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Autore: Esteliel    22/05/2016    0 recensioni
L'illusione della giustizia può essere un'arma a doppio taglio, che anche dopo molti anni torna a perseguitare i sogni di chi, di proposito, ha deciso di voltarle le spalle. Ed è quando l'illusione viene allo scoperto che si presenta anche un atroce dubbio: la giustizia da che parte stava davvero?
Genere: Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il rumore persistente delle sirene si infranse sulla facciata della Banca d’Inghilterra, la sua eco si insinuò all’interno dell’edificio. L’ampio ingresso della banca, celato dietro la facciata neoclassica, era semi deserto. La maggior parte della popolazione londinese aveva seguito alla lettera le raccomandazioni del portavoce della polizia. Persino un buon numero di impiegati era stato colto da un improvviso quanto misterioso malore, che li aveva costretti a rinunciare alla consueta giornata di lavoro allo sportello. Due guardie giurate erano immobili all’esterno, oltre le cabine circolari di vetro spesso che si aprivano sul salone principale. Un’ altra si trovava di fronte agli ascensori, seduta dietro il banco di comando delle telecamere. La banca aveva aperto puntualmente due ore prima, alle nove precise, quando gli addetti alle pulizie avevano sgombrato gli uffici ubicati al piano superiore. Non sembrava ci fosse molto da controllare, le riprese del circuito chiuso rimandavano le immagini di corridoi deserti, attraversati di tanto in tanto da pochi impiegati che si spostavano da un ufficio all’altro. Da quando era terminato l’afflusso di impiegati che si recavano ai loro posti di lavoro, le porte degli ascensori erano rimaste aperte e immobili, l’interno rischiarato da piccoli neon dalla forma rettangolare.
Le sirene della polizia avevano distratto la guardia alle telecamere solo per un momento. L’attimo successivo, l’uomo aveva lanciato un’occhiata annoiata agli ascensori aperti e si era concentrato sulla lettura del Times, ripiegato sulle ginocchia in modo che sparisse sotto il bordo spiovente del banco ovale.
Un impiegato, impeccabile nella sua giacca grigio polvere, si muoveva lungo il corridoio che conduceva alle stanze blindate, tallonato da vicino dal suo cliente. Gli lanciò un’occhiata veloce, aggiustandosi il nodo della cravatta in un gesto automatico.
«Hanno un bel da fare, eh?» domandò con fredda cortesia.
Townsend si riscosse alla domanda dell’impiegato, rivolgendogli uno sguardo vacuo, come se da principio non avesse inteso le sue parole. Teneva le labbra serrate, nel tentativo di non esternare il proprio nervosismo con qualche balbettio sospetto. Quando fu certo di poter mostrare una reazione neutra, sollevò gli angoli della bocca in un sorriso privo di entusiasmo. La montatura pesante dei suoi occhiali spiccava sul volto magro; libere dai capelli stopposi, legati stretti dietro alla nuca, le guance sembravano letteralmente sparire sotto le lenti.
«È probabile che abbiano ricevuto una chiamata» proseguì l’impiegato, con aria saputa. «Altrimenti non se ne andrebbero così, a sirene accese.»
«O magari una soffiata» buttò lì Townsend, temendo che il suo silenzio potesse alla lunga risultare controproducente.
«Santo cielo, che situazione orribile» sospirò l’impiegato con tono affettato.
Si posizionò davanti a Townsend, nascondendo alla sua vista la tastiera numerica incassata nella porta di ferro davanti alla quale si erano fermati. Le sue dita si mossero rapide e sicure a comporre il codice richiesto.
L’interno della camera blindata era abbastanza ampio da non risultare claustrofobico, come quello delle banche più piccole. L’impiegato guidò in silenzio il suo cliente fino al numero segnato sul dattiloscritto che reggeva in mano e lo aiutò a prelevare la cassetta di sicurezza con il numero corrispondente alla sua chiave.
«Se si vuole accomodare nella saletta qui accanto…»
«Non potrei aprirla qui?» lo bloccò Townsend. «Non resterò molto» assicurò, tentando disperatamente di deglutire senza fare troppo rumore.
L’impiegato mostrò un’educata sorpresa ma, in onore delle regole di un istituto prestigioso quale la Banca di Inghilterra, non insisté oltre.
«La saletta serve solo a garantire la sua privacy.» Si strinse nelle spalle. «Ma se desidera, può aprirla qui.
Townsend si sforzò di sorridere in segno di gratitudine. Notò con la coda dell’occhio un movimento fuori della porta blindata rimasta aperta, prima che l’impiegato gli voltasse la schiena, informandolo che lo avrebbe atteso fuori.
Townsend distolse lo sguardo, concentrando la propria attenzione sulla cassetta, che reggeva con entrambe le mani. Tirò un lungo respiro tremante e dovette sforzarsi per non serrare gli occhi. Tese l’orecchio, aspettandosi di udire il richiamo d’aiuto dell’impiegato da un momento all’altro. Ma udì solo un urlo soffocato, seguito da un tonfo. Non gli fu difficile immaginare quello che era successo. Ne ebbe conferma poco dopo, quando Powell entrò nella sala blindata all’indietro, trascinando per i piedi il corpo privo di sensi dell’impiegato. Lo mollò all’inizio della fila di cassette di sicurezza con uno sbuffo irritato e marciò con decisione verso Townsend, che si affrettò a sollevare la cassetta, la chiave già infilata nella serratura.
Powell prese la piccola chiave tra le dita sottili e aprì la cassetta, infilandovi le mani per estrarre con cautela un piccolo involto quadrato. Si accovacciò a terra e iniziò a rimuovere quello che sembrava uno spesso strato di pellicola. Senza staccare gli occhi da quello che stava facendo, infilò la mano libera nella tasca dei pantaloni. Gettò sul pavimento un rotolo di nastro adesivo e frugò nuovamente nella tasca, tirandone fuori un agglomerato di fili. Townsend rimase per qualche istante impalato a fissarlo, i suoi occhi si soffermarono sulla divisa blu che l’altro doveva aver prelevato dagli stanzini degli addetti alla pulizia.
«È andato tutto bene?»
«Se sono qui, significa che è andato tutto bene» rimbrottò Powell, l’occhio buono che seguiva i movimenti precisi delle sue mani. «Ora lasciami lavorare, Ramsfield sta aspettando agli ascensori.»
Senza farselo ripetere due volte, Townsend si diresse verso l’uscita della camera blindata. Passando accanto al corpo dell’impiegato, notò un livido scuro farsi strada sulla sua nuca. Cercando di non pensare alla gentilezza con cui quell’uomo l’aveva accolto, ripercorse il corridoio quasi a passo di corsa. Scorse un altro uomo, appoggiato alla parete degli ascensori; anche lui indossava una divisa scolorita ma, a giudicare dai numerosi bottoni lasciati aperti, non si trattava del suo proprietario originario. Si bloccò di colpo, alzando una mano per spingersi gli occhiali su per il naso sudato. Le sue gambe non risposero subito all’impulso nervoso, procedendo ancora di qualche passo prima di fermarsi. Dopo i primi attimi di smarrimento, non poté non notare il tutore rigido che imprigionava la sua gamba destra. Il tonfo del bastone che colpiva il pavimento lustro lo fece sobbalzare.
«Powell è già al lavoro?» gli domandò Ramsfield, girando la testa nella sua direzione.
Aveva il respiro affannoso, ma sembrava sforzarsi di non darlo a vedere. Townsend annuì, avvicinandosi a sua volta agli ascensori. Notò di sfuggita che in entrambi lampeggiava una luce rossa, su cui era impresso il simbolo delle porte aperte.
«Abbiamo usato due ascensori diversi» spiegò Ramsfield, prevenendo la sua domanda. «Mentre era distratto con me, Rudge l’ha tramortito.»
Townsend seguì la direzione indicatagli e intravide le gambe della guardia, stesa dietro la postazione delle telecamere. Qualcun altro stava armeggiando dietro il banco, la serie di imprecazioni ininterrotte che si udivano non lasciava molti dubbi sulla sua identità.
«Degli altri impiegati cosa…?»
«Hanno ricevuto una chiamata urgente dall’ufficio del direttore» rispose Ramsfield, sollevando il mento ad indicare la parte opposta del salone, dove si apriva un altro corridoio. «Da lì non possono vederci.»
«Non ti sorprende così poca sicurezza?»
Il petto di Ramsfield si sollevò in una risata silenziosa e senza allegria. I suoi occhi verdi si inclinarono a fissare Townsend.
«Si è sparsa la notizia dei Lloyds.»
Townsend serrò la bocca, distogliendo lo sguardo per l’imbarazzo. La comparsa improvvisa di Rudge, dietro di lui, lo fece sobbalzare. Perse l’equilibrio e fu costretto ad aggrapparsi alla cornice dell’ascensore per non cadere.
«Dovrei infilarmi questo schifo?» protestò Rudge, agitando i pantaloni della divisa che aveva sottratto alla guardia. «Ma senti qua.»
Li sollevò all’altezza del naso per annusarli e contorse il viso in una smorfia di disgusto. Ramsfield lo squadrò da capo a piedi, dal cappello appena appoggiato sulla testa alle gambe nude. Inarcò un sopracciglio, sbuffando per trattenere una risata. Per tutta risposta, Rudge sollevò ancora di più i pantaloni, speranzoso.
«Mettiteli, signorina» lo canzonò. «Nessuno qui ha voglia di godere ancora della visione delle tue cosce.»
Punteggiò la schiena all’indietro contro la parete e sollevò il bastone, piegando il gomito verso l’alto in modo da assestare un colpo dietro le ginocchia scoperte di Rudge. Townsend si accigliò, fermando uno sguardo discreto sulla giacca della sua divisa ed evitando di soffermarsi sui boxer che si intravedevano poco sotto. Rudge gli scoccò un’occhiata infuocata, ma non osò controbattere a Ramsfield. Si piegò in avanti per infilare i pantaloni, sbuffando sonoramente durante tutta l’operazione.
«Cazzo di idea» borbottò infine, mentre si stringeva la cintura in vita.
Ramsfield si sporse in avanti e allungò la mano libera a calcargli il cappello sulla testa.
«Bada a non fare errori.»
La voce uscì a stento, le sue labbra si strinsero per per trattenere un gemito di dolore. Rudge annuì un paio di volte, improvvisamente serio. Imbarazzato dal tono quasi paterno del suo capo, distolse subito lo sguardo, fingendo di non notare la sua sofferenza. Mentre Ramsfield si voltava verso il corridoio delle camere blindate, il giovane si limitò a scambiare un’occhiata di sottecchi con Townsend. Sapevano bene che l’uomo che avevano deciso di seguire non avrebbe gradito alcun tipo di pietoso conforto. Pur non fissandolo direttamente, entrambi sentivano di essere oppressi dal peso schiacciante del confronto e, allo stesso tempo, erano sollevati di avere qualcuno da seguire ad occhi chiusi. Non servivano parole per far percepire a Ramsfield un tale stato d’animo né per mostrare quanto lo stesso lo rendesse fiero.
Quando intravide Powell venire verso di loro dal corridoio, gonfiò il petto per prendere un respiro profondo. Strinse il braccio di Townsend con la mano libera, facendogli un cenno in direzione del banco delle telecamere ed incamminandosi a sua volta. Nonostante l’aiuto del tutore rigido, doveva compiere qualche sforzo per muovere il passo con la gamba offesa, costretto a trascinarla leggermente verso il lato per evitare di sbilanciarsi durante il percorso. I tonfi del bastone cominciarono ad echeggiare con cadenza regolare all’interno del grande salone. Rudge li seguì, mentre Powell avanzava a grandi passi verso le cabine d’entrata. Si appiattì contro la parete alla destra dell’ultima cabina, si inginocchiò e fissò l’involto che aveva preparato nella camera blindata con alcuni pezzi di nastro adesivo. Tra la massa di strisce argentate era visibile un ordigno delle dimensioni di una scatola di fiammiferi; due piccole luci intermittenti emanavano il loro tenue bagliore, tre filamenti sottili, intrecciati tra loro, facevano capolino dalla parte sottostante. Dopo essersi assicurato del giusto posizionamento, Powell prese delicatamente il groviglio di fili e iniziò a dipanarlo con gesti lenti e precisi, camminando all’indietro, la schiena inarcata sulle ginocchia.
La testa di Rudge fece capolino da dietro la postazione delle telecamere, i suoi occhi scuri seguivano il dispiegarsi dei fili con crescente nervosismo. Powell era ancora a metà percorso, quando il giovane decise di averne abbastanza. Si ritirò dietro il banco, sollevando le ginocchia e stringendole al petto con le braccia. Un’occhiata alla sua destra gli rivelò che Townsend si era acquattato in modo identico. I due si scambiarono uno sguardo di comprensione, prima di tornare a fissare ognuno le proprie scarpe. Ramsfield, alla destra di Townsend, era immobile in una posizione scomoda, con il ginocchio sinistro piegato e il peso del corpo appoggiato sul tallone. A testa china, Rudge gli lanciò un’occhiata di sbieco, per constatare che l’altro lo stava fissando.
«Ce la farai» gli assicurò Ramsfield, piegando le labbra in quello che apparve un tentativo di sorriso.
Townsend mostrò la sua partecipazione con una leggera gomitata nelle costole di Rudge che, al contrario, deglutì a vuoto, senza trovare fiato per rispondere. I suoi occhi si erano fatti umidi per la tensione così lui, dopo un piccolo sforzo, riuscì solo ad articolare con le labbra un afono “grazie”.
Nello stesso istante comparve nella loro visuale la schiena di Powell, che si accucciò accanto a Ramsfield. Appoggiò sulle proprie gambe la terminazione dei fili intrecciati, che scomparivano all’interno del detonatore, fabbricato da lui stesso il giorno precedente.
«Quando vuoi» borbottò, rivolto a Ramsfield.
Appoggiò la testa all’indietro contro il legno chiaro del banco e chiuse gli occhi. Respirava lentamente, come se si preparasse ad un esercizio ginnico. Nonostante l’apparente calma, due dita della mano destra erano già in attesa sopra l’interruttore del detonatore. Ramsfield girò il viso verso Townsend, che si affrettò ad armeggiare all’interno della tasca dei suoi pantaloni. Estrasse un telefono cellulare e glielo passò.
«Ho memorizzato il numero che mi hai dato.»
Ramsfield appoggiò la spalla sinistra al banco, pigiando il pulsante di ricerca numeri. Individuò subito la voce che gli interessava. Sollevò un po’ il tallone dolorante e accostò il telefono all’orecchio. Dopo parecchi squilli, dall’altra parte fu aperta la comunicazione. Stavolta il “Whitmore, Scotland Yard” si udì più ovattato, soffocato da una caotica serie di altre voci, rombi di macchine in arrivo e l’eco di qualche sirena non ancora spenta.
«Martin.»
Dall’altro capo giunse un tramestio, tra cui spiccò un’imprecazione del direttore Sanders.
«Victor?» domandò Whitmore, sorpreso.
La sua voce era affannosa. Per un attimo Ramsfield non udì più il suo respiro, ma una serie di fruscii. Tutto lasciava ipotizzare che ci fosse qualche interferenza con le radio della polizia o, cosa che in realtà stava accadendo, che il direttore del carcere stesse cercando di strappar via il telefono al capo della polizia, senza alcun ritegno.
«Victor?» ripeté la voce di Whitmore, attraversata da una sfumatura turbata. «Per favore, i Lloyds… Stiamo facendo evacuare…»
«A proposito dei Lloyds» lo interruppe Ramsfield, con un tono quasi affranto. «Spiacente. Io e i ragazzi abbiamo cambiato idea.»
Non si udì risposta immediata, ma non gli fu difficile immaginare che il capo di Scotland Yard fosse ammutolito nel disperato tentativo di digerire quel nuovo scacco. Ramsfield attese, nonostante il calcagno sinistro avesse iniziato a tremargli per lo sforzo.
«Dove siete?» lo raggiunse finalmente la domanda di Whitmore.
Pur colpito dal suo tono rassegnato, Ramsfield non cedette, limitandosi ad abbandonare la sfumatura canzonatoria con cui aveva cominciato la telefonata.
«Banca di Inghilterra, Martin» replicò, duro. «Ti aspetto.»
Un fioco “bontà divina” all’altro capo del telefono fu sufficiente a segnalargli che l’informazione era arrivata. Senza attendere risposta, spostò il pollice sulla tastiera e chiuse la comunicazione. Fece ricadere il cellulare nelle mani tese di Townsend e lanciò un’ultima occhiata di incoraggiamento in direzione di Rudge. Si voltò per lasciarsi cadere a terra con un tonfo e stese la gamba funzionante. Voltò appena la testa per incrociare lo sguardo deciso di Powell, che ora aveva riaperto gli occhi. Sollevò una mano a mostrargli il palmo, puntando poi un dito verso l’esterno e tendendo l’orecchio.
Powell restò immobile a fissarlo, le luci artificiali dell’interno baluginarono sul suo occhio di vetro, mentre le sue dita si spostavano sull’interruttore, in attesa del segnale.
  
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