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Autore: tixit    23/05/2016    0 recensioni
E così, un giorno, Theoric arrivò in città.
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La prima volta che la vide era una bambina.
C’era stato uno scambio di prigionieri con gli Elfi Neri - in pratica gli Elfi si liberavano dei bambini, dei vecchi, dei pazzi e degli storpi Asgardiani “ospitati” in un campo per prigionieri... Un debito morale, sostanzialmente, che generava imbarazzo e parlava di battaglie perse, di uomini lasciati indietro, dati per morti senza essere morti, narrava di donne e bambini catturati al seguito, Aesir tenuti prigionieri come animali, senza più nulla del loro essere guerrieri.
Erano la loro vergogna per non essere morti come sarebbe convenuto ad un vero Aesir ed erano la loro vergogna per non essere stati salvati, ma dimenticati. Imbarazzanti come tutte le promesse mai mantenute.
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Sigyn
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Teoricamente Theoric

La prima volta che la vide era una bambina.
C’era stato uno scambio di prigionieri con gli Elfi Neri - in pratica gli Elfi si liberavano dei bambini, dei vecchi, dei pazzi e degli storpi Asgardiani “ospitati” in un campo per prigionieri.
Quando videro arrivare quel gruppetto sparuto di straccioni, dagli occhi enormi e dal fisico fragile come foglie in autunno, gli Aesir seppero di essere stati ingannati: gli Elfi Neri stavano rimandando ad Asgard l'avanzo del peggio, in cambio di un manipolo di loro guerrieri trattati sempre con rispetto.


In virtù di un giro di parentele e di scambi di favori arrivò a Palazzo, silenziosa e con gli occhi grandi, con altre come lei, destinate ad essere non si sa bene cosa. Un debito morale, sostanzialmente, che generava imbarazzo e parlava di battaglie perse, di uomini lasciati indietro, dati per morti senza essere morti, narrava di donne e bambini catturati al seguito, Aesir tenuti prigionieri come animali, senza più nulla del loro essere guerrieri.
Erano la loro vergogna per non essere morti come sarebbe convenuto ad un vero Aesir ed erano la loro vergogna per non essere stati salvati, ma dimenticati. Imbarazzanti come tutte le promesse mai mantenute.

 

L’unico motivo per cui la andò a vedere, quel giorno, non fu la sua solita indomabile curiosità: Thor ed i suoi amici parlarono con disprezzo dello scambio e lui, per puro spirito di contraddizione, volle vedere questo nuovo gruppo di indegni, che, in quanto ad indegnità, a quel che pareva, lo superavano, agli occhi di suo fratello e della sua cricca di amici.

 

La convinse a lasciarsi lavare e rivestire dalle ancelle usando il seidhr come un giocattolo, allestendo per lei dei giochi di prestigio (che insulto ad un’arte così antica) - era scontrosa come un lupo infernale cucciolo, non voleva farsi toccare, iperattiva nonostante fosse minuscola - le tagliarono i capelli, come alle altre, un groviglio di nodi troppo vecchi da poter sciogliere. E comunque, per loro, non c'era il tempo e la pazienza - in ogni caso non c'erano abituate (decisero le ancelle) e non avrebbero pianto.
Le accarezzò il viso e non le disse che era carina - lo pensava però, aveva gli occhi come due laghi - le disse solo che andava tutto bene: era solo l'inizio di un'altra vita, un rito di passaggio, non una umiliazione.

Poi portarono a tutte da mangiare. Lei lo rimirò a lungo, seduto al tavolo senza un piatto - lui non ne aveva bisogno, non aveva fame, stava solo osservando uno spettacolo insolito, ma lei non lo sapeva. Si alzò, gli prese la mano e divise con lui il contenuto del suo. Per educazione lui mangiò tutto e lei gli sorrise.

 

Ci vollero tre settimane perché parlasse e dicesse il suo nome: Sigyn.  

 

Studiò con lui, nel senso della stessa stanza - lui era più grande e molto più avanti di lei. Non aveva il seidhr che le scorreva potente nelle vene, il giusto, diciamo, ma aveva doti di guaritrice - girava nei boschi infilando erbe nella sua bisaccia (le era rimasto questa predilezione per gli spazi aperto), coltivava un suo orto nei giardini del Palazzo, distillava. E ogni tanto - quasi sempre - lo adorava.

 

Quando la vide piangere per la prima volta era una ragazzina, poco più o poco meno, entrò una sera nella sua stanza e si raggomitolò in lacrime accanto a lui nel letto, un pianto silenzioso e disperato di cui non riusciva a venire a capo. Non le disse nulla e la lasciò dormire con lui, mentre le accarezzava, distratto, i capelli, incurante del moccio sulla veste da notte, di quel pigolio continuo che gli entrava sotto la pelle, gelandola, sgomento perché una cosa così piccola sembrava avere dentro di sé così tante lacrime.
Seppe poi da Frigga, sua madre, che ogni settimana la piccola andava a controllare il bollettino degli Elfi, insieme ad alcune donne anziane e a dei ragazzi. Gli ultimi prigionieri erano stati giustiziati - non sarebbe tornato più nessuno.
Si vergognò di non averle mai chiesto se aspettava qualcuno e chi nel caso - adesso era tardi e non aveva più importanza.

 

La portò sulla riva del fiume ed allestì per lei una pira, senza nessun sacrificio - non avrebbe apprezzato - lei mise dei fiorellini bianchi sul legno, prima che bruciasse, con tanta cura.
La osservò guardare le fiamme, silenziosa, scivolata via, chissà dove, chissà a vedere chi o chissà cosa - un suo segreto, non sapeva ne avesse.
Restarono lì fino a che il fuoco non si spense e pure dopo: restarono fino a che la notte non cominciò a mangiarsi il giorno; a quel punto fu lui a prenderle la mano per riportarla indietro, da dovunque se ne fosse andata, e lei non si ritrasse. Quella fu la prima volta che lo chiamò "Mio Signore" - se ne dispiacque.
Capì che lei, quel giorno, aveva cessato di essere un'ospite di passaggio, che qualcuno ad un certo punto si sarebbe portato via; una che un giorno avrebbe ricambiato l'ospitalità, il pane, il sale, il letto e qualche libro.
Quello a lui, tutto sommato, forse, non dispiaceva, ma a lei, probabilmente - se ne rese conto di colpo - sì.

Poi crebbe e la trovò irritante - capiva suo fratello, decise, come in uno specchio, mentre suo fratello cominciava, forse, ad accettare lui. Scoprì un uso per le ragazze, che non la riguardava.

 

Seppe che voleva studiare con Freya - lei si consultò con lui, il suo allievo più promettente, e lui fu onesto: troppo poco seidhr, era piccola, non era il suo tempo e quindi no. Tra un anno, forse. O anche due. Non credeva in un trattamento di favore, non si chiese cosa lei si aspettasse, non gli importava.

 

E poi ci fu un un ballo, una battaglia riuscita, giovani guerrieri ospiti, un modo di far incontrare futuri sposi e dar loro modo di scegliersi. Non l’avrebbe mai invitata - lei non glielo chiese, però gli gironzolava sempre intorno con gli occhi grandi, i capelli color delle castagne, mentre a Palazzo, ciò che era bello era color d’oro. Thor a volte lo prendeva in giro, la chiamava Sinn - cioè "sua", "di lui", ma lui taceva, senza rispondere - aveva scoperto che la miglior risposta era scoparsi quelle che piacevano a Thor, cercando di batterlo sul tempo, e suo fratello, fortunatamente, aveva gusti facili per donne ancora più facili. Un principe per loro valeva l’altro - e lui nemmeno ricordava i loro nomi, dopo.


Poi la sentì sospirare con le sue amiche - avrebbe voluto un invito. Per farci cosa? si chiese.

Pigolavano tutte come uccellini dentro un nido - sciocchine pensò, nemmeno sanno che il mondo è pieno di gatti. Non avrebbe fatto meglio ad applicarsi per bene al seidhr e alla magia, invece di pensare a ballare? pensò.

 

Fu così che quella sera inventò Theoric.


Fu un inganno ordito con un filo del colore della cattiveria: voleva che non lo seguisse più per il Palazzo, sempre disponibile per lui, pronta a lasciare ogni cosa che stesse facendo per fare quello che voleva lui. Fortuna che lui non glielo chiedeva. Quasi mai

Fu un inganno ordito con un filo del colore della vigliaccheria: non voleva più sentire i commenti di suo fratello a riguardo ed era stufo che la sua vita sessuale dipendesse da quella di Thor, un pentapalmo. Stufo sul serio. Ma non glielo sapeva dire.

Fu un inganno ordito con un filo del colore della curiosità: lo sapeva fare, lo poteva fare, quindi, perché non farlo?

Fu un inganno ordito con un filo del colore della dolcezza: lui non l’avrebbe mai invitata, ma Sigyn ci teneva così tanto.

Fu un inganno ordito con un filo del colore del rimorso: il suo parere era pesato per un no per Freya e Sigyn non aveva detto nulla, forse nemmeno sapeva, ma, ne era certo, mai avrebbe immaginato da parte sua un parere contrario.
Secondo lui Sigyn stava benissimo come ancella di Frigga, compagna di studi e guaritrice, ma forse lei non vedeva le cose allo stesso modo.
In ogni caso aveva detto un no a qualcuno che, affamato, aveva diviso con lui il suo primo piatto di cibo decente, senza chiedersi se se lo meritava. Un debito c’era.

 

Meditò molto su che forma dovesse avere Theoric, il nome non un caso, uomo di fantasia, un inganno minore, spuntato dal nulla e nel nulla destinato a tornare, dopo una breve vacanza ad Asgard, per sgrezzarsi, bere un pochino e corteggiare qualche bella ragazza.
Come Thor? No, troppo facile e troppo scontato. E poi tutti se lo sarebbero ricordato, avrebbero chiesto... Come lui? Ma per carità! Tanto valeva che allora la invitasse. Ma non voleva illuderla, voleva che pensasse ad un altro.

Optò per un viso giovane e carino, muscoli quanto basta ed una vaga aria da sempliciotto, che non la mettesse a disagio. Non uno che sarebbe stato seduto al tavolo reale per il banchetto, ma un ospite in piedi, di passaggio, ragazzo di boschi e paludi per la prima volta in città. Timido e di poche parole.

 

Non sapeva - proprio non gli venne in mente - in che guaio si stava ficcando.

 

   
 
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