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Autore: Vago    20/05/2016    2 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Il gruppo si divise in due.
Nirghe e Seila avrebbero preso la prima strada verso nord, mentre gli altri avrebbero continuato verso est per raggiungere le rispettive mete.
- Una volta superata la prova, ci dirigiamo tutti alla setta. Intesi? – disse Nirghe mettendosi la tracolla in spalla e sistemandosi addosso i vestiti da civile sgualciti.
- Vedi di non perderti. – gli rispose il Lupo.
- Io sarei più preoccupato per la tua sorte. – ribatté il Gatto.
 I gruppi si divisero senza altri convenevoli, puntando ognuno verso il punto che la sua mappa indicava.

Hile, Mea, Jasno e Keria incontrarono la Via del Sale, la strada che da dalla prosperosa città di Derout al margine occidentale delle terre raggiungeva le pendici dei Muraglia, poco più di un’ora e mezza dalla loro partenza.
- Chi è il più vicino? – chiese Mea tirando fuori da una tasca il suo pezzo di mappa accuratamente piegato.
- Credo io. – le rispose Jasno da sotto il cappuccio. – La mia macchia è in questo campo vicino a... Zadrow, questo piccolo paese qui. –
- Zadrow? – chiese stupita Keria.
- Si, qui c’è scritto questo. –
- Quello è il paese in cui sono cresciuti Ardof del Fuoco e Trado dell’Aria! Mentre ci passiamo accanto potremmo andare a vederlo, non ci porterebbe via cosi tanto tempo… -
- Vedremo quando ci passeremo vicino. – le rispose la maga. Intanto incamminiamoci, non voglio stare troppo tempo nella Terra della Roccia. –
La Piana Umana si stendeva a distesa d’occhio, piatta. L’unica cosa che si alzava verso il cielo erano le coltivazioni o i boschetti circoscritti che erano riusciti a crescere. Ben pochi dei villaggi che si affacciavano sulla strada erano affollati, della maggior parte non rimaneva che un gruppo di ruderi.
- Non doveva essere abitata dal popolo dei nani, questa terra? Finora i pochi abitanti che abbiamo incontrato erano umani. – chiese Hile guardandosi intorno.
- Da quanto so, i nani hanno prosperose città nel sottosuolo, il cui unico ingresso è nascosto da qualche parte sui Monti Muraglia. Temo che non ne vedremo molti, da quando è dilagato il morbo della squama grigia, il re dei nani ha emendato una legge per cui il suo popolo non può uscire da confini sotterranei del suo impero. Quindi se vedrete un nano sappiate che molto probabilmente sarà un individuo allontanato dalla comunità.–
Impiegarono tre giorni per raggiungere il primo bivio che si incamminava verso sud. Su un cartello rovinato dalla pioggia e dagli escrementi di uccello erano riportati i nomi delle città che si sarebbero incontrati lungo il percorso. Zadrow era tra questi, seguito da una breve nota recitante: “ Città natale degli Eroi”.
- Laggiù c’è un altro cartello.- disse Keria. – Vado a vedere cosa c’è scritto.-
L’arciere si allontanò rapida dal gruppo.
- Tu non sei un po’ curiosa di vedere dove sono nati Ardof del Fuoco e Trado dell’Aria? – chiese Hile alla mezzelfa.
- Li abbiamo incontrati di persona, non vedo come possiamo chiedere di più. Sarei curiosa di visitare i cunicoli dove si era rifugiata la resistenza, oppure l’avamposto davanti al quale hanno combattuto i demoni di Reis. Zadrow è solo un paese come altri. –
- Allora, - disse Keria ritornando – in pratica un carro passa ogni ora per portare i turisti fino al paese. Il prezzo per il viaggio sarebbe di cinque Laire di rame a persona, non è molto, e poi ci risparmieremmo un bel pezzo di strada…-
- Se vuoi andare a Zadrow, facciamolo. Non che mi cambi molto, almeno potrò chiedere informazioni al conducente. – le rispose la maga.
Dopo una trentina di minuti, un carro comparve sulla strada, trascinato in avanti da una coppia di muli grigi.
Non appena il carro fece inversione di marcia sulla strada principale, riprendendo la via del ritorno, Mea chiamò il conducente a gran voce.
- Posso esserle utile?-
- È lei che trasporta le persone fino a Zadrow?-
- Si, volete usufruire del servizio? Per tutti voi sarebbero due Laire d’argento. –
La somma cadde dalla mano dell’arciere, per poi venire direttamente inghiottita dal borsello dell’uomo.
La carrozza ripartì lenta verso sud, lungo la strada che pareva essere stata percorsa centinaia di volte.

Quasi mi mancava questo paesaggio. Quasi.
Mi ricordo ancora i primi tempi dopo il Cambiamento. Allora non avevo molto tempo libero, tra i giovani Cavalieri, la nascita di città che volevano autogestirsi e quei quattro che si sono fatti la scampagnata fino all’isola dei draghi.
Sono passati solo sessant’anni, ma mi sembra passato molto più tempo, da quando il mantello rattoppato di Kesher si muoveva alla luce delle torce e i bambini ridevano alle sue battute.
Sto diventando uno schifosissimo sentimentale. Dovrei farmi curare.

I campi coltivati si susseguivano continuamente, le spighe quasi pronte ad essere mietute ondeggiavano lievi a un vento pacato.
 Poi, in lontananza, una cittadina coprì una piccola porzione di orizzonte.
Le prime ville si presentarono a bordo della strada, avevano l’aria di essere state costruite da ricchi cittadini per potersi permettere di passare i mesi più caldi immersi nella natura, piuttosto che all’interno delle mura cittadine.
Infine, il centro abitato si fece più nitido, vicino. Le case, una volta probabilmente appartenute a contadini, ora si presentavano ricche sotto le pitture sgargianti che ne rivestivano le pareti esterne, mentre ben pochi dei fienili e delle stalle che affollavano la periferia svolgevano ancora il loro compito.
Il carro si fermò nella piazza principale della cittadina. Attorno vi erano solo case una ammassata all’altra, in alcuni punti si potevano ancora intravedere assi o travi appartenenti alle strutture originarie.
Al centro della piazza, ricoperto da vasi di terracotta colmi di fiori, riposava un ceppo d’albero sufficientemente grande da poter ospitare un carro. Gli anelli si susseguivano uno dopo l’altro, larghi, a testimonianza della fertilità di quella terra.
- Cosa ci consiglia di visitare?- chiese Keria entusiasta al conducente poco prima che questi ripartisse.
- In fondo a quella via potete trovare la casa in cui nacque Trado dell’Aria. Se invece state cercando negozi, la via sulla destra è quella che fa per voi. Lì potrete trovare la birra artigianale di Zadrow, anche se mi sembrate un po’ troppo giovani per bere, e la bottega di uno dei mastri vasai più conosciuti nelle due Terre occidentali. – le rispose l’uomo indicando due vie vicine sul lato opposto della piazza. – Altrimenti, se vi ritenete fortunati,  proseguendo per la via maestra potrete vedere la casa in cui visse Ardof del Fuoco, ma non è mai stata restaurata, è poco più di un rudere ora come ora. –
- La ringrazio. Buona giornata! – disse ancora Keria, per poi tornare dai suoi compagni.
- Visto che sei voluta venire qua, cosa vuoi andare a vedere? – le chiese la mezzelfa mentre cercava di leggere un cartello su una panchina a lato della piazza.

Ve lo dico ora cosa c’è scritto lì sopra o ve lo dico dopo?
Vabbè, lo farò ora.
Vi avverto già da ora che avrete bisogno di un piccolo sforzo di memoria.
Il cartello in questione recita: “ Viene tramandato da generazioni che Ardof del Fuoco, in gioventù, solesse passare le sue giornate seduto su questa panchina. Vietato toccarla in quanto reperto.”
Bene, ora, a parte il fatto che la panchina in cui si sedevano Ardof e famiglia era dalla parte opposta della piazza, vorrei deviare la vostra attenzione sul fatto che quel pezzo di ferro non avrà più di quindici anni.

Ora che ci penso, parlando dei miei cari vecchi amici, immagino che i più arguti di voi si siano chiesti: Ehi, ma i genitori di Ardof pensavano che il loro caro figlio fosse lì con loro e gli avesse dato pure dei nipoti! Come avranno reagito?
Ora, sono uscito poco negli ultimi sessant’anni, ma qualcosa ve lo so dire ancora. In principio dei Cavalieri si conosceva solo il nome seguito dall’epiteto e nessuno si stupì più di tanto dell’esistenza di due Ardof. Poi l’Ardof contadino si trasferì in mezzo alla piana umana, ora dovrebbe esserci una cittadina o una Chiritai, ora non mi ricordo bene. Solo dopo una ventina d’anni il cognome degli “eroi” venne alla luce, ma tutti quelli che potevano ricordarsi di un Ardof Neghyj trasferito erano già morti, genitori compresi. Praticamente ora c’è una famiglia Neghyj che si pensa sia imparentata con l’eroe. Nulla di più.

- Non è che non mi interessino le cose… turistiche. Ma credo che questa sia una piazza bellissima, se avete intenzione di fare un salto nella via delle botteghe… - disse Hile camminando piano mentre, con lo sguardo, passava in rassegna il muro di una casa vicina. Lì, su una targhetta in ferro arrugginita, con un incisione sbiadita, era stata scritta la frase “ Come commemorazione per il decimo anniversario della morte del girovago, nonché cantastorie e teatrante, Kesher, la confraternita cittadina dei teatranti di Zadrow offre questa targa.”

Si sono spesi parecchio, non c’è che dire…
Scherzi a parte. Non pensavo che durante il mio soggiorno nei pressi dell’Accademia fosse diventato così famoso.

- Da quanto mi ricordo Trado del Vento visse nella Grande Vivente dopo il Cambiamento. Potremmo andare a vedere la casa di Ardof del Fuoco, magari possiamo trovarci qualcosa di interessante! – rispose l’arciere a Mea.

Il gruppo si incamminò quindi per la via maestra, che continuava verso sud tagliando la cittadina a metà e perdendosi tra le colline gialle e le villette sparse.
Solo dopo una ventina di minuti abbondanti di cammino, sulla sinistra, comparve una vecchia fattoria cadente. Sembrava stonare in mezzo a quel paese così turistico e appariscente.
Le pareti presentavano numerosi rattoppi, diverse persiane pendevano o mancavano completamente e la paglia che copriva il tetto sembrava a prima vista marcescente.
- Siamo sicuri che sia questa? – chiese Jasno guardando la catapecchia da sotto il suo cappuccio.
- Quell’uomo ci aveva avvisati che era in stato di abbandono. – gli rispose Keria, con uno sguardo dubbioso negli occhi verdi.
- Così però mi sembra esagerato. Non capisco come possano lasciar andare in malora un luogo importante come questo… - continuò l’albino.
Fu Mea a fare il primo passo sul sentiero in terra che portava all’ingresso, facendo attenzione a non mettere i piedi nelle pozze di fango che costellavano la via.
A fianco dell’ingresso, poterono accertarsi, in una timida vernice nera, era stato scritto un “Neghyj” insicuro.
Hile aprì la porta piano, sbirciando all’interno della casa cercando di cogliere un qualsiasi movimento.

Che schifo!
Scusate, ma quando ci vuole ci vuole. Da quant’è che non danno una pulita qui dentro? Ci sarà una nuova civiltà evoluta tra uno strato e l’altro di polvere.

La casa era ammobiliata come se qualcuno ancora ci vivesse, ma uno strato di sudiciume ricopriva quasi tutto il mobilio e il tappeto che copriva gran parte del pavimento al di là dell’ingresso.
I quattro entrarono circospetti, silenziosi come se stessero per concludere un incarico sotto le vesti di assassini.
- Scusate… C’è qualcuno? – chiese timida Keria, guardandosi attorno.
Non arrivò nessuna risposta dalla casa.
Il gruppo fece ancora qualche passo incerto sulle assi consumate del pavimento. Hile portò involontariamente una mano a uno dei dodici coltelli.
Il Lupo sapeva che non avrebbero dovuto continuare a camminare tra le stanze, ma i suoi piedi si muovevano come da soli.
La prima sala che incontrarono fu una specie di soggiorno. Una stufa riposava in un angolo, con a fianco una catasta di legna. Poche sedie sparse e un tavolo scuro occupavano il centro della stanza.
Dal soffitto pendevano lunghe ragnatele impolverate.
- Chi è? – urlò una voce dall’ingresso.
L’istinto fu più veloce del pensiero. Un coltello tagliò l’aria in direzione dell’uscita e della figura nera che su essa sostava.
Hile si pentì subito dell’azione.
– Renèz. – La lama invertì la rotta a due passi dal volto della figura, per essere ripresa dalle dita abili.
- Ho chiesto, - continuò con voce tremolante la figura – chi siete. Rispondetemi. Cosa siete venuti a fare qui? –
- Ci deve perdonare. – le ripose Mea facendo due passi in direzione della porta. – Non pensavamo che questo posto appartenesse a qualcuno. Siamo viaggiatori ed eravamo venuti a Zadrow per poter visitare la casa che diede i natali a uno dei più famosi eroi dal Cambiamento. –
- La casa non è aperta ai turisti. Ora andatevene. – la voce della donna sull’ingresso si fece dura.
- Signora, non volevamo causarle tanto disturbo… ci può dire almeno chi è? – riprese la mezzelfa facendo un ulteriore passo avanti.
- Andatevene. –
Il gruppo attraversò nuovamente la porta, venendo abbracciato dalla luce del sole non appena la soglia venne lasciata alle spalle.
- Solo i mezzelfi hanno i capelli blu e gli occhi viola, vero? E nascono dall’incrocio di umani ed elfi. – chiese Hile con un filo di voce alla maga.
- Si, ma perché ti interessa? –
Il Lupo si fermò a metà della stradina che li avrebbe riportati sulla via maestra, voltandosi in direzione della casa e della donna che li osservava dall’uscio con sguardo severo.
- È sua questa casa, non è vero? –

Se ha fatto un ragionamento compiuto tutto da solo potrei seriamente pensare di preparargli una torta.
Potrebbe non essere un ragazzino idiota, o, per lo meno, potrebbe non essere solo quello.

- Sì. È casa mia. Ora andatevene. –
- I suoi genitori la salutano. Volevano che lei sapesse che le vogliono ancora bene… - Hile riprese la strada, allungando il passo per raggiungere i suoi compagni.

Gli devo una torta…

Seguì un momento di silenzio in cui i quattro assassini ebbero il tempo di raggiungere la strada principale e imboccarla per dirigersi verso il villaggio.
- Voi non potete conoscere i miei genitori. Non sapete nemmeno chi sono io. – urlò ancora la donna con una strana nota nella voce.
- Tu credi? – le chiese Hile voltandosi di nuovo. – Noi quattro siamo stati sul continente, ci siamo andati per incontrare i Sei eroi. Con loro siamo andati nella Volta e lì li abbiamo visti morire. Sono morti davanti ai nostri occhi e i loro fantasmi, prima di scomparire, ci hanno chiesto di salutare i loro figli. Tu sei la figlia di Ardof del Fuoco e Frida dell’Acqua, non è così? Comunque, buon pomeriggio.
Il gruppo riprese il cammino senza dire altro.
- Non ti sembra di essere stato un po’ troppo brusco?- chiese il Drago al Lupo.
- No. Ha fatto bene. – le rispose la maga. – Lei è sicuramente la figlia degli eroi e non ci avrebbe mai ascoltato se Hile non avesse fatto così. –

Povera donna… provo uno strano senso di pena per lei. Non è normale, questa cosa. Dovrei farmi visitare da un bravo medico.
Sapete, non l’avevo mai vista prima. Deve essere nata sul continente, dopo il mio addio definitivo ai Cavalieri…

Un rumore veloce di passi si avvicinò sulla strada.
- Fermi! – urlò la donna.
- Possiamo fare qualcosa per lei? – chiese Jasno voltandosi appena.
- Posso… posso offrirvi un tè? Avrei… delle cose da chiedervi. - 

   
 
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