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Autore: AnyaTheThief    27/05/2016    4 recensioni
Di nuovo, era tutto svanito nel giro di poche ore. Di nuovo le sue mani erano rosse e di nuovo qualcuno gli aveva portato via la cosa più importante della sua vita.
Ancora una volta era stato benedetto con l'amore e subito dopo maledetto con la morte.
*SPOILER III STAGIONE*
Genere: Drammatico, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Sylvie!” un sussurro sconvolto. “Sylvie!” alzò la voce. “Sylvie!” si trovò a gridare. “Sylvie!” l'urlo gli raschiò la gola. “Sylvie!” un rantolo rotto da un singulto. “Sylvie!” uno strillo assordante che risuonò nell'aria, tremante. La voce di Athos assumeva una nuova sfumatura ogni volta che ripeteva quel nome. “Sylvie! Sylvie!” ripeteva, scuotendo quel corpo inanimato che giaceva sul pavimento.

Pianse, si disperò, raccolse i ricci neri tra le mani e come sabbia gli scivolarono tra le dita, ricadendo a terra sparsi attorno al viso esanime. Gli occhi vitrei lo fissavano, la bocca dischiusa ed il fantasma dell'ultima sensazione che aveva provato gli fecero dedurre che doveva essere terrorizzata quando aveva visto in faccia il suo assassino.

E lui dov'era?

Dov'era mentre qualcuno entrava in casa sua ed apriva il ventre di Sylvie? Dov'era mentre l'ultimo grido le moriva in gola? Aveva urlato il suo nome? Lo aveva cercato con lo sguardo, sperando di vederlo arrivare a salvarle la vita, ancora una volta?

Non lo avrebbe mai più potuto sapere.

Non avrebbe più sentito la sua voce.

Non avrebbe mai visto il volto di suo figlio.

Di nuovo, era tutto svanito nel giro di poche ore. Di nuovo le sue mani erano rosse e di nuovo qualcuno gli aveva portato via la cosa più importante della sua vita.

Ancora una volta era stato benedetto con l'amore e subito dopo maledetto con la morte.

Pianse fino a restare senza fiato. Si rotolò sul pavimento, imbrattandosi di sangue e polvere, i polmoni gli bruciavano, la gola in fiamme, gli occhi così irritati che non riusciva più a tenerli aperti. Una fitta all'addome gli fece quasi sperare di aver ricevuto la stessa ferita mortale di Sylvie.

Le baciò spasmodicamente tutto il viso, il collo, le spalle. In un attimo di follia tentò di richiuderle la ferita con le mani. Attraversò decine di fasi del dolore nel giro di qualche ora.

Arrivò a non avere più lacrime, né voce, né voglia di vivere.

Prese il coltello che gli aveva squartato l'anima e se la rigirò tra le mani, specchiandosi nella lama lucente ed affilata, nei pochi punti non coperti dal sangue.

Non c'era più nulla. Non era rimasto più nulla dentro di lui. Avrebbe potuto aprirsi la pancia e non ne sarebbe uscito niente. Avrebbe potuto aprirsi la testa e ne sarebbe uscito del catrame denso e scuro.

Invece si tagliò soltanto il palmo della mano, per vedere se riusciva a sentire ancora qualcosa.

Lo sentì.

Si alzò ed uscì. Richiuse la porta dietro di sé senza nemmeno guardarsi indietro.

Si udiva soltanto scricchiolare della culla, smossa da uno spiffero di vento. Quando la brezza cessò, la casa morì nel silenzio degli occhi sbarrati di Sylvie.

 

Cavalcò per un giorno intero. Non si fermò, non esitò. Sapeva cosa doveva fare.

Giunse a Parigi di notte, ma l'unica cosa che sentiva era il bruciore della ferita sul palmo della mano, e le sue urla rimbombargli in testa. Nel suo inconscio, continuava a chiamarla nella speranza di rivederla comparire accanto ad un albero, in mezzo alla folla, o solo nei suoi pensieri. Non poteva lasciarla andare, non ancora, non prima di aver avuto la sua vendetta.

Ripercorrette quelle strade che gli erano tanto familiari, come se nulla fosse cambiato dall'ultima volta. Non si curava della gente che urtava, né degli sguardi che squadravano i suoi vestiti sporchi di sangue.

Fece anche per ignorare i soldati a guardia dell'ingresso del Louvre, in una sorta di trance cieca. La sua unica fortuna fu che un uomo a cavallo stesse giungendo a Palazzo nello stesso istante.

“Fermi!” ordinò alle guardie, che subito arretrarono. “Athos?” lo chiamò, incredulo.

Athos sentì una voce lontana pronunciare il suo nome e per un attimo si voltò. Guardava il volto di Aramis senza riconoscerlo. Era come se il suo sguardo lo trapassasse senza vederlo. Aramis restò basito per alcuni secondi e quando il suo ex Capitano riprese a camminare, scansando le guardie e varcando l'ingresso del Louvre, lo richiamò, scendendo da cavallo.

“Athos, cos'è successo? Athos!”

La voce di Aramis si fece sempre più lontana, fino a venire totalmente coperta dall'urlo che ancora chiamava Sylvie alla ricerca di spiegazioni.

Si aggirava come un morto che cammina per i corridoi del Palazzo. I vestiti sudici e logori, i capelli madidi di sudore ed impregnati di sangue, l'andatura stanca ma determinata, in notevole contrasto con lo sfarzo dei vestiti dei suoi abitanti e dei tappeti, i drappeggi, le decorazioni delle stanze. Quando Aramis lo raggiunse, si spaventò.

“Athos, co--” non fece in tempo a finire la frase. Con una forza inaudita, Athos lo scaraventò contro il muro, puntandogli il coltello alla gola; la stessa lama che gli aveva portato via tutto.

“Ehi, ehi, calmati!” gli intimò il Ministro. Ma gli occhi di Athos erano iniettati di sangue e la sua bocca schiumava dalla rabbia.

“Tu prova a fermarmi e io ti uccido. Giuro che ti uccido. Sylvie...” lasciò andare la presa sull'amico e tornò ad infestare i corridoi come un'anima in pena. “Sylvie...”

Dopo un attimo di esitazione, Aramis osò seguirlo, senza farsi sentire, la mano sulla spada, lo sguardo preoccupato. Lo sentiva borbottare cose insensate, ma di tutto il farfugliare, riuscì a cogliere solo il nome di Sylvie. Lo vide esitare davanti ad una porta. Sapeva chi c'era lì dietro. E anche Athos lo sapeva. Aramis indietreggiò di un passo. Qualunque cosa fosse successa, non avrebbe ucciso nessuno, per quanto potesse essere fuori di sé.

Entrò con una calma innaturale, vista la collera che aveva appena riversato su di lui. Si richiuse la porta alle spalle.

Lei era lì, davanti al suo specchio, vanesia. Indossava soltanto un corpetto blu scuro e la sottogonna e si era appena tolta il collarino e si stava accingendo a riporlo sulla specchiera, quando il tonfo della porta glielo fece cadere di mano. Le cicatrici erano ora ben in vista. Athos stava combattendo una guerra dentro di sé, come ogni volta che la rivedeva. Si voltò verso di lui con aria sorpresa, le labbra dischiuse, piene, rosse, carnose, gli occhi spalancati, innocenti e maliziosi, il seno che ebbe un sussulto insieme al suo respiro, compresso nel corpetto. Non riuscì a dire nemmeno la prima sillaba del suo nome, le era rimasta bloccata in gola, stretta da quelle cicatrici che sembravano volerla soffocare di nuovo.

Athos stringeva il coltello nella mano destra e la fissava come un predatore pronto a scattare.

Milady notò l'arma subito dopo lo scatto repentino di suo marito verso di lei, e si gettò a terra.

“Sylvie!” urlò lui in un impeto e in un attimo le fu addosso. “Tu... Tu...!!” strinse le proprie dita attorno a quel collo sottile, sensuale, e l'immagine di lei che apriva la bocca per cercare disperatamente aria gli provocò sentimenti contrastanti.

“Tu...!” ringhiava, mentre stringeva sempre più forte. Più lei si dimenava, più la sua eccitazione cresceva. Il petto di lei si muoveva su e giù freneticamente e con le gambe lo colpiva ovunque riuscisse ad arrivare, ma lui non se ne accorgeva. Lei lo graffiava in volto, sulle mani, sulla schiena, ma l'unica cosa che Athos riusciva a percepire era il proprio corpo schiacciato contro le gambe di lei. Come poteva quella sensazione risvegliargli ogni volta un istinto animalesco, anche nel momento in cui stava per prendere la sua vita?

Le sue mani lasciarono andare la presa inconsciamente e un secondo dopo erano faccia a faccia, lei priva di energie, che cercava aria; lui incredulo: voleva baciarla, e così fece.

Non le diede nemmeno il tempo di riprendere fiato che le loro labbra si ritrovarono unite. Due vite risucchiate da un vortice.

Uccidersi e amarsi, la rabbia e la passione, il collarino ed il pugnale, Milady e Sylvie.

Sylvie.

Athos si distaccò da quel bacio, che avrebbe scommesso essere l'ultimo, ma non ci avrebbe puntato tutti i suoi soldi, visto come era sempre andata a finire. Milady gli sorrise provocante. Stava per aprire bocca per dire qualcosa, ma fece appena in tempo a vedere Athos riprendere il coltello dal pavimento e portarlo dietro la propria spalla per caricare il colpo che l'avrebbe uccisa.

“ATHOS, NO!” urlò.

 

“NO!” urlò Sylvie.

Ma la lama ricadde su di lei, sul suo ventre, il ventre nel quale cresceva suo figlio. Un gorgoglio spense la sua voce per sempre, mentre le tagliava di netto la pancia e la lasciava morire sul pavimento.

Dov'era lui mentre Sylvie moriva? Sopra di lei. Che la uccideva.

Alla fine anche lei lo aveva ingannato. Non lo aveva mai amato. Se non lo avesse fatto, lo avrebbe fatto lei, perché quello era stato il suo piano dall'inizio.

Da quando aveva accettato quei soldi, non le importava più nulla dei rifugiati, della povera gente, era solo una stronza senza cuore, come sua moglie. Come tutte le donne, gli venne da pensare. Aveva preso i soldi di Grimaud. Aveva finto di amarlo per tutto quel tempo. Forse aveva finto anche la gravidanza: non ebbe abbastanza coraggio da provare a scoprirlo.

Lo odiava così tanto da volerlo ammazzare nel sonno. Le lettere... Le lettere, dove erano finite? Leggere tutta quella corrispondenza lo aveva fatto rimettere all'istante. Niente di quello che credeva era vero. Era stata complice di Grimaud e covava la sua vendetta da tempo. La mente di Athos non riusciva nemmeno ad andare così indietro nel tempo per analizzare ogni istante speso con lei, ma finché riusciva a ricordare, si era fatto del male ripensando ad ogni frase che gli aveva detto, ad ogni volta che avevano fatto l'amore, a quanti bocconi avvelenati aveva mandato giù, inconsapevole...

Tutto ciò che Sylvie voleva era spingere quella storia all'estremo per poi godersi ogni piccola parte di quella sua vendetta, facendogli patire tutte le torture che lui aveva inflitto a Grimaud. Lei era dovuta restare a guardare, impotente, conscia del fatto che se avesse provato a fargli qualsiasi cosa, i suoi amici l'avrebbero sicuramente presa e giustiziata.

Era stata l'amante di Grimaud.

L'aveva squartata.

Ripensare alle sue budella sparse sul pavimento gli dette un brivido di compiacimento misto a frustrazione, ed una scossa gli percorse la schiena fino alla nuca.

 

Quella la scossa lo fece tornare in sé. Vide la lama a pochi centimetri dal collo di Milady, che lo fissava sbigottita, senza fiato, le iridi verdi che brillavano sotto un lago di lacrime, che iniziarono a rigarle il volto. Athos lasciò ricadere il coltello e si alzò, indietreggiando terrorizzato come se avesse appena visto qualcosa di terribile.

In effetti qualcosa di terribile lo aveva appena ricordato.

Aveva ucciso Sylvie.

Si passò le mani tra i capelli sudici ed arretrò fino a toccare la porta da cui era entrato con la schiena. Fissava Milady con gli occhi fuori dalle orbite, come se non riuscisse a capire in che modo fosse finito nelle sue stanze, sopra di lei, con un coltello alla sua gola.

Lei si alzò con aria sprezzante e indignata. Un conto era cercare di strangolarla, ormai ci era quasi abituata, un altro era pugnalarla alla gola, dopo averla baciata, senza alcun preavviso.

“Che diavolo ti prende? Se quella psicopatica della tua fidanzata ti manda fuori di testa, non sfogarti su di me!” lo rimbeccò, stizzita. Raccolse il collarino da terra e lo ripose sulla specchiera, poi si sciolse i capelli, li spostò sul davanti e gli volse la schiena.

Così stette ad aspettare pazientemente, finché lui le si avvicinò a passi lenti e pesanti, ancora esterrefatto.

Le allentò i nastri del corpetto, senza dire una parola.

Milady se lo sfilò e si voltò verso di lui. Sul viso aveva dipinta la sua solita espressione di scherno misto ad ardore. Lui la fissò per un lunghissimo istante nella perfezione del suo corpo. La pelle liscia, il seno pieno e sodo, la linea che dal collo scendeva sulle spalle che formava una curva dolce e semplicemente unica. La prese con foga, le sollevò la gonna, quasi strappandola ed affondò i polpastrelli nelle sue cosce. La spinse contro al muro e la divorò.

  
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