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Autore: SabrinaSala    23/05/2016    7 recensioni
"...Sdraiato supino sul letto, un braccio dietro la nuca e l’altro appoggiato sul ventre piatto, pantaloni e calzari ancora indosso, Johannes accolse così, sfacciatamente seducente, le prime, impertinenti luci dell’alba. «Proteggere una donna, salvaguardare la sua persona, è il compito più difficile e più importante al quale un uomo possa essere chiamato. Ne sarai all’altezza?»"
***
Sacro Romano Impero Germanico. Città di Rosenburg. Anno Domini 1365
Quando Johannes, altero e affascinante capitano delle guardie cittadine, riceve l’incarico di proteggere Madonna Lena, pupilla del Vescovo di Rosenburg, solo Justus, l’amico di sempre, può trovare le parole per chetare il suo animo inquieto.
Pedine inconsapevoli di un gioco iniziato quando ancora erano in tenera età, Justus, Johannes e Lena si troveranno loro malgrado coinvolti in un ordito di peccati e di colpe… Sarà sufficiente lo stretto legame con il Vescovo-conte, reggente della città, loro padrino e benefattore, a salvare le loro anime?
***
"Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam" ("Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia") – dal Salmo 51
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo, Inquisizione
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Capitolo 24 – Requiem


 
Leggerezze…
Il vescovo Winkel si passò una mano sul mento, prima di ricondurla in grembo all’altra che l’attendeva, severa, dietro la schiena.
Sciocche leggerezze… Imprudenze che, a quel punto della sua vita, avevano rischiato di minare la sua reputazione.
Quel maledetto boemo… Tanto simile alla madre nei tratti, quanto nell’ostinazione. L’ostinazione che aveva dimostrato nel farlo nascere…
Konstantin serrò la mascella. Trasfigurato dalla rabbia a stento repressa nel ripercorrere gli eventi nei quali era stato subdolamente trascinato, trent’anni prima, a causa di quella donna...
Una leggerezza, si ripeté. Una relazione clandestina e interessante che lo avrebbe di certo condotto un gradino più in alto, nella scala politica e sociale del Paese, se quella stupida non fosse rimasta gravida proprio durante l’assenza del principe, suo marito.
Una femmina deliziosa. Un’amante mite e remissiva. Una giovane gatta che aveva a un certo punto estratto e affilato le unghie, minacciando di rovinarlo se fosse successo qualcosa, qualunque cosa, a lei o al bambino che portava in grembo.
Il vescovo Winkel si allontanò dalla finestra, raggiunse lo scranno d’oro e porpora e vi si lasciò cadere pesantemente, allacciando poi le dita sotto al mento.
Ma cosa si era aspettata che facesse? Pensò. Che si prendesse carico e cura di quel figlio bastardo? E a cosa gli sarebbe servito? In quel momento della sua scalata poteva solo essere un intralcio. Se non, addirittura, un lasciapassare per la forca…
Eppure, nonostante i molteplici tentativi, non era riuscito a liberarsene.
«Ludwig…» biascicò velenosamente, aggrottando la fronte ed evocando davanti agli occhi stretti e cattivi l’immagine bionda di quel figlio mai voluto.
Dilatò lo sguardo e roteò gli occhi. Abbeverandosi avidamente di tutto quello che lo circondava.
Fidarsi delle donne? Pensò con un ghigno malevolo. Mai!
Non avrebbe dovuto farlo con Brigitta e tanto meno con quella sudicia levatrice…
Gli mancò un battito. Come quel giorno. Quando i suoi occhi, dall’interno della carrozza che lo trasportava,  avevano intercettato, del tutto casualmente, quelli celesti di un fanciullo biondo… Un giovane straccione che non sarebbe dovuto esistere.
Furioso per il tradimento e le menzogne di quella donna, aveva ordinato di mettere a ferro e fuoco il suo maledetto villaggio.
Ma Ludwig era tornato. Ancora e ancora. A popolare i suoi incubi…
Si portò una mano alle labbra aride e  inspirò profondamente, allargando le narici in un eccesso di rabbia.
Ma ormai non aveva più importanza, espirò. Proprio quel suo figlio bastardo era divenuto il mezzo ideale e insperato attraverso il quale si stava facendo strada verso la più alta gloria terrena: la sede episcopale di Treviri. Il ruolo di Principe Elettore. L’immunità.  
Si addossò allo schienale. Espirò ancora e profondamente e le sue labbra si tirarono in un sorriso compiaciuto.  Socchiuse le palpebre, deliziandosi del dolce nettare di ricordi più piacevoli.
Con la Aicardo era stato tutto diverso. Perché la Aicardo era diversa. Sapeva il fatto suo, quella donna.  Sapeva come darsi e come ottenere qualcosa in cambio. Non voleva intralci. Come lui del resto. Qualcuno avrebbe anche potuto definirla una maliarda. Una strega. Una splendida strega che in cambio di una vita agiata gli aveva ceduto, senza troppi indugi, ogni  diritto decisionale su quella ragazza testarda e bellissima. Ma Maddalena Aicardo non era come Therese…
Un flebile colpo di tosse lo riscattò da quei pensieri, appena prima che diventassero amari come la bile.   
«Parla» ordinò al giovane che si era fermato sulla soglia, alle spalle della seduta.
Erasmus avanzò di un passo. Le mani conserte nella maniche abbondanti.
«Fratello Justus mi prega di avvisarvi che le condizioni di madonna Lena sono critiche» mormorò, quasi fosse timoroso di riempire con la propria voce il silenzio di quella stanza ammantata d’ombra e livore.
Il vescovo annuì severamente.
«Crede che non supererà la notte» concluse il segretario, atono.
Kostantin Winkel, sollevò leggermente un sopracciglio.
«Dammi notizia della sua dipartita, se dovesse accadere» rispose.
«E ora lasciami. Voglio riposare un poco» lo congedò.
Erasmus annuì, come se l’altro potesse vederlo e, rapido, si allontanò lungo il corridoio rischiarato dalla luce abbacinante delle fiaccole.
 
 
***
 
Justus emise un flebile sospiro, pallido e magro come non era mai stato. Consumato nel corpo e nell’anima al pari di Lena che stava lentamente spegnendosi tra le sue braccia.  
Nella penombra della piccola cella, a malapena rischiarata dalle torce che ardevano nello spazio antistante, Maddalena Aicardo respirava a fatica. Rannicchiata sul giaciglio di paglia, la fronte madida di sudore, emetteva un respiro simile a un rantolo che minacciava di fermarsi  ogni volta.
Justus le sedette accanto. E in silenzio, continuò a guardarla.
Ogni gemito di lei era una pugnalata per lui. Eppure, non  poteva farne a meno. Le sarebbe rimasto accanto fino all’ultimo respiro.
Ma quando inaspettatamente la mano di Lena si aggrappò al suo braccio, stringendosi alla stoffa ruvida del saio, il giovane sussultò.
«Johannes…» mormorò lei a fior di labbra. «Johannes…» ripeté a voce più alta, facendo ricorso alle ultime forze che aveva in corpo.
Justus dilatò lo sguardo. La sollevò a sedere sul pagliericcio. Le afferrò il volto con entrambe le mani e la costrinse a guardarlo negli occhi, nonostante lo sforzo che questo le avrebbe comportato.
Lo sguardo spento di Lena sembrò guizzare per un attimo di una luce profonda.
Il loro respiro si confuse.
«Maddalena!»
Fu un’esclamazione disperata e soffocata quella affiorò alle labbra del chierico, mentre il debole accenno di un sorriso ammorbidì quelle di lei.
In un moto d’impeto, Justus la strinse a sé portandosela al petto. La circondò con le braccia tremanti perché non vedesse. Non vedesse le lacrime che gli riempivano gli occhi stanchi e non le sentisse cadere copiose e pesanti come la sua coscienza sul pavimento di pietra.
Affondò il volto tra i lunghi capelli scuri, baciandole la sommità del capo. Teneramente. Convulsamente.
Poi si fermò. Impietrito.
La luce fredda dell’alba ferì la penombra.
Maddalena Aicardo non si muoveva. Non respirava.
Lentamente, Justus si staccò da lei. Ma prima, depose  un ultimo bacio, quasi un sigillo, una tacita preghiera, sulla fronte di quel corpo esanime.
Un vuoto improvviso gli calò nel petto. Opprimente. Levò la testa di scatto e subito dopo uno scalpiccio confuso lo indusse a voltarsi verso il corridoio che conduceva alla porta.
«Fermati Johannes! »
L’ordine di Heinrich cadde nel vuoto.
Come una furia, l’armigero si precipitò giù dalle scale, percorse il budello di pietra e si proiettò come un fantasma nello spiazzo sul quale si aprivano le celle.
«Spostati! » ringhiò allontanando decisamente Justus e strappandogli la donna dalle braccia.
Ma quando la strinse a sé, inginocchiato al suo capezzale, comprese di essere arrivato tardi. Troppo tardi. Le lunghe ciglia scure celavano occhi non ardenti, mentre le labbra dischiuse non trattenevano alcun alito di vita.
Johannes affondò la testa tra l’incavo della sua spalla. Cingendole la nuca con una mano, mentre l’altra stringeva forte quel corpo che era stato suo. Per poco. Troppo poco tempo.
La cullò. Dondolando dolcemente avanti e indietro. Trattenendo in gola il proprio ruggito. Rigettando le lacrime. Chiedendo intimamente indietro l’anima di colei che lo aveva vinto.  
Paralizzato dal suo dolore, Heinrich si era fermato sulla soglia.
«Johannes…» mormorò, senza azzardarsi ad avvicinarsi o intervenire.
Fu Justus  ad osare. Posò delicatamente una mano sul braccio dell’amico. Il volto rischiarato appena da un flebile sorriso.
Johannes lo respinse, poi lo guardò da sopra una spalla, mentre le parole dell’uomo che lo aveva aggredito e poi lasciato andare gli risuonavano forti nella testa.
«Non sei stato in grado di proteggerla…» sibilò a denti stretti. Gli occhi rossi, umidi.
Justus si ritrasse ma continuò a guardarlo negli occhi, mentre scuoteva la testa, come a voler rifiutare quell’accusa.
«Tu e la tua gente…» continuò Johannes, crudele «Me l’avete portata via! » concluse.
«Johannes! » intervenne Heinrich, turbato dal suo atteggiamento e dalla reazione del chierico. «Tu non dovresti essere qui…» si giustificò quando gli occhi grigi di Johannes,  freddi come l’acciaio delle lame più dure, lo trafissero.
Le labbra dell’ex-capitano delle guardie si piegarono in un sorriso cinico e cattivo.
«Nessuno di noi dovrebbe essere qui…» disse.
«Johannes!» una voce acuta e sorpresa si unì inaspettatamente al coro.
I tre uomini, raccolti al capezzale di madonna Lena, si rivolsero contemporaneamente al nuovo arrivato: Erasmus.
Il segretario del vescovo, che aveva raggiunto le prigioni in cerca di qualche novità che lo distraesse dalla noia di quegli ultimi giorni, prima dilatò lo sguardo poi lo strinse in direzione dell’armigero, cercando di dominare l’afflusso improvviso di sangue che gli irrorava il volto altrimenti spento.  «Voi! » osservò, incredulo.
Sollevando un sopracciglio, si domandò se Ludwig avesse fallito o se Johannes, invece, avesse avuto la meglio sul sicario inviato dal vescovo…
Dissimulando irritazione e stupore con una falsa risata, Erasmus raccolse le gonne e avanzò di un passo, mentre alle sue spalle si palesava la sua scorta e un manipolo di guardie.
«Tutti e tre ancora una volta insieme, i pupilli del nostro vescovo!» gracchiò. «Oh! Mi correggo…» chiosò malizioso notando il corpo esanime di Maddalena Aicardo ancora stretto tra le braccia di Johannes « Siete rimasti in due!»
Un attimo dopo aver pronunciato queste parole, Erasmus ebbe l’occasione di sentirsi addosso Johannes come non gli era mai stato concesso prima.
In un impeto d’ira, adagiata delicatamente la sua giovane amante sul giaciglio, l’armigero lo aveva travolto. Afferrandolo minacciosamente per il bavero e costringendolo contro la parete di pietra. Desideroso di stringere le dita attorno a quel collo, di premere e affondare il pollice contro  il pomo d’Adamo  che saliva e scendeva ansiosamente sulla gola del segretario e porre fine alla sua inutile e infausta esistenza.
Heinrich fu pronto a trattenerlo.
Libero da quella morsa, Erasmus non si allontanò subito, indugiando con lo sguardo sul volto trasfigurato dall’odio di Johannes, ancora proteso verso di lui. Provò un brivido. Aggrottò la fronte. Poi indietreggiò terrorizzato dai suoi stessi pensieri che anelavano a un nuovo e più soffocante contatto, foss’anche mortale.
«Guardie! » urlò portandosi una mano alla gola dolorante e disgustato dal proprio desiderio. «Arrestate quest’uomo! »
I soldati, alle spalle di Erasmus, scambiarono uno sguardo con il loro capitano e Heinrich li rassicurò con un cenno del capo.
Non avrebbe potuto aiutare Johannes neppure volendo, in quella situazione, si disse. Ma avrebbe almeno potuto evitare il peggio e per la seconda volta si trovò a trattenere l’amico nel nome della legge o di qualcosa che voleva spacciarsi per tale… 


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IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):

Ci siamo... Siamo alla tornata finale e già sento un po' di magone!
Chi mi segue anche su altri lidi, sa che raffreddore e una serie di impegni di lavoro mi hanno tenuta un po' lontana dal web e causato qualche ritardo. Per MISERERE, direi che aggiungere anche una forte dose di "lacrimucce" trattenute lì, tra le ciglia, al pensiero che tra poco questa storia si concluderà, ha fatto il resto...

Ma non pensiamoci adesso!

Dalle vostre recensioni, ho scoperto che la figura di Ludwig, il Boemo, vi ha colpiti positivamente... INTERESSANTE! 
Ora, se state leggendo queste note è perché avete già letto il capitolo e ve lo posso dire: mamma mia come mi mancava Johannes! Johannes che, pur comparendo anche nel capitolo precedente, aveva dovuto cedere il passo e i riflettori proprio a Ludwig facendo così - e faccio mie le "sacrosante" parole di un'amica - una certa misera figura. Insomma, se Ludwig non avesse deciso di lasciarlo andare, secondo voi, chi avrebbe visto il confronto di spade?

Ringraziandovi sempre per la pazienza e per la costanza nel seguirmi, a presto con quelli che saranno (salvo complicazioni) gli ultimi due capitoli di questa nostra storia...

Sabrina 
   
 
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