Venire al mondo è una cosa strana. Si urla, si stringono i pugni, si piange la mancanza del grembo materno, ma si va avanti. Si cresce, s'impara, ci si spegne.
Uno potrebbe pensare che una volta sia abbastanza per abituarsi, ma capita che si rinasca, e tornare al mondo è una cosa ancora più strana. Ci si affanna, si picchiano i pugni contro il legno, non si sente per nulla la mancanza della terra che ti ha cullato, e si va avanti – pur non crescendo più, pur dovendo disimparare tutto quello che si è sempre saputo – e si aspetta di spegnersi per la seconda volta.
Kieren si avvicinò a Simon, che non tardò a circondarlo con un braccio per stringerlo a sé. Si chiese, mentre il sole sorgeva per l'ennesima volta, se anch'esso si sentisse un po' perso nel rinascere ogni giorno, se vivere ventiquattr'ore gli bastasse. Chissà quante volte era sorto, il sole. Troppe per contarle. Kieren era già a due. Era nato e poi rinato.
Sollevò il viso per guardare Simon, per capire se anche lui stesse facendo i suoi stessi cupi pensieri, ma il suo volto era disteso, il pallore della pelle accentuato dalla luce dorata dell'alba, gli occhi spalancati per non perdere nemmeno un particolare di quella scena da cartolina.
Tre, si corresse allora Kieren. Era nato, rinato e poi aveva conosciuto Simon. Era venuto al mondo tre volte, l'ultima direttamente tra le braccia di quel ragazzo amato dal sole.
Forse, si disse Kieren, anche il sole amava rinascere tra le braccia di Simon.
Non sarebbe stato geloso, decise, perché era lui a guadagnarci – i suoi occhi, la sua anima – quando il sole lo baciava così.