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Autore: SamuelCostaRica    30/05/2016    0 recensioni
Ogni Biblioteca contiene libri di ogni genere, che possono essere letti da molti o da pochi.
E poi ci sono i libri segreti, di cui nessuno deve sapere, che parlano di cose indicibili per il popolo.
Ma può il futuro di una galassia essere scritto in un libro nascosto in una biblioteca o no?
E quanto sono necessari i libri per il futuro di una galassia?
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un impero ha sempre bisogno di ordine e ordini.

Ordine, regolamenti, leggi che permettono agli abitanti di coesistere, pur avendo idee, essendo di razze e pregando dei diversi.

Alcune di queste leggi sono emesse dagli stessi pianeti, affinché la popolazione che vi abita possa coesistere nella legalità.

Altre sono emessi dall’impero, per conciliare le diverse leggi emesse dai diversi pianeti, che potrebbero essere, tra di loro, in contraddizione.

Ordini e comandi vengono emessi da chi dirige pianeti, zone della galassie o l’intera galassia.

Ordini e comandi vengono dati anche alle truppe, ai militari di stanza sui vari pianeti, più o meno abitati, asteroidi o su tutto quello che può permettere ad un esercito di difendersi in caso di attacco.

Il punto dolente di tutto quell’ordine e di tutti gli ordini emessi erano le persone che li ricevevano, che dovevano comprenderli ed eseguirli.

Di certo, un ordine militare è un ordine militare: spostare le truppe da un pianeta all’altro non era certo come andare a fare un pic-nic.

Ma gli ordini o le leggi per i civili, per i burocrati, dovevano andare capiti ed interpretati.

Di certo la fantasia ai burocrati per interpretare una legge, a loro modo di vedere, non mancava e l’imperatore, troppo spesso, era costretto ad emettere specifici editti circa una interpretazione più o meno lesiva per una parte o l’altra.

I tribunali, ovviamente, erano spessi presi d’assalto da quelli che credevano che una legge fosse stata emessa a loro discapito.

Ma la cosa che l’imperatore odiava erano le riunioni fiume con i burocrati quando la legge, norma o editto doveva ancora essere emendato.

L’imperatore aveva deciso che il metodo dei suoi predecessori, quello di partecipare a quelle riunioni fiumi di persone, non andava proprio bene.

O almeno non si confaceva con il suo indomito spirito.

L’imperatore aveva deciso di evitare che la sua persona fosse messa in pericolo abitando sul pianeta capitale dell’impero.

Ai tempi dei fatti che narriamo, l’impero occupava la maggior parte di una galassia a spirale, e la capitale dell’impero era un pianeta di media grandezza e come diceva, divertito, un famoso scienziato filosofo, “con le cosine tutte al loro posto”.

Il pianeta capitale era in un braccio della galassia verso l’esterno.

Di certo la mutabilità delle stagioni, i poli ghiacciati o le zone desertiche vi erano come su qualsiasi altro pianeta e la concentrazione delle persone in molte aree aveva quasi riempito il pianeta di palazzi di ogni grandezza e forma, strade, case, sobborghi, favelas e altro ancora.

L’andirivieni di navi spaziali e persone da quel pianeta era quasi al collasso.

Gli oltre centro astroporti pubblici e più di mille privati non bastavano a sopperire alla richiesta di navi che vi arrivavano e gli incendi, tra navi e navette, era una realtà giornaliera.

Non vi era comandate di nave che fosse giunto al pianeta capitale almeno cinque volte di fila che in una non avesse fatto un incidente, magari lieve, ma pur sempre incidente, che rallentava la partenza o l’arrivo di altre navi.

Il pianeta dell’imperatore, invece, era sì in un braccio vicino, ma verso l’interno, nascosto dai gas galattici.

Tutte e due i pianeti ruotavano intorno a dei soli gialli, belli e caldi.

E questa era l’unica cosa che li accumunava.

Il pianeta dell’imperatore, su cui vi era la biblioteca, era poco abitato: anziché alcuni miliardi di individui, ne vivevano alcune milioni, che vivevano solo per servire l’imperatore e la sua corte.

L’imperatore, dato che odiava spostarsi inutilmente e passare tempo in riunioni fiumi, aveva fatto costruire sul suo pianeta e su quello della capitale due sale ologrammi, con una circonferenza di circa cento metri.

Erano in un’ala del palazzo reale verso i giardini invernali, posti a est dell’ingresso principale del palazzo, chiusi dentro ad una enorme cupola, che si estendeva per ettari e si alzava verso il cielo per più di cinquecento metri.

Sulla capitale le sale erano poste all’interno del palazzo dei giudici, delle stesse dimensioni.

L’imperatore, in caso di riunioni, andava in una delle due sale e partecipava alle riunioni fiumi, qualche volta addormentandosi se la discussione proseguiva senza giungere a qualche decisione, la qual cosa faceva arrabbiare i burocrati: che non partecipasse di persona alle riunioni era una cosa, che si addormentasse durante, quasi sbeffeggiandoli, questo non lo sopportavano.

Se non addirittura, durante la riunioni, camminare su è giù per la stanza, sparire dalla vista delle telecamere dell’ologramma per poi apparire con un vestito diverso, sorseggiando una bevanda, se non addirittura vedersi apparire un servitore che gli portava da mangiare.

Più volte i burocrati si erano lamentati con il gran ciambellano di corte, ma l’imperatore non se ne interessava.

Anzi, più volte, in riunione, ebbe di lamentarsi del loro atteggiamento.

Dopo tutto era l’imperatore a cui obbedivano civili e soldati.

Se i burocrati non avessero sviato i suoi ordini.

E questo era successo con la nave camuffata che era caduta su Icestar.

Era entrata da una parte del confine dell’impero con l’altro impero, piccolo, comandato da un imperatore folle e guerrafondaio.

Un burocrate l’aveva fatta passare, anche se gli ordini giunti ai militari era quello di fermare qualsiasi nave proveniente da quel quadrante della galassia.

Ma i soldati, ben sapendo che avere a che fare con i burocrati era una pessima cosa, aveva avvisato dell’incidente il loro comandante e rimasti lì, in attesa di ordini.

E l’ordine giunse.

Non muoversi.

E i militari non si mossero, guardando la nave, ben camuffata, passare il confine e andare chissà dove.

Quando si seppe che quella nave era precipitata sul pianeta prigione, i militari guardarono torvo il burocrate di confine, che sparì, improvvisamente.

Ma l’imperatore, che di solito non veniva avvisato di queste inezie, lo venne a sapere, anche per il fatto che la moglie era sul pianeta.

L’imperatore andò su è giù dalla sala ologrammi, pensieroso, proprio durante una di quelle riunioni fiume.

No, pensava, non era possibile!

Era andata ancora su quel pianeta a guardare il prigioniero.

I burocrati lo guardarono in quell’atteggiamento strano.

Lui, quando era pensieroso, metteva una mano, di solito la sinistra, dietro alla schiena e l’altra, in particolare modo con il mignolo, giocherellava con le sue labbra.

Era solito camminare a grandi falcate, entrando ed uscendo dalle telecamere.

Il primo ministro tossì, tossì e ritossì.

Inutile.

L’imperatore stava pensando a qualcosa.

Poi improvvisamente si fermò.

No, non era possibile.

Il suo viso cambiò espressione e guardò i burocrati, di sottocchio.

Dovevano ringrazia che non fossero lì con lui, di persona.

La loro morte sarebbe stata lunga e dolorosa.

Schioccò le dita e l’ologramma sparì.

I burocrati fecero strane facce, ma non potevano farci niente.

Una giornata inutile, per loro, inconcludente, anche se, a sera, non avrebbero comunque concluso nulla, come sempre facevano con l’imperatore, ovviamente per ripicca nei suoi confronti.

Spariti gli ologrammi dei burocrati dalla stanza, l’imperatore emise un urlo animale, terribile.

I pochi presenti rimasero stupefatti da quanto successo e scapparono.

L’imperatore di diresse a grandi passi fuori della sala, salì su un veicolo elettrico e si diresse verso la stazione radio, guidando personalmente il veicolo.

La stazione radio era posizionata nella zona più lontana del palazzo imperiale, a destra rispetto all’ingresso principale.

Molte persone della corte, che stavano passeggiando, videro letteralmente schizzare la macchina sulle strade, rischiando di travolgere molte persone.

Arrivò all’edificio destinato alla sala radio frenando di colpo e abbandonando il veicolo sul prato di fronte all’ingresso principale.

Entrò nella stanza dei servizi segreti, posta al piano seminterrato, ove alcune persone stavano controllando diversi pannelli di controllo, con le cuffie ben posate sulle orecchie, per meglio sentire tutto ciò che stavano in quel momento intercettando.

L’operatore capo si girò di colpo, imprecando con chi fosse entrato sfondando la porta.

Ma quando vide la faccia dell’imperatore indiavolato, il capo si mise sull’attenti, mentre gli intercettatori non se ne accorsero di nulla.

Ma non poterono fecero finta di niente quando l’imperatore fece scattare l’allarme perché tutti gli dessero retta.

Il palazzo non fu svuotato per miracolo.

Il capo degli intercettatori era impietrito davanti all’uomo.

Gli ordini che gli vennero dati erano a dir pochi folli, ma gli intercettatori ubbidirono senza aspettare che il loro capo desse quei comandi.

I generali delle zone interessate, quella di confine e quella vicina al pianeta prigione, passarono ore nelle loro sale oleografiche delle lori basi militari, a discutere con l’imperatore e lo stato maggiore.

I due generali, diversamente dal solito, all’interno delle sale oleografiche erano soli. I loro attendenti e i loro stati maggiore rimasero fuori, in silenzio, preoccupati: non era cosa di tutti i giorni una riunione con l’imperatore, lo stato maggiore e un comandante di un’altra zona.

L’imperatore, nella sala, era con i suoi più stretti collaboratori militari: tre persone. Uno era il capo di stato maggiore, un cugino di secondo grado, a lui molto fedele, un altro era il responsabile dell’intelligence militare, fratello di una sua zia, un tipo strano, troppo intelligenze per i gusti dell’imperatore, e l’ultimo era il suo segretario personale, un fratellastro, di cui si fidava poco, ma che gli serviva lì, in quel momento, per vedere la sua faccia alle sue rivelazione ai generali: il nome dell’uomo era sul famoso elenco.

La discussione durò ore, quasi una riunione fiume come con i burocrati, solo che questa volta l’imperatore era ben sveglio e deciso a sistemare la questione velocemente.

Il generale della zona di frontiera uscì dalla riunione sconvolto.

Il suo stato maggiore lo guardò preoccupato.

«Qual è la nave più vicina alla frontiera, verso l’esterno della galassia?» chiese ai suoi uomini.

«C’è la flotta C, quella di Grovin. È lì da una settimana, che pattuglia la zona. Ma non è una nave sola …»

«Bene. Passatemelo in sala ologrammi e venite pure voi.» Disse al suo stato maggiore.

Il comandante Grovin era un tipo piccolo, con i capelli rossi, la barba rosso, la pelle rossa: tutti lo chiamavano “il rosso” e lui ne andava fiero.

Il generale, quando il comandate si presento nell’ologramma, si rivolse a lui in modo amichevole.

«Salve, Rosso, come va?»

Il comandate Grovin si meravigliò, ma decise di non rispondere allo stesso modo.

«Bene , Generale. Grazie del suo interessamento. Come posso esserle utile?»

«Devo darle un ordine che lei non ha mai ricevuto. Superi la frontiera e sconfini nella zona vietata dall’esterno della galassia.»

Le persone presenti rumoreggiarono e il rosso divenne ancora più rosso.

«Devo, se ho capito bene, uscire dalla galassia, andare nel vuoto più assoluto, e rientrare nella galassia dalla zona vietata? E l’ordine non mi è stato mai dato, ma sarà una mia iniziativa, senza ricevere aiuto in caso di bisogno, e per cosa?»

Il generale si passò la mano sotto il mento.

«Deve scoprire chi, in questo momento, comanda la zona vietata. L’imperatore ha idea che il nostro vicino non sia in casa, ma che sia a spasso da qualche parte nel nostro impero.»

«Ah. Una visita di cortesia. E come spera che io scopra se in casa c’è qualcuno o no?»

«Si ricorda, Grovin, quel famoso asteroide che passa vicino alla frontiera, che esce dalla galassia e, rientrando, si avvicina al pianeta impero e che abbiamo più volte usato per i nostri viaggi ….»

«Certo. Ma ci vorrà tempo …»

«No, mio caro, meno di quello che lei pensa. Ultimamente il pezzetto di roccia è stato fatto avvicinare ad un pianeta e ha preso velocità, molta velocità. Nessuno se ne accorgerà se lo userete come nascondiglio. Lo sai, Rosso, che quella è stata la tua migliore idea. E l’imperatore ha deciso di darti il comando dell’operazione, concedendoti il grado di ammiraglio.»

«Oh, bene. Ammiraglio di niente. Va bene. Ma ricordati che quella maledetta bottiglia che tiene nel cassetto destro della tua scrivania è mia. Che tu lo voglia o no. E non svuotartela tutta da sola, se no faccio attaccare dai miei la tua cantina privata!»

«Va bene, maledetto! Ma datti da fare. Hai solo due giorni prima del rendez-vous con l’asteroide fuori della galassia!»

«Ah. Scusa, generale, ma l’asteroide, ovviamente …»

«Lo sai benissimo come deve svolgersi il piano C, capo D. Non fare inutili domande!»

Il generale chiuse la comunicazione e il Rosso se la rise come un matto.

Il suo piano era stato approvato dall’imperatore.

Bene. Una visitina a quel maledetto cugino rompiscatole non gli dispiaceva.

Dopotutto, con lui morto, il comando di quella zona spettava a lui.

Si, era la volta buona che, anche se non imperatore, un certo titolo nobiliare gli sarebbe caduto tra le braccia e l’odioso cugino sarebbe finito nel fango.

Uscì dalla sala ologrammi e diede ordine di partire alle sue navi.

La sua mini flotta era costituita dal suo incrociatore spaziale, che vista dall’esterno non dava l’impressione di essere in gran forma, due porta caccia stellari, due navi rifornimenti, dieci navi di scorta e alcune più piccole che precedevano in avanscoperta o seguivano la flotta in copertura.

La flotta parti a velocità luce verso il confine della galassia.

Una delle navi di scorta attraverso velocemente il confine e atterrò sull’asteroide.

La flotta, intanto, trascinava un asteroide, della stessa forma e dimensione di quello che doveva coprire la loro piccola invasione.

La nave di scorta atterrata sull’asteroide aveva a bordo circa cinquanta uomini.

Il comandante si chiamava Gregorovich, statura media, non troppo muscoloso, viso con dei lineamenti marcati.

Per essere una donna era un po’ troppo maschiaccio, ma i suoi uomini non ci facevano caso: a bordo donne e uomini avevano gli stessi diritti e doveri e obbedire non era certo n optional.

Il comandante, dopo l’atterraggio, diede ordine per piazzare dei motori ausiliari che avrebbero spinto l’asteroide lontano, nello spazio infinito, mentre il sostituto avrebbe preso il suo posto, nascondendo al suo interno la flotta, che sarebbe giunta a destinazione senza dar troppo dell’occhio.

Michel Gregorovich sapeva che il piano avrebbe funzionato: erano anni che studiava quel piano e che attendeva la sua vendetta.
   
 
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