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Autore: Dea Elisa    27/05/2016    5 recensioni
«Sto bene» non gli dai modo di fiatare. Non era un calo di zuccheri, non era il senso di vertigine, non era l’incipit di uno svenimento.
Era solo un perché sei qui Antonio?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Gli posi dei leggeri baci sul petto e prosegui finché lui non ti trattiene le mani con le sue, che ti prendono il viso tra collo e mento per baciarti ancora sulle labbra, sulle guance, sul contorno del tuo viso come volesse disegnarlo. Quando scende sui seni respiri più velocemente, e lui se ne accorge, tant'è che li sfiora con la mano mentre con l'altra tira i lacci del corpetto per lasciarti in sottoveste.

Ogni movimento è lento, cadenzato, si accompagna a sguardi, sospiri, a sussurri, il contatto con la sua pelle ti richiama la nostalgia di quando era abitudine addormentarsi abbracciata addosso a lui, niente a distanziare i vostri corpi. La veste cade a terra, e i capelli che ti ha sciolto ti solleticano la schiena, là dove le sue mani ti stringono, lasciando segni rossi sulla pelle chiara. Un bacio ancora, e assaporare ogni istante di quel momento si fa d’un tratto necessità trascurabile. Le vostre gambe intrecciate vi portano quasi inciampando verso il letto, e dimentichi tutto e tutti che non siano Antonio, e le sue mani, e la sua bocca.

 

«Marchesa.» È una voce femminile, flebile. E familiare. «Marchesa Radicati.» Si accompagna a dei passi. «Mi dispiace, mi dispiace tanto.»

Un braccio non risponde più ai tuoi comandi, l’altra mano avverte una stoffa ruvida e una seduta scomoda sotto di te, mentre il collo ti fa indubbiamente male, e muovendolo avverti un senso di nausea.

«Ha insistito, è di fretta, non sapevo come mandarlo via» continua la stessa voce, in un ritornello fastidioso.

Quando torni ad impossessarti del controllo sulla tua mano destra, ti massaggi la nuca nel tentativo di sciogliere i muscoli contratti, e nel frattempo ragioni sulla maniera meno traumatica di sollevarti a sedere in una posizione meno indecorosa, o almeno tale da consentirti di vedere in viso e diritta la persona che ti sta assillando.

«Devo essermi… oh, Dio» le vertigini, e di nuovo la nausea, le mani fermamente poggiate sul divano, con l’idea che gli occhi chiusi possano risolvere la spiacevole sensazione.

«Anna.»

Non potevano accavallarsi così tanti eventi insieme, alla sprovvista. Rita a parlarti incessantemente, la tua mente ancora annebbiata, Antonio al tuo capezzale, ora seduto di fianco a te, così vicino da sentirne i respiri addosso.

Eppure sino ad un attimo prima…

Oh, cielo.

«Vi è passato?»

«Cosa?»

«Il giramento di testa.»

Ma non era un cosa sulla domanda di Antonio, era un cosa su cosa potesse essere successo nell’ultima mezz’ora.

«No, cioè, sì, sto bene.»

Nessuno si era accorto o voleva soffermarsi sull’espressione di Rita, che, da spaventata, a disagio ed estremamente turbata per avere disturbato la sua padrona, si stava ricomponendo. Infine lascia la biblioteca con un inchino, non mancando di scusarsi.

«Rita potresti portarci-»

«È andata via, e comunque non mi serve niente, mi è già passato.»

Incastri gli occhi nei suoi, poi ti fai forza sulle braccia per alzarti e dimostrargli che non sei mai stata così bene, che non è successo nulla, ma proprio nulla di strano, che non doveva essere così apprensivo nei tuoi confronti, perché se a volte puoi apparire quale donna fragile e cagionevole di salute, il motivo stavolta risiede solo nel brusco risveglio, perché sì, ti sei addormentata, ma poteva essere comprensibile, vista la rabbia e la stanchezza che si susseguivano negli ultimi giorni, che di notte davano modo solo ai brutti pensieri di accoglierti.

Per alzarti appoggi inavvertitamente una mano sulla sua gamba, e perdi l’equilibrio, e ti ritrovi seduta dov’eri prima, se non più vicina a lui.

«Sto bene» non gli dai modo di fiatare. Non era un calo di zuccheri, non era il senso di vertigine, non era l’incipit di uno svenimento.

Era solo un perché sei qui Antonio?

E quella mano Antonio la raccoglie e la scalda tra le sue, e ne tasta il polso. «Celere.»

E che dovresti mangiare qualcosa, no? Almeno una tazza di tè ben zuccherato. Tanto te lo diceva il suo sguardo, non c’era bisogno di parlare. Come che avevi le mani fredde, e che tremavi.

«Mi sembrate un po’ scossa.»

«Stavo riposando, non mi aspettavo una vostra visita.» Era una mezza verità, avrebbe potuto essere sufficiente. «I sogni a volte fanno perdere l’orientamento.»

«Dovevo tornare, pensavo lo ricordaste.»

«Ma non oggi.»

«Non avevamo parlato di una data in particolare.»

Ma non oggi. Vorresti ritrarre la mano ancora intrappolata tra le sue, ma fai finta di non pensarci.

«Di che cosa si trattava?»

 

Le dita ti solleticano in fianco, i baci ti torturano la pelle del collo, la stanza è completamente al buio ed entrambi sapete quanto sia tutto così sbagliato.

 

Il respiro si fa più irregolare, lo sguardo perso al di là delle spalle di Antonio.

«Allora era vero.»

«Cosa?»

Ritiri immediatamente la mano e balzi in piedi. «Niente, mi sono ricordata di una cosa.»

Quando ti volti è già dietro di te. Forse pronto a sorreggerti?

«Dovete smetterla di pensare che sia malata.» Gli giri le spalle.

«C’è qualcosa che non va, Anna, e vorrei potervi aiutare.»

 

Un bottone alla volta, della sua camicia, scivola via dalla propria asola.

Un passo alla volta, e raggiungete camera tua.

 

«Lo vorrei tanto anche io.»

Come in una recita teatrale, gli consenti di nuovo di posare gli occhi su di te.

«Come?»

 

La tua mano raggiunge il bavero della sua giacca.

Ed è tutto così reale, adesso che puoi avvertire la solidità del suo torace da sopra gli indumenti, e puoi studiare le sfumature dei suoi occhi alla luce del pomeriggio, e vedere che è sorpreso quanto te, per le sensazioni che vi prendono a stare l’uno accanto all’altra.

«Che cosa stavate sognando?» tenta la seconda volta, forse convinto che non avevi più difese per rispondergli con una menzogna.

«Mio fratello.»

Antonio pare deluso, ma forse non si aspettava nient’altro che una bugia. O una verità che non lo riguardava.

«Ed Emilia» rincari la dose.

I tuoi due amori. Non c’era posto per Antonio, in questo momento della tua vita, pareva dire il tuo sguardo. Ma ti stai tradendo. Ti sei tradita, ti tradisci costantemente. Cammini per la stanza, a vuoto, lentamente, allontanandoti e di nuovo stringendo le distanze, in una giostra di idee confuse. Che cosa avresti ottenuto nel sottostare alla tua volontaria incertezza? Tutto era chiaro contro di te, limpido, un sole.

«Siete preoccupata per loro.»

Non ha bisogno di risposte, era una conferma del tuo stato d’animo. L’uno in carcere, l’altra triste per lo zio e per tutto ciò che stava stravolgendo le loro vite. Il padre mai presente e lungi dall’essere definito tale, così sfacciato da portarsi in casa un’altra donna, con cui intrattenersi con affettuose moine di fronte a figlia e moglie e chiunque altro fosse nei paraggi.

«Non so più che fare» ne esci infine, aggrappandoti alla disperazione, alla possibilità di essere vittima più che carnefice. Anche se sai di essere entrambe le cose a piacimento.

Inizia ad essere sincera, ti urli addosso.

Pensa un po’ a te, ti rispondi ancora.

«Abbiate cura di voi stessa, e state lontana da Alvise.»

Ti colpisce il suo sguardo rigido e indifferente. Hai sbagliato, ancora una volta, e l’hai fatto di tua scelta.

«Arrivederci Anna.»

No.

Antonio.

No, no, no.

Ogni volta che ti lasciava era come la prima volta, stavolta il tuo sguardo non mentiva.

E se n’è accorto anche lui, perché non si muove, fisso a scrutare i tuoi occhi.

«Lo sai anche tu, vero, quanto mi manchi?»

   
 
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