A Judal non era mai piaciuto il fatto che gli altri lo disturbassero durante i suoi momenti di svago.
Nessuno gli aveva mai imposto un limite, qualunque cosa facesse. Quindi che il più delle volte le sue azioni fossero dettate dal puro istinto era da considerare anche normale.
«Devo diventare più forte» disse, mentre si allenava con le flessioni nell’immenso giardino del palazzo imperiale. Il sole splendente e un gradevole venticello fresco rendevano il clima piacevole, l’ideale per fare esercizio fisico.
Poco tempo dopo s’intravide il terzo principe della dinastia Kou avvicinarsi verso il magi. «Judal-kun!»
Il corvino riconobbe la voce, ma continuò ad esercitarsi, ignorandolo.
«Che ne dici di combattere contro di me?» chiese il ragazzo dai capelli magenta.
«Non ne ho voglia. Poi mi sto allenando, non vedi per caso?» rispose, scorbutico come al solito.
«Ti divertiresti più scontrandoti con me che facendo le flessioni» ribatté il principe, curvando le labbra.
«Preferisco fare i miei esercizi. E ora lasciami in pace, moccioso.»
Kouha non diede molto peso alle parole del ragazzo, ma rimaneva comunque il fatto che avesse adombrato le sue capacità e questa cosa lo irritò molto. Dopotutto non poteva negare di provare qualcosa per Judal, quindi — o per una sorta di ripicca o per piacere personale — si sedette sul ventre di quest’ultimo e iniziò a contare le sue flessioni.
«Che diamine fai? Sei pesante, togliti!»
«Non eri forte fino a qualche istante fa? E poi ti sto solo aiutando nel tuo allenamento.» disse subdolamente, agitando le gambe.
Il magi dovette starsi zitto, lasciandolo fare. Mentre lui continuava i suoi esercizi, il rosso si stese sul suo corpo. L’espressione del corvino cambiò: era furioso, stava quasi per sbraitargli contro quando arrivò alla conclusione che se avesse continuato a non dargli retta prima o poi avrebbe smesso di infastidirlo.
Kouha, ormai stufo di fungere da contatore e della continua monotonia del susseguirsi delle cose, si accostò al viso di Judal; in questo modo, bilanciò il suo peso con quello dell’altro. Quest’ultimo, concentrato sul suo addestramento, sentì il peso del ragazzo calare.
«Alla buon’ora, stai scendendo» disse esultando, pensando che il principe si fosse finalmente deciso a lasciarlo stare.
In quello stesso momento il ragazzo dai capelli rossastri si avvicinò alle sue labbra, una delle cose che più aveva bramato fino a quell’istante, fino a sfiorarle.
Il corvino, che si era dimostrato tollerante fino a poco prima, si scrollò immediatamente il ragazzino da dosso. La sua faccia era rossa, un misto tra imbarazzo e rabbia;  i suoi occhi cremisi parevano più vivi che mai.
Non era mai stato un tipo che esternava a voce alta i suoi sentimenti, per cui lasciò che le sue elaborazioni restassero serrate nella sua mente: l’unica era cambiare argomento, possibilmente senza incrociare i suoi occhi. Del resto era venuto lì per combattere, perciò sarebbe dovuto essere felice se l’avesse accontentato — e lui altrettanto di riempirlo di botte dopo quelle azioni tanto sconsiderate.
Puntò la sua bacchetta verso il volto di Kouha e disse con aria sdegnata: «Pronto per combattere?».
Ren Kouha ghignò, soddisfatto: aveva appena scoperto un modo efficace per renderlo sempre mansueto.