Salve a
tutti!
Rieccomi
qui con un nuovo capitolo!
Innanzitutto
Buona Pasqua
e Pasquetta a tutti!
In
questa settimana mi sono impegnata
per riuscire a sfruttare il tempo libero che avevo a disposizione, per
mandare
avanti questa storia, ma purtroppo questo capitolo si è
rivelato più lungo del
previsto e così ho dovuto tagliarlo a metà, spero
non me ne vogliate ç___ç
Tuttavia, quello seguente è già in fase
di scrittura, quindi credo che non dovrete aspettare molto per leggerlo!
Intanto vi lascio a questo, che è
piuttosto lungo (il più lungo di questa ff, ben 20 pagine
word!)
Anche qui, ancora una volta, mi sono
cimentata nel cambiare punto di vista e ho esaminato un po’
tutti i personaggi,
spero quindi vi piaccia, perché mi sono impegnata molto per
scriverlo e vorrei
dedicarlo a tutti voi che mi seguite!
Alle
fantastiche ragazze
che mi recensiscono e mi tirano su il morale con quelle loro parole
così belle!
A
coloro che inseriscono la mia storia
tra i preferiti.
E anche a quelli che leggono “di
nascosto”, senza sbilanciarsi.
Grazie a tutti, siete
fantastici!
Un bacione immenso
~Un
Particolare In Più~
[ Now I will
tell you what
I've done for you,
50 thousand tears I've cried.
Screaming, decieving, and bleeding for you,
And you still won't hear me.
Going under.
Ma
era tutto inutile.
Le parole di Malfoy le
rimbombavano nella testa, continuando ad aprire una voragine dolorosa,
dove
avrebbe dovuto esserci un cuore, che batteva furioso, in cerca di
vendetta.
Non
meritava quel trattamento. Non lo meritava
affatto.
Pensava che Malfoy
avesse
capito il suo stato d’animo, dopo la strigliata di Piton e
l’ennesimo
fallimento scolastico. E invece niente. Se ne era fregato e
l’aveva persino
rimproverata, facendole intendere che per lui, contava meno del
Quidditch, uno
stupido sport che lei aveva sempre odiato.
Ma infondo, cosa si
aspettava? Che la tranquillizzasse? Che la prendesse tra le braccia e
la
consolasse, dicendole che tutto sarebbe andato per il meglio?
No, Malfoy non era quel tipo
di persona, e lei lo sapeva bene.
“Non
è nella mia natura cercare di tranquillizzare le
persone, Black…”
Le aveva detto una volta. E
aveva ragione. L’unica cosa che era capace a fare era
metterla in difficoltà e
farla sentire a disagio.
Stava solo giocando lei,
doveva metterselo in testa!
Eppure, anche se cercava di
convincersi di ciò, non riusciva a levarsi dalla testa il
suo viso, le sue
parole, i suoi occhi, la sua voce, il suo respiro freddo, che le
sfiorava il
viso ogni volta che, per parlare, si avvicinava troppo.
Voleva andare via.
Voleva tornare da Sirius e
lasciarsi coccolare dalle sue braccia.
Non chiedeva nient’altro.
Quella
scuola – e quelle bugie – la stavano
soffocando.
Ma
non c’era.
Il tavolo dove avevano
lavorato insieme era perfettamente pulito, anche se un banco ed una
sedia erano
rovesciate in terra.
Chissà
cosa era successo.
Si affrettò a
rimetterli a
posto con un incantesimo e poi uscì dall’aula,
alla ricerca dell’amica.
Forse, era già andata alle
lezioni del pomeriggio. Controllò l’orario:
Trasfigurazione con i Grifondoro.
Ma si, doveva essere già in aula.
Alexandra
diventava stranamente di buon umore, quando
si facevano lezioni con la casa rosso-oro.
Così, senza
pensarci due
volte, si diresse al quarto piano e come una furia, entrò
nel bel mezzo della
lezione.
Era
in ritardo, come al solito.
Senza dare troppo peso
all’occhiataccia della McGranitt, che la scrutava da dietro
quegli occhialetti
fini, poggiati sulla punta del lungo naso, e al bisbigliare pettegolo
dei
compagni di classe, si guardò intorno, cercando una figura
dai capelli scuri e
gli occhi di smeraldo.
Non
era neanche lì.
Dove diavolo si era cacciata?
Restò in
piedi nel bel mezzo
dell’aula, come un’idiota, lo sguardo perso in
mille pensieri tragici sulla
fine dell’amica. Borbottava qualcosa su morti causate da
pozioni o da un banco
che, casualmente, le si era rovesciato contro.
- Ha intenzione di
disturbare ancora a lungo la mia lezione, signorina Cherin?-
Domandò indispettita la
McGranitt, incrociando le braccia al petto e osservandola con sguardo
severo,
che si trasformò in pura rabbia quando la ragazza la
zittì con un gesto della
mano, che ricordava tanto il movimento dello scacciare degli insetti
fastidiosi.
Se
solo gli sguardi avessero potuto uccidere, quel
giorno ci sarebbero già stati ben due omicidi.
La McGranitt sembrava
diventata una teiera bollente, rossa come un pomodoro, fumava dalla
testa e
dalle orecchie, le labbra arricciate e gli occhi che mandavano fulmini
e
saette. Se non avesse avuto abbastanza autocontrollo, la bacchetta che
stringeva nelle mani si sarebbe irrimediabilmente spezzata. O nella
peggiore
delle ipotesi, avrebbe semplicemente schiantato quella piccola
impertinente.
Quando Diamond si rese conto
di quello che stava succedendo – e soprattutto di quello che
aveva appena osato fare –
sbarrò gli occhi e osservò
una furiosa donna, dall’espressione che la invecchiava ancora
più di quanto non
lo fosse già, avvicinarlesi
con passo
lento e misurato, fin troppo calmo. Trattenne il fiato insieme a tutti
i suoi
compagni di classe, in attesa della sua morte. La McGranitt le si
posizionò
davanti, sovrastandola e facendola diventare piccola piccola. Le
sorrise
forzatamente e…
-FUORI DA QUI!!!!-
Le urlò con tutto il fiato
che aveva in corpo, tanto da spettinarla con la sola forza
dell’ugola, e farla
volare via fuori dall’aula.
La porta si chiuse con
violenza, facendo crollare a terra in quadri appesi sulla parete
interna
dell’aula – con conseguenti lamenti da parte dei
dipinti.
Diamond osservò la porta
chiusa sconvolta, mentre un brivido le percorreva tutta la colonna
vertebrale.
Da dentro l’aula, sentiva
ancora la McGranitt gridare infuoriata sull’indecenza, la
maleducazione e i
punti che avrebbe tolto a Serpeverde a causa di
quell’impertinente.
La biondina si allontanò
all’indietro, lentamente, quasi avesse paura di fare rumore,
e poi, appena
svoltato l’angolo, si allontanò come una
furia,lasciandosi una scia di fumo
alle spalle.
Non
c’era che dire, una genialata unica nel suo
genere.
Inoltre, combinato il
disastro, non si era neanche degnato di dare una mano a rimettere tutto
a posto,
ma aveva incaricato tre tipi a caso
di riordinare il casino che lui aveva prudentemente
scatenato.
Un
amore di professore, senza alcun dubbio.
E così, con i
capelli tutti
scompigliati e le divise strappate, avevano deciso di prendere una
boccata
d’aria, tanto per quel giorno, non avevano altre ore di
lezione,
fortunatamente.
Ma Hermione, come suo
solito, era contraria a quel bighellonare senza meta e senza scopo, e
li stava
rimproverando, spiegandogli che avrebbero fatto meglio ad andare in
Sala Comune
e cominciare i compiti.
-Vi ricordo che dobbiamo
stilare un tema di trentacinque centimetri sugli effetti positivi e
negativi
della Mandragola, per Erbologia; poi dobbiamo studiare la Storia della
nascita
degli Elfi per Storia Della Magia e in più, imparare
l’incantesimo di Difesa
Contro Le Arti Oscure che oggi, per quel piccolo
inconveniente, non siamo riusciti a praticare e…-
Stava enumerando la
brunetta, tenendo il conto dei compiti sulle dita della mano.
Harry e Ron si scambiarono
uno sguardo disperato.
Amavano Hermione come se
fosse una sorella – o meglio, Ron ne era segretamente cotto
da un anno ormai,
anche se non l’avrebbe mai ammesso – ma quando
cominciava a tormentarli con i
compiti, l’avrebbero volentieri spedita a fare un bel bagno
nel Lago Nero.
- Avanti Herm! Siamo appena
usciti da una fuoriosa guerra contro dei dannati Folletti, abbiamo il
diritto
di riposarci un po’!-
Esclamò esasperato Ron,
alzando le braccia con un gesto molto teatrale.
Ma Hermione sospirò e scosse
la testa.
- Se non vi mettete di
impegno fin dall’inizio dell’anno, vi ritroverete
alla fine, con troppe materie
da recuperare. E non vi aspettate che quest’anno sia io ad
aiutarvi! –
Proferì decisa, guardandolo
dal basso con occhi severi, le mani sui fianchi.
- Harry! Diglielo anche tu
che ci meritiamo una pausa! –
Ron interpellò l’amico,
nella speranza di ricevere man forte contro quegli scuri occhi severi
che non
ammettevano repliche.
Harry sorrise mesto
all’indirizzo dell’intransigente amica e stava per
rispondergli che Ron aveva
ragione, ma non fece in tempo. Infatti, appena aprì le
labbra per pronunciare
parola, una piccola furia dai corti capelli biondi, lo
investì in pieno,
facendolo ruzzolare in terra come un sacco di patate.
Rotolarono entrambi per
qualche metro, e quando si fermarono, Harry si trovò disteso
con la schiena in
terra, un corpo non esageratamente pesante sdraiato sul suo.
Diamond si puntellò sui
gomiti e si alzò a sedere, massaggiandosi il fondoschiena
dolorante.
-Ahia, accidenti! Ci mancava
anche questa!-
Imprecò a denti stretti, massaggiandosi
la nuca e scompigliandosi ancora di più i capelli.
-Ti dispiacerebbe levarti?
Non sei un peso piuma…-
Sentenziò il Bambino
Sopravvissuto, sotto di lei. La biondina sbarrò gli occhi e
abbassò lo sguardo
fino ad incontrare quello smeraldino del ragazzo.
Incredibilmente
simile a quello della persona che
stava cercando con tanta fretta.
Quando l’alba
della
comprensione sorse nella sua mente, e si rese conto di chi aveva appena
investito,
balzò su in piedi con la velocità di un felino e
si distanziò dal “Trio
Miracoli”, quasi essere a contatto con loro facesse venire
l’urticaria.
Hermione la guardava con un
sopracciglio alzato, indispettita da quella reazione.
Neanche
avessero avuto il vaiolo di drago!
Ron, decisamente
più lento
di comprendonio, la osservava senza capire.
Harry fece leva sulle
braccia per tirarsi almeno su a sedere, e si sistemò gli
occhiali sul naso, che
gli si erano storti nella caduta. Riacquistata la vista,
osservò la ragazza che
aveva davanti. Aveva una strana espressione: un misto tra angoscia,
fretta e
fastidio.
Ora che la guardava bene, le
sembrava di conoscerla.
Aveva corti capelli biondi,
tutti scompigliati, che le incorniciavano il viso pallido e trafelato
dalla
corsa. Gli occhi scuri, si muovevano irrequieti, passando da Hermione a
Ron,
poi a lui stesso, che la osservava dal basso. La cravatta verde-argento
era
storta e allentata e la gonna della divisa, troppo corta, ne lasciava
scoperte
le belle gambe.
Ma
certo! Non era la ragazza che stava sempre con
Alexandra?
Assottigliò
gli occhi, per
guardarla meglio e stava per proferire parole, quando questa riprese a
correre,
oltrepassandoli, senza degnarli di ulteriori attenzioni.
Aveva
perso fin troppo tempo.
Hermione la
seguì con lo
sguardo, allontanarsi, mentre Ron aiutava Harry a rimettersi in piedi.
- Poteva almeno scusarsi!
Tutte uguali queste serpi! –
Dichiarò arrabbiata la
brunetta, con tono di voce abbastanza alto, quasi avesse voluto che la
ragazzina la sentisse. Harry si limitò a guardarla e a
sospirare, scuotendo la
testa.
E quasi l’avesse veramente
sentita, Diamond arrestò la sua corsa e si fermò
di botto, con un pensiero
baluginante nella mente.
Alexandra
stava sempre con quell’imbranato del mito
dei Grifoni!
Si voltò
velocemente e tornò
sui suoi passi, fermandosi a qualche metro di distanza – non
fosse mai che si
avvicinasse troppo a dei Grifondoro.
-Potter!-
Lo chiamò, quasi urlando.
Harry si voltò, con le
sopracciglia inarcate in un’espressione confusa.
Hermione imitò l’amico, solo
che il suo cipiglio era scocciato.
Ron seguì gli altri, ma non
è che ci stesse capendo molto.
-Hai per caso visto la
Black?-
Gli domandò tutto d’un
fiato, così velocemente che persino quel genio della Granger
dovette pensarci
su prima di capire.
Ma appena Potter aveva
sentito il cognome “Black”, un campanello
d’allarme gli si era acceso nella
mente. Corrugò la fronte, preoccupato, mentre gli occhi di
smeraldo si facevano
improvvisamente seri.
-No, perché?-
Chiese a sua volta, ma
Diamond si limitò a lanciare qualche maledizione a bassa
voce e scappare di
nuovo via, in tutta fretta, seguita da uno sguardo sempre
più irritato della
Grifoncina e da uno sempre più confuso del rosso.
-Ma che le è preso a quella?
Non solo ti investe come una furia e se ne va senza nemmeno scusarsi,
ma
pretende anche che tu sappia dove sia quell’altra serpe della sua amica! –
Sbottò Hermione con uno
sbuffo, scuotendo la testa contrariata.
- Sembrava avere una certa
fretta…-
Cercò di giustificarla Ron,
che, finalmente, cominciava a capirci qualcosa.
Ma un’occhiataccia
dell’amica lo fece tacere.
- Chissà per quale strana
idea quella là credeva
che tu sapessi
dov’è la Black, eh Harry? –
Domandò la brunetta, ma il
ragazzo non sembrava averla sentita.
Continuava a fissare, con
sguardo vacuo, il punto in cui era sparita Diamond, e a rimuginare
mentalmente.
In effetti, non aveva visto
a pranzo Alexandra, quel giorno.
Di solito era sempre vicina
a quella biondina o a Zabini, ma quel giorno non c’era.
L’aveva cercata, come
sempre, per scambiarsi l’occhiata d’intesa che
concordava il loro incontro
giornaliero alla Quercia, sul Lago Nero, ma non l’aveva
trovata.
Lì per lì, non aveva dato
molto peso alla cosa. Magari era in ritardo o aveva avuto altro da fare.
Ma lo sguardo preoccupato di
quella ragazza, l’espressione agitata che aveva il suo viso e
la fretta con cui
era scappata, avevano innescato un sensore d’allarme
all’interno della sua
testa.
Che
le fosse capitato qualcosa?
Hermione e Ron si
scambiarono un’occhiata d’intesa e la ragazza lo
scosse leggermente, tirandolo
per un braccio.
- Ehi Harry, tutto bene? –
Gli chiese Ron, con voce
tesa.
Non gli piaceva per niente
l’espressione seria che aveva assunto così
all’improvviso.
Come se fosse stato
risvegliato nel bel mezzo di un sogno ad occhi aperti, Harry scosse la
testa e
si voltò verso gli amici.
- Devo controllare una cosa,
ci vediamo in Sala Comune! –
Disse sbrigativo, prima di
lasciare in terra la cartella con i libri e correre via, seguendo la
ragazzina
di poco prima.
- Harry! –
Cercò di chiamarlo Hermione,
ma non lui la sentì e sparì esattamente come
Diamond. La riccia si voltò ad
osservare Ron, con un cipiglio misto tra confusione e rabbia.
- Ma che gli è preso? –
Il rosso si limitò a
stringersi nelle spalle e a scuotere la testa.
- Non ne ho idea. –
E
furioso.
Due monete argentee, due
frammenti di diamante ghiacciato, due fredde pietre lunari.
Immobili, impassibili.
E
pericolosamente serie e luminescenti di ira.
Era probabilmente colpa
– o
merito – loro, se ogni persona che lo incontrava per i
corridoi, si zittiva
immediatamente e si ritraeva contro la parete, lasciandolo passare.
Perché se quel giorno ti
fossi trovato sul cammino di Draco Lucius Malfoy, nemmeno Merlino e
tutti i
maghi più potenti avrebbero potuto salvarti da una visita
all’Ospedale San
Mungo.
Se
ti andava bene.
Sembrava appena uscito da un
furioso duello contro Lord Voldemort in persona.
I capelli biondi e fini,
solitamente trattenuti da una mano di gel, gli ricadevano, disordinati
e
arruffati – tanto che avrebbero potuto far concorrenza a
quelli di Harry Potter
– sul viso, nascondendo in parte quegli occhi di ghiaccio,
che brillavano
pericolosi. Il mantello della divisa giaceva su di una spalla,
trattenuto da
due dita, tutto polveroso e lacerato, e andava a coprire lo strappo
sulla
manica della camicia, che penzolava inerme sul suo braccio. Anche sui
pantaloni, solitamente stirati e inamidati, c’erano tracce di
polvere e di
strappi.
Cos’era, i professori di
Hogwarts si erano messi d’accordo per farlo innervosire, quel
giorno?
Non bastava che avesse
problemi suoi per la testa?
Già gli ordini e le minaccie
di Piton gli avevano rovinato la giornata.
Ora ci si era messo anche
quell’imbecille del nuovo
professore
di Difesa Contro Le Arti Oscure.
Che
andassero a morire, lui e i suoi maledetti
folletti!
Non appena quel pazzo
scervellato li aveva lasciati liberi per l’aula, aveva
approfittato della
confusione per sgattaiolare via, aveva altro a cui pensare che a quei
cosi
minuscoli e bluastri. Aveva scaraventato in terra i libri per scacciare
qualche
folletto ed era corso all’uscita, così veloce che
neanche Blaise Zabini,
compagno di banco, l’aveva visto.
Alcuni folletti però non se
lo erano lasciato sfuggire e si erano divertiti a tirargli i capelli e
a
strappargli i vestiti.
Con
un furioso colpo di bacchetta, li aveva spediti
nel giusto posto.
Inoltre, come se non
bastasse tutto ciò, non riusciva a togliersi dalla mente
l’espressione
arrabbiata – e ferita – della Black. Il modo in cui
quegli occhi sinceri,
quelle pozze di smeraldo nelle quali stava imparando a perdersi,
l’avevano
guardato, gli avevano fatto più male di una Maledizione
Cruciatus. E se poi
ripensava alle calde lacrime che gli scorrevano sul viso e al tono
rotto della
sua voce quando gli aveva detto di lasciarla in pace, rischiava di
perdere il
controllo e di spaccare qualsiasi cosa gli fosse capitato sotto mano
– oggetto
o uomo che fosse.
Così, con un diavolo per
capello e un’espressione a dir poco spaventosa, si stava
dirigendo verso i
dormitori, per darsi un’aggiustata e prepararsi per il
Quidditch.
Aveva decisamente bisogno di
distrarsi un po’, e un allenamento sulla sua fedele Nibus
2001, lo avrebbe
aiutato a scaricare in nervi.
Arrivato finalmente in
camera, gettò il mantello polveroso e rovinato sul pavimento
e poco dopo, la
camicia andò a fargli compagnia. Si stava slacciando la
cintura, quando
qualcuno entrò nella sua camera, aprendo la porta di botto.
Lo sguardo infuriato che
lanciò alla soglia della porta, avrebbe pietrificato
chiunque.
Tranne
lui, ovviamente. Blaise Zabini.
- Eccoti finalmente,
sono
ore che ti cerco! –
Esagerò il ragazzo,
chiudendosi la porta alle spalle e osservando il biondino, che gli
restituiva
l’occhiata, con uno sguardo in tralice. Poi si
voltò e si tolse le scarpe.
- Sarebbe buona educazione
bussare, prima di entrare nella stanza di qualcuno –
mormorò Draco,
abbandonando le eleganti scarpe polverose, accanto agli altri
indumenti. Gli
elfi domestici avrebbero avuto un bel po’ di lavoro da fare - Specialmente nella mia.
–
- L’ho mai fatto? –
Rispose tranquillo Blaise,
stendendosi sul grande letto a due piazze e incrociando le mani dietro
la
testa.
- Dovresti imparare allora –
Rimbeccò il Principe delle
Serpi, mentre si spettinava i capelli ancora di più, per
togliere la polvere.
- Se non ti conoscessi bene,
oserei dire che i folletti hanno avuto la meglio su di te! –
Sogghignò il moro, per poi
sbadigliare e stiracchiarsi.
L’unica risposta di Draco fu
un’occhiataccia molto espressiva.
- E se non ti conoscessi
bene, direi anche che la mia presenza qui non è gradita.-
Aggiunse Zabini, alzando le
sopracciglia, con espressione pensierosa, quasi offesa.
- L’hai detto tu, non io. –
Si limitò a replicare il
biondo, prendendo la divisa di Quidditch dall’armadio.
Blaise smise di sorridere e
i suoi occhi di zaffiro si fecero improvvisamente seri.
Scattò su a sedere,
incrociando le gambe e ricambiò lo sguardo, con espressione
dura.
- Che è successo? –
Gli domandò. Nella sua voce,
così come sul suo viso, non c’era più
aria di ilarità.
Draco si limitò a ricambiare
l’occhiata per qualche secondo, con espressione fredda e
tagliente,
apparentemente indifferente.
Solo
nei suoi occhi di ghiaccio, bruciava la fiamma
della rabbia che lo stava consumando voracemente
dall’interno.
Si voltò,
senza rispondere,
e prese ad infilarsi la maglia della divisa.
- Draco… -
Lo chiamò, con seria
dolcezza, lo sguardo che non lasciava andare la schiena che il ragazzo
gli
dava.
- Lasciami in pace Blaise,
non mi va di parlarne. –
Rispose secco Malfoy, con
voce dura, rabbiosa, che disorientò l’amico.
Blaise Zabini era un tipo
che amava scherzare, ma sapeva quando era il momento di ridere e quando
quello
di stare seri. E soprattutto, sapeva quando era il momento di andare
via e di
lasciare il suo migliore amico, Draco Malfoy, da solo.
- Come vuoi, amico…-
Si limitò a dire, alzandosi
dal letto e imboccando l’uscita della stanza.
- Se hai voglia di parlare,
sai dove trovarmi. –
Aggiunse con tono sottile,
prima di chiudersi la porta alle spalle.
Draco rimase immobile per
qualche secondo, poi prese in mano il libro di incantesimi, aperto
sulla
scrivania, e lo lanciò forte contro il muro, scalfendo la
calce e lasciando un
buco sulla parete.
- Maledizione… -
Mormorò con rabbia, prima di
emettere un profondo ringhio liberatorio e appoggiarsi con la schiena
al muro,
prendendosi la testa tra le mani.
Ma
che diavolo gli stava succedendo?
Si allontanava, pensieroso,
dalla Sala Comune dei Serpeverde, le mani in tasca,
l’espressione corrucciata,
gli occhi di zaffiro seri e concentrati.
Chissà cos’era successo per
far imbestialire così tanto Draco.
Non lo aveva mai visto così
arrabbiato.
Così frustrato.
Così
triste.
Perché lui,
Blaise Zabini,
che lo conosceva fin da quando era alto un calderone o poco
più, aveva visto il
suo sguardo.
Ed era uno sguardo, sì
infuriato, pericoloso.
Ma infondo, all’interno di
quello specchio che nessuno riusciva mai ad oltrepassare,
c’era anche una nota
ferita.
Ed
era quella, a scatenare tutte le altre reazioni.
Si ritrovò a
sospirare, con
espressione stanca, mentre si passava una mano sugli occhi e se li
stropicciava.
Quei dannati folletti, uniti
agli strilli incontrollati delle Mandragole e aggiunti alle ragazzine
che gli
stavano sempre alle calcagne con sguardo adorante, lo avevano sfinito.
Forse avrebbe fatto meglio a
tornare nel dormitorio e a stendersi un po’ sul letto. Aveva
bisogno di riposo.
Fece dietro front, ma
qualcuno gli andò a sbattere contro, rischiando di farlo
cadere in terra.
Per fortuna, lui era più
robusto di Harry Potter, e questo evitò una nuova caduta
alla ragazza, che
venne intrappolata da un paio di robuste braccia e un petto caldo ed
ampio.
- Ehi, attenta a dove vai! –
Esclamò Blaise, sciogliendo
lentamente l’abbraccio e assicurandosi che, dopo la botta, la
ragazza riuscisse
a stare in piedi.
Diamond scosse la testa,
leggermente disorientata e si portò una mano sulla fronte.
Quando i suoi occhi scuri
incontrarono quelli gentili e profondi di Blaise, arrossì
fino alla punta dei
capelli e rischiò di cadere di nuovo in terra, se il ragazzo
non l’avesse
sorretta.
Scosse ancora una volta la
testa, lasciando che i corti capelli – ormai senza
più forma ne ordine – le
ricadessero davanti al viso.
- Scusami Zabini! –
Esclamò leggermente imbarazzata,
mentre si riportava indietro, con un gesto della mano, quella chioma
corta, ma
indomabile.
- Tranquilla, è tutto ok! –
Sorrise lui, con tono
gentile, che la fece arrossire di nuovo.
- Dove andavi così di corsa?
–
Diamond sbarrò gli occhi, come
se avesse visto un fantasma e sbiancò.
- Accidenti, non posso
perdere tempo, devo trovarla! –
Esclamò agitata, sfuggendo
alla stretta di Blaise, che la stava ancora sorreggendo. Fece per
scappare, ma
il ragazzo la fermò, prendola dolcemente per un braccio.
- Aspetta! Chi devi trovare?
–
Domandò, piegando il viso su
di un lato. Lei non si preoccupò neanche di arrossire,
questa volta, e si
limitò ad agitarsi.
- La Black! L’ho cercata
ovunque, ma non riesco a trovarla! –
Blaise assottigliò lo
sguardo, assumendo un chiaro cipiglio preoccupato, che si
manifestò con la
leggera ruga d’espressione che solcò lo spazio tra
le sue sopracciglia.
- Alexandra? –
Mormorò, così a bassa voce
che sembrava si stesse riferendo più a se stesso, che alla
ragazza.
Diamond annuì energicamente.
- L’hai vista per caso?-
Blaise scosse la testa e lei
sbuffò, angosciata.
- Hai controllato bene
dappertutto?-
Lei annuì di nuovo,
convinta.
- Sei passata anche in Sala
Comune? –
Dal colorito bianco che
assunse il suo viso, Blaise intuì che quello era
l’unico – ovvio – posto in cui
non era andata a cercarla.
Sghignazzò, mentre vide le
guance di Diamond passare da un bianco smorto ad un rosso vivo, in una
frazione
di secondo.
Le lasciò andare il braccio
divertito, mentre lei si lanciava letteralmente sulla strada che
portava ai
dormitori, lasciandosi dietro una scia di polvere e un
“grazie” urlato.
Blaise si limitò a guardarla
scomparire e con un sorrisetto incrociò le braccia al petto.
Alexandra
era sparita.
Draco era incazzato.
Le cose cominciavano ad avere un senso.
Erano
ancora umidi di lacrime.
Sbadigliò,
mentre tendeva un
braccio verso il comodino accanto al letto, e lo tastava, alla ricerca
del
cassetto. Lo aprì e prese un grazioso specchio, incornicato
da intarsi
argentati. Se lo portò davanti al viso, e quasi
sussultò.
Aveva un aspetto terribile.
I capelli, solitamente folti
e lucenti, erano un nodo unico, impastati ancora della sostanza
giallastra che
aveva fatto esplodere a Pozioni. Il viso era di un bianco smorto, che
la faceva
somigliare pericolosamente ad un cadavere. Cosa accentutata dalle
profonde
occhiaie che scurivano gli occhi, stanchi e ancora umidi di lacrime. Le
guance
arrossate e le labbra gonfie – aveva il vizio di mordersele,
quando piangeva –
completavano quell’orrenda figura.
Chiuse gli occhi, sospirando
e posò lo specchiò sul letto, tirandosi su a
sedere, con una fatica immane,
quasi il suo corpo fosse diventato improvvisamente di cemento.
Lo sguardo, arrossato dal
pianto, andò a posarsi sulla camicetta sporca e poi percorse
il poco spazio che
la separava dal bagno.
Avrebbe fatto meglio ad
andare a farsi una doccia, magari riusciva a risvegliarsi e a levarsi
quella
maschera cadaverica che aveva al posto del viso.
Fece per alzarsi, ma poi
sbuffò.
Era terribilmente stanca che
anche alzarsi le costava una fatica immane.
Abbandonò la testa sul muro
e socchiuse gli occhi, stringendosi le gambe al petto. Stava quasi per
riaddormentarsi, tanto era stanca, ma un rumore di passi frettolosi che
percorrevano il corridoio, la costrinse a destarsi. Si
affacciò oltre la
spalliera del letto, per vedere la porta della camera spalancarsi e
lasciare
entrare la figura trafelata e agitata di Diamond.
Sembrava aver appena finito
una maratona. Era rossa in viso, con il fiato corto, la fronte
imperlata di
sudore, i capelli scombinati e la divisa tutta storta.
- TU! –
Le urlò contro, indicandola
con un dito tremante.
Alexis sbarrò gli occhi e si
fece piccola piccola, nascondendosi dietro la spalliera del letto, solo
gli
occhi che spuntavano da quella protezione improvvisata..
La biondina si chiuse la
porta alle spalle e le si avvicinò, con passo lento e
controllato.
In
quel momento, le ricordava tanto la McGranitt.
Si affiancò
al letto e la
osservò dall’alto, minacciosa.
- Dannata…! –
Sibilò a denti stretti,
guardandola con sguardo incandescente.
Si chinò verso di lei, con
un gesto così brusco, che le sembrò volesse
picchiarla.
Alexis chiuse gli occhi, per
reazione, ma non avvertì alcun dolore.
Trannè quello pressante di
due braccia che la stringevano, decisamente troppo forte, e le
toglievano il
respiro.
- Mi hai fatta preoccupare
tantissimo! –
Esclamò Diamond, cominciando
a stritolarla in un abbraccio troppo impetuoso, che le spezzava le
costole.
- Coff! Coff! Dia…Diamond!
Non riesco a respirare…!-
Rantolò la Black, dandogli
dei deboli colpetti alla schiena. La ragazza sciolse immediatamente
l’abbraccio
e sorrise imbarazzata.
- Scusa… -
Proferì, scompigliandosi i
capelli. Poi il suo sguardo si riaccese in una nuova furia.
- Anzi no! Niente scuse! Non
te le meriti! –
Esclamò additandola con
espressione accusatoria.
Alexis sbattè più volte le
palpebre, senza capire.
- E’ tutto il giorno che ti
cerco! Non sei venuta a pranzo! –
La rimproverò, sventolandole
l’indice davanti al viso.
La mora abbassò lo sguardo,
con espressione colpevole.
- Non avevo fame… -
Si limitò a rispondere,
accompagnandosi con delle spallucce.
- E che mi dici della
lezione di Trasfigurazione? Non eri neanche lì! –
- Non ci sei andata neanche
tu, se è per questo…-
Fece notare, indicandola con
un gesto del capo. Lei le sventolò la mano davanti al viso,
con aria frettolosa
e incurante.
- La McGranitt mi ha
cacciata…-
Rispose, con tono
indifferente.
-Ti ha cacciata? –
Chiese l’altra, sgranando
gli occhi.
- Si, sono piombata nel bel
mezzo della lezione per cercare te… Devo aver fatto qualcosa che l’ha
infastidita…O forse è solo mancanza di sesso!-
Sbottò, sedendosi con modi
poco eleganti, sul suo letto.
- Diamond! –
Protestò Alexis, ma quella
la zittì di nuovo, con un gesto della mano.
- Ma si, si! Piuttosto, non
cambiare argomento: perché non sei andata a lezione?-
Puntualizzò, mentre cercava
di ravvivarsi i capelli e incrociava le gambe, sul letto.
Alexis si morse il labbro
inferiore, abbassando lo sguardo e osservando in maniera
particolarmente
interessata lo specchio sul letto, che rifletteva il bianco soffitto.
- Non avevo finito i
compiti… -
Mentì, con una scrollata di
spalle, ma Diamond la guardò con espressione dura.
- Non mentire: li avevamo
fatti insieme –
Alexis si voltò ad
osservarla e lei ricambiò il suo sguardo con seria
compostezza.
Ancora una volta si morse il
labbro inferiore e poi sbuffò.
Lo sguardo di Diamond si
addolcì e la ragazza si alzò dal suo letto, per
sedersi su quello dell’amica e
osservarla con espressione preoccupata.
Ora che la guardava bene, aveva
una pessima cera.
Sembrava
quasi che avesse…pianto.
- Qualcosa non va, Alex?
–
Le domandò ansiosa, tendendo
una mano e accarezzandole un braccio.
La mora la guardò, indecisa,
e poi si limitò a sorridere mesta e a scuotere la testa.
- No, sto bene, sul serio.
Sono solo un po’ stanca, tutto qui…-
- Sicura? –
Alexis annuì e l’altra si
limitò a sospirare, per poi sorriderle a sua volta.
- Ascolta, non ti fa bene
rimanere chiusa qui dentro. Fuori è una giornata bellissima,
perché non ti dai
un’aggiustatina e non vieni con me?–
Le domandò in tono gentile,
portandole una ciocca di capelli dietro le orecchie.
La moretta sospirò e la
guardò indecisa.
- Dove andiamo? –
Le domandò poi, e lo sguardo
di Diamond si accese, insieme ad un sorriso. Balzò in piedi
e le prese le mani,
entusiasta.
- Ti ricordi di Kain
Montague? –
Le chiese, gli occhi
nocciola che brillavano come stelle.
- Mmm…Credo di si…-
Rispose Alexis, aggrottando
le sopracciglia, nel tentativo di ricordare.
- Non è quello del quarto
anno? –
Diamond annuì energicamente.
Si, forse aveva capito chi
era. Un ragazzo alto e muscoloso, dalla carnagione bronzea, i capelli
scuri,
lunghi e disordinati e un paio di occhi neri come carbone, che
l’avevano sempre
messa a disagio, ogni volta che li incontrava.
Sembravano
così terribilmente vuoti.
Anche se, tutto sommato
era…
- Davvero uno schianto di
ragazzo, non trovi? –
Esclamò la bionda,
arrossendo leggermente e scuotendo la testa con fare emozionato.
- Vedi, ci ho parlato un po’
e mi ha detto che gioca nella squadra di Quidditch!
–
Aggiunse, entusiasta. Poi,
cominciò ad elencare una serie di aggettivi per definire lui
e tutti gli altri
ragazzi della squadra, ma Alexis non la sentiva più.
Era diventata
impercettibilmente rigida e il suo sguardo si era perso nel vuoto,
mentre un
peso le aveva schiacciato il cuore, riportandola alla realtà.
E
al suo dolore.
“ Non intendo saltare il Quidditch per te, chiaro?
“
Le aveva detto, con voce
tagliente e carica di rabbia.
Le mani si strinsero attorno
a quelle di Diamond, ma riuscì a controllarle e a non
stritolarle.
All’improvviso, la voglia di
uscire dalla stanza le era passata.
- Allora, andiamo? –
Le domandò la ragazza,
risvegliandola e cercando di tirarla su, per le braccia.
- Cosa? –
Proferì Alexis disorientata,
scuotendo la testa e tornando alla realtà.
- Ma mi ascolti quando
parlo? –
Sbuffò esasperata Diamond,
inarcando le fine sopracciglia.
- No, scusa…-
- Ti stavo dicendo che
Montague mi ha invitata a vedere il primo allenamento di Quidditch di
Serpeverde dell’anno! Accompagnami! Inoltre, ho saputo che Malfoy è stato scelto come
nuovo Cercatore, sarà contento di
vederti! –
Esclamò, aggiungendo un tono
e un sorrisetto malizioso, sull’ultima frase.
Ma lei non ci fece nemmeno
caso. Aveva di nuovo lo sguardo perso nel vuoto.
Lentamente, si ritrasse
contro il muro e lasciò andare le mani dell’amica,
scuotendo la testa.
- No, scusa…Non ho voglia di
venire…-
Mormorò, portandosi le gambe
al petto e fissando un punto imprecisato al di sopra della spalla di
Diamond.
- Ma coooome! –
Si lamentò la biondina,
spalancando gli occhi e la bocca, con un’espressione mista di
delusione e
stupore.
- Ho altro da fare, scusa…-
Ripetè la mora, senza tono.
Diamond sbuffò e si avvicinò
al suo letto, prendendo una spazzola dal comodino e cominciando a
pettinare i
capelli, per dargli un aspetto più presentabile.
Non
riusciva a capire cosa ci fosse di più importante
– e interessante – di guardare la squadra di
Serpeverde giocare a Quidditch.
Guardò in
tralice la Black,
con espressione imbronciata e con un colpo di bacchetta di
sistemò trucco e
capelli.
- Allora sei sicura di non
voler venire? –
Tentò ancora, sbattendo le
ciglia, allungate a regola d’arte dal magico mascara.
Alexis sorrise e scosse la
testa.
- No, preferisco riposarmi
ancora un po’ e farmi una bella doccia –
Diamond sporse il labbro
inferiore e poi si strinse nelle spalle.
- Come vuoi! Guarderò anche
per te! –
Esclamò, facendole un
occhiolino e poi uscì dalla stanza con la stessa
velocità con la quale era
arrivata.
Sperava
solo che Alexandra stesse bene.
Stava ripercorrendo per
la
quinta volta il corridoio davanti alla Sala Comune di Serpeverde,
quando,
finalmente, l’aveva vista uscire, con un aspetto un
po’ meno caotico di prima.
- Cherin! –
La chiamò avvicinandolesi.
Lei si fermò di botto e si irrigidì, squadrandolo
da capo a piedi.
- Potter. –
Si limitò a rispondere,
alzando un sopracciglio. Harry le sorrise imbarazzato, leggermente a
disagio.
- Ehm…ecco…finalmente ti ho
trovata…-
Disse, grattandosi la nuca
con fare nervoso.
Non sapeva come
chiederglielo. Infondo, non era normale che un Grifondoro si
preoccupasse tanto
per una Serpeverde.
E
soprattutto, che un Potter si preoccupasse tanto
per una Black.
- Una mossa Potter,
avrei da
fare! –
Sibilò Diamond, evidenziando
la fretta con un continuo picchiettare del piede sul pavimento.
Sbuffò, vedendo
che non riceveva risposta – infondo era passata solo una
manciata di secondi –
e si rincamminò, superandolo.
- Ehi no! Aspetta! –
La richiamò, deciso. Era
davvero insopportabile quella ragazzina! Come faceva Alexandra a
considerarla
la sua migliore amica?
Diamond si limitò ad alzare
un braccio e a sventolare la mano con fare frettoloso.
- Sta bene. –
Si limitò a dire, prima di
salire le scale e scomparire alla vista del maghetto.
Non
capiva proprio perché si preoccupasse tanto per
Alexandra.
Harry
sospirò, sollevato e
sorrise.
Menomale.
La Sala Grande era già
gremita di gente, che si affollava intorno alle quattro tavolate e si
rifocillava dopo la giornata, più o meno impegnativa che
fosse stata.
Quella sera, il cielo
incantato della Sala, mostrava una bella volta stellata, e una pallida
luna
piena, che brillava così potente e maestosa che sembrava
quasi che i suoi
soffusi raggi raggiungessero davvero i volti degli studenti impegnati a
mangiare.
Blaise Zabini – stranamente
non in compagnia di Draco Malfoy – se ne stava seduto in
mezzo ad un gruppo di
primine, che lo guardavano con sguardo adorante e pendevano
letteralmente dalle
sue labbra, ad ogni gesto o movimento che facesse.
Un coro di sospiri si levò
quando si versò del succo di zucca nel calice dorato.
Gridolini eccitati esplosero
quando se lo portò alla bocca per bere.
Fremiti corsero lungo le
piccole schiene, quando posò di nuovo il calice sul tavolo.
Ok,
si stava decisamente innorvosendo.
Lui amava essere adorato
e
tutto, e questo non era certo un segreto.
Ma quella sera, non era
dell’umore giusto.
Era impaziente, frustrato,
pensieroso.
Rischiò di perdere la calma
quando si passò una mano fra i capelli e udì un
coretto di approvazione
schiamazzante.
Chiuse gli occhi, cercando
di controllare l’impulso di Avada Kedavrizzare qualcuno, che
si manifestava
nella vena che, pericolosa, pulsava sulla sua tempia.
Blaise Zabini era un ragazzo
tranquillo e pacato, che difficilmente si lasciava andare a
manifestazioni di
rabbia o a scenate. Era sempre così posato ed elegante, con
quello sguardo
profondamente sereno e quelle labbra sempre dispiegate in un sorriso di
apprezzamento verso la popolazione femminile.
Ma quando era preoccupato
per qualcosa – o per qualcuno – diventava
incredibilmente irrequieto e gli
effetti dello stare troppo tempo con Malfoy junior, cominciavano a
farsi
vedere.
Per fortuna, arrivò in suo
aiuto una biondina che ormai aveva imparato a riconoscere e un sorriso
gli
distese le labbra, facendo sospirare di nuovo le sue ammiratrici.
Cercò di ignorarle e le fece
cenno di avvicinarsi. Lei sorrise e diede un bacio a fior di labbra al
ragazzo
che l’accompagnava – un certo Montague, se non
sbagliava – e lo raggiunse,
mentre quello si accomodava con gli altri ragazzi della squadra di
Quidditch.
- Ehilà Diamond! –
La salutò, mentre lei
cercava di farsi largo tra la folla di fan che circondavano Blaise. Lui
ridacchiò, vedendola in difficoltà e
guardò le sue ragazze
con uno sguardo che avrebbe sciolto anche l’acciaio.
- Scusate ragazze, potete
lasciarci un attimo soli? –
Domandò con gentilezza,
mandando un bacio in loro direzione. Queste sospirarono adoranti e si
allontanarono, continuando a guardarlo da lontano – ma non
prima di aver
imbruttito Diamond, che finalmente riuscì a sedersi di
fronte al ragazzo.
- Ma quante te ne porti
dietro? –
Sospirò la biondina,
lisciandosi la camicetta con un gesto teatrale.
- Non abbastanza…-
Ridacchiò Zabini, lanciando
una fugace occhiata alle primine, che esplosero in gridolini esagerati.
Diamond
alzò gli occhi al cielo, con uno sbuffo divertito.
- Tu invece ne hai scelto
uno a quanto pare –
Sghignazzò il ragazzo,
indicando Montague con il mento. Lei seguì il suo sguardo e
sorrise al
Cacciatore di Serpeverde.
- Non esattamente… -
Rispose vaga, con una
stretta di spalle.
- Che vuoi dire con “non
esattamente” ?-
Blaise alzò un sopracciglio,
con espressione divertita e Diamond lo guardò un
po’ disorientata. Da quando avevano
tutta questa confidenza? Non si parlavano spesso, di solito. Solo
qualche
saluto di circostanza quando stava con Alex… Ma
certo, si ritrovò a pensare con una fitta di
gelosia, voleva sapere di lei e stava
cercando di
metterla a suo agio.
- E’ un tipo carino. –
Si limitò a dire,
concentrando lo sguardo su una coscia di pollo che si era appena messa
nel
piatto.
Lui si guardò attorno,
leggermente a disagio e mangiò una mollica di pane
– altro coro di sospiri –
cercando di prendere tempo.
- Era in camera… -
Proferì all’improvviso
Diamond, lo sguardo fisso su di una patata al forno che aveva appena
infilzato
con la forchetta. Iniziò a mangiucchiarla, quando Blaise
alzò lo sguardo su di
lei e annuì con il capo.
- Stava bene? –
Le domandò, improvvisamente
serio.
- Non lo so…Lei ha detto di
star bene e che è solo un po’ stanca…Ma
aveva una faccia stravolta…Non era solo
stanca…No, c’era di più…-
Rispose, posando la
forchetta sul piatto e guardandolo con occhi preoccupati, che si
specchiavano
in gemelli zaffiro, della stessa espressione. Non disse nulla, e lei lo
prese
come un incitamento a continuare.
- Aveva gli occhi umidi e le
guance arrossate…Sembrava essere appena uscita da una crisi
di pianto…Le ho
proposto di uscire dalla stanza e di venire con me, per vedere gli
allenamenti
di Quidditch. Ma appena ha sentito quella parola, è
diventata improvvisamente
rigida e triste e ha detto di voler restare a riposare…Per
me c’è qualcosa
sotto…-
Concluse, con un sospirò
stanco, ravvivandosi i capelli.
- Ha saltato anche la cena…-
Aggiunse preoccupata,
guardandosi intorno.
- Anche Draco. –
Si limitò a riflettere
Blaise, stringendo lievemente gli occhi e studiando la cosa.
- E’ successo qualcosa! –
Esclamarono insieme e poi
balzarono in piedi, quasi fossero uno lo specchio dell’altra.
- Vado a cercarlo! –
- Vado a cercarla! –
Proferirono all’unisono e si
gettarono verso la porta della Sala Grande, sotto lo sguardo scioccato
delle
fan di Blaise e di Kain Montague.
Le sfiorarono il viso, con una fredda carezza che la fece trasalire.
Così dolce, così lenta, così piacevole.
Spalancò gli occhi, che brillarono nel buio della camera. Si sfiorò la guancia.
Non era stato lui a toccarla.
Sospirò, asciugandosi un’altra lacrima che era sfuggita al suo controllo. Si mise a sedere sul letto e si stiracchiò, guardando l’ora sulla sveglia magica posata sul comodino. Erano le 6.00. Sbadigliò e si alzò, dirigendosi in bagno con passo lento e svogliato. Si spogliò e si infilò sotto la doccia. Dovette stare un’oretta buona sotto il getto dell’acqua, per togliersi la sostanza appiccicosa che aveva tra i capelli. Ma quando uscì, era come nuova. Prese una divisa scolastica pulita, limitandosi a indossare la camicetta e la gonna, senza il maglione. Infondo, doveva andare a combattere con una pozione, era sicura che avrebbe sudato sette camice – e non solo quella che indossava.
Si asciugò i capelli, che lisci e vaporosi, le incorniciarono quel viso ormai rinato. Solo il rossore degli occhi ne segnava ancora la stanchezza e il lungo pianto.
Prese il libro di Pozioni e lo mise nella tracolla in jeans. Fece per prendere la bacchetta, e con orrore, si ricordò che Piton gliela aveva sequestrata e gliela avrebbe restituita solo in caso fosse riuscita a raggiungere almeno la Sufficienza con la pozione.
Sospirò, affranta, ed uscì dalla stanza, senza nemmeno prendere la mantella.
Quando Diamond sarebbe entrata in camera, l’avrebbe trovata irrimediabilmente vuota.
Solo un biglietto sulla scrivania
“ Sono fuori. Non
preoccuparti per me.
Ci vediamo domani. Notte.”
Gli allenamenti di Quidditch
erano finiti da un pezzo, ma lui aveva preferito continuare ad
allenarsi da
solo, nonostante fosse ormai buio. Aveva lasciato andare il resto della
squadra, poi aveva liberato di nuovo il boccino d’oro, era
salito calvacioni alla
sua scopa ed era partito all’inseguimento. Aveva dovuto
catturarlo circa una
decina di volte prima di essere completamente sicuro di aver scaricato
i nervi.
Quando toccò terra, si sentì
rinato.
Era di nuovo lui. Forte,
determinato, freddo, ma di certo non meno pericoloso.
Solo
più controllato.
Ora doveva andare dalla
sua
piccola Black e fargli capire chi comandava.
Draco Lucius Malfoy non
amava ricevere ordini, figuriamoci seguirli.
“Lasciami in pace”
Gli aveva urlato con
disprezzo. Ghignò a quel ricordo e si leccò le
labbra con la punta della
lingua, mentre si incamminava verso il castello.
Se avesse ancora osato
trattarlo come quella mattina, e farlo stare così male tutto
il giorno, ne
avrebbe pagate care le conseguenze.
Ci
avrebbe pensato lui a farla piangere e a farla
urlare, ma non nel modo che credeva lei.
Perché mai,
come quel
giorno, Draco Lucius Malfoy si era sentito così debole e
vulnerabile.
Arrivato al castello, erano
le 6 passate. Non aveva fame, per cui si diresse nel dormitorio e si
fece una
bella doccia ristoratrice, pensando a quale punizione avrebbe potuto
infliggere
alla sua bella Black.
Indossò la divisa scolastica
e si asciugò i capelli, lasciandoli liberi dalla solita mano
di gel. Fini e
lisci gli ricaddero sul viso, andando a coprirgli elegantemente lo
sguardo,
tornato freddo specchio di ghiaccio. Si mise la bacchetta nel cinturino
dei
pantaloni ed uscì dalla stanza. Mentre si dirigeva verso
l’aula di Pozioni, si
ricordò di aver lasciato i libri di Difesa Contro Le Arti
Oscure in aula, dopo
averli scaraventati in terra. Così, cambiò
metà e si diresse prima lì.
Almeno,
avrebbe avuto più tempo per pensare ad una
punizione da infliggere alla sua piccola preda.
Quando arrivò
nell’aula di
Pozioni, quasi sperò di vederlo.
Ma
lui non c’era.
Doveva aspettarselo,
infondo
lei stessa gli aveva detto di lasciarla in pace.
Eppure, covava ancora la
speranza di vederlo già lì, con
quell’espressione irrisoria – tipicamente sua -
dipinta sul viso, gli occhi freddi, che le bruciavano sulla pelle, le
labbra
perfette, dispiegate in un ghigno dannatamente sensuale. Era per quello
che,
anche se aveva avuto il pomeriggio libero, aveva preferito fare la
pozione di
sera.
“Faremo tutto stanotte e non mi
importa se sarai stanca o cosa”
Aveva detto. E lei, nella futile
speranza di vederlo, aveva seguito quel suo ordine.
Ma
Draco Malfoy non era lì, quella sera.
Strinse con forza la
bretella della borsa, tanto che le mani le tremarono violentemente.
Chiuse gli
occhi, per combattere contro la voglia di piangere ancora.
Uno sbuffo fioco lasciò le
sue labbra, mentre si imponeva di restare calma e mantenere la
concentrazione.
Non
poteva permettersi di sbagliare, quella sera.
Si sistemò
sul suo banco e
fece per prendere la bacchetta dal cinturino della gonna, per accendere
qualche
candela e il fuoco sotto il calderone.
Con
orrore, ricordò ancora una volta, che non l’aveva.
Sbuffò di
nuovo, cercando di
trattenere la crisi di nervi che l’avrebbe costretta ad
urlare.
Tremando leggermente, girò
lo sguardo in cerca di una torcia. L’unica fonte di luce
proveniva dal freddo
corridoio. Uscì dall’aula e staccò una
fiaccola dal muro per poi metterla sul
tavolo e fare un po’ di luce. Notò che gli
ingredienti per la pozione erano
tutti sulla cattedra, ma imprecò, quando vide che non
c’era l’etichetta sulle
ampolle.
Come
diavolo faceva a riconoscerle?
Già le
sarebbe stato
difficile di giorno, figurarsi con quel buio.
Si ficcò un pugno in bocca e
lo morse così forte da lasciare una rossa impronta di denti.
Sentiva che le
lacrime stavano tornando a pizzicarle gli occhi, fastidiose e
frettolose di
uscire. Si lasciò cadere su di una sedia e
abbandonò la testa all’indietro,
chiudendo gli occhi respirando piano, per calmarsi.
Lo aveva fatto apposta, quel
bastardo di Piton. Le aveva tolto le
etichette e la luce, perché sapeva che da sola non ce
l’avrebbe mai fatta e che
sarebbe stata costretta a chiedere aiuto al suo pupillo.
Ma
lui non era lì.
Sbuffò e
riaprì gli occhi
solo quando fu sicura di riuscire a controllare le sue azioni. Si
piegò e prese
il libro di pozioni dalla tracolla che giaceva in terra. Lo
aprì e si mise la
torcia quanto più vicino potesse per leggere.
- Pozione del Ghiaccio…-
Lesse con voce tremante.
Respirò lentamente, reprimendo un singhiozzo.
- Ingredienti…Dieci litri di
acqua fredda….Sette cubetti di ghiaccio…Alghe
Marine congelate…-
La luce della fiaccola era
così tenue, che leggere le richiedeva un grande sforzo e
già aveva mal di
testa.
Un vento maligno le si
infilava nella maglietta e la faceva rabbrividire, facendole maledire
il
momento in cui era uscita dalla stanza senza maglione e cappotto.
Ma la goccia che fece
traboccare il vaso, fu una folata d’aria più
forte, che si accanì contro la
torcia, spegnendola e lasciandola al buio.
Fu allora che il dolore
formicolante che provava alla bocca dello stomaco esplose con un
ringhio carico
di frustrazione e che le lacrime si affollarono, cadendo in tempesta
sulle
pagine del libro.
Senza avere la forza di
alzarsi, chinò il viso sul banco, nascondendolo tra le
braccia e pianse ancora.
Pianse così tanto, da
stancarsi.
E
addormentarsi.
Quando lo vide svoltare un
angolo, accellerò e lo raggiunse con un grido.
- Zabiniiiii!!! –
Blaise si voltò e la guardò,
preoccupato, corrergli incontro.
- Cherin, che è successo? –
Le domandò, offrendole un
braccio come appoggio, che lei accettò.
- Questo! –
Proferì ansante,
mostrandogli il foglietto che aveva tra le mani. Il ragazzo lo prese e
lo lesse
velocemente.
- Devo trovare Draco… -
Disse lapidario, con un
sospiro. Diamond alzò il viso, con espressione ansiosa e lui
le sorrise,
scuotendo la testa.
- Sta tranquilla, vedrai che
non è nulla di grave… -
La rassicurò, prima di darle
un’affettuosa carezza sulla testa e sorpassarla, alla ricerca
dell’amico.
Era questo che pensava
Draco
Malfoy mentre, con passo svelto, si dirigeva verso i sotterranei.
Di tutte le sere
disponibili, quella doveva decidere di rompere proprio quella
sera?
Che
andasse al diavolo!
Imprecando una
maledizione
dopo l’altra, scendeva rapidamente le scale, saltando
agilmente alcuni gradini.
Si sarebbe messo a scivolare sui corrimano, se questo non lo avesse
reso
troppo ambiguo. Spintonava, senza preoccuparsene, tutte le persone che
gli
impedivano il passaggio, ammucchiate sulle scale in attesa di arrivare
ai loro
dormitori.
Era
dannatamente in ritardo!
Sì, voleva punire la sua
piccola preda, lasciandola ad attendere, ma non intendeva fare
così tardi!
Era solo andato a
riappropiarsi dei suoi libri di Difesa Contro Le Arti Oscure, cosa ne
poteva
sapere che lì, in agguato, lo attendeva qualcuno?
Era entrato tranquillo
nell’aula, con passo lento, pregustando già le
piccole – e dolci –
torture che avrebbe inflitto alla Black, e aveva trovato lei.
Una lunga chioma
fiammeggiante, deliziose efelidi sulle guance, occhi di ghiaccio e
decisamente
un bel corpo. Che un tempo, gli avrebbe fatto piacere esaminare,
se non avesse avuto per la testa quel paio di occhi
smeraldini, feriti.
La ragazza gli aveva
confessato il suo amore e in poche parole si era offerta
a lui. Rifiutarla, non era stato così difficile
come
avrebbe pensato. E quegli occhi di ghiaccio, che lo avevano osservato
feriti,
non lo avevano scalfito minimamente.
Non
era stato neanche lontanamente paragonabile
all’effetto che gli aveva fatto un altro sguardo.
Si era girato, con i
libri
sotto braccio e aveva imboccato l’uscita dell’aula,
con ghigno tutto da
dedicare alla sua bella Black.
Ma il movimento sinistro che
aveva sentito provenire dalle sue spalle, non gli era piaciuto per
niente.
Si era voltato appena in
tempo, per vedere la ragazza puntargli la bacchetta contro e, con le
lacrime
agli occhi, gridare.
“ Diffindo! “
Colto di sorpresa, Malfoy
non aveva potuto fare altro che scartare di lato, ma
l’incantesimo era riuscito
a colpirlo in viso, lasciandogli un profondo graffio sulla guancia
sinistra.
Lo sguardo che le lanciò
successivamente, avrebbe gelato anche l’inferno.
E con lei, non aveva di
certo avuto effetto diverso.
Era rimasta immobile, solo
la mano che tremava convulsivamente, stretta attorno alla bacchetta. Le
lacrime
continuava a scendere copiose, mentre un lieve singhiozzare le
abbassava e
alzava il petto freneticamente.
E piangeva non solo più per
la rabbia o per il dispiacere.
Piangeva
per la paura.
Paura di quello che
Malfoy
avrebbe potuto farle, dopo un simile affronto.
Ma quello si limitò a
inchiodarla con uno sguardo molto eloquente e a ghignare, poi si era
voltato ed
era scappato via, così veloce che sembrava strano che un
secondo prima si
trovasse nella stanza.
Solo
una goccia di sangue sul terreno, confermava la
sua presenza.
La ragazza si era
accasciata
al suolo e aveva cominciato a piangere e ad urlare senza sosta.
Doveva ringraziare il cielo,
che Draco Lucius Malfoy avesse altro per la testa, quella sera, o non
se la
sarebbe cavata così a buon mercato.
Ma
gliela avrebbe pagata. Malfoy avrebbe pagato per
l’umiliazione che le aveva inferto!
E ora, lui correva,
diretto
nei sotterranei, con un unico pensiero fisso nella mente: Alexandra Black. Sperava con tutto se
stesso, che fosse ancora lì,
ad aspettarlo.
Che
diavolo le aveva fatto, quella piccola
impertinente, per ridurlo in quello stato?
Aveva appena svoltato
l’angolo che lo conduceva dritto ai Sotterranei, quando era
stato fermato da
una voce.
- Draco! –
Aveva urlato quel tono
familiare. Si era voltato, ansante e aveva visto la figura di Blaise
avvicinarglisi a grandi passi.
Sperava
proprio che non volesse fargli una paternale
sul suo comportamente, perché era leggermente di fretta.
- Che
c’è? –
Domandò impaziente e quello
gli scoccò uno sguardo stufo, che poi si
trasformò in seria e composta
preoccupazione.
- Alexandra è…-
Cominciò a spiegare, ma si
dovette fermare, quando lo vide sorridere. In modo strano. Non era un
ghigno.
No, era qualcosa di molto di più.
- Sto andando… -
Gli sussurrò con voce calma,
prima di dargli una leggera pacca sulla spalla e correre di nuovo via.
Blaise lo guardò confuso,
poi scosse la testa e cominciò a ridere da solo.
Non
aveva mai visto Draco con un espressione così
serena in volto.
Merlino solo sapeva,
quello
che aveva in mente, ma la cosa non lo preoccupava. Quel sorriso era
stata una
chiara comuncazione per lui.
E
soprattutto, ora aveva la certezza che Alexandra
stava bene.
Quando era entrato
nell’aula di Pozioni, aveva
sentito il mondo crollargli addosso.
Lo sguardo argenteo
brillò
nell’oscurità, furioso e ferito, mentre le labbra
– dalle quali uscivano veloci
fiotti d’aria – perdevano la piega del ghigno
sfrontato e sensuale, per
lasciare il posto ad un espressione seria, scalfita nel marmo che era
diventato
il suo viso, indurito dai muscoli della mascella, contratti.
Lei
non era lì.
Strinse la mano in un
pugno,
così forte che sentì le unghie perforargli il
palmo della mano, ma non se ne
preoccupò.
Chiuse gli occhi per
calmarsi ed evitare di distruggere l’aula di Pozioni.
Piton
non avrebbe gradito.
Respirò
lentamente e quando
riaprì gli occhi, questi scintillarono pericolosamente.
Prese in mano la bacchetta e
la strinse forte.
-Lumos.-
Recitò e la punta della
bacchetta brillò, rischiarando leggermente la stanza.
Avanzò lentamente e si
avvicinò alla cattedra, per controllare il contenuto della
fiala, con la
pozione che la Black aveva – probabilmente –
preparato il pomeriggio. Non si
fidava molto del risultato, visti i precedenti.
Non che – a quel punto – gli
interessasse qualcosa dell’andamento di quel piccolo
impiastro, ma non voleva
perdere la faccia con Piton.
Inoltre, se la pozione non
era ben fatta, poteva dire addio alla prima partita del Campionato di
Quidditch, cosa che non poteva assolutamente permettersi.
Illuminò la cattedra,
facendo luce sugli ingredienti ancora intatti sulla scrivania.
Non
si era neanche presa la briga di provarci,
allora!
Si ritrovò a
pensare, mentre
un ringhio profondo, proveniente dal petto, lasciava le sue labbra,
rabbioso.
Tutta quella situazione stava vanificando il suo lungo allenamento di
Quidditch.
Doveva averlo fatto come
sorta di vendetta per come l’aveva trattata.
Infondo, forse, a lei un
altro voto insufficiente a pozioni non le cambiava molto.
Mentre sapeva che per lui
era fondamentale che lei raggiungesse un voto decente.
- Maledetta… -
Mormorò, fuori di se dalla
rabbia. Un altro ringhio e poi si voltò di scatto verso il
pentolone.
A quanto pare, doveva fare
tutto da solo!
Ma
questa, non gliela avrebbe fatta passare liscia.
Le avrebbe dato lui un valido motivo per piangere,
stavolta.
Si avvicinò a
grandi passi
all’unico calderone rimasto nell’aula e
illuminò il tavolo della proprietaria.
E
quando la punta della bacchetta illuminò una figura
poggiata al banco, sentì il suo cuore mancare un colpo.
Era una ragazza,
dall’aspetto
minuto e così fragile, che non provare il desiderio di
proteggerla era
impossibile.
Una lunga cascata di capelli
corvini si riversavano sulle braccia conserte e sul viso, abbandonato
su di
esse.
La carnagione così diafana,
era resa quasi trasparente dalla luce fioca della bacchetta.
Lunghe ciglia nere coprivano
quei due smeraldi che sapevano incantare, andando a sfiorare
leggermente la
pelle sotto l’occhio, umida e arrossata.
Senza controllo, sentì il
suo braccio muoversi e la sua mano andare a sfiorarle il viso con
gentilezza,
raccogliendo tra quelle dita sottili e affusolate, lacrime amare, che
gli
strinsero il cuore e gli provocarono una serie di fitte che si
diffusero per
tutto il petto.
Tracciò il profilo di quella
guancia liscia – e incredibilmente morbida al tatto
– fino ad incontrare le sue
labbra con lo sguardo.
Piccoli
spicchi di albicocca, socchiusi e invitanti.
Sentiva il suo corpo
muoversi senza controllo alcuno, mentre, ancora una volta, si ritrovava
ad
avvicinare il suo viso a quello di lei. Così vicino, da
sentire il dolce
respiro di albicocca entrargli in bocca e riempirgli il petto,
guarendolo da
dolorose fitte.
Dio
solo sa cosa quella sera fermò Draco Malfoy dal
rubare un bacio ad Alexandra Black.
Forse la sua espressione
dolcemente addormentata.
Forse le lacrime che ancora
le bagnavano le guance.
Forse,
perchè voleva baciarla solo quando anche lei
avrebbe potuto ricordare.
Fatto sta che, in quel
momento, Draco Malfoy riuscì ad avere così tanto
auto-controllo, da
allontanarsi lentamente e lasciarla dormire, autoinfliggendosi un
dolore
assurdo.
Si limitò ad accarezzarle
ancora la guancia e a scostarle i capelli da viso, per riporli, con
gentilezza,
dietro le orecchie.
Era
stranamente fredda.
Il suo sguardo scese a
controllarle il vestiario e notò che era coperta solo da una
camicetta troppo
leggera.
Sospirò, quasi intenerito da
quella sbadataggine, e si levò il maglione, posandoglielo
delicatamente sulle
spalle. Poi, riprese a sfiorarle il viso con morbide carezze.
Mentre un sorriso sincero
dipingeva quelle labbra che erano abitutate a piegarsi solamente in
ghigni
sprezzanti e altezzosi, abbandonò di malavoglia quei piccoli
gesti, per
accendere, con un gesto di bacchetta, alcune fiaccole e rischiarare la
stanza.
Rimase ad osservarla, ma non
avrebbe saputo dire per quanto tempo.
Guardava il suo profilo dai
lineamenti delicati – e ancora un po’ da bambina
– teneramente rischiarati
dalla luce tremolante della candela che aveva affianco.
Controllava, con serenità,
il petto e le spalle alzarsi e abbassarsi al ritmo di un respiro
regolare.
Il suo sguardo cadde sulla
mano destra, chiusa leggermente a pugno. Assottigliò gli
occhi per vedere
meglio, e notò che sul dorso c’era una rossa
impronta di denti, che ne
scalfivano la pelle delicata.
Tese una mano e accarezzò la
sua che, immediatamente, si dischiuse e andò ad
intrecciarsi, con naturalezza,
a quella del ragazzo.
Lo sguardo argenteo corse
sul viso della Black, e la vide ancora dolcemente addormentata, solo
che adesso
la sua espressione si era fatta più rilassata.
Respirò piano, avvertendo
uno strano dolore al petto, stranamente piacevole.
Restò a guardarla ancora,
prima di districare con gentilezza le loro dita e cominciare a
preparare la
pozione, lanciandole, di tanto in tanto, qualche occhiata, quasi avesse
paura
di vederla scomparire sotto i suoi occhi.
Era
sua, e non l’avrebbe lasciata a nessun altro.
Un bacione,
Ada =*
In ogni caso,
spero che continuerai comunque a seguirmi, anche se dovrai frequentare
uno
psicologo xD Mi farebbe piacere anche scambiare due chiacchiere via
msn, così
magari ti faccio io da psicologa e non devi pagare nessuno xD
Bhe, spero
come al solito che questo capitolo ti sia piaciuto! Fammi sapere che ne
pensi,
un bacione, Ada =*
Bhe, spero che
questo capitolo ti sia piaciuto, fammi sapere che ne pensi!
Un bacione,
Ada =*
Un bacione,
Ada =*
Aggiungetemi,
se vi va ^.-
Al
prossimo capitolo!
Ada