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Autore: Emily Kingston    22/05/2016    1 recensioni
Sono venuta al mare oggi, perché volevo stare un po’ da sola.
Ultimamente ne ho bisogno spesso, ma va bene anche così.
Perché le cose stanno iniziando ad andare meglio.
Non so bene cosa voglia dire, perché non mi sento ancora pronta a fare niente, ma ogni tanto quando respiro mi sembra che l’aria mi entri meglio nei polmoni.
Forse sto imparando di nuovo come si fa.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Così un giorno mi risponderai “meglio”
 
«Come va?
Te lo chiedo sempre,
così un giorno mi risponderai
“meglio”»
 
 
 
«We all carry these things inside that no one else can see. They hold us down like anchors, they drown us out at sea1»
L’ho scritto sulla sabbia umida con la punta delle dita. Le lettere sono tutte storte, alcune più grandi, altre più piccole e presto le onde se le porteranno via.
Non so dove ho trovato questa frase, ma mi piace. È vera.
Siamo tutti pieni di cose che sono troppo per gli altri.
Troppo grandi.
Troppo intime.
Troppo fragili.
Quelle piccole crepe e cicatrici che ci portiamo dietro e che c’indeboliscono.
Di recente, però, ho imparato che non dovremmo averne paura.
Va bene essere rotti. Va bene portare addosso i segni.
Sono venuta al mare oggi, perché il mare è il mio posto preferito.
Mi piacciono la sensazione della sabbia tra le dita, la brezza salmastra che ti fa scompigliare i capelli e perdere la voglia di cercare di dargli di nuovo un senso e il rumore delle onde, il loro moto incessante.
C’è quella punta di certezza nella marea che mi rassicura.
Perché se ne va, ma sai che ritorna sempre.
Ho scelto proprio questo posto, una lingua di sabbia tra due alte dune, oltre gli ultimi stabilimenti balneari, non solo perché non ci viene mai nessuno.
L’ho scelto anche perché racchiude tanti ricordi della mia infanzia e se chiudo gli occhi riesco ancora a vedere il capanno che hanno smantellato tanto tempo fa. Riesco a vedere i bambini che scorrazzano, gli zainetti con la merenda, il sole caldo e i costumi colorati e mi viene da sorridere.
Sono venuta al mare oggi, perché volevo stare un po’ da sola.
Ultimamente ne ho bisogno spesso, ma va bene anche così.
Perché le cose stanno iniziando ad andare meglio.
Non so bene cosa voglia dire, perché non mi sento ancora pronta a fare niente, ma ogni tanto quando respiro mi sembra che l’aria mi entri meglio nei polmoni.
Forse sto imparando di nuovo come si fa.
Le onde hanno portato via la frase che ho scritto, ne è rimasto solo uno scheletro slavato. In lontananza, verso ovest, vedo arrivare una coppia di ragazzi.
Il sole sta tramontando.
La ragazza ha i capelli lunghi e tenta di tenerli dietro alle orecchie affinché non le coprano il viso, ma il vento non sembra essere dalla sua parte. Sta ridendo.
Lui, invece, la osserva con fare impacciato, il braccio sinistro che sembra rincorrere il momento giusto per prenderle la mano senza trovarlo.
Sorrido, ma non penso che sia arrivato agli occhi.
Un po’ li invidio, anche se non è semplice ammetterlo. Invidio il fatto che riescano ancora ad avere il coraggio di rischiare di essere feriti; invidio la loro capacità di riuscire a togliersi un pezzettino di cuore dal petto e porgerlo a qualcun altro, sapendo che potrebbe non prendersene cura.
In certi momenti vorrei averlo ancora anche io questo coraggio.
Vorrei non avere l’impulso di mettermi a correre al solo pensiero.
Finalmente le prende la mano, si vede che ha una paura matta che lei si allontani e gli dica no, scusami, ma per me non è lo stesso. Per fortuna si limita a sorridere e a far accomodare le sue dita negli spazi tra quelle di lui.
È sorprendente come possa essere perfetto l’incastro tra due mani.
Sono contenta che la ragazza non gli abbia spezzato il cuore.
La mia scritta ormai è completamente scomparsa e, con un sospiro, mi avvio di nuovo tra le dune. Mi siedo sulla sabbia, rannicchiando leggermente le gambe contro il petto, e osservo ancora per un po’ i due ragazzi che passeggiano sul bagnasciuga, finché non spariscono alla mia vista.
Adesso è di nuovo tutto deserto.
Chiudo gli occhi e mi ritrovo su un’altra spiaggia, di fronte a un altro mare e con altre persone, nel ricordo di un passato lontano e sbiadito. Ma, nonostante tutto, è un tuffo piacevole.
Forse sono diventata troppo nostalgica.
Forse è la mia incapacità di lasciar andare il passato a tenermi ancorata qui, a farmi affogare in mare aperto.
Però forse va bene.
Voglio dire, tenermelo stretto. Non così tanto, ma almeno un po’.
Intanto, ho scoperto che l’aria mi è mancata. È fresca. È buona.
Ora sto meglio. Ogni tanto, solo per un po’. Ma almeno.
Volevo fotografare il tramonto, ma il cielo è troppo nuvoloso. Ora che il sole è calato, inizia a fare fresco, ancora l’estate non è abbastanza vicina.
Mi metto il giacchetto, raduno le mie cose dentro alla borsa e mi alzo, togliendomi la sabbia dal pantaloni.
Lancio un ultimo sguardo al mare, alle onde che abbracciano il litorale e al punto in cui avevo fatto la mia scritta prima che l’acqua se la portasse via.
Mi volto, so già che scendendo la duna mi riempirò le scarpe di sabbia. Vabbé.
Sarà per colpa dei miei pensieri o per colpa della marea, ma mi viene in mente il Grande Gatsby.
Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato.
Scuoto la testa con un sorriso: lo sapevo che mi si sarebbero riempite le scarpe di sabbia.


 
1Tutti ci portiamo dentro delle cose che 
nessun'altro può vedere. 
Ci trattengono come ancore, 
ci fanno affogare in mare aperto.
 
   
 
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