano dei suoni e degli odori che nei due anni persi  a stanare la rete di Moriarty gli erano mancati terribilmente. Il rumore della pioggia che batteva sui vetri di Baker Street, l'odore del caffè di Speedy's che nelle giornate di vento potevano sentire fin dentro l'appartamento, il suono della camminata leggermente zoppicante di John, l'odore della lana dei suoi maglioni appena lavati, anche il suono infastidito che emetteva John quando riteneva che Sherlock stesse esagerando.

- Sherlock, mi prometti che ci penserai? - ripeté Mycroft.

Il detective non rispose, perso nel ricordo di quello che era stato. Mentre stava riflettendo su John, Baker Street e quanto era stato stupito a pensare che la rete di Moriarty sarebbe stata stanata in poco tempo, si ritrovò in una delle sue stanze preferite del suo palazzo mentale, quella che aveva ricostruito ad hoc per risolvere il caso del ritorno di Moriarty, tramite quello che l'altro John aveva definito il caso de "l'abominevole sposa".

Era un bel posto, in effetti, era l'unica stanza in cui aveva dato il permesso ad un altro John di entrare. Molly e Anderson lo avevano salvato dalla morte quando Mary gli aveva sparato e Mycroft era costantemente presente come fastidioso e razionale grillo parlante.

John no, aveva chiuso tutte le porte delle stanze occupate da John quando era saltato dal tetto, il ricordo era troppo doloroso e non sarebbe riuscito a sconfiggere la rete di Moriarty se il pensiero lo avesse costantemente rimandato al dottore. Fingere che non fosse importante era molto più semplice che ammettere che era fondamentale.


Ma da quando era tornato, sentiva sempre la presenza di John dietro alle porte chiuse, come se facesse di tutto per uscire. Eppure non lo aveva mai concesso, non finché, nel suo breve esilio, aveva capito che la presenza mentale di John poteva essere l'unica cosa che lo avrebbe tenuto in vita.

Nel 1895 del palazzo mentale le cose andavano come dovevano andare, John viveva praticamente sempre con Sherlock anche se era sposato con Mary, andavano in giro, risolvevano casi e tenevano imbarazzanti conversazioni sugli impulsi di Sherlock.

John, quello vero, non aveva mai parlato con lui di tutto questo. Si era fermato alle fidanzate che non erano la sua area e alla mancanza di un fidanzato, per poi rimanere stupito da tutto quello che ne era seguito: l'attrazione intellettuale per Irene e la finta relazione con Janine.

John credeva davvero che lui non avesse sentimenti?

- Andiamo, lo so che non è così - intervenne il John del 1895.

- Cosa non è così? - rispose Sherlock, a suo agio, nonostante tutto, in abiti vittoriani.

- Bentornato. Questa volta cos'era, cocaina? E dove era finito nel suo viaggio mentale? Di nuovo in quel futuro anomalo con strani apparecchi volanti? -

- Sì, in effetti - rispose Sherlock sorridendo.

- Quando la smetterà di sprecare i doni che la natura le ha dato? -

- Quando la realtà sarà meno noiosa -

- E più simile a qualcosa di ideale? - chiese John, ricordando al detective che quella non era la realtà.

- Sa cosa potremmo fare? - fece improvvisamente il detective, lasciando la poltrona - Risolvere un caso irrisolto. Cosa ne pensa? -

- Sentiamo - fece l'altro, con lo sguardo adorante, pendendo dalle sue labbra.

- Sono stato contatto da Sir Reginald Musgrave: a quanto pare, due suoi collaboratori domestici sono spariti nel nulla. Sembra collegato al tesoro di Charles I - (1)

- Un caso interessante Holmes, metta il suo cappello e andiamo - fece allegro il dottore.

Sherlock sorrise - Non deve avvisare Mary, che farà tardi? -

- Avviso la signora Hudson che nel caso mia moglie mi cercasse, sono impegnato con un caso - rispose, scrollando le spalle-

- Ottimo, il gioco è iniziato -


***** *****

John ritornò da Sherlock circa mezz'ora dopo. Mise la testa dentro la stanza per controllare che Mycroft non fosse ancora presente e poi entrò. Il detective sembrava essersi addormentato ma John non era sicuro che stesse effettivamente dormendo o stesse solo facendo finta per non essere disturbato, per cui si sedette nuovamente sulla sedia, in attesa che l'amico aprisse gli occhi.

Pochi minuti dopo fu raggiunto da Mary, che entrò cautamente nella stanza, con il cuore in gola ripensando all'ultima volta che aveva fatto un'incursione nella camera dove Sherlock era degente. Vide il marito con l'aria stanca, intento a fissare il monitor dove veniva registrato il battito cardiaco.

- Dorme?- chiese lei, sussurrando.

- O è nel suo palazzo mentale - rispose John, come rassegnato.

- Manchi da tante ore da casa; Elisabeth senza la mancanza del suo papà -

John sorrise, sentendo il nome di sua figlia - Hai ragione, è solo che mi sento in colpa a lasciarlo solo -

- Ti do il cambio io -

John sorrise alla disponibilità della moglie, la baciò su una guancia e si trascinò stancamente a casa. Mary si sistemò sulla stessa sedia e si mise a leggere il libro che aveva portato con sé, in attesa che il detective si svegliasse o uscisse dal suo palazzo mentale.

Qualche ora più tardi, finalmente Sherlock riaprì gli occhi. Era nuovamente stranito dal trovarsi in ospedale - Perché non mi hanno ancora dimesso? E' solo un'overdose - biascicò.

- Vogliono controllare che tu stia bene - rispose Mary e Sherlock si girò di scatto, stupito di trovare proprio lei e non John. L'espressione delusa fu inevitabilmente notata dalla donna - John era qui fino a poco fa, ma l'ho mandato a casa, era davvero stanco -

"Io sarei rimasto, siamo sempre in due no?" sussurrò il John del 1895 all'orecchio di Sherlock.

- Puoi andare anche tu, non ho bisogno di una balia - sbottò il detective.

- Mi fa piacere - affermò lei, guardandolo negli occhi.

"O si sente ancora in colpa per averti sparato? Cos'è che ti ripeteva mentre eri morente e vulnerabile? Non dirlo a John? Hai fatto bene a dirglielo ma alla fine lui è rimasto con lei" intervenne  il consueto grillo parlante Mycroft "Quando hai rimesso la poltrona, era un indizio per John o pensavi sarebbe rimasto davvero da te?".

Sherlock si morse un labbro - Mary puoi andare, in giornata mi dimetteranno, non c'è motivo che resti - ripeté, ma la donna non si mosse. Questa era una cosa di lei che ammirava e odiava allo stesso tempo. Non si faceva mettere i piedi in testa, era libera e indipendente e aveva un carattere forte. Ma in quel momento avrebbe preferito che se ne andasse e anche velocemente, voleva restare solo con sé stesso.

- Sherlock, perché la cocaina? -

- Ti ci metti anche tu, adesso? -

- Sai, non dovresti sottovalutarmi. Spesso capisco cose che a John sono oscure - 

Lui la fissò, cercando di capire se davvero poteva aver intuito qualcosa che teneva talmente nascosto che nemmeno ammetteva con sé stesso.

Lui non rispose e lei continuò - Mycroft mi ha accennato ad un viaggio a Boston -

- Lo ha detto anche a John? - chiese allarmato.

- Non ancora -

L'ingresso dei medici e degli infermieri pose fine a quella conversazione e il detective ringraziò che una volta tanto fossero intervenuti nel momento più opportuno.

Mary lasciò la stanza e il detective, diretta a casa per abbracciare la sua piccola e il marito.


****** ******

(1) Piccola citazione da Le memorie di Sherlock Holmes - Il cerimoniale dei Masgrave


Angolo autrice:
Ciao a tutti, come ho scritto nell'intro, la storia è già stata scritta tutta ed è divisa in tre parti.
Scusate ma avevo questa cosa in testa e finché non la buttavo giù tutta non sarei riuscita a finire le altre che ho in piedi. Si, sono un po' ossessivo - compulsiva :-P
Grazie a tutti quelli che leggeranno
   
 
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