Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Harmony394    14/05/2016    18 recensioni
Sansa, subito dopo aver avuto il primo menarca, è costretta a sposare Joffrey appena tre giorni dopo la sua fine. Nessuna via d’uscita, nessun amico di cui fidarsi, nessuno pronto ad ascoltare i suoi cinguettii pregni di paura. Ma proprio quando la situazione sembra arrivata al capolinea, ecco qualcuno disposto a spezzare le inferriate di una gabbia che di dorato ha solo il colore. Qualcuno che non è né un principe né un cavaliere, ma un mastino. E il suo nome è Sandor Clegane.
«Perché siete sempre così crudele?!» domanda lei, le lacrime appese alla punta delle ciglia. Non mi piace vederla piangere, cazzo, soprattutto se la causa del pianto sono io. Ma non mi importa. Deve capire come funzionano le cose, che questa non è una delle sue fottute ballate ma la vita vera e che nella vita vera non esistono cavalieri ma solo chi muore e chi tenta di non morire. Il resto sono solo cazzate.
«Sarai grata per le cose crudeli che faccio quando sarai Regina e sarò l’unico a frapporsi tra te e il tuo adorato Re».
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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Always
It's dangerous to fall in love 
But I want to burn with you tonight 
Hurt me 
There's two of us 
We're bristling with desire 
The pleasure's pain and fire 
Burn me 

 
 
«Sansa… Sansa, non è così che si fa!», un altro fendente, poi un altro e un altro ancora. Un lungo rivolo di sudore mi scende lungo la fronte, la voce di Arya è lontana come un’eco. «La vuoi smettere?! Finirai col rovinarlo!», mi blocco, improvvisamente esausta, e le mie mani ciondolano lungo i miei fianchi come un burattino a cui hanno tagliato i fili. Ho il fiatone, le dita mi formicolano per la tensione. Se non fosse che Arya mi ha appena afferrata per un braccio, costringendomi a guardarla, non mi sarei nemmeno accorta della sua presenza.  «Si può sapere che ti prende stamattina? Sembri impazzita!». 

Aggrotto la fronte, il pugnale che mi ha dato il Mastino è ancora stretto tra le mie dita. Mi torna in mente la scorsa notte, quando l’ho sorpreso a baciare quella meretrice, ed un’improvvisa vampata di calore mi riempie di rabbia. Ricordo ancora benissimo le sue labbra premute sul collo di lei, le sue dita callose sul suo seno, ed è assurdo quanto tutto questo mi faccia stare male. È successo tutto così in fretta che persino adesso fatico a mettere insieme i pezzi: rimembro solo che  una cacofonia spaventosa nella locanda, tutti ballavano e ridevano ed il vino scorreva a fiumi. Anch’io avevo bevuto, ma non ricordo quanto; dopotutto Arya era con me, il Mastino anche, ed io volevo solo annegare il dolore per la perdita di mia madre e mio fratello. 

All’improvviso tutto aveva iniziato a diventare confuso, strano, e le risate erano giunte da sole. Non pensavo più a niente, non volevo farlo. Solo per una notte, mi dicevo, prendendo un altro boccale, solo per una notte. Poi Aryl mi aveva chiesto di ballare, ed io avevo accettato. Non so perché lo feci. Forse erano stati il suo sorriso genuino ed i suoi occhi scuri, forse era stato il vino o l’ebbrezza del momento. Non lo so e non lo ricordo, fatto sta che ad un tratto tutti avevano iniziato ad inneggiare cori su me e Aryl e lui mi aveva baciata.

Era stato un bacio umido, un po’ viscido e imbarazzante, ma per un momento avevo corrisposto. Forse è meglio così, mi ero detta. Forse è meglio che io dimentichi, che per una sera non sia più Sansa Stark, ma una ragazza qualunque, forse potrei fidarmi di Aryl, ma poi il pensiero del bacio che Sandor mi aveva dato mi aveva attraversato la mente come un fulmine a ciel sereno, ed era stato come se una secchiata d’acqua gelida mi fosse caduta addosso. Mi allontanai da Aryl e lo schiaffeggiai persino, per poi correre da Arya. Il mio cuore batteva così forte da poterne sentire il rimbombo nella testa. 

«Arya…», all’improvviso tutto aveva iniziato a girare. Mi sentivo in colpa come una ladra e non riuscivo a spiegarmi il motivo. Sapevo solo che dovevo trovare il Mastino, parlargli, capire cosa mi stava succedendo. Dovunque guardassi, però, di lui non c’era traccia; era come svanito nel nulla. «Arya, dov’è il Mastino?».

Lei fece spallucce, incurante del fatto che il mio cuore si stesse consumando a poco a poco. «Perché ti importa? Mi sembra che ti stessi divertendo con il tuo Florian…».

«Arya, dimmi dov’è!».

«L’ho visto uscire dalla locanda… sembrava agitato, ma forse era solo la sua faccia ad essere brutta».

Non risposi e mi avviai di getto fuori dalla locanda. Dovevo capire… dovevo sapere perché, per gli dèi, stavo così male all’idea di aver baciato qualcun altro, perché mi importasse così tanto di lui, di quello che avrebbe detto, e perché non riuscissi più a togliermi dalla mente il bacio che mi aveva dato. Aprii la porta, il cuore che batteva forsennato contro il mio petto, e lo vidi. Non ricordo di preciso cosa accadde, ma so per certo di aver sentito qualcosa dentro di me andare in pezzi. Respirare divenne improvvisamente difficile, il cuore mi sprofondò nello stomaco e un singhiozzo sfuggì dalle mie labbra. Lui mi sentì e si staccò di colpo dalla donna: aveva un seno abbondante, diverso dal mio ancora acerbo, grandi occhi chiari e lunghissimi capelli rossi che scendevano sinuosi lungo i suoi fianchi prosperosi. Venni colta da un’invidia profonda e da un odio scalpitante e, per la prima volta, mi sentii brutta rispetto a qualcun altro. 

«Uccellino…», la voce del Mastino era appena un rantolo. Con il cuore in gola e le lacrime che mi pizzicavano gli occhi, realizzai di non essere in grado di sostenere il suo sguardo. «Sansa…».

«Volevo solo dirti che sono stanca e che sto tornando nelle mie stanze», ringraziai gli dèi che la mia voce fosse risuonata tanto calma nonostante tutto dentro di me stesse facendo a pugni, e rivolsi un’occhiata truce alla donna affianco a lui, che mi guardò con supponenza dall’alto della sua figura. «Buonanotte», e fuggii di corsa nelle mie stanze. Non chiusi occhio per tutta la notte e, senza nemmeno rendermene conto, aspettai il rientro del Mastino per tutto il tempo. Lui non venne. 

 
«Sansa! Sansa, ma mi ascolti?» La voce squillante di Arya mi riporta alla realtà. 

La guardo, lei guarda me. Vorrei tanto confidarmi con lei, dirle che non riesco più a capire cosa mi sta succedendo, perché il cuore mi fa tanto male al ricordo delle labbra del Mastino premute su quelle di una donna che non sono io, comprendere come mai me ne importi tanto, ma dalle mie labbra non esce un suono. Frustrata ed improvvisamente colma di rabbia, prendo il pugnale ancora stretto tra le mie dita e lo getto a terra. 

«Non ho niente che non va!», urlo, ed Arya fa un passo indietro, allarmata. «Lasciami in pace! Non sei nemmeno in grado di insegnarmi ad usare questo dannato pugnale!», e senza darle il tempo di ribattere mi dirigo spedita lontano da lei. Non guardo nemmeno dove sto andando, so solo che se non vado via finirò con lo scoppiare. Il nodo che ho al centro del cuore sembra farsi ad ogni passo più stretto, il fiato inizia a mancarmi. Cosa mi sta succedendo? Perché… perché sto così male? 

Le lacrime lasciano i miei occhi tutte insieme e senza preavviso mi tornano in mente tutte le cose che fino a questo momento ho cercato di rinchiudere in un cassetto per non lasciarle uscire mai più: Grande Inverno. Le ballate che mi avevano sempre fatta sognare. Jeyne Pool. Lady, la mia dolce e cara Lady, uccisa al posto di Nymeria. Joffrey che promette pietà per mio padre e poi lo condanna a morte davanti i miei occhi. Gli inganni della Regina, il suo terribile sorrisetto crudele e voluttuoso. Sir Ilyn Payne che tiene Ghiaccio per sé, che mi osserva con quei suoi terribili occhi glaciali. Il Mastino. Il Mastino che ha baciato un’altra donna, ma che mi ha salvata da Approdo del Re ed ha ucciso Joffrey e mi ha tratta in salvo da uno stupro. La Fratellanza Senza Vessilli, le parole di Thoros che mi dice di non fidarmi del Mastino, il combattimento tra lui e Beric. E poi le Torri Gemelle, il fuoco che divampa e le urla dei soldati, l’uomo che ho ucciso…

Il dolore esplode in me come un fulmine, impedendomi persino di respirare. Mi accascio su me stessa, una mano premuta sulla bocca per nascondere i singhiozzi e le lacrime, e piango finché ho fiato, finché il peso che ho sulle spalle non diviene un po’ più leggero da sopportare – ma so già che nulla di tutto questo diventerà mai semplice da sopportare. 

«Sansa...», una mano piccola e gentile si posa sulla mia spalla. Mi volto e incontro gli occhi grigi di mia sorella, che dal basso della sua statura mi osserva con sincera preoccupazione. «Si può sapere cosa succede?».

Ed io le racconto tutto. Le racconto di Joffrey, dei soprusi che ho dovuto subire a causa sua ad Approdo del Re; dell’uomo che aveva tentato di violentarmi al Guado dei Frey, di come io lo abbia ucciso e degli incubi che continuo a fare, e le racconto del Mastino, del bacio che mi ha dato, del fatto che mi ha salvata tante e tante di quelle volte, del nodo che ho al petto ogni volta che lui mi sfiora, del fatto che non mi fa più alcuna paura e che la sola idea che lui possa aver baciato qualcun’altra mi avvelena il sangue ed il cuore ma che non mi importa più niente dell’affetto che avevo iniziato a provare per lui, che è un assassino e che io lo odio. Lo odio per aver baciato un’altra, perché è colpa sua se mi sento così angosciata e perché per un momento – un breve, brevissimo momento – avevo pensato di significare qualcosa per lui, qualcosa di più di una semplice reliquia da trasportare sana e salva al mittente, ma mi sbagliavo. Mi sono sempre sbagliata. 

Quando finisco di parlare mi fa male la gola e le dita mi tremolano. Arya mi guarda senza dire niente, la fronte aggrottata e le labbra strette in una linea grave, e per un momento credo che sia arrabbiata con me. Si alza, si pulisce i pantaloni e mi passa un secchio di legno che aveva poggiato prima da qualche parte e che io non avevo visto. 

«Tieni», mi dice, seria come una lapide. «Poco più in là c’è un fiume, basta che segui il sentiero. Aryl mi aveva detto di riempirlo, ma tu hai bisogno di fare una passeggiata e poi un bagno nel fiume ti rinfrescherà le idee. Vacci, poi torna quando hai finito. Puoi farlo?».

La guardo senza capire, le labbra imbronciate in una smorfia confusa. Lei sospira, mi passa il secchio e prima che possa replicare se ne va senza voltarsi. Con ancora il secchio fra le dita, le rivolgo un’ultima occhiata perplessa e, più per il desiderio di prendermi una pausa e darmi una ripulita che per altro, decido di darle ascolto. 

 
 
Vedo Alina dinanzi a me. I lunghi capelli castani un po’ crespi le incorniciano il viso rotondo e le sue labbra sono socchiuse quel poco che basta per fischiare. Uno dei suoi passerotti cinguetta insieme a lei, appollaiato sul suo indice, e lei sorride felice. I suoi occhi grigi si posano su di me e con dolcezza mi fa segno di raggiungerla. Prima che possa farlo, però, una grossa ombra scura si staglia su di lei. Il respiro mi si mozza in gola: è Gregor. 

Prima che io possa fermarlo, lui si avventa sul passerotto di Alina e lo stritola tra le dita possenti, ora ricoperte di sangue. Alina urla e piange disperata, gli chiede perché sia così crudele e come abbia potuto farle una cosa simile, ma lui non le dà retta e ride, ride, ride sempre di più e sempre più sguaiatamente. Non riesco a trattenere la mia rabbia e gli corro incontro. Prima che possa colpirlo, però, lui mi blocca e mi spinge a terra. All’improvviso, ritorno il bambino di sei anni che ero stato una volta. 

«Bastardo! Bastardo, non puoi farlo! Non puoi farlo!».

«Non posso, pulce?», sulla sua faccia mastodontica si apre un ghigno crudele. Si dirige svelto verso mia sorella, la prende per la collottola e, senza curarsi del fatto che lei stia piangendo e invocando aiuto, le dà un pugno, poi un altro e poi un altro ancora, finché le sue nocche non si sporcano di rosso. Gregor però non sembra soddisfatto e l’afferra per i capelli, tirandoglieli all’indietro, e lei urla così forte da diventare paonazza. Anche i suoi capelli diventano rossi, la sua pelle più nivea e la sua voce più da ragazza e meno da bambina. 

D’improvviso, mi accorgo che non è più Alina quella che Gregor sta picchiando. 

«C’è ancora qualcosa che posso strapparti…».

 
Mi sveglio di soprassalto, il cuore in gola e la fronte imperlata di sudore. Impiego qualche secondo prima di realizzare che, dannazione, ho fatto di nuovo quell’incubo. Bestemmiando, mi passo una mano sul volto quasi che così facendo possa portar via anche le preoccupazioni. Gli occhi azzurri dell’uccellino pieni di delusione mi si parano davanti, taglienti come rasoi, insieme ai ricordi di ciò che è accaduto la scorsa notte. Merdama perché ho fatto una cosa del genere? Baciare quella puttana... perché, poi? Era bella, sì, ma non quanto lei.

Vaffanculo, cazzo. Perché mi faccio tutti questi problemi? Come se a lei importasse qualcosa, poi… come se a me importasse qualcosa! E comunque è stata colpa sua. Lei ha ballato con quel moccioso con la bocca ancora sporca di latte, lei gli ha permesso di stringere la sua mano, di sorriderle e… io non le devo niente. Non ho ragione di sentirmi così. Anzi sono stato un idiota a ubriacarmi a tal punto da addormentarmi qui fuori: fortuna che persino da svenuto sono brutto come la morte, almeno nessuno ha avuto il coraggio di ammazzarmi. 

Mi tasto la cintola dei pantaloni in cerca della mia fiasca di vino. Non c’è. 

«Stai cercando questa?». 

Mi volto di scatto verso la voce alle mie spalle. Il mio sguardo incontra quello gelido della ragazzina-lupo. Tra le dita ossute tiene la mia fiasca di vino. 

Fottuti gli dèi, ma è normale che una mocciosa della sua età sia tanto inquietante?  

«Dammela», ordino, la mia voce sembra quasi il raschiare dell’ubriaco. Peste… ho bisogno di un bagno. «Adesso».

«Eccotela!», prima che possa fermarla, lei toglie via il tappo e mi rovescia il liquido in testa. Non contenta, mi rifila anche un calcio negli stinchi. 

«Piccola stronza!», cerco di afferrarla, ma lei è troppo svelta: mi dà un altro calcio e mi getta la fiasca dritta in fronte. «Dannata puttana, ma si può sapere che cazzo ti prende?!».

«Sta’ lontano da mia sorella!».

Devo aver sentito male. 

«Che hai detto, cagnetta?!».

I suoi occhi diventano freddi come il ghiaccio, la sua espressione grave come una lapide. Non so cosa la trattenga, ma sono certo che se potesse mi ucciderebbe qui ed ora.

 «Ho detto che se provi di nuovo ad avvicinarti a mia sorella ti infilzerò con la mia spada dritto in mezzo agli occhi».

«Ma si può sapere di che cazzo stai parlando?!».

«Non fare il finto tonto con me! Mi ha detto cosa le hai fatto, sai? Che l’hai baciata! Il solo pensiero mi ripugna, e lo stesso vale per lei. Ma non l’hai ancora capito? La disgusti! Me lo ha detto Sansa che sei solo un pezzo di merda che vuole scoparsela. Cosa devo fare, Arya? Non so più come farglielo capire che non voglio avere niente a che fare con lui!  Be’, io però ce la faccio a dirtelo: stalle alla larga, stronzo. E riprenditi questa ferraglia che le hai dato,  così magari puoi tagliarti il cazzo!».

Prima che io possa davvero realizzare le sue parole, lei mi carica un altro calcio e poi fugge via. Non provo nemmeno ad andarle dietro, il dopo sbornia di ieri sera non me lo consente. I capelli mi ricadono appiccicati lungo la fronte a causa del vino, le mani mi prudono ed è come se mille spine mi stessero pungendo il petto. Il pugnale che ho dato a Sansa è ancora a terra, sporco e graffiato. 

Ma non l’hai ancora capito? La disgusti! 

Nella mia mente si fanno largo i ricordi di quando, ad Approdo del Re, lei non riusciva nemmeno a guardarmi. Mi ha sempre guardato con quei suoi occhi spauriti, l’uccellino, e le sue labbra tremolavano ogni volta che l’avvicinavo. Non mi ha mai potuto guardare, né soffrire. Le mie parole la irritano, la mia faccia la disgusta, e tutte quelle parole che mi ha rivolto, quegli sguardi, quelle sue frasi gentili… tutte bugie. Nient’altro che bugie. Per un lungo momento rimango in silenzio, in attesa di qualcosa che mi risvegli da questo brutto sogno, e il tempo pare fermarsi. La testa inizia a girare, girare e girare ancora, e la voce tagliente della mocciosa-lupo mi rintona nella mente. 

Me lo ha detto Sansa che sei solo un pezzo di merda che vuole scoparsela. 

Non riesco a muovermi. Fisso il vuoto, senza davvero realizzare cosa sta accadendo, quando all’improvviso la delusione esplode come un fulmine. Scatto in piedi e tutto gira persino di più, tanto che sono costretto a reggermi ad un albero per impedirmi di cadere. Mille rumori ovattati mi stordiscono, mille immagini mi si presentano davanti: Sansa che sorride. Sansa che mi stringe le braccia attorno al collo. Sansa che piange per me. Sansa che mi ringrazia. Sansa che chiama il mio nome. Sansa che respira il mio respiro, che freme sotto il mio tocco, che mi guarda dritto negli occhi mentre le accarezzo il braccio.

La rabbia prende il posto dell’angoscia così repentinamente da rivoltarmi le viscere. Stringo i pugni così forte da graffiarmi i palmi delle mani. 

Ma che ti aspettavi? Che a lei potesse importare di uno come te? Un mastino senza titoli né bellezza, né niente?! Lei, così bella quanto bugiarda. Ma guardati, stupido e debole cagnaccio che non sei altro, come ti sei ridotto? A frignare per una donna – anzi no, una ragazzina che puzza ancora d’Estate. 

Mi ha mentito. 

Certo che l’ha fatto. Cosa avrebbe dovuto fare? Voleva solo tornare a casa ed ha sfruttato l’occasione per farti fare quello che voleva. L’hai sentita la mocciosa-lupo, no? La disgusti. Sei solo un mostro. 

No, no. Lei… lei aveva detto…

Aveva detto un mucchio di balle. Balle, balle… erano tutte balle. Prova a tornare da lei, dai. Dille quello che hai sentito e vedrai come reagirà: ti manderà al diavolo e andrà a strusciarsi da quel bel ragazzino senza palle. Tanto ormai non le servi più, no? Sua madre è morta, i suoi fratelli anche, a suo padre hanno tagliato la testa proprio davanti a lei. Perché dovrebbe voler stare con te? Ti ha detto bugie sopra bugie, prova solo disgusto nei tuoi riguardi. Sapevi che sarebbe finita così, quindi perché te la prendi tanto? 

Mi torna in mente la serata di ieri, quando l’ho vista sorridere. La risposta mi si presenta davanti chiara come il sole e dolorosa come vino su ferite ancora aperte.

Perché la amo.

No. No, non è vero!, urla una voce nella mia testa, il tono allarmato. Un mastino non si innamora. Un mostro come te non può innamorarsi!, ma più cerco di convincermi delle mie stesse parole e più la realtà dei fatti mi si para davanti, crudele come una pugnalata. 
L’uccelletto… quella dannata ragazzina del Nord! No, non è vero che la amo, no...  no, no, no, sono tutte cazzate! Io la odio, la detesto dal più profondo delle viscere. Volevo solo fotterla a sangue sin dall’inizio, quello che è venuto dopo, tutte queste… emozioni, sono solo un danno collaterale, una menzogna scaturita da un’altra menzogna. Io non la amo. Io non amo nessuno, nemmeno me stesso, figuriamoci una dannata mocciosa come lei. Io volevo solo prendere il mio fottuto oro e andarmene, ma adesso che quello stronzo di suo fratello è morto non posso mirare a nient’altro che al nulla. ‘In culo ‘sta merda!  Che se la prendano gli Estranei per quel che mi riguarda, che si lasci fottere da quel damerino senza palle che le piace tanto! A me non importa più niente… non mi è mai importato un cazzo!

Una voce mi riporta alla realtà. Mi guardo attorno: senza accorgermene, mi sono inoltrato nel bel mezzo della foresta. La voce che aleggia poco lontano da me è minuta, coperta dal suono dell’acqua del fiume che continua a scorrere. La furia cieca che mi aveva assalito si tramuta in curiosità e prima che possa fermarmi mi dirigo svelto verso il suono di quella voce che, via via che avanzo, si fa sempre più forte. È la voce di una donna, canta quella che ha tutta l’aria di essere una nenia, ma è solo quando scosto il ramo di un rampicante che vedo di chi si tratta: i lunghi capelli ramati le ricadono bagnati lungo la schiena, i suoi fianchi sono acerbi ma sinuosi come la curva delle cosce; la pelle bianca come la neve sembra illuminarla persino di più, conferendole un non so che di celestiale, ed i suoi seni piccoli e sodi sono turgidi e rosei. 

Sansa…

Resto imbambolato a fissarla per quella che pare un’eternità. Non riesco a pensare a niente, dentro di me vi è solo il vuoto e un fuoco impetuoso. Ne ho viste tante di donne nude, di seni sodi e di fiche, ma mai belle quanto lei. Per un momento stento a credere che un essere così meraviglioso possa essere mortale, e mi sembra di sognare. Forse si tratta del vino. Forse in realtà sto solo immaginando tutto. Ma la pressione nel mio basso ventre è reale, il desiderio impellente di correre lì da lei e farla mia persino di più, e sono costretto e voltarmi per trattenermi. 

Devo andarmene da qui. Devo andarmene da qui proprio adesso. 

Mi volto e faccio per andarmene, ma nella fretta pesto un ramo marcio e le foglie sparpagliate sotto di esso mi fanno perdere l’equilibrio e scivolare come il più coglione dei coglioni. Bestemmiando a voce fin troppo alta rovino giù per la piccola collinetta che mi distanziava da Sansa, sbattendo più volte la testa e arrivando a terra come un sacco di patate. Sansa smette subito di cantare e si abbassa sott’acqua in fretta e furia, sussultando di spavento e sgranando gli occhi. Quando cerco di rimettermi in piedi, per un attimo il mio sguardo incrocia il suo e lei diventa dello stesso colore dei suoi capelli.

Ancora stordito dalla caduta, impiego qualche secondo prima di rendermi conto di starla fissando. 

 
 
«Che stai facendo?!», la mia voce è un singulto strozzato dall’imbarazzo, le mie mani corrono a coprire i miei seni nonostante ci pensi già l’acqua del fiume a celarli. Cosa ci fa lui qui? Da quanto tempo mi osserva?! « Cosa ci fai qui? Mi stavi spiando?! Per gli dèi!».

«Non agitarti, ragazzina, non stavo spiando proprio nessuno», ribatte lui, e sono certa che le sue guance si siano tinte di un colore più acceso. Volta il viso dall’altra parte, nervoso. «Sono finito quaggiù per salutarti, ma poi ti ho sentita cantare, mi sono avvicinato e prima ancora che potessi vederti sono scivolato come il peggiore dei coglioni e sono finito qui». 

«Salutarmi?», con ancora il cuore che batte forsennato contro il mio petto e le braccia strette attorno al petto, corruccio la fronte. Ma di cosa sta parlando? Dov’è che vuole andare? «Perché? Dove vai?».

«Lontano da qui. Non ho più niente da spartire né con te, né con la tua dannata sorella». Ma di che sta parlando? «Tieni, ti sei persa questo», un clangore metallico cozza contro i sassolini della riva del fiume. Sporgendomi, mi accorgo che si tratta del pugnale che mi aveva donato. Alzo lo sguardo, allarmata: lui è già diversi passi davanti a me. Mi sento raggelare. 

Sta andando via. Sta andando via per sempre, ed io non so neanche perché. 

Scatto fuori dall’acqua e prendo la prima cosa che mi capita tra le mani: la sottana di lino che mi aveva dato la nonna di Freja mi si appiccica addosso come una seconda pelle, i miei capelli ancora zuppi lasciano gocciolare lunghe strie d’acqua giù per il mio collo, il freddo mi percuote fin dentro le ossa ma a me non importa. Gli corro dietro: devo sapere cosa sta accadendo, perché vuole andare via. 

«Aspettami!», gli urlo dietro. Lui cammina a pochi metri distante da me, imperterrito come se non mi avesse sentita, e mi sembra quasi di ricevere una pugnalata al centro del cuore. Si è sempre voltato quando lo chiamavo. «Fermo! Fermati, per favore!», corro svelta lungo il sentiero, la terra umida mi solletica le dita dei piedi e allo stesso tempo mi disgusta, e riesco ad arrivare al suo fianco. Lui continua a non guardarmi. Lo afferro per il braccio in un ultimo, disperato tentativo di avere la sua attenzione, ma lui mi scrolla via con una spallata ed io faccio appena in tempo a reggermi al tronco di un albero che le ginocchia cedono sotto il mio peso. Adesso anche le mie braccia sono sporche di fango, così come la mia sottana di lino e le mie ginocchia che bruciano, ma non è questo il motivo che mi spinge a mordermi forte l’interno della guancia per non scoppiare a piangere. È il dolore cieco misto alla frustrazione di non riuscire a capire cosa stia succedendo, perché tutto stia andando a rotoli così all’improvviso senza una spiegazione, senza nemmeno un perché. 

« Io… io non capisco… non capisco…», un singhiozzo mi spezza il respiro, la realizzazione di essere in lacrime mi colpisce forte come uno schiaffo. Mi stringo nelle spalle, un vuoto doloroso al centro del cuore che mi corrode dall’interno. Perché tutto questo? Perché sta andando via? Non capisco… non capisco... «Dammi almeno una spiegazione, non ho fatto niente di male…». 

All’improvviso lui si ferma e il mio cuore manca un battito. Torna verso di me con furia e, prima che possa fermarlo, mi afferra per un polso e mi tira su. Il suo volto sfregiato è a pochi centimetri dal mio, i suoi occhi grigi sono colmi di una collera e un risentimento tali da spaventarmi, e lo stomaco mi si stringe in una morsa perché mi rendo conto di avere di nuovo paura di lui. 

«Non osare continuare a mentirmi. Sono stufo delle tue dannate bugie. Sai benissimo perché me ne sto andando!».

I miei occhi si sgranano. Ma di cosa sta parlando? 

«Ti sbagli, non ne so null—».

«Ti ho detto di smetterla! Credi che io sia uno stupido?! Credi che non sappia quello che hai detto alla tua maledetta sorella?! Cosa devo fare, Arya? Non so più come farglielo capire che non voglio avere niente a che fare con lui!  Non preoccuparti, uccelletto, non hai più bisogno di farmi capire nulla. Resta pure con quello stronzetto dalla bocca ancora sporca di latte che ti piace tanto, sono sicuro che con lui ci vuoi avere a che fare, invece. Lui è bello, no? Non ha mica la mia brutta faccia, non ha mica una spada sporca di sangue, lui. Fottitelo allora, dagli pure trenta marmocchi urlanti, sono sicuro che apprezzerà. A me non me ne fotte più un cazzo, potete andare a farvi fottere entrambi per quanto mi riguarda!».

Mi spinge lontano, facendomi barcollare all’indietro, e si allontana in fretta e furia. La mia mente si riempie di domande, immagini e pensieri confusi. Una cacofonia di ricordi mi si para davanti come un muro di mattoni, e all’improvviso tutto è chiaro. Arya. È stata lei a dire quelle cose al Mastino. Ecco perché mi aveva detto di andare al fiume, ecco perché era così seria ed i suoi occhi così gelidi mentre me lo diceva… voleva avermi fuori dai piedi così da avere campo libero. La cosa mi sconvolge a tal punto che non riesco nemmeno ad infuriarmi. Come ha potuto farmi questo? E perché lui le ha creduto?!

«Io non ho mai detto nulla del genere!», grido allora, la voce strozzata dalla collera. Non è il pensiero che Arya abbia mentito a ferirmi, quanto più che lui le abbia creduto. «Non offendermi più di quanto ti è concesso!».

«Offenderti?», lui si blocca di colpo, permettendomi di raggiungerlo. Si volta e mi guarda con occhi pieni di amaro sarcasmo. «Oh, no, uccelletto. Non ho bisogno di offenderti. Lo stai già facendo da sola!». 

«Preferisci credere a mia sorella, che ti detesta, piuttosto che a me?! Valgo davvero così poco?!».

Le sue dita artigliano le mie braccia prima che io possa scansarmi, i suoi occhi si riempiono di rabbia. «Non osare…», le sue labbra si scoprono in un ringhio, la sua voce è raschiante come ferro battuto. «Non osare dire a me una cosa del genere. Non hai la minima cazzo di idea di quello che ho passato per causa tua!».

«Così come tu non hai idea di cosa io abbia passato per causa tua!», la rabbia prende di colpo il posto dell’angoscia. Come osa? Come osa dire a me una cosa del genere dopo tutto quello che ho passato a causa sua? Dopo tutti i dubbi, le incertezze e le emozioni che ho provato per lui e quel bacio che mi ha dato?! «Come puoi rinfacciarmi certe assurdità quando sei stato tu  a baciare quella donna!».

I suoi occhi si sgranano, boccheggia qualcosa che non riesco a capire e stringe le labbra. 

«Non ti devo alcuna spiegazione».

Resto in silenzio. Queste parole mi feriscono più di quanto voglia dare a vedere, ma non gli darò la soddisfazione di vedermi piangere. Non più. 

«Neanch’io.», dico, gli occhi stretti in due fessure colme d’ira. Il nodo nel mio petto si fa più prepotente, le lacrime mi pizzicano la gola. «Ma non accusarmi di qualcosa che non ho commesso. Non ho detto quelle cose sul tuo conto, e non mi importa niente di Aryl: quando ha provato a baciarmi l’ho schiaffeggiato davanti a tutti e sono corsa a cercarti! Evidentemente, tu eri già impegnato con qualcun’altra!», la rabbia scalpitante che mi aveva offesa la notte precedente torna a farmi visita più forte e prepotente di prima. Lui si irrigidisce come una corda d’arpa e per un momento non dice nulla, poi però la stretta sul mio braccio si fa più energica ed il suo volto si avvicina al mio. 

«Vuoi sapere perché ho baciato quella puttana, uccelletto?», la sua voce è raschiante come il ferro, tutto il mio corpo trema come impazzito sotto la sua stretta. «Perché il solo pensiero che quello stronzo ti toccasse, delle sue fottute mani intrecciate alle tue, delle sue labbra che ti baciavano mi dava così tanto la nausea che sono dovuto uscire da quella merda di locanda. Ti basta come spiegazione? Ti basta, o magari vuoi sapere dell’altro? Che quella cazzo di puttana l’ho baciata perché mi ricordava te, forse? Che ho finto che i suoi capelli rossi fossero i tuoi capelli rossi, che le sue labbra fossero le tue e… e che le sue cazzo di tett—».

Non lo lascio finire. Lo bacio di slancio, impedendoglielo, e allaccio le mie braccia attorno il suo collo. Da dove viene tutta questa spavalderia? Non lo so. Non mi importa. No, no, non mi importa. Cosa sto facendo? Non lo so. No, no, non mi importa neanche di questo. Devo essere impazzita, sì, di questo sono sicura. Sì. Sì, sono impazzita. 

In un primo momento, Sandor resta immobile contro le mie labbra, rigido come una statua, ma proprio quando sono certa che stia per respingermi mi prende il viso tra le mani e mi bacia con una passione quasi spietata, quella di un assetato che moriva di sete da troppo tempo, ed io mi sento sopprimere da un sentimento nuovo, devastante e caldo come AltoFuoco e che divampa senza alcuna pietà in tutto il mio corpo. 

Il bacio si fa più profondo, il contatto più esigente, e all’improvviso la sottana che ho appiccicata addosso diventa un peso insopportabile. Quasi ad aver letto i miei pensieri, lui la solleva e le sue dita callose accarezzano voraci ogni mio lembo di pelle, tracciandone i contorni e lasciando una scia bollente dietro di loro. Non penso a nulla mentre le sue mani corrono a sfiorare i miei seni, solleticandomi i capezzoli e facendomi inarcare contro la sua mano, la mia mente è come svuotata da ogni pensiero, negativo o positivo che sia, e tutto il mio corpo, anima e spirito, si consacrano a lui. Lentamente le sue labbra scendono sul mio collo, il suo sospiro che si infrange contro la mia pelle ancora bagnata, e un brivido mi scorre lungo la schiena e d’istinto mi stringo di più a lui che, con l’altra mano, continua a torturami il seno sinistro. 

«Uccellino…», lo sento sussurrare, ma i miei sensi sono troppo assuefatti dall’improvvisa scarica di piacere che mi solletica il basso ventre per prestargli attenzione. «Sei mia, uccellino…», dice, sfilandomi la sottana senza troppi preamboli.

Continua a scendere fino ad arrivare al solco in mezzo ai miei seni, e lì inizia a leccarmi, a lasciare piccoli baci che mi fanno sospirare di piacere. È sbagliato, urla una vocina nella mia mente. Fermati, ma io non voglio fermarmi. Io voglio essere sua. Sua, sua, solo sua. Perché da quando mi ha baciata non ho fatto altro che pensare a lui ed alle sue labbra, perché il solo pensiero di saperlo lontano da me mi strugge, perché quando l’ho visto baciare quell’altra donna mi sono sentita come morire e perché lui mi ha sempre salvata da ogni pericolo, mentendo per me e rischiando persino la sua vita. 

L’imbarazzo lotta con il piacere quando lui inizia a baciarmi i capezzoli, attaccandosi al destro come un figlio con la madre mentre con l’altra mano continua a stuzzicare l’altro, e a me sfugge un gemito. 

«Sandor…», singhiozzo, quando il piacere mi fa tremare come una foglia, e lui sorride sotto i baffi. Smette di baciare i miei seni e mi rivolge un’occhiata di sottecchi, quasi a volermi chiedere il permesso per continuare. Permesso che gli do nel momento stesso in cui sento le sue dita penetrare le mie labbra più intime, sussurrando un “Sì, ti prego…”  tremolante. Con i polpastrelli lui accarezza la mia intimità finché non trova un punto che nemmeno sapevo di avere, e inizia a massaggiare alternando velocità e lentezza in un modo tale da portarmi alla follia. Il piacere è tanto che le mie ginocchia cedono sotto il mio peso e, insieme a me, anche lui si sdraia sul terreno umido di pioggia e foglie bagnate, senza però smettere di stimolare quel minuscolo pezzettino di carne. «Ti prego…», la mia voce risuona lontana come un’eco, quasi ovattata. Le sue dita vengono sostituite alla lingua, facendomi sussultare come se mi fossi scottata. E, in effetti, tutto il mio corpo sembra prendere fuoco: le cosce, la pancia, la mia intimità… tutto prende fuoco. «Sandor…», lo supplico, perché la sensazione è troppo intensa da tollerare. Per tutta risposta, lui continua a massaggiare con la lingua quel punto ben preciso del mio corpo ed io vengo travolta da un’ondata tale di piacere che il mio bacino si inarca in uno spasmo involontario e la mia voce si rompe in un gemito così voluttuoso da imbarazzarmi. Alla fine, sono esausta come se avessi combattuto mille guerre ed appagata come mai prima d’ora. 

«Uccellino», mi chiama lui, alzandosi verso di me, la barba ricoperta dei miei umori. Nei suoi occhi leggo la stessa eccitazione che vi è nei miei e questo mi sorprende, perché ero certa che il piacere può essere provato solo se qualcuno ce lo dona, mentre per lui è bastato vedermi contorcere sotto le sue dita e la sua lingua. Il solo pensiero mi fa arrossire terribilmente e d’istinto abbasso lo sguardo. «Sansa».

Vi è quasi una nota dolorosa nel modo in cui sussurra il mio nome, quasi temesse che possa scappar via da un momento all’altro. Dal modo in cui mi guarda, realizzo che ha paura di farmi del male. Poggio una mano sulla sua guancia sana e lo rassicuro premendo le mie labbra sulle sue. Lui ricambia il bacio con dolcezza, come se temesse di potermi spezzare come una statua di cristallo, e con lentezza inizia a slacciare via le cinture che legano la sua armatura. Quando resta con solo le brache ed i pantaloni di stoffa, si ferma e mi guarda in attesa. Per un attimo torno la bambina spaventata che ero stata ad Approdo del Re, quella che teme il dolore e che non sa più cosa vuole e quando lo vuole, ed il mio cuore si stringe in una morsa. 

«Sansa», mi chiama lui, riportandomi alla realtà. Leggo una passione sfrenata nei suoi occhi grigi, ma leggo anche del timore. Lo stesso timore di prima. Paradossalmente, sembra più spaventato lui che io. «Non voglio farti del male».

«Non me ne hai mai fatto».

«E non voglio iniziare da adesso. Non avrei dovuto spingermi tanto oltre».

Sandor fa per alzarsi. Ciò provoca in me il peggiore dei terrori: non posso permettergli una cosa simile, non voglio che vada via, non voglio che tutto questo finisca! 

«No!», dico. Nel silenzio assordante della radura, la mia voce riecheggia forte come un grido. Afferro la sua mano e il mio sguardo incrocia il suo. Per la prima volta dopo tanto tempo so con certezza ciò che voglio. Mi spingo verso di lui e lo bacio di nuovo, le mie mani che accarezzano il suo viso, e iniziamo a lottare. Voglio rendergli lo stesso piacere che lui ha dato a me, fargli sentire che sono io a volere tutto questo, che non mi farà mai del male finché resterà al mio fianco, che non mi importa del passato e che lui sia sfregiato e un assassino.

Dentro di me nasce un’improvvisa risolutezza, prende vita dal centro del mio cuore e si espande per tutto il mio corpo come un fuoco che arde e consuma dall’interno. Lui si sfila le brache ed io, con la coda dell’occhio, noto la sua virilità. È molto più grossa di quella di Joffrey, con una profusione di peli lucidi e scuri, e puntata in erezione verso di me. Arrossisco come una sciocca e lui se ne accorge e ride sommessamente, divertito dal mio essere tanto pudica. 

«Che cosina graziosa che sei, tutta rossa quanto i tuoi capelli. La tua septa ti ha insegnato come si dà piacere ad un uomo, uccelletto?».

Scuoto la testa, improvvisamente a disagio. Nessuno mi ha mai detto nulla al riguardo, il sesso non è un argomento che è consentito discutere ad una lady. Lui avvicina di più il suo corpo al mio, prendendomi una mano tra le sue e, mentre mi bacia le labbra, la posa sull’asta della sua virilità, guidandomi nei movimenti. «Così, uccelletto…», soffia sulle mie labbra. I miei movimenti sono rigidi, imbarazzati, ma pian piano comprendo cosa fare. Lui allontana le dita dopo un po’ ed io continuo da sola, cercando di seguire i suoi ritmi e capire attraverso i suoi sospiri come muovermi nonostante il crescente imbarazzo. Dopo un po’, Sandor socchiude gli occhi in preda al piacere e vederlo così… indifeso a causa mia, provoca in me una soddisfazione tale da indurmi a sentirmi invincibile. «Uccelletto…», mormora lui, tutti i muscoli del suo corpo contratti. «Dèi…».

Lui spalanca gli occhi e, in uno scatto d’ormoni, senza che io riesca pienamente a realizzare cosa sta succedendo, mi prende per i fianchi e mi volta dall’altra parte, torreggiando sopra di me. «Non ho intenzione di venire in questo modo, uccelletto», dice, il respiro fiacco e lo sguardo pieno di lussuria. Prende di nuovo a baciarmi il collo, poi le labbra e, mentre rispondo al bacio, un dolore lancinante mi fa gettare un urlo che prontamente Sandor soffoca con un bacio. Il dolore è tanto che impiego qualche secondo per realizzare che lui è dentro di me, adesso, e che dalla mia intimità sta sgocciolando del sangue. 

Sono sua, adesso.

Per i primi minuti il dolore non accenna a passare, tanto da indurmi a chiedergli di essere gentile, e lui mi accontenta. 

All’inizio le spinte sono lente, quasi leggere, ma via via che il tempo passa ed il dolore si acquieta diventano più veloci e poderose. Sandor alterna passione e delicatezza, cercando sempre di essere il più gentile possibile, finché ad un tratto il dolore viene messo in ombra dal piacere. Non so per quanto tempo siamo rimasti così, uno preso dall’altro in un intreccio di corpi e gemiti e sospiri spezzati, ma durante gli ultimi momenti, mentre lui si muoveva lentamente dentro di me, regalandomi scosse di piacere e brividi di freddo, mi parve di morire e rinascere lì, in quella foresta che sapeva di muschio e di pino e di me e di lui. 

La sensazione che quell’esperienza mi provocò fu così devastante da strapparmi un urlo. Alla mia voce, si aggiunse presto anche la sua ed entrambi finimmo col raggiungere l’apice a pochi minuti di distanza l’uno dall’altra. 

Adesso, sdraiati uno accanto all’altra su questo terreno che sa di erba bagnata e di umido, nessuno dei due riesce a parlare. Il momento in cui avevamo litigato sembra lontano mille miglia, il torpore dell’unione che ci ha reso una cosa sola non è ancora passato. Mi chiedo cosa penserebbe mia madre se mi vedesse adesso, se accetterebbe un’unione con il Mastino, l’uomo la cui famiglia ha servito i Lannister per generazioni. Dopo un po’, mi rendo conto che non me ne  sarebbe importato comunque. Non lascerò che nessuno condizioni più la mia vita.

«Cosa succederà adesso?» Chiedo, la mia voce ridotta ad un rantolo per la fatica. 

«Non lo so, uccelletto».

«Resterai con me?».

Lui resta in silenzio per un tempo che a me pare un’eternità, e un improvviso terrore mi coglie al centro del petto. Lo guardo, i suoi occhi grigi che incontrano i miei, e lui lascia un bacio umido sulle labbra. 

«Sempre» Risponde. 

Ed io sorrido, perché so che è la verità. 
 
 
  • Note dell’Autrice
Ed eccomi qui, a mesi e mesi dall’ultimo aggiornamento.

Prima di tutto, vi chiedo di perdonarmi.. Sono mesi che non aggiorno e posso solo immaginare la frustrazione di voi lettori, faccio ammenda. La verità è che mi sono appassionata ad altri fandom e ad altri progetti, e finalmente posso dire con assoluta certezza di star scrivendo per la prima volta una storia originale. Un fantasy, ovviamente. Magari lo pubblicherò qui su EFP, un giorno!

Inoltre,  sono al quinto anno di liceo e tutto ciò  mi ha non poco stressata, al punto da farmi arrivare sull’orlo di una crisi nervosa. Brutta cosa sono gli esami di stato. Brutta brutta bruttissima. Aggiungeteci anche diversi problemi famigliari e privati ed ecco qui i motivi principali di tutto questo silenzio stampa.

Non mi sento di dirvi che il prossimo aggiornamento arriverà a breve… anzi, non so nemmeno cosa ne sarà della mia vita dopo gli esami, lol. Posso solo promettervi e assicurarvi che non abbandonerò mai completamente questa fan fiction. Sono troppo affezionata ai miei due dorks Sansa e Sandor, e anche se non sono proprio entusiasta di scrivere gli ultimi capitoli, visto la drammaticità che prenderà la piega della storia (no angst no party), prima o poi questa storia avrà un epilogo e una conclusione, di questo sono certa. Perciò dico già da adesso GRAZIE MILLE a tutti coloro che continueranno a seguire la storia nonostante tutto, e un sincero “mi dispiace” a chi non se la sente. Grazie soprattutto a tutti coloro che hanno continuato a recensire e rileggere (!!!) la storia durante questi mesi di attesa, è solo grazie a voi che questa storia è arrivata sin qui. Siete preziosissimi, non smetterò mai di dirvelo, e grazie, grazie, grazie mille ancora per tutto. Anche da parte di Sansa e Sandor.
Grazie.


Passando alla storia: cavolo, finalmente ‘sti due si son svegliati! Ahah Sansa ha preso posizione una volta per tutte, reclamando a gran voce ciò che è suo, e Sandrone non se l’è fatto ripetere due volte. Spariamo le bombe! Finalmente una gioia! Aspettavo di scrivere ‘sto capitolo da secoli XDD

Arya in questo capitolo è insopportabile, lo so, ma ho cercato di mettermi nei suoi panni: lei odia il Mastino, è nella sua lista nera, e lo vede come ostacolo al suo rapporto con Sansa che finalmente ha rivisto dopo tantissimo tempo e che credeva di aver perso per sempre. Una volta che sa che fra i due c’è persino del tenero, mi è parso normale che impazzisse. Di gelosia? Di rabbia? Entrambi? XD Ciò che conta alla fine, è che senza di lei i nostri due scemi non avrebbero mai avuto modo di riavvicinarsi. Quindi: grazie, Arya!

Ringrazio tutti per le recensioni. Stavolta, giuro, cercherò di rispondere a tutte! Per il momento vi mando solo un enorme bacio e un abbraccio fortissimo. I vostri pareri mi danno sempre una carica fortissima e mi fanno tornare voglia di scrivere. Grazie mille.

Un abbraccio in particolare alla mia Beta preziosissima  Amy Dickinson.  Grazie, grazie, grazie <3


Sempre vostra.

p.s: quanti di voi stanno seguendo la sesta stagione? Sandor pls torna e salva Sansina che senza di te è persahh çç

 
 
 
   
 
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