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Autore: Jultine    28/05/2016    1 recensioni
Tratto da una storia vera.
Ogni volta che ci penso non posso fare a meno di piangerci su.
E di sorridere.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Bruciava come brucia l'alba

 

 

Lena sapeva che sotto allo strapiombo c'era il mare e che in fondo al mare stava una fossa. Era lì che si insinuavano i sottomarini, scandagliando attenti gli abissi e tutto quello che vi stava sopra. Sapeva anche – nella saggezza dei suoi sette anni – che i buoni erano gli Americani, o comunque quei tali che parlavano inglese. Non sapeva di preciso chi fossero i cattivi, se i tedeschi o tutti gli altri. L'unica cosa di cui era certa è che i buoni avevano scambiato casa sua per una qualche lavanderia, e che le portavano sempre tanta roba buona. Roba dolce.

Quel giorno le sirene si erano messe ad ululare al mattino presto, e tanta era stata la sorpresa che aveva perfino dimenticato di indossare le scarpe. Sua madre l'aveva tirata fuori dalle coperte, le aveva infilato un vestitino sopra alla camicia da notte e poi fuori dalla porta. Si chiese se mamma l'avesse chiusa a chiave. Avrebbero potuto entrare i ladri, chissà. In ogni caso, si era ritrovata a correre a perdifiato per le strade della borgata, ancora mezza addormentata e col sole che non si arrischiava ancora a far capolino. Guarda com'è rosa il cielo, pensò. Ci vedranno gli aerei? È ancora buio. Ebbe vergogna a chiederlo a sua madre, così decise di non aprir bocca.

Ogni volta che partivano le sirene era la stessa storia, anche se di solito accadeva di notte o a tarda sera, quando andava via la luce. Essere svegliati in questo modo le faceva venire voglia di piangere. Perché gli Americani non si mettevano d'accordo una volta per tutte e stabilivano orari e giorni? Di notte ce lo si aspettava, ma all'alba?

Faceva freddo, aveva sonno e a piedi scalzi il pietrisco le si conficcava nelle piante dei piedi. Lena però non fiatava. Sapeva anche, infatti, che in certe situazioni non bisogna lamentarsi. Mai.

Lena, sua madre e tutti i vicini arrivarono alle grotte che il sole era appena un po' più acceso. Una flotta di aerei era da poco sfrecciata sopra le loro teste, lasciandosi dietro lunghi nastri di carburante e un rombo così forte da far tremare la terra. Non era mai successo, o almeno non così vicino.

La ragazzina si rannicchiò in un cantuccio contro la parete rocciosa e si guardò attorno. Per terra c'era una fila ordinata di formiche che si arrampicava rapida lungo la pietra. Dio, quanto detestava le formiche. Temeva che le si potessero infilare nelle orecchie o nel naso e rosicchiarla dall'interno. Però, riflettendoci bene, si rischiava di più con le bombe che con creature tanto piccole.

Per i primi quindici minuti non accadde nulla di particolare. Stavano tutti pigiati gli uni contro gli altri come tante sardine, come se in gruppo potessero farsi scudo. Vedere gli adulti terrorizzati le faceva accapponare la pelle: se erano tanto spaventati loro, così cresciuti, come minimo lei e gli altri ragazzini avrebbero dovuto aver paura il doppio.

Ad un tratto, il cielo si riempì nuovamente di aerei, fitti e neri come uccelli in branco. Uno dei vicini si mise a strepitare e a indicare. Sono gli Americani, quelli lì, strillava.
Lena allora sprofondò nell'ansia: e se i sottomarini sotto alle grotte, in fondo alla scogliera, li avessero visti? Quelli erano i sottomarini dei cattivi. Se avessero abbattuto tutti quegli aerei, i buoni non avrebbero più fatto ritorno a casa, non le avrebbero più portato dolci e fatto le moine.
In mezzo al turbinio di motori e al rombo della battaglia, Lena si accorse che uno degli aerei americani aveva cominciato a sbuffare fumo grigio. Allora anche lei si era messa a strepitare, alzandosi in piedi nonostante le proteste della madre. Puntava il dito contro il cielo e piagnucolava. Hanno preso uno degli Americani, singhiozzava, e ora che facciamo?

Nulla, non c'era da fare proprio nulla. Solo stare a guardare un cinegiornale che respirava, tuonava e sparava. E mentre gli altri avevano perso interesse, preoccupandosi più per se stessi che per gli Alleati, Lena divorava il cielo ipnotizzata.

«Non guardare.» fece sua madre.

La bambina la ignorò, continuando ad inseguire i caccia con febbrili movimenti degli occhi. Non è giusto, pensò, gli Americani hanno solo gli aerei, mentre i cattivi hanno pure i sottomarini.
Lena sapeva che la guerra non era giusta, ma non sapeva in quali modi fosse sbagliata. Nei modi degli adulti che si ostinano a non rispettare le regole del gioco anche quando o si vive o si muore.

Un boato li travolse e i presenti esplosero in urla stridule. Il cielo del mattino si riempì di fuoco e di schegge. Lena aprì gli occhi che non ricordava di aver serrato tanto forte e vide una cosa che le parve spettacolare, che non avrebbe mai più dimenticato.
A bordo del caccia abbattuto c'era una donna dai capelli rossi, che ora precipitava verso il mare come una bambola di pezza. La sua chioma, contro la luce del sole, si era infuocata e pareva bruciare. Bruciava come brucia l'alba.
Lena seguì la traiettoria del corpo fino all'acqua e pensò che quella avrebbe dovuto essere proprio una bella ragazza.
Decise di donarle un ultimo sorriso.


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Quando me lo raccontò, le chiesi cosa ci avesse trovato di tanto stupefacente.
«Mentre tutti distruggevano, lei creava.» mi rispose «Diffondeva eleganza tra la morte. Nell'istante stesso in cui la vidi, mi parve che il tempo si fosse fermato.»
Lena ora è una bambina al contrario, con un vestito a fiori e i capelli grigi. Si appoggia al tavolo per alzarsi dalla poltrona, si asciuga gli occhi col fazzoletto ricamato.
«Ancora oggi ci penso sempre» mi confessa «perché nonostante non avesse più vita, infondeva speranza. Uno spicchio di sole in mezzo alla tempesta. Da bambina lo giudicai un segno, pensavo che la guerra sarebbe finita presto.»
«Era davvero straordinaria, allora.» sorrido.

 

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Oggi, giù alla scogliera dove si insinuavano i sottomarini, c'è un punto panoramico dove gli autobus fanno il capolinea.
Mi sporgo dal guardrail e getto un'occhiata al mare. È accecante, come spruzzato d'oro. Immagino la ragazza dai capelli rossi precipitare in acqua, e mentre precipita la sua chioma di fuoco che si accende. E mi viene da sorridere e piangere a scrosci e poi ridere e poi piangere ancora.
«Grazie anche a te.» sussurro al mare, sperando che tra gli scheletri delle navi, degli aerei e degli uomini, la ragazza dell'alba possa ancora sentirmi. 

 

 


 

 

 

 

 

 

   
 
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