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Autore: Vago    27/05/2016    2 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Stupendo. Anzi, meraviglioso.
Non è che mi dispiaccia conoscere la grande figlia di uno dei eroi e bla bla bla, ma… demone? Guerra? Male infinito? Viaggio per mezzo mondo? Vi dicono niente?
Ora scusatemi ma devo fare una cosa, voi evitate di farvi ammazzare da un tè troppo caldo, mi raccomando.

La donna condusse i sei assassini al paese, lasciandosi alle spalle la piazza principale e imboccando la via dove, a quanto aveva detto il carrozziere, doveva esserci la casa dove nacque Trado.
Cartelli colorati ne indicavano l’ingresso, accanto al quale una specie di biglietteria distribuiva foglietti di carta alla decina di persone che affollavano la strada.
La donna proseguì senza nemmeno voltare lo sguardo, imboccando una via tra le case che conduceva a un piccolo giardino racchiuso da quattro pareti. Estrasse quindi una chiave dal borsello che portava a tracolla e aprì una porta sulla parete di destra.
- Vi chiedo scusa per il disordine, ma non mi aspettavo ospiti… - disse la donna entrando nella prima stanza subito oltre l’ingresso e appoggiando il borsello su un tavolino coperto di fogli scritti, molti dei quali riportavano in fondo lo stemma della comunità umana della Terra delle Rocce.
In poco tempo una teiera in terracotta colma d’acqua era stata posata sulla stufa accesa, mentre un vasetto pieno di foglie essiccate aveva trovato un suo posto sul tavolino, che in parte era stato sgombrato.
- Prego, accomodatevi… - disse ancora a disagio la donna, rigida sulle gambe mentre la mano sinistra accarezzava continuamente il dorso della destra.
I quattro assassini presero posto, mentre cinque tazze vuote e una zuccheriera vennero portati sul tavolo.
- Posso chiederti come ti chiami? – chiese Keria mentre la donna spostava nuovamente la pila di fogli cercando un posto in cui non fossero d’intralcio. – I tuoi genitori non ci hanno detto il tuo nome prima di andarsene… -
- Io… il mio nome è Niena. Niena Neghyj. –
- Come il Cavaliere dei draghi che sopravvisse alla guerra degli elementi. Comunque io sono Keria, mentre i loro nomi sono Jasno, Mea e Hile. – proseguì l’arciere.
- Avrei… così tante cose da chiedervi… - disse incerta Niena passandosi una mano tra i capelli blu – Solo un attimo, l’acqua per il tè sarà calda.
Una manciata di foglie caddero dal contenitore nell’acqua bollente, poi un coperchio in terracotta le nascose alla vista.
Tre colpi rimbombarono contro la porta.
- Scusatemi ancora un attimo… -
Una vecchietta con uno scialle rosso in lana si presentò sull’uscio non appena la porta venne aperta. Appeso al gomito grinzoso cadeva un cesto intrecciato coperto da un panno.
- Signora Gramere, cosa posso fare per lei? –
- Niente, questa volta. Ho visto che ha degli ospiti e ho pensato di portarle una torta. Sa, non avevo altro da fare… -
- È stata gentilissima! Posso lasciarle qualcosa in cambio? Ha bisogno di qualcosa? – chiese Niena prendendo il cesto dalle mani della vecchia.
- No, no. Stai tranquilla. Bene. Buona giornata, io torno in casa, questa umidità non fa bene alle mie vecchie ossa… -
- Buona giornata anche a lei, signora Gramere. –
La porta venne richiusa piano e il tavolo dovette ospitare il nuovo acquisto.
All’interno del cesto riposava una crostata ancora calda sulla quale risaltava una marmellata scura.

Avevo promesso una torta ed ecco la loro maledetta torta.
Non sia detto mai che non mantengo la parola data.
Eh, si. Se ve lo steste chiedendo io so cucinare, e anche abbastanza bene. Mi ricordo che una volta per potermi avvicinare con forma umana a un signorotto di un posto dimenticato dovetti lavorare nelle sue cucine come capocuoco per dei mesi. Non l’incarico più divertente che mi abbiano mai affidato, ma anche lì imparai qualcosa.
Scusate, mi sono lasciato prendere la mano. Ora basta parlare della mia crostata e andiamo avanti, che devo anche far rapporto a Loro e trovare lo spadaccino e quel cataclisma semovente travestito da erborista.

- Quindi voi… siete stati sul continente? E avete visto i miei genitori? –
- Si. Noi facciamo parte… di un organizzazione particolare e siamo stati incaricati di trovare i Sei sul continente nel caso fossero stati ancora vivi. – Cominciò a raccontare Mea prendendo un sorso del tè dal colore rosso. – Abbiamo avuto fortuna, in un mese siamo riusciti a trovare l’abitazione di Vago del Fato e, da lì, abbiamo raggiunto la Volta degli Dei. Purtroppo non abbiamo avuto molto tempo per parlare con gli Eroi. –
- Raccontatemi come erano. Stavano bene? E cosa vi hanno detto? –
- Mi sembra fossero in salute. – le rispose Keria – A dir la verità Vago è riuscito a catturare tutto il nostro gruppo senza che noi potessimo far nulla. –
- È sempre stato un uomo incredibile, lui… - concordò Niena.
- Comunque gli altri Eroi mi pare stessero bene. Ardof del Fuoco, tuo padre, solo non aveva una gamba e portava una benda sull’occhio. – continuò l’arciere.
- Lo so. Si è procurato quelle ferite poco prima della mia partenza. È stato trovato disarmato da un gruppo di lupi dei monti e mia madre non arrivò in tempo per salvare la sua gamba. –
- Dopo di che ci siamo ritrovati nella Volta degli dei… è un posto strano. – disse Jasno prendendo un pezzo della crostata dal cestino. – Lì gli Eroi hanno parlato con gli dei primigeni quasi alla pari, per poi… morire. Gli dei si sono congratulati con loro e li hanno lasciati andare. Abbiamo però visto i loro fantasmi entrare nel Giardino delle Anime. Ed è stato qui che Ardof, Frida, Trado e Diana ci hanno chiesto di portare i loro saluti ai loro figli, nel caso li avessimo mai incontrati. Ci hanno detto esplicitamente di dirvi che vi vogliono bene. –
- Capisco, grazie per avermelo detto. Sono contenta che se ne siano andati in pace. –
- Ma dimmi, come hai fatto tu ad arrivare fin qui? – chiese curioso il Lupo sporgendosi in avanti sulla sua sedia.
- Vedete, io sono nata su quel continente. Lì ho passato i miei primi ventidue anni di vita. Furono i nostri genitori a proporre a me e a Mero, il secondo figlio di Trado e Diana, di venire qui nelle Terre per farci una vita normale. Quella è stata l’ultima volta che i miei genitori e i loro draghi misero piede sulle Terre, quel giorno li abbracciai sapendo che non li avrei più rivisti… -
- Grazie per avercelo detto. – le disse Hile con voce dolce non appena vide una lacrima splendente nell’occhio della donna.
- Scusatemi… Voi, voi dove dovreste andare, ora? Avete una meta o vi spostate dove il vento vi porta? – riprese Niena passandosi il palmo della mano sulla palpebra.
- Stiamo cercando qualcosa. – le rispose Mea. – Per ora tutto quello che abbiamo è una mappa con dei segni sopra. Il più vicino dovrebbe essere nelle campagne qui intorno, per questo ci siamo spinti fino a Zadrow. –
- Posso… posso aiutarvi? Ci abito da almeno quindici anni in questa zona, posso vedere la vostra mappa? –
Jasno parve titubare a quella richiesta. La sua mano rimase ferma a mezz’aria per qualche secondo con la tazza in ceramica stretta tra le dita. Nemmeno i capelli candidi osavano muoversi. Poi il fondo della tazza tintinnò contro il piattino appoggiato sul tavolo e l’elfo si voltò per prendere il suo pezzo di mappa dalla borsa appesa allo schienale della sedia.
- Ecco, tenga. – furono le prime parole che disse, porgendo il pezzo di carta ingiallita alla padrona di casa, che lo prese con attenzione.
- Questa mappa è vecchia, non è così?-
- Già… - le rispose Mea spostando una ciocca di capelli blu dietro l’orecchio a punta. - È appartenuta ai tuoi genitori. Ce la hanno affidata loro per continuare nel nostro viaggio. –
- Capisco… Vabbè, dove dovete andare? Su questa macchia qui? –
- Si. – disse telegrafico Jasno.
- Se qui c’è Zadrow e questa è Derout, le proporzioni non sono troppo deformate. Dovrebbe essere il campo di grano del signor Marveri. È facile da trovare, se tornate sulla strada che porta alla casa di mio padre e guardate verso ovest, vedrete una specie di collinetta coperta di vitigni, la dovete attraversare, dalla parte opposta c’è una piantagione di grano, il campo visto dall’alto è una specie di triangolo storto. Lo riconoscerete subito, ne sono sicura. Posso rendermi utile in qualche altro modo per voi? - finì di dire Niena.
- Per il momento no. – le rispose Mea con un sorriso, mentre riprendeva lo stralcio di mappa dalle mani della signora di fronte a lei. – Mai avessimo ancora bisogno di te ripasseremo da queste parti. Per ora è stato un piacere conoscerti, buona continuazione. E scusaci per il modo in cui ci siamo fatti trovare. –
- Dovrei essere io a scusarmi… Allora buon viaggio. – disse Niena sistemandosi la crocchia mentre si incamminava verso l’uscio. La porta si aprì silenziosa, lasciando arrivare lo sguardo sul cortile esterno.
- Come diceva sempre Erdost, che il vento soffi nella vostra direzione. – aggiunse ancora la mezzelfa guardando i quattro ragazzi uscire.
- E anche nella tua. – le rispose di getto il Drago.
La porta si chiuse alle loro spalle quando attraversarono l’arco e tornarono a camminare per la strada in direzione della piazza centrale.

Tutto sommato è andato tutto bene… E io che ero già pronto a fermare chissà quale cataclisma.
Forse sono leggermente stressato ultimamente. Dovrei prendermi una pausa, se potessi. Beh, se tutto va bene appena ognuno di loro raggiungerà la sua meta io dovrei avere un po’ di respiro. Avanti, saranno anche stati addestrati da assassini, ma sono ancora dei mocciosi. Voglio sperare che gli dei minori abbiano il buon senso di allenarli di persona in qualunque cosa vogliano allenarli.
Questo è anche un bel casino.
Vi spiego, o almeno ci provo.
È una domanda che mi ronza nella mente da un po’ di tempo: io so per certo che i minori non hanno armi elementari o simili, il Fato non gli lascia creare dei servitori tutti loro, figuratevi se li fa giocare con qualcosa di appuntito o affilato. Quindi, che possono dare a questi sei ragazzini? Mi infastidisce profondamente il non sapere cosa siano i compagni che non sono compagni o quel che è.
E non stupitevi, ho accesso a tutte le predizioni del Libro del Fato. O, per lo meno, quelle che mi riguardano da vicino. Se il Fato non avesse dato questa abilità alla cosa più vicina a un suo servitore, gli avrei tirato un ceffone.

Sulla piazza del paese i quattro ragazzi si guardarono.
- Io vado, vi ho già fatto perdere fin troppo tempo. – disse Jasno sistemandosi la borsa a tracolla.
- Aspetta, non dimenticarti questo. – gli disse Mea porgendogli il pezzo di mappa che aveva preso dalle mani di Niena.
- Io ho ancora i soldi che mi aveva lasciato il direttore. – disse Hile cercando il sacchetto di monete. – una moneta d’oro dovrebbe bastarti per raggiungere il Flentu Gar, una volta finito qui. – continuò, lanciandogli la moneta, che risplese alla luce del sole in discesa.
- Fai attenzione. – gli disse ancora Keria sorridente.

Jasno guardò i suoi compagni ripartire verso est, in direzione dei monti illuminati da una calda luce rossastra, per poi spostare il suo sguardo sullo stralcio di mappa che teneva in mano.
L’Aquila si mise in cammino. Ben presto le case rimodernate del paese scomparvero ai lati della strada, cedendo il passo a campi e collinette coltivate. Sulla sua destra, dopo una distesa infinita di spighe dorate comparve un vigneto, le cui foglie verdeggianti ricoprivano il versante di una collinetta solitaria.
I passi dell’assassino incappucciato si diressero verso di questa, lottando ben presto contro il fango che risucchiava gli stivali fino quasi a farli scomparire nel terreno.
Gli ci volle più tempo del previsto per raggiungere la cima di quel vigneto dove, davanti a lui, ora, si stendeva una distesa di campi desolata.
Jasno diede un ultimo sguardo alla mappa.
Il campo giallo triangolare era ben visibile di fronte a lui, ma la sua estensione gettò nello sconforto il ragazzo. Poi il sole morente gli fece un ultimo regalo, qualcosa scintillò poco sotto la sua posizione, qualcosa di grande e decisamente fuori posto.
Non ci volle nemmeno la metà del tempo per completare la discesa. Le suole parevano volare sopra la fanghiglia, a volte perdendo la presa e scivolando, ma Jasno riusciva sempre a mantenere l’equilibrio. Lui sapeva che il suo corpo non l’avrebbe mai tradito.
Il sole tramontò, lasciando il passo alla flebile luce di una luna crescente.
L’Aquila si tolse il cappuccio, passandosi una mano tra i capelli candidi tenuti attaccati in ciocche dal sudore.
Gli occhi rossi guardarono esterrefatti l’oggetto posto di fronte a loro, lì, disperso nei campi.
La mano pallida corse lungo il bordo liscio, nero come la notte.

Ok, questo è… particolare. Sì, è decisamente particolare.
Se gli dei volevano fare qualcosa di appariscente decisamente ci sono riusciti.

Una porta. Una porta in marmo nero posta in mezzo a un campo.
Jasno ci fece un giro attorno, cercando di capire quale potesse essere il suo scopo, ma questo continuava a sfuggirgli.
Infine prese il coraggio a due mani, girò il pomello dorato e fece ruotare la porta sui cardini nascosti.
Oltre non c’era nulla. Il buio avvolgeva ogni cosa, impedendogli di capire cosa potesse attenderlo oltre quella soglia.
I piedi quasi si mossero da soli e in meno di tre passi il corpo dell’elfo albino venne inghiottito dalle tenebre.
La porta si richiuse alle sue spalle, per poi sparire lentamente, lasciando il posto a spighe identiche a quelle che le circondavano.

Vabbè, non ho tempo ora di pensare a una porta. Ho visto cose più strane nella mia vita.
Ora passiamo alle cose serie, il prossimo che dovrebbe raggiungere la sua meta dovrebbe essere… il cataclisma. Seila. Sempre ammesso che sia riuscita a raggiungere la sua destinazione.
Va bene. Devo andare verso la vecchia sede del Palazzo della Mezzanotte, mi sembra. 

   
 
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